next essay Studi Storici 3, luglio-settembre 95 anno 36


Helga Dittrich-Johansen, la "donna nuova" di Mussolini tra evasione e consumismo

3. La stampa periodica femminile, potendo ormai vantare in epoca fascista numerose testate, si rivela un documento prezioso che consente di ascoltare in modo diretto e non mediato la voce delle donne; al tempo stesso essa offre anche un interessante spaccato della storia del costume e della cultura popolare durante il ventennio. Una indagine di questo tipo permette, inoltre, di verificare con quale efficacia l'imponente macchina propagandistica orchestrata da Mussolini sia riuscita a penetrare nelle masse femminili, quelle stesse cioè che, additate a livello ufficiale come il principale baluardo a difesa dei genuini valori del passato, si voleva inquadrare in un'esperienza unica e totalitaria. L'obiettivo ultimo era di trasformarle nelle donne «nuove» della «nuova» Italia20, in donne cioè conscie dei propri doveri e delle proprie responsabilità, perfettamente integrate nel rinnovato clima rivoluzionario instaurato dal fascismo. Eppure volgendo uno sguardo appena un po' piú approfondito e circostanziato alle riviste a carattere divulgativo si va incontro a non poche sorprese.

Strutturata in modo tale da conferire una netta preferenza all'intrattenimento frivolo e senza proporsi intenti formativi o propagandistici, la pubblicistica periodica femminile, pur restando ancorata ad un'impostazione ideologica di stampo conservatore, finisce infatti con il rivelarsi assai poco funzionale ad un sistema di potere che individua nella mobilitazione politica e ideologica delle donne il presupposto fondamentale per mantenere alti i concetti di «missione nazionale» e di «dovere patriottico». Se la morale prospettata continua ad essere quella tipicamente borghese, in base alla quale si insegna alle lettrici a non sconfinare dal campo delle virtú muliebri e a non nutrire utopistiche velleità di ascesa socio-economica (pena il rischio di «snaturalizzarsi»), le pagine degli innocui rotocalchi offrono un curioso miscuglio di concessioni all'ideologia dominante e di valorizzazione di altre immagini di donna, non sempre coincidenti con quella artefatta e monolitica costruita a livello ufficiale e sanzionata da secoli di condizionamento e di subordinazione sociale, economica e culturale.

Lungi dall'assolvere quella funzione educativa e di propaganda assegnata dal regime alla stampa nel suo complesso, i nuovi fogli, privilegiando tematiche quali la moda, la bellezza e la mondanità, finiscono con il divulgare ed esasperare proprio quei valori e modelli comportamentali che l'élite dirigente del paese cerca per altre vie di neutralizzare. Il tipo ideale di lettrice resta ancora quello di una donna concepita in totale funzione dell'uomo e la cui esistenza si esaurisce nell'universo familiare, ma è al tempo stesso anche quello di una lavoratrice extradomestica che si muove nel mondo esterno dei maschi e sperimenta nuove occasioni di socializzazione (nell'ufficio, nell'ambiente di fabbrica) e di divertimento. In anni in cui lo spazio femminile tende a dilatarsi e ad invadere luoghi pubblici quali i cinema, le sale da ballo, i grandi magazzini o piú semplicemente la via centrale della città, le ragazze incominciano ad essere animate dal desiderio di «vedere» e di «conoscere». Ma c'è di piú: sottrattesi almeno in parte alla morsa degli angusti spazi domestici ed al soffocante controllo familiare, esse vogliono soprattutto farsi vedere. E la nuova pubblicistica periodica le asseconda, insegnando loro «come catturare un marito», come vestirsi, truccarsi, comportarsi. I nuovi modelli muliebri che fanno ora presa sulle generazioni piú giovani provengono da oltreoceano, suggeriti dalle bellissime ed irraggiungibili dive del cinema che invadono, sinuose e sorridenti, le copertine delle riviste comprate con gli spiccioli messi da parte di settimana in settimana e lette avidamente da migliaia e migliaia di segretarie, commesse ed operaie delle città italiane. Non è solo, dunque, il lavoro fuori casa a far acquisire maggiore fiducia nelle proprie capacità e responsabilità; anche i miti del nascente capitalismo di consumo svolgono, sotto questo aspetto, un ruolo importante nell'erodere la figura muliebre tradizionale.

Il rotocalco ci rimanda un modello di donna che, ben lungi dall'essere unitario ed omogeneo, appare composito e scisso in una pluralità di immagini e di volti, quelli di un pubblico femminile divenuto al contempo destinatario e consumatore di persuasivi messaggi pubblicitari che, veicolando gusti e modelli comportamentali standardizzati, contribuiscono a loro volta all'emergere ed al progressivo imporsi di una figura sociale e culturale assai distante da quell'ideale muliebre caro alla cultura maschilista21.

Non si contano, com'è facile intuire, le critiche e gli anatemi scagliati dai moralisti e dai perbenisti piú intransigenti contro le vittime della mania di parere e di piacere e contro i settimanali posti sotto accusa per l'eccessiva attenzione prestata alla bellezza sempre piú «fisica» e sempre meno «spirituale» delle donne. Si tratta di voci anche autorevoli, ma destinate loro malgrado a rimanere largamente inascoltate. La donna italiana, anziché impostare la propria esistenza e condotta sull'esempio delle nobili figure muliebri che hanno reso grande l'Italia (da Cornelia, madre dei Gracchi, fino a Rosa Maltoni Mussolini, madre del duce), procede nel frattempo verso tutt'altra direzione. Per i piú strenui difensori della pubblica morale l'intero ordine sociale rischia cosí di venire irrimediabilmente contaminato e sovvertito. Contro «le pupattole imbellettate e dalle labbra dipinte», contro i «mille grilli della civetteria femminile», «contro le potenze del male» che rendono le donne «schiave della moda» si mobilita un vero e proprio esercito della salvezza, preoccupato dell'accresciuta cura prestata al corpo e della conseguente acquisizione da parte delle donne di una maggiore sicurezza di sé. La irrefrenabile spregiudicatezza di molte giovani spinge, ad esempio, il sacerdote Paolo Ardali ad individuare con chiarezza l'abisso in cui si rischia di precipitare da un momento all'altro:

Non pensa la donna, che allorquando essa porta per le pubbliche vie le arti della seduzione, si incontrano in lei uomini maturi che hanno diritto alla tranquillità del proprio spirito per dirigere con mano robusta gli affari da cui dipende la felicità forse di un popolo intero, gli uomini ormai vicini alla tomba cui non si convengono turpi pensieri [...]22.

Tutto inutile. Le giovani lavoratrici si ostinano ad investire i loro magri risparmi nell'acquisto di calze di seta, mentre riviste come «Lei» ed «Eva» pubblicizzano a ritmo serrato il rossetto Rouge Paris Mediterranée che garantisce «una nota di squisita freschezza» ed i prodotti della linea cosmetica Helena Rubinstein capaci di «accentuare le caratteristiche od i pregi di quella bellezza che rappresenta il vostro tipo».

Nonostante il forzoso adeguamento alla politica culturale del regime, che vorrebbe confinare le donne entro le rassicuranti pareti domestiche, il rotocalco concede dunque spazio anche ad altre immagini femminili, benché quella ufficiale continui ad essere largamente divulgata. Oltre a rivolgersi alla donna in quanto casalinga e consumatrice, numerose riviste si propongono infatti come sede di dibattito e di confronto per le lettrici chiamate ad intervenire sui problemi che piú direttamente le riguardano. La loro voce resta ancora confinata entro spazi angusti, giungendo fino a noi flebile e sommessa, soffocata com'è dai molteplici servizi di taglio specificamente propagandistico inneggianti alla «sublime missione» della maternità ed al ruolo esclusivamente domestico-familiare della donna, sempre presentato come ineluttabile ed inalterabile nel tempo. Eppure in questi periodici si colgono talora insospettati momenti di presa di coscienza, accompagnati dalla diffusa esigenza di farsi interpreti delle trasformazioni cui l'identità femminile sta andando incontro. Le donne «nuove», che Mussolini, ondeggiando tra toni paternalistici e vere e proprie misure repressive, cerca di convincere in tutti i modi a dedicarsi esclusivamente alla cura della casa e all'allevamento dei «futuri soldati della Patria», individuano nel settimanale illustrato di moda e varietà un punto di incontro, la cui importanza sembra essere ampiamente sottovalutata dalla classe dirigente e dall'élite intellettuale del paese23.

Potendo, infatti, godere di piú ampi margini di libertà e di autonomia espressiva rispetto al settore della stampa politica (costantemente colpita da misure liberticide e oggetto di un rigido controllo dall'alto)24, la pubblicistica periodica femminile offre spunti di indagine interessanti sui rapporti che vanno affermandosi tra la donna, il lavoro, e la società, ed in misura piú ampia tra il privato ed il pubblico. La cortina di silenzio che avvolge le donne, fatta calare da un sistema di potere maschile e maschilista che si arroga il diritto-dovere di parlare in vece loro e di definirne ruoli, competenze e comportamenti, rivela - anche per il tramite dei perbenisti ed apolitici rotocalchi - falle e squarci che necessitano di essere adeguatamente interpretati e che dimostrano come, tra le giovani lettrici, il modello muliebre ufficiale di stampo cattolico-fascista vada con gli anni incontro ad un inesorabile processo di erosione.

Riflettendo ed assecondando mutamenti di gusto e di mentalità, il rotocalco offre al proprio pubblico uno spazio da gestire in modo apparentemente del tutto autonomo. Tra un pettegolezzo e l'altro, tra un racconto «rosa» ed una ricetta di autarchica cucina italiana, segretarie, sartine, operaie parlano e comunicano tra di loro, si scambiano consigli, impressioni e suggerimenti sui piccoli e grandi problemi della vita di tutti i giorni, sulle difficoltà incontrate nel posto di lavoro, sui sensi di colpa che le lacerano per la scarsa dimestichezza che molte ancora hanno nel gestire efficacemente il contrasto tra le antiche responsabilità domestico-familiari ed i nuovi compiti nel mondo esterno.

Se esiste una peculiarità della stampa femminile, essa va individuata essenzialmente nell'aver escogitato una formula destinata a conoscere un ininterrotto successo anche nel secondo dopoguerra. Si tratta di una formula, tutto sommato, alquanto semplice, mirando infatti essa a coinvolgere direttamente le lettrici nel progetto di costruzione e di elaborazione del prodotto-giornale, al fine di offrire loro una sorta di tribuna da cui far sentire la propria voce ed ascoltare quella delle altre, dibattendo temi ed argomenti appartenenti alla gamma degli interessi prettamente femminili25.

Periodici quali «Eva», «Lei» e «Vita femminile»26 incrementano progressivamente il numero delle pagine, promuovendo «referendum» e «sondaggi» tra le lettrici, caldamente esortate ad intervenire su argomenti che spaziano dal sociale al politico, dal culturale all'economico, il tutto sempre all'insegna di un'ottica rigorosamente al femminile. È questo uno spazio che le donne non fanno fatica a conquistare, giacché l'invito rivolto - come si legge su «Eva» - ai «signori uomini» ad «esprimere le loro opinioni su di noi e manifestare i loro desideri per vedere se collimano coi nostri»27 non pare venga raccolto. Recuperato cosí per questa via il dono della parola, stimolate ad esprimere idee ed opinioni sulle tematiche che piú le interessano, le lettrici ci rimandano un ritratto alternativo della «donna nuova».

È soprattutto «Vita femminile» a proporsi come rivista all'avanguardia, decidendo di puntare sulla formula vincente del referendum tra le lettrici e registrando un successo tale da costringere la direttrice a rimandare di numero in numero la conclusione dei vari sondaggi. Il mensile milanese rivendica a sé un ruolo di «trait-d'union con gli avvenimenti femminili mondiali di maggiore importanza», proponendosi di venire incontro ad ogni sorta di esigenze. Mentre, infatti, scrivendo alla pagina della Posta di Ester Lombardo ci si può rivolgere direttamente alla «illustre Signora» per ottenere consigli su problemi concernenti «la vita sentimentale e pratica, la Famiglia, il Lavoro, l'Arte, la Casa, Saper Vivere, Usi mondani, Eleganze dell'abito e dello spirito», in una seconda apposita sezione viene invece data la possibilità di intrattenersi con altre fedelissime. All'origine di una simile scelta editoriale vi è l'obiettivo dichiarato di voler avviare «un dialogo fecondo e di piú vasto respiro, secondo un piú vasto disegno che abbraccia tutto quanto possa interessare la donna, senza considerarla la frivola pupattola pronta soltanto a seguire ciò che riguarda il suo abbigliamento o il suo musetto ed incapace di interessarsi alle questioni di carattere sociale, artistico e culturale». In quanto al «politico», esso viene lasciato per il momento da parte, trattandosi di una «cosa da uomini». La direttrice, prendendo polemicamente le distanze da altri periodici coevi (ed il pensiero corre subito ad «Eva» e «Lei»), assicura che non verranno censurate neppure le proposte e le prese di posizione piú audaci ed estremiste, di modo che «nessuno abbia a dire della nostra rivista quello che spesso si dice di pubblicazioni del genere: quanto è scema!»28.

Al di là del tono esageratamente compiaciuto di alcune dichiarazioni, a «Vita femminile» va indubbiamente riconosciuto il merito di sforzarsi di proporre schemi comportamentali che, pur non possedendo una valenza di vera e propria rottura verso l'ordine costituito, rappresentano se non altro un tentativo per uscire dallo stato di totale deresponsabilizzazione in cui la retorica ufficiale di regime vorrebbe mantenere le donne. Le lettrici sono infatti invitate ad interrogarsi su temi e questioni che, per quanto banalizzati dall'impiego di un linguaggio semplicistico ed «ameno», denotano un incontestabile spessore socio-culturale; vengono inoltre avviati dibattiti che spaziano dall'analisi del movimento femminista di inizio secolo all'attualissimo problema della concorrenza tra uomo e donna in ambito professionale, sino a sfiorare il delicato e spinoso terreno del rapporto tra donna e politica.

Il periodico diretto da Ester Lombardo dimostra, pertanto, che la stampa delle donne contribuisce a forgiare una piú impegnata e consapevole coscienza femminile, benché ciò non rientri esplicitamente tra gli intenti di questo settore della pubblicistica. Resta, infatti, pur sempre vero che i rotocalchi, difendendo un sistema di potere che fa leva proprio sulle differenze di genere29 e sulle barriere erette tra pubblico e privato, non si propongono certo come veicoli di dissenso e di «disordine». Un'analisi piú puntuale permette, tuttavia, di cogliere nel clima di generale conformismo che permea le pagine delle riviste alcuni sprazzi di luce e di presa di coscienza che colpiscono chi, a distanza di tanti anni, si volge a considerare quel periodo della nostra storia con l'intento di indagare il vissuto delle donne ed il loro modo di rapportarsi al fascismo.

Già da una prima lettura è palpabile il contrasto tra gli interventi talora audaci e polemici di alcune lettrici ed i valori perbenisti che predominano nelle altre sezioni, in specie in quelle riservate alla narrativa ed alla novellistica rosa, veri e propri inni alle qualità piú squisitamente muliebri (passività, innocenza, rassegnazione, ecc.). Scopo fondamentale di questo genere letterario dei buoni sentimenti è di deresponsabilizzare, di ottenebrare cioè la capacità di giudizio critico di chi legge, veicolando moduli comportamentali standardizzati capaci di creare una cultura dell'obbedienza che garantisca un'accettazione incondizionata dell'ordine sociale costituito. La letteratura sentimentale, condannata tanto dagli ambienti cattolici piú reazionari ed intransigenti (perché divulga comportamenti amorali e trasgressivi) quanto dai piú ligi interpreti del credo mussoliniano (che vi ravvisano niente meno che un attentato alla nazione)30, deve il suo enorme e prolungato successo di pubblico al fatto di essere un genere narrativo a carattere «consolatorio», capace cioè di trasmettere l'immagine pacificata e rassicurante di una realtà in cui il bene trionfa immancabilmente sul male ed i conflitti vengono sempre sanati31. L'indottrinamento culturale esercitato sulle lettrici è da ricondursi, piú che ad un ossequioso adeguamento alle direttive ufficiali, soprattutto alle esigenze di difesa e conservazione dello status quo e di valori quali il «decoro», la «rispettabilità» ed il «perbenismo», di cui la stampa delle donne intende farsi autorevole interprete e divulgatrice. Del resto, non è solo il settore della narrativa «rosa» a puntare sulla esaltazione dei compiti e dei ruoli tradizionalmente fissati tra i due sessi, visto che al mantenimento delle donne in una condizione di sottocultura contribuisce anche, e in notevole proporzione, una nutrita schiera di «esperti» e di «consiglieri». Mobilitandosi settimanalmente, questi ultimi dispensano in apposite rubriche suggerimenti su come trasformarsi in «mogliettine» semplici e carine, in madri affettuose, in casalinghe econome ed aggiornate sulle ultime novità tra i prodotti di consumo. Nell'Italia del ventennio sono soprattutto le giovani generazioni che vivono nel piú dinamico contesto cittadino a muoversi spinte da un crescente desiderio di sfuggire all'ovattata «gabbia dorata» del nido domestico. Ma, come tutte le realtà nuove di cui non si è ancora maturata piena coscienza, lo spazio pubblico, il mondo della fabbrica e dell'ufficio, cosí come le piú frequenti occasioni di incontro e di socializzazione con l'altro sesso, affascinano ed al contempo incutono timore.

Ben lungi dall'essere la donna responsabilizzata e tutta d'un pezzo auspicata da Mussolini, la lettrice dei rotocalchi ci appare, dunque, in preda a molti dubbi ed angosce. Le nonne e le madri sono il prodotto di una società diversa, legata ancora al mondo arcaico e contadino che va cedendo il passo sotto i colpi inferti dal capitalismo, dall'urbanizzazione e dai ritmi della città, in cui tutto si muove e cambia freneticamente. Sono donne di altri tempi, non sempre in grado di soccorrere le ragazze in cerca di certezze e di conferme. Tale funzione educativa viene ora delegata, almeno in parte, alle riviste illustrate per il tramite della «piccola posta» alla direttrice e delle numerose rubriche specializzate nella trattazione dei problemi tipicamente femminili, in cui consigli e suggerimenti sono elargiti con tono affettuoso e pieno di comprensione. Le varie Sonia, Marina e Chiara si incaricano di curare e di «formare» il corpo e l'anima delle loro insicure lettrici, le quali apprendono in questo modo non solo a comportarsi, vestirsi e truccarsi, ma anche a gestire in modo oculato il (sempre magro) bilancio domestico ed a conquistare e trattenere l'uomo. Sonia, la direttrice di «Eva», esorta chiunque dovesse trovarsi «delusa e stanca senza appoggi» a ricordarsi «dell'amica lontana alla quale sei corsa piena di fiducia»; la lettrice, dal canto suo, si sente meno vulnerabile, piú protetta, certa che su quelle pagine «destinate alla nostra intima, cara amicizia», potrà trovare solo «parole di bene, di pace, di conforto»32. Il rapporto confidenziale, quasi confessionale, che viene ad instaurarsi tra chi scrive e chi legge33, ben lungi dal porsi su di un piano di effettiva parità, raggiunge lo scopo di rafforzare lo stato di dipendenza nei confronti di un sistema ideologico e di potere che molte giovani, con le loro frequenti sortite in pubblico ed il lavoro extradomestico, vanno per contro mettendo in discussione. Le direttrici e le curatrici delle varie rubriche si sforzano, dal canto loro, di controbilanciare gli effetti destabilizzanti che questa fuga in avanti potrebbe provocare all'interno della struttura gerarchica socio-familiare. Muovendosi in un'ottica ancora sostanzialmente elitaria, esse diventano cosí a loro volta strumenti della politica misogina di un regime per il quale le differenze di genere si traducono automaticamente in discriminazioni.

Non c'è, dunque, affatto da stupirsi se sui rotocalchi troviamo pubblicate risposte banali e conformiste, accompagnate da consigli in cui ad un esasperato moralismo si unisce una cieca ed incondizionata esaltazione dell'ideologia del sacrificio. La passività e la rassegnazione sono, infatti, dei valori-cardine, punti costanti di riferimento per ogni donna che desideri essere autenticamente tale.

Cosí «Eva» si rivolge, per esempio, al suo pubblico, nel momento in cui impartisce norme e precetti su cui si devono modellare l'esistenza e la condotta:

State a sentire, care amiche. Una moglie perfetta dev'essere buona, modesta, coraggiosa, affettuosa; deve praticare almeno uno sport che le conservi agile il corpo; [...]; non deve disprezzare le fatiche piú umili: nemmeno lo strofinaccio e la scopa devono ripugnarle. La mattina si alzerà mezz'ora almeno prima del marito; gli preparerà la colazione con le sue mani, poi si farà bella per sedersi davanti a lui fresca, ordinata, civettuola [...] Non deve sfuggirle il piú piccolo buco in una calza, ma in società deve mostrarsi al corrente degli ultimi successi librari e delle novità teatrali [...] Avvertenza importantissima: non presentarti mai in disordine e spettinata al tavolo della prima colazione. E cura molto il tuo aspetto, in tutte le ore del giorno [...] Tuo marito ti sarà riconoscente quanto non immagini se riesci a dargli qualche volta la impressione di avere davanti a sé una donna nuova34.

A tutt'altra donna nuova stava certamente pensando Mussolini.

Un divario incolmabile sembra infatti separare le Giovani italiane, appositamente forgiate in vista della costruzione della grandezza nazionale, dalla lettrice che acquista nelle edicole «Eva» e le altre riviste di «vita femminile». L'attenzione della classe dirigente ed intellettuale fascista verso l'educazione delle donne è in quegli anni in continuo, incessante aumento: slogan fantasiosi e precetti normativi vengono coniati da pedagogisti, sociologi, economisti asserviti al regime, mentre la scuola ed i mass-media sono piegati alla funzione di cassa di risonanza, ridotti a meri ripetitori-amplificatori delle direttive di un sistema di potere intenzionato a far sí che le donne diventino a loro volta elementi di educazione e di moralizzazione sociale35. L'obiettivo di attuare «tutto un programma altissimo di educazione morale, sociale e patriottica, atto a formare e a creare la futura madre delle nuove generazioni, perfetta come donna di casa non solo nelle sue virtú materiali e casalinghe ma anche nello spirito profondamente fascista»36, comporta inevitabilmente un recupero in forme esasperate della politica di «familizzazione» della donna, scandita da un susseguirsi ossessivo di battaglie e di campagne.

Si fa però fatica a reperire nelle lettere pervenute alle varie «poste del cuore» delle riviste illustrate il modello muliebre celebrato a livello ufficiale. Da queste lettere, firmate il piú delle volte con pseudonimi fantasiosi (Attende e spera, Sconosciuta C.C., Assidua...)37, emergono volti i cui lineamenti e tratti hanno davvero ben poco in comune con quelli granitici degli scritti propagandistici. Alla direttrice ed alle sue collaboratrici si rivolgono, infatti, soprattutto giovani bisognose di quell'aiuto e di quel conforto che non sempre riescono a reperire nell'intimità dell'ambiente familiare. Assidua, ad esempio, confessa alla «piccola posta» di Mura di avere una relazione con un uomo sposato e di non sapere come gestire tale rapporto; a preoccuparla è soprattutto «ciò che gli altri potrebbero pensare di me». La risposta è scontata: Mura consiglia di «riflettere molto prima di continuare», in quanto «mi pare che sia improbabile una felicità futura data la situazione»38.

Al dialogo a due che viene cosí ad instaurarsi possono partecipare anche tutte le altre lettrici, già coinvolte in qualità di testimoni attraverso l'atto stesso della pubblicazione. Si tratta, dunque, di un sodalizio potenzialmente estendibile a chiunque lo desideri, senza pregiudiziali di sorta. Il colloquio, intimo ed anonimo ad un tempo, si snoda lungo un percorso non sempre lineare e di facile decifrazione, poiché, accanto al consueto scambio di complimenti, pettegolezzi ed amenità varie, prendono corpo dubbi e segreti inconfessabili. L'atmosfera rassicurante del mondo a tinte rosate descritto dalle prolifiche scrittrici dei «buoni sentimenti» viene talora lacerata ed implicitamente contraddetta dall'affiorare di un universo costellato di solitudini e di inquietudini spirituali. Nel momento in cui alle donne, da sempre facenti parte della vasta ed anonima schiera dei muti della storia, viene offerta l'opportunità di esprimere pensieri ed opinioni non per interposta persona, le loro parole si caricano di timbri e sfumature nuovi, ben lontani dai toni «marziali» tipici di chi continua ad arrogarsi il diritto di parlare in vece loro.

La «piccola posta» diviene in questo modo un'insperata occasione di incontro per molte donne, giovani e meno giovani, contribuendo nel contempo all'affermazione di un settore giornalistico che fonda il proprio successo puntando sulla formula del coinvolgimento e del dialogo diretto. Colei che decide di confidare dubbi, sogni e speranze alla cara amica lontana è di certo una persona emotiva, non in grado di gestire in maniera autonoma i mille problemi e le frustrazioni della vita di tutti i giorni; è un'anima confusa, sottoposta a contraddittorie sollecitazioni tra un passato carico di pregiudizi e che si ostina a trattenerla ed un «nuovo» che avanza imperiosamente spalancandole davanti agli occhi possibilità ed orizzonti ancora tutti da esplorare. Chi si rivolge ad una rivista femminile ben di rado pone in discussione il decantato modello muliebre privilegiato dalla cultura maschile dell'epoca. La stragrande maggioranza delle lettrici, pur lavorando fuori casa, continua infatti ad assegnare un ruolo centrale alla dimensione domestico-familiare, individuando nella casa, nel matrimonio e nella maternità le tappe fondamentali da percorrere per pervenire ad una realizzazione piena della propria femminilità. Nel rotocalco non vi è nulla di veramente trasgressivo, restando inalterati i valori che la donna è chiamata a difendere ed intorno ai quali essa è tenuta a costruire la propria esistenza. Sono ancora poche le lettrici che dimostrano di aver raggiunto un grado di maturazione e di consapevolezza tali da riuscire a porre in discussione quella rigida «doppia morale» che, fonte prima di legittimazione della subalternità femminile, permea la società in ogni sua piú intima cellula. Per questo non stupisce trovare una Marioletta convinta che «la donna non de[bba] cercare di eguagliarsi all'uomo invadendo i campi piú difficili», o una Ambretta che sogna «un uomo energico e forte [...] Una mano di padrone con redini di velluto; un petto saldo che ripari da i venti cattivi, un cuore che sappia comprendere e perdonare [...]»39.

L'ambiente piccolo-borghese e l'istruzione «femminilizzata» ricevuta, uniti ad una scarsa conoscenza del mondo esterno, spiegano la limitata carica innovativa di simili dichiarazioni. Ad uno sguardo piú attento, però, la «piccola posta» non si contraddistingue per l'essere unicamente un concentrato di banalità e frivolezze, ennesima conferma dello «stato psicologicamente coloniale della donna italiana»40. Proprio da questa pagina, autentico tripudio della «morale di Cenerentola», affiora talora qualcosa di piú concreto e significativo, emergono segnali che rimandano a quella irrequietezza e disperata solitudine cui si accennava prima. Alcune lettere testimoniano della fatica incontrata da molte giovani nel pervenire ad un compromesso tra ciò che la morale perbenista impone e si aspetta da chi deve essere innanzitutto un «angelo del focolare» e ciò che si vorrebbe invece sperimentare nella realtà. Lo scontro tra dovere e volere, per quanto ancora percepito in modo vago ed embrionale, sta oramai prendendo corpo: «Perché non chiedere alla donna il suo modo di vedere, di pensare? Perché non osservare con lei delle questioni piú o meno importanti quasi che essa non fosse in grado di capirle?»41, domanda con un certo stupore Nanní.

Talvolta, poi, partendo dallo sfogo personale si trova persino il coraggio di criticare il comportamento maschile. C'è chi testimonia, con la propria esperienza diretta, del difficile impatto che molte ragazze hanno avuto con lo spazio pubblico e delle incomprensioni che questo nuovo stile di vita ha generato in seno alle famiglie42. La frequentazione di punti di ritrovo come i cinema e le sale da ballo, e lo stesso ambiente di lavoro, le trova infatti sovente impreparate, piú libere dalle costrizioni domestiche ma anche piú esposte alle attenzioni dell'altro sesso. E non tutte sono in grado di gestire in maniera appropriata questa nuova autonomia, vissuta il piú delle volte con forti sensi di colpa acuiti dal persistere di pregiudizi e tabú che continuano a limitare le occasioni di dialogo e confronto con i genitori. Mentre il divario generazionale tra madre e figlia coinvolge dunque, assai piú che in passato, mentalità, abitudini e comportamenti, il rotocalco offre invece l'opportunità di rivolgersi ad un'altra mamma, capace di consigliare e confortare, ma al cui giudizio ed eventuale rimprovero, proprio per il fatto di venire essi impartiti a distanza, non ci si sente di certo particolarmente vincolate.

La stampa periodica delle donne resta comunque sempre espressione di una ideologia sostanzialmente conservatrice, continuando essa ad individuare nella difesa della famiglia e nel ruolo di custode del focolare i cardini fondamentali su cui si impernia l'educazione femminile. Lo spazio riservato a sfoghi personali dal carattere «trasgressivo» non può che risultare necessariamente limitato, soffocato e sommerso com'è da una molteplicità di altri interventi in cui si inneggia alla sublime missione della maternità ed alla naturale predisposizione dell'anima femminile a disinteressarsi di tutto quanto non abbia stretta attinenza con il privato ed il domestico. Ristabilita in questo modo una sorta di equilibrio interno, il rotocalco può anche cedere la parola a chi tenta di contravvenire alle regole della morale corrente comportandosi in modo non consono alle aspettative sociali. Anzi, la condotta trasgressiva e disinibita viene immancabilmente presentata come destinata a ritorcersi contro la «sfortunata» di turno, che finisce con il divenire un esempio in negativo e un monito per tutte le altre lettrici. Alla lettera dal contenuto «anomalo» segue, infatti, di solito una risposta alquanto evasiva da parte della direttrice o di una sua collaboratrice, il cui scopo è di ricomporre l'ordine sociale e morale momentaneamente perturbati, facendo risprofondare il pubblico delle «fedelissime» in quel mondo a-problematico e fittizio celebrato nelle altre parti della rivista43. La direttrice di «Eva», Sonia, riceve ad esempio una lettera «che ha risvegliata una pena grandissima nel mio cuore», in cui una giovane lettrice le confida ciò che non ha il coraggio di confessare in casa. È stata violentata ed ora si trova in stato interessante; si rimprovera per non aver saputo reagire, per aver probabilmente frainteso le intenzioni del suo corteggiatore, ed il restrittivo ambiente familiare in cui vive acuisce ulteriormente il suo dramma.

Non si tratta certo di un caso isolato: nell'Italia degli anni Trenta le giovani donne, soprattutto se inurbatesi da poco, in cerca di un lavoro come domestiche o operaie, sono infatti particolarmente a rischio dal punto di vista del comportamento sessuale. I moralisti intransigenti si sforzano di arginare la dilagante promiscuità invocando controlli piú severi sui giovani e proponendo di limitarne le occasioni di incontro, ma con scarsi risultati visto che le «perversioni» della civiltà urbana incominciano ad influire sulla dinamica delle stesse relazioni di coppia e sui comportamenti demografici della popolazione. Che le giovani donne costituiscano una delle categorie piú vulnerabili sembrerebbe confermato anche dalle statistiche relative ai concepimenti antenuziali, in costante aumento tanto che «per dare un'idea di quanto inefficaci fossero i controlli sui fidanzati e di quanto grande fosse il divario fra morale ufficiale e comportamento effettivo bast[a] dire che dei primogeniti nati in Italia nel 1933 il 25,7% era stato concepito prima del matrimonio»44. Pure il fenomeno della fanciulla «sedotta ed abbandonata» segna nei medesimi anni una tendenza al rialzo. A confermarlo è la stessa Sonia, la quale ammette di non essere rimasta sorpresa «per il fatto che mi veniva annunciato, che ormai non mi è nuovo già che infinite sono le lettere dello stesso tenore che mi son giunte in pochi anni [...]».

Chi sia l'anonima lettrice poco importa; forse una commessa, forse una sartina o magari una delle tante ingenue ragazze giunte in città lasciandosi alle spalle il piú chiuso ed arcaico mondo dei campi. Come tante altre giovani donne del suo tempo non possiede strumenti adeguati per difendersi dagli assalti di una società fondamentalmente maschilista e si trova del tutto impreparata, vuoi per l'educazione ricevuta vuoi per l'atteggiamento censorio della collettività, a far valere la propria dignità personale. Il bisogno di comunicare, rendendo altri partecipi di un dramma acuito dai sensi di colpa, spinge pertanto alcune a rivolgersi a quella «amica lontana» disposta ad ascoltare e confortare. Le lettere, poche in realtà, che affrontano temi tanto intimi e devastanti testimoniano dunque dell'esistenza di un certo numero di donne che vanno muovendosi in una direzione ben diversa da quella additata dai centri tradizionali di potere e di controllo sociale. Le giovani che lavorano fuori casa escono e rimettono a poco a poco in discussione il modello culturale della sposa e madre esemplare; avendo maggiori occasioni di frequentare l'altro sesso, la loro condotta si fa piú disinvolta, e questo comporta il dover talora pagare un prezzo molto alto in termini personali.

Sonia fornisce la tipica risposta che ci si aspetta di trovare all'interno di una rivista per un pubblico di sole donne. Se la lettrice si attendeva suggerimenti concreti ed indicazioni pratiche in merito a come agire e a chi rivolgersi, le sue speranze sono destinate a restare largamente disattese: il suo intervento dal contenuto cosí eversivo rappresenta infatti una stonatura, introduce una realtà (quella vera, di tutti i giorni) che nel mondo incantato e rassicurante del rotocalco viene descritta sempre in termini di «pericolo» e di «contagio morale». La donna che osa avventurarsi lungo strade che non le appartengono è, secondo questa impostazione ideologica, destinata a soccombere e a perdere la propria femminilità. L'anonima lettrice ne è una chiara dimostrazione: colpevole di non aver avuto «la percezione e la coscienza del pericolo cui andava incontro la sua ignara baldanza, perché lasciata libera di sé, [...] e priva di quel senso di dignità e di rispetto che dovrebbe essere inculcato in ogni donna», è condannata a portare «per tutta la vita il segno del suo peccato [...] Il suo domani è nero e fondo [...]». Sonia non esprime giudizi su chi ha commesso l'abuso, non pone sotto accusa la misoginia della società, non denuncia neppure la «doppia morale» che legittima la subordinazione della donna. Nulla di tutto questo. La stampa delle donne sancisce, ancora una volta, la separazione degli spazi, il divario esistente tra privato e pubblico, cosicché la risposta data dal settimanale non può che avallare una simile visione della realtà. Anziché affrontare direttamente il problema, la direttrice di «Eva» coglie l'occasione per rivolgersi a tutte le sue lettrici mettendole in guardia e ammonendole dal compiere il medesimo tragico errore. Un caso personale diviene, in questo modo, il pretesto per impartire regole di comportamento e precetti morali di cui tutte dovrebbero fare tesoro:

[...] una fanciulla è tale solo se è pura e se conserva per sé e col suo prossimo quelle abitudini che non possono essere fraintese, perché la si è lasciata andare a ballare in ritrovi pubblici, perché la si è lasciata scorazzare di giorno e di sera con chiunque [...] è necessario che le madri [...] facciano presenti alle figlie i pericoli, le brutture, le lusinghe, le ritorsioni che la vita prepara ad ognuna di noi. E soprattutto che non lascino le fanciulle di quindici, sedici anni libere di loro stesse, ma le osservino, le curino come fiori delicati [...] siano guardinghe nel concedere o nello scegliere i divertimenti, le letture, le amicizie loro [...] Le madri ricordino che i pericoli per le loro figlie sono centuplicati, che si possono nascondere nella casa stessa, in un'amicizia, in una banale conoscenza, nella strada grande e bianca ma sozza [...] E a te bambina che sei afflitta da tanta passione [...] non ho che una cosa da dire [...] Abbi pace, bambina! Abbi pace e non pensare piú a nulla per un po' di tempo. Troverai certo la forza di dare a tua madre la notizia [...] Ma se questo non dovesse avvenire e tu ti trovassi delusa e stanca senza appoggi, ricordati dell'amica lontana alla quale sei corsa piena di fiducia45.

Simili parole confermano che la «piccola posta» rientra tra i numerosi sistemi escogitati per poter esercitare sulle lettrici una piú sottile e subdola opera di persuasione ideologica, perpetuando una identità femminile falsata mediante la riproposizione di modelli comportamentali estremamente rigidi e precostituiti.

Dopo quanto si è posto in rilievo, risulta certo difficile individuare nel rotocalco un progetto culturale impegnato nella difesa e nella promozione degli interessi femminili. D'altro canto non va dimenticato che è la sua stessa natura di prodotto di consumo e di massa a rendere ragione del contenuto stereotipato di molti messaggi e consigli da esso veicolati. Saldamente arroccate nella difesa dello status quo, le riviste rassicurano e blandiscono le giovani lettrici, inibendo qualsiasi loro tentativo di pervenire ad una visione piú realistica dei problemi. Nel momento stesso in cui si evita con cura di compiere un'analisi che consenta di risalire alle cause vere della condizione femminile, le inquietudini e i primi timidi moti di ribellione non possono che venire ricondotti all'unica dimensione concessa, quella coincidente cioè con il privato e l'intimo46. Lo spazio elargito in modo apparentemente democratico e che il mensile «Vita femminile» amplia a partire dal 1932 con «una rubrica nuova, quella del Medico del sentimento, cioè a dire una rubrica di consigli sereni ed esperti delle cose della vita e del sentimento» rivolta a «tutte le nostre donne intelligenti»47, si trasforma cosí in uno straordinario veicolo di conservazione e divulgazione del ruolo femminile tradizionale. Programmato a livello redazionale nella scelta dei temi e presente nelle edicole dopo che le lettere piú destabilizzanti sono state filtrate e selezionate, il rotocalco contribuisce a rafforzare il processo di identificazione tra colei che persuade e colei che viene persuasa, tra chi domanda conforto e chi risponde «tentan[d]o di lenire le ansie della donna senza contravvenire ai dettami della morale corrente né della tacita convenzione, per la quale si può parlare di certe questioni, solo usando un linguaggio allusivo, che fa pensare ad un pubblico di mogli-bambine [...]»48. E nell'Italia del ventennio la moglie-bambina deve senza dubbio apparire un'immagine assai piú rassicurante e controllabile rispetto a quella inquietante della spregiudicata maschietta in voga nel mondo anglo-sassone.


Helga Dittrich-Johansen, La "donna nuova" di Mussolini tra evasione e consumismo


20 Il dibattito sui mutamenti dell'identità femminile divenne particolarmente intenso in epoca fascista, finendo con il coinvolgere anche numerose propagandiste ed intellettuali dell'epoca, tra cui in particolare: G. Lombroso, La donna nella società attuale, Bologna, Zanichelli, 1927; M. Armani, Fascismo e donna, in G. B. Pomba, a cura di, La civiltà fascista illustrata nella dottrina e nelle opere, Torino, Unione tipografica torinese, 1928; V. Benedetti Brunelli, La donna nella civiltà moderna, Torino, Bocca, 1933; M. Castellani, Donne italiane di ieri e di oggi, Firenze, Bemporad, 1937.

21 La crescente attenzione prestata dai rotocalchi a valori e forme «americaneggianti» di intrattenimento costituisce, inoltre, una conferma ulteriore di quel «carattere di facciata dell'ideologia fascista e [del]la sua scarsa penetrazione nella vita quotidiana». In altre parole, «la donna che si voleva casalinga, moglie e madre esemplare, si trasformò in una consumatrice attenta alle novità e alla moda» (E. Mondello, op. cit., p. 111).

22 Le citazioni sono tratte rispettivamente da M. Pompei, Donne e culle, in «Critica fascista», 1930, n. 6, e P. Ardali, La politica demografica di Mussolini, Mantova, Casa editrice Mussolinia, 1929, p. 34.

23 La scarsa attenzione prestata inizialmente dal regime alla stampa femminile può, forse, imputarsi al radicato pregiudizio circa la mancanza nelle donne di particolari doti intellettuali e al fatto che esse fossero considerate «per natura» disinteressate a questioni «maschili» attinenti la vita pubblica in generale. Solo con ritardo furono, infatti, prese misure restrittive nei confronti della pubblicistica femminile, in concomitanza con l'intensificarsi della campagna demografica. Sulle «veline» inviate alle redazioni dei periodici femminili cfr. F. Flora, Stampa dell'era fascista. Le note di servizio, Roma, Mondadori, 1945.

24 Sulle misure legislative attuate durante il ventennio nei confronti della stampa si veda P. Murialdi, La stampa del regime fascista, Roma-Bari, Laterza, 1986.

25 Si è parlato, a questo proposito, della funzione delle riviste femminili come «persuasori rosa» e del loro ruolo fondamentale nel divulgare quella che, con un'immagine divenuta celebre, Betty Friedan ha definito «la mistica della femminilità». Su questo tema, B. Friedan, La mistica della femminilità, Milano, Edizioni Comunità, 1964, e G. Parca, Le italiane si confessano, Milano, Feltrinelli, 1973.

26 Fondata nel 1919 e diretta da Ester Lombardo, «Vita femminile» (già «La donna nei campi») uscí come «rivista mensile illustrata» a Roma e a Milano tra il 1922 ed il 1942.

27 Rispondete ai nostri referendum, in «Eva», 29 aprile 1933, p. 12.

28 Tutte le citazioni sono state tratte da E. Lombardo, «Vita femminile» entra nel tredicesimo anno di attività, in «Vita femminile», n. 12, dicembre 1930, p. 25.

29 Il dibattito teorico sul concetto di «genere» si è arricchito, negli ultimi tempi, di significativi contributi. Per un approfondimento su questo tema si vedano J.W. Scott, Il «genere»: un'utile categoria di analisi storica (con presentazione di P. Di Cori), in «Storia contemporanea», 1987, n. 4, pp. 560-586; L.Scaraffia, Essere uomo, essere donna, in P. Melograni, a cura di, La famiglia italiana dall'Ottocento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1988; e G. Bonacchi-G. Groppi, a cura di, Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Roma-Bari, Laterza, 1993.

30 La condanna della letteratura rosa da parte dell'élite intellettuale fascista è motivata soprattutto dal fatto che in essa i due protagonisti principali, una volta coronato il proprio sogno d'amore, ben di rado vengono descritti nell'atto di ubbidire all'imperativo della voluntas propaginis al servizio della patria. Per Paolo Ardali, ad esempio, il romanzo sentimentale è colpevole di «propagandare l'amore sterile, la lotta contro le nascite o per lo meno la loro limitazione». Per quanto concerne invece la Chiesa, nell'immediato secondo dopoguerra, essa si mobilita con particolare vigore contro la narrativa sentimentale e la pubblicistica periodica femminile, accusate entrambe di divulgare una concezione laico-edonistica della vita a scapito di una ben piú nobile funzione pedagogico-formativa tra le giovani generazioni. Nei primi anni Cinquanta un'apposita commissione viene incaricata di effettuare un'inchiesta sui rotocalchi di maggiore successo. Le sentenze di condanna emanate colpiscono tutti i piú noti ed accreditati settimanali di moda e varietà: «"Eva": le situazioni descritte dalle novelle e dai romanzi, che ricalcano il solito sistema di amori facili o addirittura peccaminosi sono in netto contrasto con i principi morali esposti nella corrispondenza. Da sconsigliarsi»; «"Lei": i romanzi e le novelle sono troppo spesso basati su amori illeciti ed adulteri, pienamente approvati; è giustificato il divorzio. Non c'è nulla di costruttivo. Da sconsigliarsi». Le citazioni sono state tratte rispettivamente da P. Ardali, op. cit., p. 36, e Commissione libraria cattolica, a cura di, Guida delle riviste e della stampa periodica italiana, 1953, in E. Mondello, op. cit., p. 119.

31 Secondo Giocondi, la narrativa rosa del ventennio fu, in definitiva, «una letteratura diseducante che spinse i lettori - ma ancora di piú le lettrici - a pregustare soltanto i piaceri dell'evasione e dell'irresponsabilità sociale, soffocando ogni barlume di criticità»

(M. Giocondi, op. cit., p. 14). Per un maggiore approfondimento sul tema, P. Cavallo-P. Iaccio, Ceti medi emergenti e immagine della donna nella letteratura rosa degli anni Trenta, cit., e G. De Donato-V. Gazzola Stacchini, a cura di, I best seller del Ventennio, cit.

32 Le citazioni sono tratte rispettivamente da Sonia, Donne!, in «Eva», 13 maggio 1933, p. 3, e Sonia, 18 Novembre XIV, ivi, 23 novembre 1935, p. 3.

33 Laura Lilli, riferendosi soprattutto al successo dei «persuasori rosa» sulla stampa femminile del secondo dopoguerra, afferma che tale fenomeno è probabilmente imputabile al fatto che «le donne non avevano piú fiducia nel confessore e nel padre spirituale se sentivano in cosí larga misura il bisogno di confidarsi con il "consigliere sconosciuto", il laico della "piccola posta"». Ritiene, inoltre, che tale mutamento di costume sia «un sintomo, anche se debole: se non di vera e propria coscienza, certo dell'avvertire un crescente disagio per un'obbedienza che comincia a scollarsi» (L. Lilli, op. cit., pp. 284-285). Sul tema della «piccola posta» si veda anche G.L. Falabrino, La stampa femminile in Italia. I segreti dell'alcova, in «Il Mondo», 19 marzo 1963, pp. 10-11.

34 Marina, La felicità coniugale, in «Eva», 27 maggio 1933, p. 3 (il corsivo è mio).

35 Sulla politica culturale fascista e sul tema della organizzazione e della gestione del consenso esiste ormai una vasta bibliografia. In particolare, cfr. Ph.V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass-media, Roma-Bari, Laterza, 1975; E. Tannenbaum, L'esperienza fascista. Cultura e società in Italia dal 1922 al 1945, Milano, Mursia, 1975; V. De Grazia, Consenso e cultura di massa nell'Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1981, e P.G. Zunino, L'ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna, Il Mulino, 1985. Per quanto riguarda piú propriamente la politica del regime verso le donne, anche sotto il profilo ideologico e culturale, si rimanda ai seguenti contributi: M.A. Macciocchi, La donna «nera». «Consenso» femminile e fascismo, Milano, Feltrinelli, 1976; C. Innocenti, Ideologia fascista e condizione femminile, in «Studi e ricerche di storia contemporanea», 1984, n. 2, pp. 5-25; M. Addis Saba, La politica del regime fascista nei confronti della donna, in «Rivista abruzzese di studi storici dal fascismo alla Resistenza», 1985, n. 1, pp. 7-107, e il suo già citato La corporazione delle donne; V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, cit.

36 A. Turati, Statuto delle Giovani italiane e delle Piccole italiane, cit. in I Fasci femminili, Milano, Libreria d'Italia, 1929, p. 19.

37 Lettere a Mura (pseudonimo di Maria Volpi), in «Lei», 22 dicembre 1936, p. 2.

38 Assidua, Lettere a Mura, ivi, 22 dicembre 1936, p. 2.

39 Interventi di Marioletta e Ambretta pubblicati su La donna è pari all'uomo?, in «Eva», 6 maggio 1933, p. 14.

40 L. Lilli, op. cit., p. 286.

41 Intervento di Nanní, in «Eva», 29 aprile 1933, p. 12.

42 Sulla progressiva conquista, da parte delle donne, degli spazi pubblici si rimanda in particolare a C. Saraceno, La famiglia: i paradossi della costruzione del privato, in P. Aries-G. Duby, a cura di, La vita privata. Il Novecento, vol. V, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 33-76, e D. Gagliani-M. Salvati, a cura di, La sfera pubblica femminile. Percorsi di storia delle donne in età contemporanea, Bologna, Clueb, 1992.

43 Caricando un po' i toni, Laura Lilli definisce quelle pubblicate sulla «piccola posta» delle «risposte-prediche settimanali, ispirate alla stretta morale della verginità-fedeltà per ragazze e spose, del sacrificio e dell'obbedienza per le donne in genere», ravvisando in esse «l'intenzione repressiva di chi risponde» (L. Lilli, op. cit., p. 286).

44 M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 422.

45 Tutte le citazioni sono state tratte da Sonia, Donne!, in «Eva», 13 maggio 1933, p. 3.

46 Rosellina Balbi, in un saggio in cui individua i tratti caratteristici della pubblicistica periodica femminile, afferma che «la formula di un giornale è necessariamente limitata. A parte lo spirito conservatore che accomuna tutte le pubblicazioni del genere [...], la stessa eterogeneità del pubblico femminile obbliga i policy makers della stampa per le donne a evitare con la massima cura la trattazione di qualsiasi problema di fondo» (R. Balbi, La stampa femminile e la donna, in «Nord e Sud», luglio 1962, p. 25).

47 La direttrice, Alle nostre lettrici. Verso il quattordicesimo anno, in «Vita femminile», n. 1, gennaio 1932, p. 11.

48 G.L. Falabrino, La stampa femminile in Italia. I segreti dell'alcova, cit.