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Le cause della morte

 

 

 

§       Punizioni e torture

 

Il campo di concentramento fu per sua natura un’istituzione penale, e tutto vi era concepito con lo scopo di infliggere ai suoi ospiti una quantità di sofferenze tali da spingerli e redimersi, o da farli morire.

 

“E’ difficile descrivere tutti i racconti di papà.

Inizierò dal principio del racconto:

 il peggio è stato la prima settimana, finché non si è abituato.

Il lavoro non è così terribile,

soltanto la disciplina è terribile.”

-David Rubinowicz, 12 anni-

 

 

Nell’universo concentrazionario, dunque, ogni momento dell’esistenza quotidiana era da considerarsi come una punizione.

Svariati furono i motivi di punizione utilizzati dalle SS: tenere le mani delle tasche dei pantaloni quando faceva freddo; colletto rialzato quando pioveva o c’era vento; i bottoni mancanti, macchie di fango , piccoli strappi, scarpe non abbastanza lucide, scarpe troppo lucide; mancata osservanza dell’obbligo del saluto; entrare nelle baracche durante l’orario del lavoro, anche solo per andare ai servizi, la sistemazione del materasso non impeccabile.

Venivano considerate infrazioni anche l’avvicinarsi a meno di due metri dalla recinzione di filo spinato, l’andare alla doccia nei giorni non prescritti o il non andarvi in quelli prescritti, il dormire con la giacca addosso oppure senza mutande, il tenere dei fogli di carta sotto la giacca a protezione del freddo, il lavarsi senza prima essersi spogliati a torso nudo.

C’erano poi il sabotaggio, la propaganda e l’attività politica, i rapporti col mondo esterno, fra cui la corrispondenza clandestina e il contrabbando, l’ascolto di stazioni radio, i tentativi di fuga.

Ma era l’appello che incuteva il terrore fra i detenuti. Bastava che i ranghi, in cui essi si disponevano nell’attesa della chiamata, non fossero perfettamente allineati e subito scattava la punizione, o per chi starnutiva o si lasciava scappare un colpo di tosse.

La punizione più frequente era la bastonata, cioè la condanna a subire dai 5 ai 25 colpi di bastone o di frusta.

 

“La tecnica delle punizioni variava a seconda dei casi e dei momenti.

Si passava dalle bruciature con il ferro rovente,

allo strappo delle unghie,

ai calci e alle bastonate inferti con crudeltà.

Fra una delle più frequenti consisteva nel far inginocchiare

Con le mani sollevate verso l’alto

Reggendo mattoni molto pesanti,

costrette a rimanere immobili per ore

fino a quando non perdevamo i sensi.”

-Elisa Spriger-

 

Più ben temuta della bastonatura era la sospensione ad un albero mediante una corda che serrava strettamente i polsi del malcapitato dietro la schiena. Questo tipo di punizione si protraeva più di quattro ore per causare la slogatura delle spalle, provocando dolori lancinanti.

Le varie infrazioni non erano sufficienti alle SS, che sbrigliarono tutta la loro fantasia allo scopo di individuare una serie inimmaginabile di mancanze per cui fosse prevista una punizione o di tormento da infliggere agli autori delle infrazioni.

Insieme alla fantasia, molto spesso si univa il sadismo e l’umorismo.

 

“Se un ebreo si impicca,

 abbia cura di mettere nella tasca un biglietto col suo nome,

affinché si sappia di chi si tratta!”

              

Centinaia di uomini stremati dal lavoro, venivano costretti a rotolarsi per terra, a saltare, a correre, per l’insano divertimento delle SS.

 

“Le torture e gli oltraggi avevano inizio.

Li percuotevano fin quasi ad ammazzarli,

 li pungevano con spilli, li torturavano con la corrente elettrica.

Poi li trascinavano al bagno,

dove getti d’acqua gelida li frustavano da tutte le parti.”

-Vincenzo Pappalettera, Testimone oculare-

 

Fra gli atti dimostrativi era compresa l’abitudine di appendere i cadaveri alle finestre del crematorio durante le adunate, il soffocamento in tinozze piene di escrementi, l’annegamento in grandi vasche.

Il gioco dei birilli fu praticato regolarmente e, per rivestire maggior attrazione, era accompagnato da scommesse. Fu così che un giorno le SS stabilirono di attribuire un premio a chi fosse riuscito a uccidere con una pietra uno dei detenuti che lavoravano in gruppo sotto di loro. Risultata la mira poco efficace, procedettero con le armi.

Altra variante di gioco fu quella dei tiro al piattello; era una gara di tiro, in cui i bersagli erano i bambini che venivano lanciati in aria.

Un’altra forma di tortura malsana era la legatura della vittima a due carri armati che tiravano in opposte direzioni, squartandola. Alcuni detenuti furono sepolti vivi, altri sotterrati fino al collo e inondati da escrementi di altri detenuti.

Fra i tanti episodi di crudeltà videro protagonista il colonnello Franz Ziereis. Si ricorda che per il diciottesimo compleanno del figlio, lo invitò a provare la pistola nuova contro un gruppo di 40 vittime inermi, allineate davanti a lui.

 

 

 

§       Gli esperimenti

 

La possibilità di avere a disposizione migliaia di esseri umani su cui effettuare esperimenti assolutamente impossibili in qualsiasi altro contesto politico-sociale, stimolò non poco la fantasia di alcuni pseudo scienziati.

La loro azione provocò sofferenze indescrivibili e nessun beneficio.

Un primo stimolo alla curiosità scientifica di alcuni medici tedeschi, derivò dall’esigenza di eliminare la razze inferiori, o per lo meno di impedirne la proliferazione a danno dei cittadini di pura razza ariana. Si avviò così il progetto di sterilizzazione, mediante l’uso di raggi X, tali da provocare la castrazione. Forti dosi di raggi X, infatti, distruggevano la secrezione interna sia delle ovaie che dei testicoli.

Il metodo non diede alcun risultato. Ma gli scienziati non si persero d’animo. Passarono così al trattamento della donna, sottoposta a iniezioni di raggi X combinati con formaldeide, poi un succo di una pianta tropicale.

Gli esperimenti effettuati nei lager furono in genere finalizzati alla soluzione di problemi pratici che stavano a cuore al regime per ragioni di vario ordine.

Così, il dottor Mengele si propose di rendere possibile un più rapido sviluppo demografico del popolo tedesco, attraverso i parti multipli, analizzando i gemelli detenuti nei campi.

Altri esperimenti furono: l’analisi degli effetti che la pressione atmosferica poteva esercitare ad alta quota, introducendo la cavia in una sala di decompressione e studiandone, successivamente, i mutamenti che avvenivano nel cervello; l’analisi sulle conseguenze del freddo, immergendo i prigionieri in vasche d’acqua gelata, lasciandoli per ore; lo studio sulla fame; la sperimentazione sulle grandi altezze, sulle ustioni e sugli avvelenamenti.

La vivisezione fu avviata per riportare alla normalità gli omosessuali; la terapia consisteva nell’iniettare degli ormoni sintetici nell’inguine destro.

Molti esperimenti furono quelli per risolvere la questione delle malattie, quali il tifo petecchiale, la dissenteria, la malaria, la febbre gialla, la tubercolosi, l’epatite virale.

Non mancarono esperimenti su ossa, nervi, muscoli; sui gruppi sanguigni; sui veleni; esperimenti psichiatrici, dove veniva sezionato il cervello, stabilendo il possibile “lavaggio del cervello”, attraverso la somministrazione di dosi quasi sempre letali di morfina e barbiturici; esperimenti ginecologici e sulla denutrizione.

 

 

§       L’annullamento della dignità umana

 

“Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate,

vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti,

tutto  infine, letteralmente tutto quanto possiede:

 sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenze e bisogno,

 dimentico di dignità e discernimento,

 poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto,

di perdere se stesso;

 tali quindi si potrà a cuor leggero decidere

 della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana;

nel caso più fortunato, in base a un  puro giudizio di utilità.

Si comprenderà allora il duplice significato

del termine “campo di annientamento” e

sarà chiaro che cosa intendiamo

esprimere con questa frase:

giacere sul fondo.”

-Primo Levi-

 

 

 

Il lager non era altro che un folle progetto organizzato e finalizzato per l’annullamento della dignità umana, in cui l’uomo non riesce più a trovare pietà, non conosce più l’amicizia, la ribellione, la speranza. Si cura solo, assurdamente, di non morire e per questo lotta; combatte per mantenere in piedi quel mucchietto d’ossa, senza altro scopo che non sia quello di aggiungere sofferenza alla propria condizione. 

 

“Quell’uomo doveva essere duro,

doveva essere di un altro metallo del nostro,

se questa condizione, da cui noi siamo rotti,

non ha potuto piegarlo.

Perché anche noi siamo stati rotti, vinti:

anche se abbiamo saputo adattarci,

anche se abbiamo finalmente imparato

 a trovare il nostro cibo e reggere la fatica e il freddo,

anche se ritorneremo.

Abbiamo issato la “menaschka” sulla cuccetta,

 abbiamo fatto la ripartizione,

abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame,

 e ora ci opprime la vergogna.”

-Primo Levi-

 

 

I giovani internati risentirono molto e profondamente degli effetti del sistema in cui erano intrappolati.

Declinarono fisicamente, s’indebolirono spiritualmente in un “processo di annullamento”.

 

“Il fatto di essere internato,

di diventare un numero, di non avere più nome,

 cancellò carattere, personalità, emozioni, volontà.

Si diventa automi, si obbedisce agli ordini nemmeno più per paura,

perché ci si abitua,

perché la nostra volontà è annullata,

prima attenuata e poi annullata.”

-Primo Levi-