ITALIANO

 

ITALO SVEVO

Trieste fu la città in cui l’eco della crisi europea fu sentito maggiormente, e dove il disagio dell’uomo di fronte ai nuovi problemi sociali fu più acuto. La solitudine del borghese, la mancanza di una ragione di vita e di qualcosa in cui credere di fronte al crollo delle vecchie certezze si riflettono nell’opera di Svevo. Egli viene dunque ad identificarsi come l’unico narratore italiano che abbia in effetti interpretato la grande crisi europea del primo ’900. Nei suoi tre romanzi descrive il problema dell’uomo che non sa e che non può più inserirsi nella società a cui appartiene: l’uomo, portato ad esaminare la propria funzione sociale, viene distrutto dalla sua analisi, dalla propria inquietudine problematica e dalla sua incapacità di affrontare i fatti del mondo.

Per poter comprendere appieno la portata delle opere di Italo Svevo, bisogna dapprima edivenziare le basi culturali su cui egli ha costruito il suo sistema di pensiero. Alla base della sua mentalità vi è una robusta cultura filosofica, arricchita da un’apertura verso le scienze positive. Il filosofo che ebbe un peso determinante nella sua formazione fu Schopenhauer, il sostenitore del pessimismo radicale, che indicava come unica via di liberazione dal dolore la contemplazione e la rinuncia. Dall’altra parte un grande punto di riferimento fu Charles Darwin, l’autore della teoria evoluzionistica, fondata sulle nozioni di "selezione naturale" e di "lotta per la vita". Può stupire che lo scrittore si rifaccia contemporaneamente a questi pensatori così opposti fra di loro.

In realtà Svevo tende ad utilizzarli entrambi in modo critico, come strumenti conoscitivi per le sue ricerche: Schopenhauer viene così utilizzato per sottolineare il carattere effimero ed inconsistente della nostra volontà, per smascherare i cosidetti "autoinganni" attraverso i quali ognuno si illude della propria libertà; a sua volta dalla matrice positivista, Svevo viene indotto a presentare il comportamento dei suoi personaggi come un prodotto di leggi naturali immodificabili, non dipendenti dalla volontà individuale (ricollegandosi quindi a Schopenhauer); tuttavia egli seppe comprendere come quegli atteggiamenti avvessero un loro fondamento anche nell’insieme dei rapporti sociali. Ad assumere questo atteggiamento critico, Svevo fu aiutato dal pensiero marxista, da cui estrasse soprattutto la consapevolezza che tutti i fenomeni, compresa la psicologia individuale, sono condizionati dalla realtà delle classi. Svevo venne a contatto anche con la psicanalisi freudiana, della quale però non apprezzò tanto l’aspetto terapeutico, quanto la sua applicazione come strumento conoscitivo, capace di indagare nel profondo della realtà psichica e di svelare all’uomo tutte le illusioni che si è costruito attorno. Cade definitivamente il "mito positivo" romantico e borghese e si afferma invece il tema dell’"inetto", dell’uomo senza qualità. I motivi trattati nei romanzi sveviani sono pochi e ossessivi: l’amore, la senilità (non tanto cronologica, quanto psicologica), la malattia e l’inettitudine a vivere, i diffici rapporti con gli uomini. In tutte queste tematiche è evidente il senso della crisi dei valori borghesi.

L’opera in cui queste tendenze risaltano maggiormente è senza dubbio "La Coscienza di Zeno", l’ultimo romanzo sveviano. Rispetto ai romanzi precedenti, la Coscienza presenta diversi mutamenti stilistici: viene abbandonato l’impianto naturalistico di un narratore anonimo ed estraneo alla vicenda in favore di una vicenda raccontata in prima persona, viene meno la successione cronologica dei fatti e l’autore usa un "tempo misto", organizzato su tre livelli temporali: la prefazione del dottor S., il primo manoscritto ed il secondo, composto allo scopo di deridere la terapia psicanalitica. Scompare quindi il nesso temporale, soppiantato da quello tematico. Il racconto si presenta come un cumulo di verità e bugie, dovuto sia alla deformazione del ricordo operato dalla memoria, sia dal rapporto odio-amore stabilitosi col medico.

Compare inoltre la tecnica del monologo interiore, che consiste in una trascrizione immediata di ciò che si agita nella coscienza. A differenza di Joyce, però, il fatto che il "flusso di coscienza" debba essere messo per iscritto, è fondamentale, in quanto il mettere le parole su carta presuppone un inevitabile controllo razionale. Inoltre non emerge immediatamente e totalmente il profondo, in quanto, a causa del rapporto malevolo fra Zeno e il dottore, il personaggio che scrive censura, rimuove e modifica secondo i suoi fini i ricordi trascritti. Inoltre mentre in Joyce il flusso disordinato della coscienza del personaggio si riflette in un linguaggio frantumato, caotico, senza nessi logici, in Svevo rimane comunque un discorso ordinato, sintatticamente corretto e razionalmente edificato, visto proprio come censura dell’inconscio.

Zeno quindi, pur rappresentando un’anima moderna, bisognosa di trovare risposte alla sua esistenza, rifiuta qualsiasi forma d’aiuto esterno, deridendo e disprezzando quella stessa società da cui proviene ed a cui non riesce più a conformarsi, ostentando la sua inettitudine come vera forma di vita.

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