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QUELLA STRANA TECNOLOGIA EGIZIA

Di Luis G. La Cruz

Nell'antico Egitto, la scienza che permetteva di manipolare con efficacia le forze della Natura costituiva una conoscenza riservata a un gruppo ristretto di esperti. Le formule che permettevano di applicare tale sapere, conferivano potere. Pertanto, ne aveva accesso solamente il personale qualificato con la funzione di assistere il faraone nella sua missione di preservare l'ordine del mondo. I "laboratori" dove venivano messe in opera tali formule venivano chiamati "Case della Vita", mentre i "tecnici" che si dedicavano alla ricerca e allo sviluppo erano i maghi-sacerdoti. Per gli Egizi, la Creazione era un'entità vivente. Tutti i corpi materiali erano animati e interconnessi, nella misura in cui erano parte di un'unità che si identificava con un Creatore non creato (Atum), che aveva donato loro la vita mediante l'atto di concepirli e nominarli, cominciando da se stesso e dalle sue membra, dalle quali nacquero tutti gli dèi. Esistevano tecniche per manipolare le energie invisibili contenute nei corpi. Era possibile captarle, estrarle e trasferirle ad altri, al fine di liberare un soggetto dal male o dalla malattia e ristabilire l'armonia perduta, o per dotare gli oggetti di una vita propria. La forza impersonale che permetteva di manipolare e controllare tali energie era rappresentata da Heka, la divinità della magia.
Il fatto che gli dèi della magia rispondessero a un concetto panteista non è casuale, come hanno osservato gli storici ed egittologi Jacques Pirenne e Serge Saumeron. Questi dèi si presentavano come potenze scomposte nei loro vari aspetti - e come tali potevano venir analizzati e contrapposti - nella misura in cui simbolizzavano le forze naturali.
Il Sole, ad esempio, era espressione di Khepre (dio della germogliazione) all'alba, di Atum al crepuscolo e di Ra a mezzogiorno. Horus, figlio di Osiride e Iside, si identificava con il Sole sotto l'aspetto di "Horus d'oro", ma anche con Marte quando si manifestava come "Horus il rosso". Thot, "contatore di stelle" (in quanto divinità che presiede al calcolo del tempo) e patrono dei maghi, era associato alla Luna, ma anche Iside era posta in relazione con lo stesso astro quando si presentava, considerando il suo movimento celeste, come "Casa di Osiride". Tuttavia, isolatamente, la Luna era identificata con una divinità indipendente da entrambe.
Su questa base metafisica gli Egizi costruirono la propria cosmologia, in cui l'ordine dell'Universo sorgeva da una legge di corrispondenze che articolava tutti i livelli della realtà in un'unica trama. Così, ad esempio, il principio di somiglianza, già menzionato, associava "Horus il rosso" con il pianeta Marte, il colore rosso, il ferro, il sangue e la guerra. Ma ancora, tutti questi dèi non erano altro che aspetti diversi nati dalla metamorfosi dello stesso creatore. Per questo, Pirenne richiama l'attenzione sull'esistenza di una marcata tendenza a un "monoteismo" spiritualista nella religione dell'antico Egitto. Ed è anche probabile che il culto segreto di un Dio unico fosse il cuore esoterico della sua teologia e che tale dottrina occulta venisse insegnata nella Casa della Vita.
La dialettica del mondo.
Ci troviamo davanti a un'immagine primitiva del mondo? No. L'idea di un mondo fatto di vibrazioni e armonia, in cui le trasformazioni obbediscono a una dinamica di scambi di energia, è alla base della fisica teorica moderna. I concetti fondamentali della Meccanica e della Chimica quantistica, dal quanto d'energia allo spin, passando per il dualismo onda/particella e per i salti orbitali dell'elettrone intorno al nucleo dell'atomo, si poggiano alla stessa idea di trasferimento energetico che postulava la magia egizia.
Lo stesso succede con il concetto di risonanza gravitazionale, maneggiato oggi dagli astrofisici. L'origine dell'Universo o della Creazione, a partire dalle metamorfosi dell'"Uno" non creato, corrisponde all'immagine dell'Universo proposta dalla teoria del Big Bang. E le metamorfosi stesse, che rappresentano l'evoluzione antropomorfica del Creatore, prefigurano il principio antropico, formulato dal fisico Paul Dirac nel 1931. L'interconnessione di tutte le sue parti e l'influenza del tutto in ognuna di esse è ciò che viene teorizzato dal principio cosmologico attualmente vigente.
Pensiamo per un momento alla fisica egizia. Per questa, il Cosmo (l'ordine) era sorto dal Caos indifferenziato e vi agiva in seno come una tendenza permanente. Esso necessitava di una forza contrastante che mantenesse un equilibrio, evitando che il mondo si estinguesse in un crescente disordine. In questa idea è presente il concetto di entropia della nostra fisica moderna, così come l'intuizione di Werner Heisenberg quando propose l'esistenza di un "campo creatore" che, opponendosi all'entropia, facesse in modo che l'Universo non si dissipasse nel disordine.
Secondo la scienza sacra egizia, la Creazione fu il risultato di questo dialogo tra gli opposti che, nella sua mitologia, veniva espresso dalla lotta eterna tra il dio supremo Ra contro il serpente Apofi. Ogni alba celebrava la vittoria della Luce (che incarnava Ra come Sole, dalla quale era nata Heka come energia benefica) sul Caos simbolizzato da Apofi. Secondo questo principio, affinché la Creazione non si disgregasse nel Caos, era necessaria un'azione di rigenerazione permanente che si opponesse al determinismo, vincendo l'inerzia e sostenendo il movimento armonico. Questo è lo stesso concetto che propose Einstein con la sua costante cosmologica, per spiegare per quale motivo l'Universo non collassi su sé stesso per effetto della gravità. In termini ancora più prossimi ai miti egizi, anche il grande scienziato Fred Hoyle sosteneva che l'Universo gli suggeriva "la volontà di una superintelligenza che controllava il Cosmo e si incarnava nello stesso, portando costantemente avanti una drammatica lotta per la sua stessa sopravvivenza". La sua teoria cosmica, formulata a metà del XX secolo, è perfettamente omologabile alla cosmogonia dell'antico Egitto.


"Il Padre degli dèi"
Questo concetto intuitivo, che la Fisica moderna chiama entropia, spiega l'importanza e la funzione della magia, la scienza sacra dell'antico Egitto. Secondo questa cultura, Dio aveva rivelato all'uomo una tale conoscenza per permettergli di opporsi al cieco determinismo, che tendeva al Caos, e aiutarlo così a preservare l'ordine del Cosmo.
Di conseguenza, l'atto magico imitava il modello originale della divinità che crea il mondo. Il mago reinterpretava l'azione primordiale di concepire e nominare, ripetendo i passi che il Creatore aveva mosso il "primo giorno", il che implicava la sua immersione in un tempo ideale e archetipico, anteriore al profano. Questa era la sua formula per generare in modo permanente tale "campo creatore", che contrastasse l'entropia. E anche questa teoria di una "creazione permanente" occupa una posizione di rilievo nella scienza moderna.
Attraverso il mago, pertanto, il Creatore tornava a manifestarsi e il mondo si ristabiliva ciclicamente dal deterioramento. Il Sole-Atum, anziano al momento del tramonto, tornava come fanciullo-Khepre a ogni alba grazie a tale azione rigenerante. Ciò spiega perché al mago venivano conferiti gli stessi epiteti che distinguevano gli dèi e veniva nominato "Toro del Cielo". Non solo si univa agli dèi sino a non poterlo distinguere da loro, ma in alcuni riti arrivava addirittura a identificarsi con la divinità suprema: "Non esiste in me alcuna parte priva di Dio: io sono il Ra di ogni giorno". Per identificarsi con la divinità suprema, incarnando il suo mistero, si spersonalizzava e apriva il proprio essere per accogliere il Cosmo: i suoi capelli erano Atum, il suo occhio sinistro era Horus, le sue narici gli dèi Thot e Nut, la sua bocca la Grande Enneade, attraverso la quale parlava la divinità, le sue vertebre Geb (la Terra) e i suoi piedi Shu (l'Aria).
Come gestore delle energie che manipolava, egli si trasformava in tali forze e, nella misura in cui operava come vicario attraverso il quale si rinnovava la Creazione, era niente di meno che il "Padre degli dèi", poiché attraverso di lui si esprimevano gli stessi poteri che avevano fatto sorgere dall'oceano indifferenziato (Nun) "il primo giorno", quando Ra nacque dall'uovo cosmico apparso sulla collina primordiale emersa da Nun. Secondo la cosmogonia eliopolitana - la più antica - al rompersi dell'uovo cosmico il dio Atum acquistò coscienza di sé stesso, raddoppiandosi in soggetto e oggetto e dando inizio alla Creazione come Atum-Ra. Come si può vedere, questa cosmogonia contiene tutti gli elementi del Big Bang, compreso il fatto che non si può parlare di "istante zero", dato che anche per gli Egizi l'Universo nacque con una differenziazione che non esisteva prima, se non come possibilità virtuale. Ed esprimere questo stato iniziale di non-essere con un Atum diluito in Nun e incosciente di sé stesso, non si allontana molto dal concetto di "vuoto quantico" della cosmologia scientifica attuale.
Come la nostra scienza, anche la magia egizia era una lotta contro le forze naturali, che percepivano come effetti di azioni soprannaturali. Il mago lottava con queste divinità; vale a dire, attaccava le cause dei problemi che gli si proponevano, partendo da un assioma di base: tutte le forme materiali avevano un modello divino e ciò che era legato in Cielo lo era in Terra. Questo assioma - le stesse leggi valgono in tutti i domini del Cosmo - è un'altra coincidenza con la nostra scienza. Spesso il mago si rivolgeva agli dèi in tono imperativo e, a volte, li minacciava per forzarli a obbedirgli. La funzione del rito magico era, precisamente, agire sulla causa occulta dello squilibrio, per contrastare così la sua manifestazione materiale. Il potere della magia risiedeva, pertanto, in un'altra intuizione profonda che prefigura, da millenni, una delle deduzioni della Fisica quantistica: la convinzione di un'intima relazione causale mente-mondo, secondo cui la prima genera la realtà materiale concreta e sensibile agendo come una specie di matrice della materia.
Questo è ciò che suggeriscono le equazioni d'onda del fisico Erwin Schrödinger, che descrivono tutte le possibilità associate a un fenomeno quantico come possibilità virtuali, fino a che un essere cosciente osserva il fenomeno e lo determina. In definitiva: non si può dire che un tale fenomeno esiste finché non viene osservato.
Riguardo la funzione che ha la conoscenza per l'Umanità, abbiamo poi una totale coincidenza tra l'antica scienza egizia e la nostra. Noi diremmo che, attraverso di essa, si produce un'evoluzione nella direzione di una crescente umanizzazione della specie.
Lo scrittore latino Apuleio, un iniziato ai misteri di Iside, definisce l'obiettivo della magia negli stessi termini nell'Asino d'oro. Attraverso tale sapere l'essere umano supera la sua animalità - che lo identifica con l'asino - per raggiungere la condizione umana piena come uno spirito illuminato. La dialettica magica egizia non è manichea. Le forze contrarie del mondo non sono "buone" o "cattive", e la stessa energia che in talune situazioni può essere distruttiva, si converte in benefica se viene debitamente controllata. Il torvo Seth poteva essere un guaritore o protettore molto efficace contro le forze ostili e compiva una funzione positiva nella Creazione, dato che senza il suo fratricidio e la sua mutilazione (semina), non si aveva la resurrezione. Per questo tale dio è così importante per la magia, come si può vedere nel Papiro magico di Brooklyn, che tratta dei poteri di "Seth dalle 7 facce". Perciò è errato immaginare Seth come un equivalente del Satana cristiano. Nell'antico Egitto c'era una Casa della Vita nei pressi di ogni tempio. Se questo veniva eretto nei pressi di una "università", essa funzionava come un laboratorio gestito da un'élite di iniziati scrupolosamente selezionati. Nelle loro biblioteche venivano conservati libri magici che trattavano di Medicina, di Botanica, di Astronomia e di Matematica. Di fatto, esisteva una specializzazione finalizzata alla loro applicazione, anche se il sapere di base rimaneva uno solo. Si poteva, dunque, parlare di una magia di stato, di un'altra agricola, medica, funeraria e di resurrezione, e così via.
I nomi dati alle piante magiche - "pianto di Horus", "sangue di Geb", "lacrime di Tefnut" - ci rivelano l'intima relazione Cielo-Terra, dato che gli dèi venivano identificati con le stelle e gli elementi, così come l'essenza che spargevano o secernevano veniva associata alla vegetazione. I diversi livelli della Creazione non erano compartimenti stagni, ma domini interdipendenti.
La medicina non poteva ignorare le configurazioni celesti, dato che gli astri influivano sullo stato del soggetto malato; era importante scegliere il momento più adeguato per catturare un determinato tipo di energie e trasferirle, tenendo conto delle proporzioni per riuscire a ristabilire l'equilibrio e l'armonia nell'organismo. Un simile compito esigeva conoscenze precise di Astronomia, Astrologia e Matematica.
Come accade con la nostra scienza, la precisione era vitale. Infatti, il papiro Rhind sostiene: "Il calcolo esatto è la porta di accesso alla conoscenza di tutte le cose". Ciò riguardava tutti gli uomini, in quanto il defunto, appositamente mummificato, si trasformava in mago per accedere al paradiso. La salvezza non era il risultato della fede, ma della conoscenza. Nei testi dei sarcofagi vediamo che, tra le prove che esigeva il traghettatore dall'anima del trapassato, vi erano la Matematica, la Fisica, l'Astronomia e la Cosmologia. Tutti gli esseri disponevano di un nome segreto - vibrazione o alito - ed era dovere dell'uomo scoprire il proprio - che gli era stato confidato al momento della nascita e del quale doveva rendersi degno - dato che tale nome conteneva una vibrazione specifica che definiva un'energia concreta. Però, doveva conoscere anche altri segreti, come viene mostrato nel Libro dei morti, nel quale erano descritte sette porte che danno l'accesso al Paradiso, e chi desidera oltrepassarle deve provare le proprie conoscenze al cospetto del "Guardiano della porta", rispondendo alla sua domanda: "Conosci il nome dell'architrave e della soglia?". Solamente se le risposte dimostrano una conoscenza sufficiente da parte dell'esaminando, ottiene l'autorizzazione suggellata dalla risposta: "Passa, visto che sai". In un altro frammento viene stabilito, inoltre, che deve conoscere anche ognuna delle parti della rete dei pescatori che vi catturano le anime. Da lì l'esistenza di una magia dei nodi. Nel Libro dei sarcofagi vediamo che esistevano formule per conoscere i 7 nodi della vacca celeste che servivano al mago per manovrare il barcone divino che solcava i cieli. Alcuni autori credono che questi nodi vadano associati ai 7 centri di energia dell'organismo (i chakra della cultura orientale).
I 7 nodi - presenti anche nelle 7 Hathor e nei sette volti di Seth - corrispondevano ai colori del cielo, il che potrebbe implicare dei vincoli con lo spettro luminoso (l'arcobaleno) e i pianeti.


Astronomia e armonia
Tutto questo sapere veniva espresso in miti, geroglifici e simboli, mai in maniera palese. Si tratta di un codice di segni il cui significato può essere decifrato solamente dall'iniziato che possiede le chiavi di quella lingua. L'esame dei papiri magici e dei riti che ci sono giunti rivela che i numeri, i nodi e i colori erano chiavi di questo codice. I papiri suggeriscono anche che poteva trattarsi dei segni di un scienza alchemica di un tempo più lontano. Comunque, un sapere proibito. Il mago, che vi accedeva nella Casa della Vita, giurava di serbare il segreto e infrangere un tale voto non solo prevedeva la morte fisica, ma anche quella dell'anima, attraverso il rito della distruzione del nome.
Diodoro Siculo scrisse: "In nessun altro paese l'ordine e il movimento degli astri viene osservato con tanta esattezza come in Egitto". E menziona anche registri antichissimi che, già nella sua epoca, risalivano "a un numero incredibile di anni". Nel Libro dei morti (cap. 144), il mago deve prestare particolare attenzione alle posizioni degli astri, e situarsi sull'asse del Cosmo (Nord-Sud), con lo sguardo diretto all'Orsa Maggiore (costellazione del Trono di Osiride). La stessa importanza aveva l'orientamento rispetto ai punti cardinali.


Canone di perfezione.
La parola pronunciata aveva un enorme valore magico. I riti prevedevano litanie e formule dalla complessa struttura sillabica che dovevano essere recitate con esattezza, secondo un canone di perfezione che non ammetteva errore. Pena la loro efficacia. Queste esigenze tanto rigide obbligavano il mago ad essere "un giusto di voce". Vale a dire che doveva dominare tutti i segreti dell'armonia musicale e gestuale. Sia che si trattasse di invocazioni, minacce, esecrazioni o suppliche, il timbro, l'intonazione, la cadenza e il volume dovevano adeguarsi a un modello stabilito che non era frutto di una creazione personale, ma di un sapere rivelato e trasmesso senza alterare alcun dettaglio.
Durante il rito, ogni parola doveva essere profferita in una determinata posizione rispetto ai punti cardinali e alla disposizione stellare. Ciò presupponeva la conoscenza al dettaglio della posizione degli astri in ogni momento. Nessun aspetto dell'ordine cosmico poteva essere disatteso. Il mago doveva trasformarsi nello strumento divino che officiava l'atto della rigenerazione, opponendosi al determinismo del Caos, associato al caso. Per questo il mago invocava frequentemente il cerchio della creazione, come se se ne trovasse al centro, sulla collina primordiale. Quindi, imprimeva 7 volte la pianta dei piedi ne suolo e recitava 7 formule dirette all'Orsa Maggiore. Il rito drammatizzava il mito come una forma di rappresentazione dell'energia del primo giorno, di modo che il mago doveva identificarsi psichicamente con la cosmogonia, incarnando il mistero degli dèi. Come Osiride, egli subiva una morte simbolica, sdraiato su un letto di rose per poi risorgere. Se doveva evocare la magia guaritrice di Iside, incarnava suo figlio Horus morso da un serpente. La chiave del suo successo era la preparazione psicospirituale che doveva metterlo in comunicazione con le divinità, così che, svuotato di sé stesso, assumeva il potere della parola creatrice. Agiva in stato di trance, quale veicolo della divinità, come conferma una frase rituale che appare in numerosi contesti: "Non sono io che lo dico, ma il dio".
Il preludio psicologico al rito era vitale. Il mago doveva spersonalizzarsi, vuotarsi, per aprirsi alle divinità. Non solo riviveva la passione di Osiride, ma diventava il dio stesso. Da lì l'importanza della purezza nel culto. Infatti, nella fase di preparazione doveva astenersi dal sesso ed escludere la carne dalla sua dieta. Dopo il bagno purificatore, il suo corpo veniva unto con oli vergini e vestito con indumenti e sandali nuovi, che simbolizzavano la pelle dell'essere divino con il quale si identificava. Il nastro della conoscenza veniva cinto alla sua fronte e sulla sua lingua veniva dipinto il segno di Maat (giustizia, equilibrio, verità). Tutto ciò aveva la funzione di indurre uno stato alterato di coscienza, propizio alla rivelazione caratterizzata dallo sblocco dell'inconscio. L'ambiente scuro del tempio, in cui si distaccava la luce della lampada, i suoi giochi di ombra, la contemplazione di specchi magici o dei riflessi nell'acqua contenuta in recipienti rituali, così come l'attenzione dedicata alla trance autoipnotica e all'interpretazione esperta del simbolismo dei sogni, avevano una fondamentale importanza. Mediante queste formule, i maghi accedevano a una conoscenza intuitiva del mondo che proveniva dalla loro psiche profonda e veniva percepita come rivelazione.






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