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Deportazione nei campi di concentramento

1933-1945

 

 

§       Il viaggio

 

“Vagoni merci, chiusi dall’esterno,

 e dentro uomini donne bambini, compressi senza pietà, 

come merce di dozzina,

in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo.

Questa volta dentro siamo noi.”

-Primo Levi, 25 anni-

 

 

I vagoni bestiame furono l’anticamera dei campi di concentramento; rinchiusi per interminabili giorni in carri piombati, destinati al trasporto del bestiame, con due finestrini miniti di sbarre per luce e aria, acqua e cibo scarsi e nessuna attrezzatura igienica. In un vagone si arrivava a stipare anche 100, 150 individui, schiacciati orribilmente gli uni contro gli altri, angosciati dal destino che presagivano incombere  su di loro.

“Ci ritrovammo in trentasei su quel vagone:

un pezzo di pane nero e un po’ di marmellata di barbabietole,

 dovevano bastare per il viaggio e per la fame. 

Dopo cinque giorni di lungo viaggio eravamo

sfiniti, affamati, assetati, disperati.

A terra, nel vagone, c’era del pagliericcio su cui dormivamo.

Si respirava un’aria nauseabonda:

urine e feci di chi non si muoveva più,

 si erano mescolate con la paglia.

Eravamo bestie impaurite e tremavamo ad ogni rumore sospetto.”

-Elisa Springer-

 

 

 

 

§       L’arrivo

 

All’arrivo, il deportato si trovava di fronte a una vera e propria cerimonia di iniziazione.

Sempre stimolati dalle immancabili percosse, venivano accompagnati all’ufficio della selezione politica, dove erano sottoposti a interrogatorio. I loro dati anagrafici e quelli personali venivano registrati su una scheda.

Successivamente venivano introdotti nel campo vero e proprio.

“Bisogna mettersi in fila per cinque,

a intervalli di due o tre metri fra uomo e uomo;

 poi bisogna spogliarsi e fare un fagotto dei propri abiti,

 togliersi le scarpe.”

-Primo Levi-

 

 

Venivano accompagnati in una stanza dove venivano spogliati, dovevano consegnare il denaro e gli oggetti di valore che aveva portato con sé,  rasati, quindi portati sotto le docce, bollenti o gelate, a seconda del capriccio dei carcerieri.

“Riceveremo poi scarpe e vestiti, no, non i nostri:

altre scarpe, altri vestiti.

Ora siamo nudi perché aspettiamo la doccia e la disinfezione.”

-Primo Levi-

 

 

Poi era la volta della vestizione, nel corso della quale venivano distribuite divise a righe, mutande, una camicia, dei pantaloni, una giacca, un berretto, un paio di scarpe.

Le scarpe era una questione molto importante:

“Né si creda che le scarpe, nella vita del Lager, costituiscano un fattore di importanza secondaria. La morte incomincia dalle scarpe: esse si sono rivelate, per la maggior parte di noi, veri arnesi di tortura, che dopo poche ore di marcia davano luogo a piaghe dolorose che fatalmente si infettavano. Chi ne è colpito è costretto a camminare come se avesse una palla al piede; arriva ultimo dappertutto, e dappertutto riceve botte; non può scappare se lo inseguono; i suoi piedi si gonfiano più l’attrito con il legno e la tela delle scarpe diventa insopportabile. Allora non resta che l’ospedale: ma entrare in ospedale con la diagnosi di «dicke Fusse» (piedi gonfi), è estremamente pericoloso, perché è ben noto a tutti, soprattutto alle SS , che di questo male non si può guarire.”

-Primo Levi-

 

 

 

 

§       La selezione

 

Solo qualche giorno più tardi, la “via crucis” dei disgraziati aveva fine con la selezione.

“«Quanti anni? Sano o malato?»

 e in base alla risposta ci indicavano due diverse direzioni.

Oggi sappiamo che in quella scelta rapida e sommaria,

di ognuno di noi era stato giudicato se potesse lavorare o meno per il Reich.”

-Primo Levi-

 

“Il criterio selettivo su cui gli ufficiali si basavano era il grado di magrezza, rilevabile dalle natiche dei prigionieri. Se vedevano qualcuno particolarmente magro, macilento, specialmente se vedevano che le natiche erano rientranti e viola, era sintomo di decadenza fisica. E veniva selezionato.”

-Emilio Foà 13 anni-

 

 

 

Un fattore discriminante per le donne era la condizione del seno.

“Se eri giovane e ben dotata, anche se molto giovane,

 venivi lasciata vivere.

Ma se i tuoi seni non erano sviluppati per te era la fine.

Ero magra, ma avevo un seno molto sviluppato,

e quello fu il motivo per cui riuscii sempre a restare tra i sopravvissuti.”  

-Sherry Weiss Rosenfeld, 12 anni-

 

 

 

 

La selezione era semplice: a destra le camere a gas e i forni crematori, a sinistra la salvezza ed il lavoro forzato.

“Un’altra guardia disse: «Vedete laggiù il camino?

Lo vedete? Le vedete le fiamme? Laggiù, è laggiù che finirete.

È laggiù la vostra tomba. Non avete ancora capito?

Figli di cani, non capite dunque nulla?

Vi bruceranno! Vi arrostiranno!

Vi ridurranno in ceneri!.»

Il suo furore divenne isterico.

Noi restammo immobili, pietrificati.

Un autocarro si avvicinò e scaricò il suo carico:

erano dei bambini. Dei neonati.

Sì, l’ avevo visto con i miei occhi…

Dei bambini in fiamme.”

-Elie Wiesel, 16 anni-

 

 

A destra vi erano indirizzati i più deboli, come gli anziani, gli invalidi, le donne gravide e i bambini.

Durante la selezione dei bambini, le SS mettevano una stecca di legno ad un’altezza di 1.20 m.

Tutti i bambini che passavano sotto questa stecca erano mandati all’inceneritore. Sapendolo i bambini più piccoli alzavano la testa il più possibile per rimanere così nel gruppo di quelli che restavano in vita.

“Noi sulla rampa di Birkenau abbiamo visto scaricare dai vagoni

famiglie intere non abbiamo potuto soccorrere

migliaia di bambini che,

con una bambolina o con un orsacchiotto in mano,

venivano spinti verso la camera a gas.”

-Goti Bauer, 12 anni-

 

 

Dentro le camere a gas, le SS spingevano le persone l’una addosso all’altra, da 700 a 800 di loro per 250 metri quadrati.

“«Non  vi accadrà niente! Tutto ciò che dovete fare e inspirare profondamente. Rafforza i polmoni. L’inalazione è un  modo per prevenire le malattie infettive» disse a quei poveri infelici.

-Kurt Gerstein, testimone oculare-

 

 

Poi le porte venivano chiuse. Trascorrevano 32 minuti e, a causa di un micidiale gas, il Cyclon B, tutti i detenuti morivano.

“Alcuni giovani operai ebrei aprirono le porte di legno sul lato opposto. All’interno le persone erano ancora ritte in piedi, come colonne di basalto, perché non restava un centimetro di spazio per cadere e nemmeno piegarsi. Si potevano vedere ancora famiglie che si tenevano per mano, anche nella morte. Fu un’ardua impresa separarli. I corpi erano contorti, bluastri, bagnati di sudore e di urina, le gambe imbrattate di feci e sangue mestruale.” 

-Kurt Gerstein-

 

Sconvolgente fu lo sfruttamento economico dei cadaveri. I denti d’oro dei defunti costituirono una risorsa considerevole.

“Un paio di dozzine di operai controllava le bocche dei defunti, che aprivano con un gancio di ferro. L’oro andava a sinistra, gli oggetti a destra. Altri operai ispezionavano gli organi genitali alla ricerca di soldi, diamanti, oro. I dentisti andavano attorno martellando via denti d’oro, ponti e corone.”

-Kurt Gerstein-

 

Nemmeno i resti biologici vennero trascurati. I capelli costituirono una fonte di ricchezza, in quanto venivano trasformati in feltro industriale, previo avvolgimento di bobine. I capelli di donna, in particolare, permettevano la fabbricazione di pantofole per gli equipaggi dei sommergibili e di calzature di feltro per i comandanti.

Ogni parte del cadavere fu utilizzato. Le ossa vennero vendute a ditte che producevano sapone o usate come fertilizzante o per ricoprire i sentieri del villaggio delle SS.

 

Chi veniva indirizzato verso la fila di sinistra, era destinato al lavoro forzato.

E i destinati al lavoro forzato, veniva loro tatuato un numero sul braccio sinistro, unico segno di riconoscimento, con la stella cucita sul petto.

“Il mio nome è 174517;

siamo stati battezzati, porteremo finchè vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro.

L’operazione è stata lievemente dolorosa e rapida:

 ci hanno messi in fila e, uno ad uno, siamo passati davanti all’abituale funzionario munito da una specie di punteruolo dall’ago cortissimo.”

-Primo Levi-