next essay Studi Storici 3, luglio-settembre 95 anno 36


Sandro Guerrieri, le idee costituzionali del Pcf e del Pci all'indomani della liberazione

3. Le vicende costituzionali francesi furono seguite con grande attenzione in Italia25. Il bollettino del ministero per la Costituente ad esempio ne forní costanti resoconti. Ed esse furono tra l'altro oggetto di espliciti riferimenti nel corso dei lavori della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato istituita dal ministero per la Costituente e presieduta da Ugo Forti.

Il quotidiano del Partito comunista italiano dedicò a tali vicende diversi articoli. Il 5 aprile 1946, un mese prima che l'elettorato francese si esprimesse sul testo adottato dall'Assemblea costituente eletta il 21 ottobre 1945, l'inviato speciale a Parigi dell'«Unità» scrisse che in Francia si stava costruendo «il primo autentico regime democratico dell'Europa occidentale». E le posizioni espresse dal Pcf alla prima Costituente furono illustrate sull'«Unità» con un articolo dello stesso Jacques Duclos. In esso si conferiva una grande importanza al fatto che la Commissione della Costituzione si fosse espressa per «una sola Assemblea sorta dal suffragio universale e depositaria della sovranità nazionale» e avesse inoltre lasciato cadere due proposte fortemente osteggiate dai comunisti quali lo statuto dei partiti e il voto obbligatorio. Per quanto riguardava invece il tema della Dichiarazione dei diritti si confermava l'interesse minore nutrito nei suoi confronti dal Pcf:

Un certo numero di sedute sono state consacrate all'esame di una Dichiarazione dei diritti che, secondo certi membri della Commissione, dovrebbe sotto un certo aspetto servire d'introduzione alla Costituzione.
Ci si può domandare se questa sia una cosa indispensabile: la Francia ha già la Dichiarazione dei diritti della Grande Rivoluzione francese, quella Dichiarazione che fu un messaggio lanciato al mondo da questo paese in un momento in cui esso poteva dire una parola nuova all'universo intero. Oggi la situazione della Francia non è tale da consentirle di lanciare un messaggio al mondo ed è per questo che la Dichiarazione dei diritti, elaborata nel 1946, non potrà essere che una ripetizione di quella del 178926.

L'articolo di Jacques Duclos illustrava chiaramente quindi ai lettori dell'«Unità» la priorità assegnata dai comunisti francesi all'instaurazione di una forma di governo fondata sul primato assoluto di un parlamento monocamerale e il ruolo di secondo piano accordato viceversa alla definizione costituzionale di una forma di Stato sociale. Sulla questione della costituzionalizzazione dei diritti sociali, però, i comunisti italiani assunsero subito una posizione assai diversa da quella del Pcf, mettendo l'accento sulla necessità che la Costituzione avesse quel contenuto programmatico che il Pcf era restio a riconoscergli. Nel rapporto presentato al V Congresso del Pci svoltosi dal 29 dicembre 1945 al 6 gennaio 1946, Togliatti dichiarò infatti che la Costituzione italiana non poteva rientrare nella categoria dei testi costituzionali che si limitavano a sancire «in forma generale e giuridica conquiste rivoluzionarie già realizzate», come era avvenuto per le Costituzioni rivoluzionarie francesi, per quella americana o, su un altro piano, per le due Costituzioni sovietiche del 1924 e del 193627. In Italia non erano state ancora realizzate «grandi conquiste rivoluzionarie da sancire in un documento costituzionale dello Stato». Al contrario, secondo Togliatti, vi era la necessità di mettere definitivamente fine a «un passato di conservazione sociale e di tirannide reazionaria» impedendo il suo risorgere attraverso una Costituzione la cui originalità si sarebbe rivelata «nell'essere in un certo senso, un programma per il futuro»28, e il cui carattere di fondo sarebbe stato espresso dalla formula «Repubblica democratica dei lavoratori».

L'attenzione prestata dal Pci al problema della definizione del contenuto sociale della forma di Stato ebbe una prima manifestazione nella proposta, avanzata nella relazione di Mauro Scoccimarro sul programma per la Costituente al comitato centrale che si svolse dal 27 al 29 aprile 1946, di far precedere la Costituzione «da una Dichiarazione dei diritti dei lavoratori» che affermasse, «come principio centrale, il diritto al lavoro di tutti i cittadini italiani sussidiato dal diritto all'istruzione e all'assistenza»29. E l'esigenza di allontanarsi nel caso italiano della definizione di Stalin della Costituzione come registrazione di conquiste già realizzate diventò esplicita alcuni mesi dopo nella relazione «sui principi dei rapporti sociali (economici)» presentata da Togliatti alla prima sottocommissione della Commissione per la Costituzione istituita dall'Assemblea costituente. In essa infatti Togliatti affermò che se da un lato una Costituzione, come aveva affermato Stalin, non doveva «contenere altro che la registrazione e sanzione, in formule giuridiche di portata generale, di trasformazioni già in atto, di conquiste già realizzate», dall'altro era necessario nella situazione italiana «distaccarci da questa norma» per quanto riguardava le «trasformazioni sociali», a cui andava aperta la strada attraverso l'introduzione nella Carta costituzionale di «elementi programmatici, non di previsione ma di guida»30.

Coerentemente con questa scelta di fornire alla Costituzione un chiaro contenuto programmatico, il Pci manifestò una radicale contrarietà, che contrastò con la debole opposizione espressa su questo punto dal Pcf alla seconda Assemblea costituente francese, alla proposta di inserire i diritti sociali in un preambolo invece che negli articoli della Costituzione. All'adunanza plenaria della Commissione per la Costituzione del 25 ottobre 1946, Togliatti dichiarò che l'esigenza di dare un contenuto sociale ai diritti dei cittadini comportava per forza di cose l'affermazione dei diritti sociali «in articoli particolari, con formula impegnativa», e non il loro relegamento in un preambolo nella forma di dichiarazioni di principio che non avrebbero impegnato «minimamente il legislatore futuro»31. E l'opposizione al trasferimento dei diritti sociali in un preambolo fu ribadita con forza, specificando che occorreva avere sulla questione «un'opinione chiara» in previsione dell'apertura del dibattito in aula, nella relazione presentata da Ruggero Grieco al comitato centrale del Pci del 27-28 febbraio 1947, dedicato all'esame del progetto di Costituzione messo a punto dalla Commissione dei 7532.

Sulla maggiore sensibilità mostrata dal Pci rispetto al Pcf in merito al tema della introduzione nella Costituzione dei diritti sociali incideva senza dubbio il fatto che mentre il Pcf poteva assumere in ogni caso come punto di riferimento il programma del Conseil national de la Résistance (una parte consistente del quale stava trovando concreta realizzazione in Francia all'indomani della Liberazione), i comunisti italiani non potevano richiamarsi a un programma di riforme sociali ed economiche analogo a quello francese espresso unitariamente dalla Resistenza italiana, a cui l'azione del legislatore potesse ispirarsi. Un secondo fattore era rappresentato dalla riflessione di Togliatti sui caratteri della storia d'Italia. Tale riflessione, infatti, ponendo l'accento sul distacco tra classi dirigenti e masse popolari manifestatosi sin dalle origini del processo unitario, conduceva a porre con forza l'esigenza di inserire nella Costituzione i principi di una democrazia sociale che sancisse nel modo piú solenne il distacco da quella «vecchia Italia dei reazionari e dei trasformisti», da quell'Italia «dei bassi salari e dei contratti di lavoro feudali», di cui secondo il segretario del Pci il fascismo era stato «figlio legittimo»33: un problema, questo, che non era certo avvertito in maniera cosí acuta nel paese della rivoluzione del 1789, che aveva vissuto con il regime di Vichy un'esperienza autoritaria molto piú breve di quella italiana e che aveva conosciuto nel 1936-1937 le riforme sociali - peraltro fortemente osteggiate - del Front populaire.

Ma il rilievo assegnato dal Pci al riconoscimento costituzionale dei diritti sociali e la connessa adesione al concetto di Costituzione programmatica avevano anche un'altra origine. Se in Togliatti non venne mai meno in questi anni, cosí come in Thorez, l'esaltazione dell'esperienza dell'Unione Sovietica, «il fortissmo legame con la quale era sentito non solo come realtà antagonistica su cui appoggiarsi, ma anche come modello ideale su cui continuamente costruire la coscienza alternativa delle masse»34, tuttavia nella concezione togliattiana della «democrazia progressiva», fondata in buona parte sul presupposto del mantenimento al termine del secondo conflitto mondiale della collaborazione tra l'Urss e le democrazie occidentali35, emergeva una visione piú ampia del rapporto tra prospettiva socialista e sviluppo della democrazia di quella che si manifestava nella concezione di Thorez della democrazia «nouvelle» e «populaire», a cui il leader del Pcf dedicò del resto sostanzialmente «des propos fragmentaires et peu approfondis»36. Questa visione piú ampia del nesso tra socialismo e democrazia trovava riscontro in una idea di partito di massa piú aperto alla società rispetto a come si configurava il Pcf dopo la Liberazione e in una maggiore sottolineatura del ruolo dei partiti come elemento cardine di un sistema democratico.

Questo insieme di fattori condusse il Pci non solo a porre un forte accento sul valore programmatico della Costituzione, ma anche a dare la priorità, in modo esattamente opposto a quanto aveva fatto il Pcf, alla definizione della forma di Stato sulla definizione della forma di governo.

Una evidente dimostrazione di questa inversione di priorità rispetto al Pcf è data dalla partecipazione e dal grande impegno manifestato dallo stesso Togliatti nei lavori della prima sottocommissione della Commissione della Costituzione, incaricata della parte relativa ai diritti e ai doveri dei cittadini. E tale inversione di priorità trovò un'ampia conferma nell'intervento pronunciato da Togliatti al comitato centrale del Pci del 27-28 febbraio 1947 alla vigilia della discussione in aula del progetto elaborato dalla Commissione dei 75. Di fronte alle diverse critiche mosse all'interno del partito a tale progetto, Togliatti affermò che occorreva impostare la posizione del Pci operando una distinzione tra tre gruppi di questioni: le «questioni di carattere economico e sociale», le questioni relative all'organizzazione del sistema democratico, e quelle che riguardavano «l'organizzazione della società civile nei suoi rapporti con la società religiosa». Ed egli dichiarò che per il Pci il punto su cui concentrare maggiormente l'attenzione doveva essere quello della definizione del contenuto sociale della Costituzione: «Il campo sul quale, secondo me, dobbiamo batterci di piú è il primo. Noi cioè dobbiamo cercare di far capire bene al paese che cosa intendiamo per democrazia progressiva, quale è il contenuto economico-sociale nuovo che vogliamo dare alla vita politica italiana. Questo per me è l'essenziale [...]»37. La priorità assegnata dal Pci al contenuto sociale della Costituzione favorí l'emergere di una posizione meno orientata di quella del Pcf in senso drasticamente assembleare in merito alla forma di governo e quindi una maggiore disponibilità all'intesa con le altre forze. Indubbiamente è da sottolineare che inizialmente sulla questione dell'organizzazione dei pubblici poteri le idee costituzionali del Pci e del Pcf presentarono analogie molto profonde. L'istituto della revoca dell'eletto da parte degli elettori, importante elemento di congiunzione tra la tradizione rivoluzionaria francese e l'esperienza sovietica38, veniva proposto infatti anche dal Pci. Esso fu menzionato nel rapporto di Togliatti39 e nell'intervento di Scoccimarro al V Congresso40, nella relazione presentata da Scoccimarro al Comitato centrale dell'aprile 194641 e fu difeso in particolare da Vezio Crisafulli, il quale affermò dalle colonne di «Rinascita» che «l'istituto della revoca del mandato da parte degli elettori ogniqualvolta i loro rappresentanti» fossero «venuti meno alla fiducia in essi inizialmente riposta» costituiva «uno tra i mezzi piú efficaci» per rafforzare il rapporto di rappresentanza politica, mantenendo costante il contatto con il corpo elettorale42.

Un secondo elemento di affinità era costituito da un lato dall'affermazione di una decisa supremazia del potere legislativo sul potere esecutivo, che trovò espressione nell'opzione per un sistema unicamerale ed ebbe la sua formulazione piú estrema nella tesi espressa da La Rocca alla seconda sottocommissione della Commissione per la Costituzione, secondo la quale occorreva istituire «un'Assemblea rappresentativa popolare» che fosse allo stesso tempo «legislativa ed esecutiva», elaborasse la legge e ne controllasse l'esecuzione43; dall'altro nella preoccupazione che fossero posti freni eccessivi all'azione del parlamento, tramite in particolare l'istituzione di una Corte costituzionale i cui membri venissero a collocarsi, come affermò Togliatti nel suo intervento alla Costituente dell'11 marzo 1947, «al di sopra di tutte le assemblee e di tutto il sistema del Parlamento e della democrazia»44.

Inoltre è da tenere presente che se nel progetto depositato dal Pcf alla prima Assemblea costituente si prevedeva per la revisione della Costituzione una maggioranza speciale pari a 2/3 dei componenti dell'Assemblea, durante i lavori della Commissione Forti si manifestò addirittura da parte dei comunisti italiani una difficoltà iniziale ad accettare l'idea stessa di rigidità della Costituzione45.

Va però specificato innanzitutto che anche i comunisti italiani aderirono poi ben presto al concetto di Costituzione rigida. Cosí, nella relazione sul lavoro della Commissione per la Costituzione svolta da Terracini al comitato centrale del 17-18-19 settembre 1946, si riconobbe l'opportunità di garantire che l'introduzione di modifiche alla Costituzione non avvenisse ad opera di «una maggioranza composta dalla metà piú uno», bensí a seguito di una votazione che fosse l'espressione di una volontà predominante all'interno del paese46. Ed è importante notare come in tale relazione Terracini riconoscesse anche che, una volta stabilito il carattere rigido della Costituzione, l'introduzione di una «Corte delle garanzie costituzionali» diventava inevitabile: per Terracini si trattava allora di battersi per far sí che tale organo fosse legato il piú possibile all'«organismo piú rappresentativo della volontà popolare», vale a dire alla prima Camera47.

In secondo luogo va messo in evidenza che la proposta che rimetteva radicalmente in discussione l'idea tradizionale di democrazia rappresentativa, vale a dire l'istituto della revocabilità degli eletti da parte degli elettori, non ebbe affatto nel Pci la centralità che rivestiva nel Pcf, anche perché esso difficilmente si accordava con l'idea, sviluppata in modo piú organico dai comunisti italiani che dai comunisti francesi, di una democrazia fondata sul ruolo decisivo dei partiti di massa. Nella relazione sul programma per la Costituente presentata da Scoccimarro al comitato centrale del 27-29 aprile 1946, tale istituto venne indicato come uno strumento per esercitare un controllo popolare sull'attività dello Stato nel quadro però di una proposta piú articolata che comprendeva il diritto di iniziativa popolare in campo legislativo e il referendum, istituto quest'ultimo osteggiato invece dal Pcf. E se la necessità di introdurre nella Costituzione la possibilità della revoca dei deputati fu ribadita ancora una volta da Scoccimarro nella riunione della direzione del Pci del 2 agosto 194648, ad essa non fu invece piú fatto riferimento nella relazione presentata da Terracini al comitato centrale del settembre 1946.

Per quanto riguarda infine la questione della struttura del parlamento, è da sottolineare che nei comunisti italiani la preferenza per un sistema monocamerale, considerato dal Pcf alla prima Costituente come un punto su cui non era assolutamente possibile scendere a compromessi, rimase un'opzione di principio a cui si rinunciò agevolmente sia per favorire la ricerca di un dialogo con la Democrazia cristiana, sia perché l'istituzione di una seconda Camera veniva ritenuta utile per assicurare una rappresentanza delle regioni. Al comitato centrale del 27-29 aprile 1946, Togliatti dichiarò che a suo avviso la questione dell'articolazione del parlamento in una o due Camere non costituiva un nodo essenziale: «Non credo che la questione per l'Italia sia decisiva; si può avere anche un sistema bicamerale il quale permetta lo sviluppo della democrazia in Italia soprattutto se la seconda camera è elettiva»49. L'esito negativo del referendum francese del 5 maggio 1946 sul testo elaborato dalla prima Costituente naturalmente non poté che rafforzare questa disponibilità nei confronti del bicameralismo. È vero che nella seconda sottocommissione della Commissione per la Costituzione gli esponenti comunisti avrebbero espresso nuovamente a livello di principio una posizione favorevole al sistema monocamerale. Ma, come avrebbe precisato successivamente Ruggero Grieco al comitato centrale del febbraio 1947, tale affermazione di principio venne fatta «a puro titolo di scrupolo di coscienza»50. Tant'è che nella relazione di Terracini al comitato centrale del settembre 1946 si era affermato che, sebbene andasse decisamente respinta l'attribuzione alla regione di un'ampia potestà legislativa com'era previsto nella relazione Ambrosini presentata in sede di seconda sottocommissione, sarebbe stato «cosa naturale ed opportuna» che il nuovo istituto della regione, se voleva «significare qualcosa di nuovo», potesse «trovare una propria rappresentanza centrale per l'appunto nella seconda Camera»51: una seconda Camera tuttavia che, contrariamente a quanto proposto dalla Democrazia cristiana, avrebbe dovuto essere posta in una posizione di inferiorità rispetto alla Camera bassa, a cui sarebbe stato riservato il voto sul bilancio e il potere di accordare la fiducia.

L'accettazione del bicameralismo sulla base anche dell'esigenza di garantire una rappresentanza alle regioni allontanava la posizione del Pci dalla rigida concezione assembleare dei comunisti francesi. La presa di distanza da una concezione fondata sul predominio assoluto di un'assemblea unica non approdò peraltro nella consapevolezza della necessità di un'adeguata razionalizzazione del sistema parlamentare che conferisse in particolare all'esecutivo una sufficiente stabilità ed autorità. Lo strumento principale per garantire coerenza ed efficacia all'azione di governo venne individuato infatti nell'affermazione dei partiti di massa, mentre si criticò il tentativo di ricercare questa stabilità attraverso «accorgimenti legislativi da inserire nella Costituzione»52. Si manifestò qui un limite importante dell'elaborazione costituzionale del Pci, che trovò espressione ad esempio nella avversione nei confronti delle proposte volte a valorizzare la figura del primo ministro all'interno del governo. E questa ostilità alle ipotesi di rafforzamento dell'esecutivo sarebbe ulteriormente cresciuta dopo la rottura della collaborazione governativa tra la Dc e i partiti della sinistra.

Il passaggio all'opposizione, che si inserí nel clima di crescente tensione tra le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, portò i comunisti ad esprimere un giudizio estremamente critico su diversi aspetti della parte organizzativa del testo costituzionale in via di approvazione (e a manifestare però al tempo stesso una valutazione piú positiva del ruolo attribuito alle regioni) senza però che ciò si traducesse in un irrigidimento che rimettesse in discussione l'impianto di fondo del compromesso costituzionale che si andava elaborando. L'importanza attribuita dal Pci al contenuto programmatico della Costituzione aveva favorito infatti l'emergere di una ispirazione unitaria che contrastava nettamente con la posizione assunta dal Pcf alla prima Costituente. Naturalmente la maggiore propensione alla ricerca di un'intesa da parte del Pci si inquadrava nella diversità dei rapporti di forza tra la sinistra e la Democrazia cristiana in Italia e in Francia. Al comitato centrale del Pci del febbraio 1947 fu lo stesso Togliatti a ricordare questa differenza tra i due contesti nazionali davanti alle critiche a volte assai accese espresse nei confronti del progetto della Commissione dei 7553. Un secondo fattore che incise in questa piú forte disponibilità al compromesso da parte del Pci va individuato nella preoccupazione, molto viva al comitato centrale del febbraio 1947, che contrasti troppo acuti tra i partiti popolari avrebbero potuto aprire la strada alla richiesta di sottoporre anche in Italia a referendum il testo approvato dalla Costituente. Come affermò ad esempio Mario Montagnana, si doveva evitare il ripetersi, dato che la Repubblica era stata approvata solo con uno scarto di due milioni di voti, di ciò che era «accaduto in Francia», dove era «stato inevitabile avere due Assemblee costituenti, referendum e altre cose del genere»54.

La ragione piú profonda però a nostro avviso del diverso atteggiamento assunto dai due partiti comunisti nei processi costituenti dei rispettivi paesi risiedeva nel fatto che l'importanza attribuita al riconoscimento costituzionale dei diritti sociali e al carattere programmatico della Costituzione aveva stimolato la ricerca da parte del Pci di un'intesa sui principi fondamentali della Repubblica, in modo da trovare, come dichiarò Togliatti alla Costituente all'apertura del dibattito sul progetto della Commissione del 75, «un terreno comune che fosse abbastanza solido perché si potesse costruire sopra di esso una Costituzione, cioè un regime nuovo, uno Stato nuovo e abbastanza ampio per andare al di là anche di quelli che possono essere gli accordi contingenti dei singoli partiti che costituiscono, o possono costituire, una maggioranza parlamentare»55. Se la sottovalutazione dell'importanza della definizione costituzionale di una forma di Stato sociale e la priorità assoluta all'edificazione di una forma di governo di tipo assembleare avevano ostacolato l'emergere nel Pcf di una visione della Costituzione come patto tra un arco di forze portatrici di istanze diverse, il rilievo dato alla parte economica e sociale del testo Costituzionale contribuí a condurre il Pci ad interpretare il processo costituente come la ricerca di un ampio fondamento unitario tra i partiti popolari.

4. Le idee costituzionali dei due principali partiti comunisti dell'Europa occidentale all'indomani della Liberazione presentarono quindi vari aspetti di affinità ma rivelarono anche differenze profonde in merito al concetto stesso di Costituzione. E queste differenze nel modo di affrontare il processo di formazione di una Costituzione democratica avrebbero avuto successivamente importanti conseguenze sul percorso dei due partiti. Se con l'avvento della guerra fredda essi si sarebbero infatti entrambi arroccati in una irrisolta contraddizione tra «intransigente difesa delle garanzie democratiche e identificazione incondizionata con il "campo socialista"»56, con il manifestarsi anche di seri dubbi sulla praticabilità fino in fondo di una via pacifica al socialismo, nel caso del Pci il contributo fornito alla fondazione della Repubblica avrebbe costituito tuttavia un fattore di forte radicamento nella democrazia italiana, e avrebbe favorito dopo il 1956 lo sviluppo della riflessione, interrotta nel 1947, sulle vie nazionali al socialismo, che tra i comunisti francesi sarebbe invece ripresa molto piú lentamente57.

Ma le differenze manifestatesi nelle rispettive strategie costituzionali avrebbero avuto effetti di rilievo anche sul percorso delle due Costituzioni. Approvata con una debole maggioranza al referendum di ratifica del 13 ottobre 1946, la Costituzione della Quarta repubblica francese, frutto di un compromesso che aveva ricucito con difficoltà - nel momento in cui Charles de Gaulle lanciava i primi attacchi all'opera disgregatrice svolta a suo avviso dai partiti di massa e anticipava i contenuti del testo costituzionale del 1958 - la frattura creatasi alla prima Assemblea costituente, non sarebbe riuscita ad assumere un profondo valore unitario per le forze che le avevano dato vita58. La Costituzione italiana del 1948, invece, nata da una forte tensione unitaria59 di cui è espressione soprattutto la sua prima parte, avrebbe offerto un comune quadro di riferimento anche nei momenti piú duri dello scontro politico, anche se l'attuazione di diversi suoi istituti avrebbe richiesto un tempo molto piú lungo di quello previsto dai costituenti.


Sandro Guerrieri, Le idee costituzionali del Pcf e del Pci all'indomani della liberazione


25 Cfr. U. De Siervo, Le idee e le vicende costituzionali in Francia, cit., pp. 354-360.

26 J. Duclos, La nuova Costituzione della Repubblica francese, in «l'Unità», 24 marzo 1946.

27 P. Togliatti, Rapporto al V congresso del partito comunista italiano, in Opere, a cura di L. Gruppi, V, 1944-1955, Roma, Editori Riuniti, 1984, p. 196.

28 Ivi, p. 197. Cfr. G. Vacca, Gramsci e Togliatti, Roma, Editori Riuniti, 1991, pp. 117 sgg.

29 Fondazione Istituto Gramsci, Archivio del Partito comunista italiano (d'ora in avanti, APC), Comitato centrale, 27-28-29 aprile 1946, p. 2.

30 Assemblea costituente, Atti della Commissione per la Costituzione, II, Relazioni e proposte, p. 66.

31 La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea costituente, vol. VI, Adunanza plenaria, seduta 25 ottobre 1946, p. 48.

32 APC, Comitato centrale, 27-28 febbraio 1947, p. 5.

33 P. Togliatti, Rapporto al V Congresso, cit., pp. 186-187.

34 A. Agosti, introduzione a Togliatti e la fondazione dello Stato democratico, Milano, Angeli, 1986, p. 13.

35 Cfr. R. Gualtieri, Togliatti e la politica estera italiana. Dalla Resistenza al Trattato di pace (1943-1947), Roma, Editori Riuniti, 1995.

36 M. Lazar, Maisons rouges, cit., p. 54.

37 APC, Comitato centrale, 27-28 febbraio 1947, p. 87.

38 Questo nesso venne sottolineato con molta enfasi - e con una forzatura notevole - nell'articolo (di Giuseppe Berti, intitolato Democrazia sovietica) apparso su «l'Unità» del 10 febbraio 1946 a commento dell'elezione in Urss dei deputati del Soviet supremo: «Il movimento democratico, sin dagli inizi, ha sempre propugnato un regime di tipo analogo a quello sovietico e ha sempre avuto in odio le forme liberali di tipo borghese. I giacobini, ad esempio, accettavano il sistema rappresentativo come un espediente temporaneo ma sostenevano a ragione che non c'è democrazia [...] dove le organizzazioni popolari non possono eleggere direttamente e quando vogliano, ritirare il proprio mandato - cosí com'è nel sistema sovietico».

39 Cfr. P. Togliatti, Rapporto al V Congresso, cit., p. 208: «[...] Dobbiamo moltiplicare i contatti degli organismi amministrativi e di governo con le masse popolari. Questi contatti non dovranno esistere soltanto il giorno in cui viene eletto il parlamento, ma dovranno essere permanenti. Per questo deve essere posta all'ordine del giorno l'eleggibilità almeno di una parte della magistratura; devono essere organizzate particolari forme di controllo popolari sugli organi dell'amministrazione dello Stato; si può arrivare a sancire la revocabilità del mandato parlamentare, qualora gli elettori constatino che il loro rappresentante non ha tenuto fede agli impegni assunti e non serve la loro causa».

40 M. Scoccimarro, La costituente e il rinnovamento nazionale, in Documenti del V Congresso del Pci, Roma, Società editrice «l'Unità», 1946, p. 25.

41 APC, Comitato centrale, 27-28-29 aprile 1946, p. 2.

42 V. Crisafulli, Per una Costituzione democratica, in «Rinascita», III, 1946, n. 7, p. 145.

43 La Costituzione della Repubblica, cit., vol. VII, seconda sottocommissione, seduta 5 settembre 1946, p. 928.

44 P. Togliatti, Sul progetto di Costituzione, seduta dell'11 marzo 1947, in Discorsi parlamentari (1946-1951), vol. I, Roma, Camera dei deputati, 1984, p. 66.

45 Nella seduta del 5 dicembre 1945 della prima sottocommissione «Problemi costituzionali» della Commissione Forti Terracini infatti dichiarò: «La Costituzione probabilmente attuerà una riforma agraria e una riforma industriale, quest'ultima magari limitata soltanto ai grandi gruppi monopolistici e ai grandi trusts: tali trasformazioni creeranno a loro volta, rapidamente, nuove esigenze di trasformazione. Una Costituzione di carattere rigido, potrà ostacolare grandemente il processo pacifico del progressivo sviluppo della Nazione. Pertanto la Costituzione dovrà avere un carattere non rigido, e, se tecnicamente verrà confermata come rigida, dovrà però consentire delle rapide trasformazioni successive, contemplando a questo scopo dei congegni semplici e di agevole applicazione» (Alle origini della Costituzione italiana. I lavori preparatori della «Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, 1945-1946», a cura di G. D'Alessio, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 93). Cfr. G. Conti, M. Pieretti, G. Perra, Il «Partito nuovo» e la Costituente, in R. Ruffilli, a cura di, Cultura politica e partiti nell'età della Costituente, t. II, L'area socialista. Il Partito comunista italiano, Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 403-407.

46 APC, Comitato centrale, 17-18-19 settembre 1946, Relazione del compagno Terracini sul secondo punto, p. 10.

47 Ivi, pp. 10-13.

48 Cfr. La politica del Partito comunista nel periodo costituente, I verbali della direzione tra il V e il VI Congresso, 1946-1948, a cura di R. Martinelli e M.L. Righi, Fondazione Istituto Gramsci, «Annali», 1990, Roma, Editori Riuniti, 1992, riunione del 2, 4 agosto 1946, p. 272.

49 APC, Comitato centrale, 27-29 aprile 1946, intervento di Togliatti, p. 15.

50 APC, Comitato centrale, 27-28 febbraio 1947, Relazione di Grieco, p. 11.

51 APC, Comitato centrale, 17-18-19 settembre 1946, relazione di Terracini, p. 38. Sulla posizione del Pci riguardo al tema delle regioni cfr. G. Conti, M. Pieretti, G. Perra, Il «Partito nuovo» e la Costituente, cit., pp. 387-402.

52 Intervento di Amendola alla seduta della seconda sottocommissione del 5 settembre 1946, La Costituzione della Repubblica, cit., vol. VII, p. 939.

53 APC, Comitato centrale, 27-28 febbraio 1947, intervento di Togliatti, pp. 86-87.

54 Ivi, intervento di M. Montagnana, p. 56.

55 P. Togliatti, Sul progetto di Costituzione, cit., p. 62.

56 C. Natoli, I comunisti italiani dalla «svolta» ai fronti popolari, in «Critica marxista», 26, 1988, n. 3-4, p. 222.

57 Cfr. S. Courtois, M. Lazar, Histoire du Parti communiste français, cit., pp. 288 sgg.

58 Cfr. G. Quagliariello, La transizione alla democrazia in Italia e in Francia, relazione presentata al seminario internazionale di studi L'Altra faccia della luna. Le relazioni tra l'Unione sovietica e i partiti comunisti francese e italiano, svoltosi dal 25 al 27 maggio 1995 presso la Luiss di Roma e l'Università degli studi de L'Aquila. Gli atti sono in corso di stampa.

59 Cfr. P. Ciarlo, La Costituente. Nascita di una Costituzione, in «Democrazia e diritto», XXXIV-XXXV, n. 4-94/1-95, pp. 239-273.