Aimar associazione                                3/1998

Come insegnare al mio bambino a fare le feci nel water.

 

D.ssa Silvia Mignani

Ospedale Pediatrico Bambin Gesù

Palidoro

 

Quando il bambino impara a fare le feci in bagno risponde a due tipi di richieste/pressioni: quelle esplicite e quelle implicite.

Le prime provengono sia dalla famiglia (l'educazione), sia dal contesto sociale (essere puliti è, nella nostra società, sinonimo di buono, mentre lo sporco ed il cattivo odore è sinonimo di cattivo - spesso per convincere i bambini a non toccare qualche cosa si dice loro "è cacca" ), sia dalla naturale predisposizione evolutiva all'autonomia personale. Le richieste implicite riguardano in particolare i genitori e sono caratterizzate dalle loro emozioni, dalle aspettative verso il figlio, dagli schemi personali di riferimento relativi alla defecazione ed allo sporco.

 Sappiamo inoltre che, affinchè questo apprendimento abbia luogo, deve essere ben avviata la maturazione del sistema neurologico deputato al meccanismo del contenimento degli sfinteri e devono altresì essere elaborate e maturate a livello emotivo e fantastico tutta una serie di vissuti-emozioni personali legati alle feci ed all'interno del corpo.

 Per trovare quindi il modo migliore per insegnare al proprio figlio a fare le feci nel water è necessario conoscere ed entrare nella complessità dei vari meccanismi che si trovano alla base di una attività che a noi adulti sembra semplice e scontata.

 Anche per i bambini con atresia ano-rettale dobbiamo sapere che non stiamo parlando solamente di un organo più o meno compromesso nella sua funzionalità, ma stiamo affrontando un tema che coinvolge la maturazione neurologica, la maturazione psicologica e l'elaborazione integrata degli aspetti affettivo-emotivi interiori del bambino e quelli dei genitori. 

Iniziamo molto brevemente e sommariamente dagli aspetti neurologici.

Contenere le feci e rilasciarle volontariamente presuppone la percezione accurata e differenziata dello stato di riempimento del retto. Questo vuol dire che le sensazioni registrate a livello rettale devono arrivare al cervello ed essere riconosciute e decodificate; da qui deve partire "l'ordine" di rilasciare o meno lo sfintere per permettere o non permettere l'evacuazione.

Questi messaggi in arrivo ed in partenza dal cervello percorrono una strada neuronale che, per essere totalmente funzionante, deve essere completamente ricoperta da una guaina ( come i fili elettrici). Tale guaina è sicuramente completa entro i primi 5-6 anni di vita.

E' vero che in generale si inizia l'educazione degli sfinteri intorno ai 2-3 anni e che spesso riesce, ma è pur vero che solamente dopo i 5-6 anni, se il bambino non ha ancora raggiunto il controllo dei suoi sfinteri in maniera soddisfacente, possiamo parlare di una patologia o neurologica o psicologica o urologica.

Questo in assenza di danni specifici, ma nelle atresie ano rettali in cui la situazione percettiva e la risposta motoria sono disturbate, diventa ancora più difficile stabilire la differenza tra quanto il piccolo può, quanto sappia e quanto voglia gestire i suoi sfinteri. Per questo è necessario un confronto continuo con il chirurgo che saprà dare indicazioni fondamentali su quanto il bambino può e con lo psicologo che saprà aiutare a capire quanto il bambino è pronto per lanciarsi in questa avventura della sua vita.

E' necessaria comunque molta cautela perchè comunque l'idea che il bambino ha del suo corpo non è come quella che un adulto ha del suo. Il bambino non ha, verso i 2-3 anni, ancora chiara la comprensione del dentro/fuori; pieno/vuoto, ma ha alcune sue teorie su questo. Inoltre non ha una percezione accurata che discrimini i vari distretti muscolari interessati all'evacuazione ed alla percezione dello stimolo. La sua percezione può essere definita come più globale e più irrazionale rispetto a quella di un adulto ed è inoltre intrisa di significati affettivi.

In particolare i bambini con atresie hanno un vissuto più intenso e più complesso del loro corpo e della zona anale e rettale per i continui interventi subiti siano stati chirurgici o riabilitativi comunque vissuti soggettivamente come intrusivi.

Per il bambino è quindi molto complesso associare delle sensazioni specifiche a degli schemi mentali non ancora ben specificati e compresi.

Per un adulto è scontato che urine e feci siano il prodotto del corpo e che vadano allontanate definitivamente come -inutili ed indesiderate-.

Per il bambino, specialmente le feci per la loro consistenza più solida, sono pezzi del suo corpo che per qualche motivo vengono messi fuori e per altri motivi devono essere fatte "sparire" dai genitori che produrranno commenti di vario tipo.

Visto in questo modo appare abbastanza chiaro che più il bambino è sicuro di avere tanto dentro di sè e che questo tanto non viene intaccato dalla perdita delle feci perchè comunque ce ne è sempre tanto ed è buono, e che più è fiducioso dell'ambiente familiare e sociale che gli consigliano di separarsi dalle feci  più seguirà le indicazioni con serenità.  Inoltre anche le emozioni negative che tutti i bambini provano ed esprimono, come ad esempio la rabbia giocano un ruolo importante nel contenimento sfinterico.

Più il bambino avrà percepito che i genitori hanno potuto accogliere e contenere le sue emozioni senza esserne a loro volta spaventati o arrabbiati oltre misura più eviterà di investire di significati relazionali le sue feci.

 Questo è un concetto forse di difficile comprensione.

Il bambino può dare alle sue feci il potere e la capacità di "dare fastidio" ai genitori ed all'ambiente.

Egli non si assume apertamente la responsabilità di un atto aggressivo, ma lo "delega" inconsciamente alle sue feci che userà non volontariamente ed in maniera passiva per: sporcare = rompere = rendere brutto.

In un primo momento però, è inevitabile e naturale che il bambino sporchi le mutandine o il pavimento, che voglia toccare le sue feci, che voglia capire da dove escono e che voglia sapere dove vanno a finire quando scompaiono.

Legato a questo ultimo aspetto è il comportamento di molti bambini che si rifiutano di far scomparire le feci nel water e pretendono che vengano conservate per un po’ nel pannolino posizionato nel vasino o nel water stesso.

L'atteggiamento dei genitori, ma prevalentemente la loro posizione mentale, dovrà essere di affiancamento nella scoperta di tutte queste novità relative al corpo e alle possibilità del bambino, di contenimento delle paure e di proposizione affettiva di significati da dare alla realtà.

Come tutti gli apprendimenti anche questo del contenimento delle feci è e deve essere per il bambino un momento di scoperta e deve basarsi sulla motivazione ad acquisire una ulteriore abilità ed a conoscere un altro aspetto interessante della realtà.

In linea di massima sono da evitare richiami aggressivi al rispetto della pulizia (sgridate, sculacciate, ecc.) o biasimo per quanto fatto ( sei proprio un cattivo bambino, sei sporco, ecc. ) o ricatti affettivi ( mamma sta male se fai così, o piange, o muore, ecc.) o minacce ( diventerai brutto, non crescerai più, ecc.)

E' meglio far leva sugli aspetti di crescita e di autonomia, di scoperta e di fiducia ( questa volta ti è scappata, la prossima volta andrà meglio ).

Naturalmente questi messaggi positivi devono essere in sintonia con atteggiamenti e pensieri più globali rispetto al bambino.

Nel prossimo numero approfondiremo il tema dell'importanza che hanno le convinzioni e la personalità dei genitori nell'educazione al contenimento degli sfinteri, come il bambino può reagire in base alla sua storia chirurgica e clinica, il peso della paura dell'isolamento sociale per il proprio figlio.

 
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