Dimensione Font

+

-

Il poeta di Tresnuraghes

Articoli

I salari dei minatori nei primi anni del '900

Nei primi anni del 1900, nell’Iglesiente, erano concentrati circa 15.000 minatori, sottoposti ad uno sfruttamento difficilmente riscontrabile altrove, con i più bassi salari d’Italia (ad esclusione della Sicilia), ancora più miseri se confrontati con quelli degli altri paesi industrializzati. A partire dal 1895, fino al 1904, il salario medio dei minatori si era ridotto progressivamente, per due motivi. La manodopera, inizialmente quasi tutta di provenienza continentale, qualificata e retribuita secondo le tariffe vigenti al Nord Italia, venne via via sostituita da quella isolana, generica e a basso costo. Il regime di concorrenza che si determinò, poi, con il sistema dei cottimi contribuì a un'ulteriore abbassamento dei livelli salariali: i vincitori delle gare d'appalto per i lavori di scavo erano in maggioranza contadini e pastori, recentemente immigrati, inesperti di miniere e disposti, per aggiudicarsi l'appalto, a praticare ribassi anche del 40% sul prezzo massimo fissato dalle società minerarie. Detratte le spese per gli esplosivi, per l’illuminazione e per le attrezzature, i margini di profitto per gli appaltatori erano talmente bassi da impedire spesso addirittura la corresponsione del salario completo ai minatori dipendenti.

Le dodici ore all’esterno dei pozzi erano retribuite da 2 a 3 lire per gli operai specializzati, dalle 1,60 alle 2,20 per i manovali, da 0,60 a 1 lira per le donne e i ragazzi. I lavoratori interni, invece, per otto ore di lavoro percepivano un salario oscillante tra 1.80 e 2.20 lire al giorno. Per avere un’idea del potere d’acquisto basta confrontare i salari ai prezzi di alcuni prodotti, riportati da Moretti nelle strofe 19-20 di Su Gridu de su Minadore :

Pane di seconda
0.30 £/kg

Pasta
0.60 £/kg

Carne d’agnello
1,40 £/kg

Carne di manzo
1,65 £/kg

Lardo

1,75 £/kg

Vino
0.40 £ al litro

Sigari
0.12 £ l’uno

Formaggio

0.80 £/libbra (400g circa)

Questo misero salario veniva poi decurtato delle spese per il servizio sanitario, l’alloggio nelle baracche di proprietà dalla società mineraria, la legna da ardere, l’olio per l’illuminazione, gli strumenti da lavoro. A questo si aggiungeva l’obbligo, per i minatori, di approvvigionarsi a credito nelle “cantine”, ovvero gli spacci dei generi di prima necessità, dati in gestione a privati o gestiti direttamente dalla società e impiantati da questa inizialmente come servizio per i lavoratori continentali, poi come un mezzo di ulteriore sfruttamento per tutti i minatori. A questo proposito il poeta di Dualchi S. Poddighe (che lavorava come Moretti nell'Iglesiente), riferendosi ai proprietari della miniera, scrive in Sa Mundana Cummedia:

Comente faghet su riccu birbante
pro fagher una fura pius isplèndida?
Ponet de commestibile una bèndida
e bendet a libreto e a contante;
s’est esercente, da su lavorante,
tenet tottu s’intrada e sa rendida;
faghet a cumprimentu dogni faina
e pagat totu in ispes’ ‘e cantina.

Cosa ha inventato il ricco furbone
per operare il furto più perfetto?
Apre di alimentari una rivendita
e vende a credito e in contanti;
incassa il salario del lavoratore
e pure gli interessi, se è il gestore;
gestisce a meraviglia i suoi affari:
paga il salario con alimentari.

Le cantine offrivano merce di scarsa qualità a prezzi superiori a quelli di mercato; scrive ancora Poddighe:

In sa buttega sua ‘endet de totu:
pane, pasta, farina mesturada,
ozu comune, lardu, aringada,
casu ‘e craba, cunserva e regotu,
legumene insceltadu ‘e malu cotu
chi coghet, prima d’issu, sa pingiada
oltres chi mala merce ‘endet issu
l’imbrogliat in su pesu su commissu.

Nel suo negozio, lui, vende di tutto:
pane, pasta e farine mescolate,
olio d'oliva con aringhe e lardo,
conserve e ricotta con formaggio,
legumi scelti d'impossibile cottura
da cuocer, prima d'essi, la pignatta!
Oltre alla merce di qualità scadente
il commesso, nel peso, pure imbroglia

E Moretti rincara la dose:

Baranta paginetas de pabilu
duos soddos las faghent pagare;
pan’ ‘e sigunda a tres soddos su chilu
e mancu giustu lu solint pesare:
cantos de cicca, fustigos e pilu
sos paneteris ammesciant a pare!
Matti cruu chi si timet dae addane,
ch’a boltas non nde mandigat su cane.

Di carta quaranta paginette
venti centesimi le fanno pagare
trenta al chilo per il pane scadente
pure nel peso sogliono rubare
quante cicche, fuscelli e capelli
mischiano tra loro i panettieri!
Mal cotto, che spaventa da lontano
talvolta fa schifo pure al cane...

In queste condizioni di sfruttamento, in aggiunta a quelle di lavoro ad alto rischio di incidenti mortali (allora molto frequenti in miniera), la protesta operaia individuale e spontanea poteva esplodere in rivolte collettive, spesso incontrollabili dagli stessi dirigenti sindacali riformisti, consapevoli che le azioni violente avrebbero poi dato spazio alla reazione padronale. Basta ricordare, per concludere, gli esiti di alcune di queste proteste dei minatori contro uno stato di oppressione: l’eccidio di Bugerru, avvenuto la domenica del 3-9-1904, quando vennero assassinati dai soldati tre operai mentre undici furono feriti; gli scontri con le forze di polizia nel maggio 1906, durante le manifestazioni contro il carovita, che provocarono due morti e diciassette feriti a Gonnesa e due morti e quindici feriti a Nebida (i moti popolari del 1906 interessarono in realtà tutta la Sardegna); l’eccidio di Iglesias dell’ 11- 5-1920, quando i carabinieri spararono sugli operai che chiedevano venisse loro pagata la mezza giornata del sabato precedente (1,40 lire a testa), uccidendone sette e ferendone ventisei.

Ultimo aggiornamento: 21/08/03

- Realizzato da Francesco Cadoni -