Preghiere in canzoni a tempo di rock - La provincia di Como/Lecco/Sondrio, 1991
Camisasca, la voce del monastero. Da Famiglia cristiana N.45/1991
Battiato - Camisasca. Da Velvet Pop 1991
Juri giullare di Dio. Da La Repubblica 28/12/91
Pregando a tempo di rock, da Alta fedeltà, gennaio 1992
Una recensione a Il Carmelo di Echt, 1991
Esce dal silenzio Juri il mistico dell'ellepì
JURI
CAMISASCA. PREGHIERE IN CANZONI A TEMPO DI ROCK
Quest'anno al Club Tenco di Sanremo è salito sul palco un personaggio
atipico. Il suo nome è Juri Camisasca di cui proprio in questi giorni esce
il suo terzo album intitolato "Il Carmelo di Echt" (ed.Emi). Di lui
pochi hanno parlato preferendo andare sul sicuro e appoggiare i cantautori di
turno. Ma già la definizione cantautore potrebbe essere usata in modo improprio
con uno ha avuto esperienze così singolari e uniche in un passato nemmeno
tanto remoto. Juri Camisasca arriva al primo disco nel lontano 1974 e quattro
anni dopo, all'indomani di un concerto per voce e harmonium presso la
Villa Reale di Monza, decide di lasciare la vita pubblica e ritirarsi in un
monastero. Lo si rivedrà tra la gente soltanto dieci anni dopo per dare alla
luce un album che esprime ciò che ha raggiunto attraverso la meditazione:
"Te Deum" (ed.Ottava/Emi). Piano piano si fa di nuovo spazio in lui la
voglia di riprendere il cammino dell'artista, convinto di avere, oggi più di
ieri, cose importanti da comunicare. Franco Battiato prima, Alice e Milva poi,
canteranno le sue canzoni: "Nomadi", "Visoni", "Il sole
nella pioggia" e "Potemkin". Ora però è arrivato per
Juri il momento di uscire completamente allo scoperto, pur mantenendo fede al
suo cammino di monaco. Le sue canzoni mettono volutamente sullo stesso piano
testi molto importanti e ritmi tipici del rock. Non deve essere stato facile
trovare la misura giusta in cui potessero coesistere liriche superbe e
musica altrettanto vibrante.
D. Pensi che la gente capirà i tuoi testi, così spirituali e controcorrente?
R. Lo spero. Ora mi interessa stabilire un contatto con gli altri e quindi ho
cercato di associare messaggi con connotazioni spirituali a ritmi e melodie
tipiche del rock. Sono stato un ammiratore di Hendrix e allora perché non
utilizzare una chitarra distorta così come succede nel motivo "Revolution
Now". Rivoluzione intesa come mutamento spirituale.
D. Mi ha colpito una frase da "Il viaggio degli umani" in cui canti
"E che ne sarà degli cosmonauti/che se ne vanno
contromano/..nell'astinenza del calore umano". Era così anche nella
condizione che vivevi come monaco?
R. No, ti rispondo con una frase di Evagrio Il Pontico: "Il monaco è
colui che è ritirato da tutti, vive separato da tutti ma è unito con
tutti".
Giordano Casiraghi
CAMISASCA, LA VOCE DEL MONASTERO
Juri Camisasca, il musicista rock fattosi monaco benedettino, parla della sua vocazione e delle sue canzoni, tutte permeate di spiritualità, pubblicate nel Carmelo di Echt.
Musicista rock, poi monaco benedettino, ora eremita più che unica, la vicenda umana di Juri Camisasca è esemplare. Soprattutto quando, come ora, la pubblicazione del suo album Il carmelo di Echt lo riporta d’attualità come artista. «Per anni, in monastero», dice, «nessuno sapeva del mio passato di musicista. Lo nascondevo, temevo potesse essermi d’intralcio. Un giorno, però, in occasione di una festa in onore di un altro monaco, ho ripreso in mano la chitarra, componendo per lui una canzoncina scherzosa. Pochi giorni dopo avevo già scritto due brani di quello che sarebbe diventato Il carmelo di Echt».
E’
un disco, quello uscito in questi giorni, nato dunque alcuni anni fa
nella cella di un monastero. E già questo basta a renderlo davvero
unico. Come il suo autore. «Cominciai a frequentare conventi e
monasteri circa quindici anni fa», racconta Juri, da ragazzo, in
estate, oppure nei momenti liberi, li visitavo armato di zaino. Poco
dopo, la scelta si è fatta più radicale: ero affascinato dalle
religioni orientali, ma poi ho capito la profondità di certe forme di
ascesi appartenenti alla tradizione cristiana. Ho vissuto un anno e
mezzo con alcuni eremiti camaldolesi e poi sono entrato in un
monastero benedettino. Dove ho trascorso undici anni».
Undici
anni di preghiera e studi teologici: quanto di più lontano si possa
immaginare dal rock sperimentale della giovinezza. Quanto di più
vicino alle reali aspirazioni: «Mi sentivo attratto come il ferro dal
magnete, ho sperimentato direttamente la forza della volontà del
Signore. E per anni ho dimenticato la musica». Fino a quella
canzoncina dedicata al monaco.
«Capisco
la posizione di Cat Stevens», dice ora Juri, «il musicista inglese
che si è convertito all’Islam e che nella scuola musulmana
ch’egli stesso ha fondato proibisce 1’insegnamento della musica.
La capisco, ma non la condivido: certi doni di Dio non possono
rimanere nascosti a lungo».
Soprattutto
se, come è successo a Camisasca, si hanno amici come Franco Battiato.
Che, nel 1987, ha chiesto a Juri di collaborare a Genesi, la
prima opera lirica da lui composta.
L’eremo
sull’Etna
«La scelta di aderire all’invito di Franco ha sorpreso piu d’uno», commenta Juri, «ci si chiedeva che cosa ci facesse un monaco benedettino sul palco del Teatro Regio di Parma. Credo che però la gente abbia colto il significato di questa presenza. Anche perché, su que1 palcoscenico, non interpretavo un personaggio, ma ero me stesso».
Come
nel Te Deum, un disco pubblicato da Camisasca alcuni mesi dopo
quell’esperienza. «Più che un disco», dice, «quella è stata una
preghiera. Sono entrato nello studio di registrazione, ho pregato e ho
suonato. Basta, non mi sono posto altri problemi, non ho cercato di
pensare a chi mi ascoltava. Malgrado tutto, quei pochi che hanno
voluto procurarsi il disco (o che sono riusciti a trovarlo) hanno
ricevuto qualcosa. E con le lettere me l’hanno fatto sapere».
Il
carmelo di Echt,
invece, nasce in maniera completamente diversa: «Sento con molta
forza, in questo periodo», dice Juri, «il desiderio, la voglia di
comunicare. Utilizzando i mezzi del nostro tempo, andando incontro
agli ascoltatori. Per questo ora ho utilizzato, come forma espressiva,
quella della canzone; per questo, anche nella scelta degli
arrangiamenti, ho privilegiato una certa accessibilità. Raccontandomi
completamente nei testi.
«
“Quando il mondo ancor non era che un progetto preesistente e il
mercante d’Oriente soltanto un’idea, pure io facevo parte dei tuoi
sogni. Ed un magico volo mi condusse ai confini del mondo per essere
un tuo messaggero”: cosi recita Le acque di Siloe, una
canzone che mi rappresenta alla perfezione, il brano che più sento
vicino. E credo che tutti, non solo io, non solo chi fa musica, siamo
chiamati ad essere messaggeri di Dio».
E
Nuvole bianche? «E’ un’altra canzone davvero intima. Le
nuvole bianche, quindi pure, sono quelle persone che si affidano
completamente a Dio, che, come le nuvole, ovunque si trovino sono al
loro posto. Coloro che, come dice il testo citando san Giovanni,
“vivono nel mondo ma non sono del mondo” ».
Lo
scrupolo teologico si unisce in questo disco ad una scelta di immagini
davvero non convenzionale. E a una profondità di pensiero che, sia
detto senza intenti polemici, spesso è assente dai musicisti di
ispirazione religiosa. Il carmelo di Echt, grazie alla
distribuzione di un’importante multinazionale, dovrebbe (il
condizionale, purtroppo, è d’obbligo) essere disponibile presto in
tutta Italia. E cosi, dopo aver lavorato al disco, dopo essersi
esibito alla rassegna della canzone d’autore del Club Tenco di
Sanremo, Juri tornerà all’eremo solitario sulle pendici dell’Etna
nel quale vive da qualche mese. «La vita del monastero mi ha dato
moltissimo», racconta, «ma ora sento la necessità di una scelta più
radicale. Anche san Benedetto, del resto, auspica l’eremitaggio.
Senza i rituali del monastero tutto diventa più difficile. E le
tentazioni si moltiplicano».
Piero
Negri
Le
strade che uniscono Franco Battiato e Juri Camisasca sono più d’una. Entrambi
hanno inciso dischi per la Bla Bla, l’etichetta d’avanguardia di Pino
Massara, nel corso degli anni 70. Battiato pubblicò per essa i suoi album più
sperimentali (Fetus, Pollution, Sulle corde di aries, Clic, Mademoiselle le
Gladiator, Feedback, ad alcuni dei quali collaborò lo stesso Camisasca),
illustrando già alcuni temi fondamentali della sua “poetica”, le filosofie
orientali, i viaggi e l’esoterismo, laddove musicalmente l’amore per
Stockhausen e per la sperimentazione lasciavano invece trasparire ben poco del
periodo pop a venire. Camisasca dal canto suo incise solo La finestra dentro,
prima di ritirarsi in un monastero benedettino per undici anni. Li ritroviamo
insieme sul finire dello scorso decennio, quando Camisasca compare sul palco del
Teatro Regio di Parma per cantare nella Genesi, la prima opera lirica di Franco
Battiato. E subito dopo incide un 33 giri, Te Deum, per la sua stessa
casa editrice, l’Ottava. Su Fisionomica Camisasca, firma “Nomadi”, presto
seguita da altri canzoni per Alice (“Il sole nella pioggia”) e Milva (“Potemkin”,
“Angelo del rock”, “Una storia inventata”). Poco dopo, sigla un
contratto per la EMI, ormai da anni casa discografica di Battiato. Accanto alla
vicinanza spirituale c’è poi una più terrena, anzi geografica: Franco e Juri,
infatti, sono ormai anche vicini di casa, abitando alle falde dell’Etna.
Adesso
escono quasi contemporaneamente due loro dischi, accomunati da svariati
elementi, ma soprattutto da una sete o meglio, da un’ansia religiosa che la
loro musica evidenzia con grande efficacia. L’album di Camisasca, più ricco
nella strumentazione e negli arrangiamenti, è molto vicino a lavori come Orizzonti
perduti o Mondi lontanissimi e ad alcuni momenti di Fisionomica.
I testi, intrisi di misticismo, riprendono tematiche ed immagini comuni a
Battiato. Musicalmente però, nonostante la supervisione di Mauro Pagani (che
influenza comunque molto poco il risultato finale), sonorità e arrangiamenti
paiono superati e talora ridondanti. Tutto sommato, l’elemento che forse
maggiormente differenzia il progetto di Camisasca da quello di Battiato, è la
maggiore tensione comunicativa, la maggiore accessibilità complessiva.
Come
un cammello in una grondaia, invece,
non concede nulla, ma veramente nulla, all’ascolto disimpegnato: la
distinzione tra il lato contenente le nuove canzoni e quello con i lieder
classici è assai meno evidente di quanto si possa immaginare. E’ un disco
scarno, quasi ascetico, riassunto e apice dei vent’anni della vicenda artistica
di Battiato, col suo far incontrare canzone classica e contemporanea, spogliata
di ogni attrazione, calata in arrangiamenti essenziali. Definire un LP
siffatto “mistico” potrebbe sembrare poco appropriato, ma la realtà è che
da esso traspare un rigore verbale e musicale che raramente il Nostro ha raggiunto
in precedenza. La contraddizione esistente tra “Povera patria” e “Plaisir
d’amour” è figlia della stessa antinomia che spesso separa l’uomo e i
suoi sogni da quello stesso uomo costretto a relazionarsi ai suoi simili. “Le
sento più vicine le sacre sinfonie del tempo/con un’idea: che siamo esseri
immortali/caduti nelle tenebre, destinati ad errare:/nei secoli dei secoli,
fino a completa guarigione” (“Le sacre sinfonie del tempo”): tutto il
lavoro vive di questa continua affermazione/negazione del mistero della vita,
della sua origine divina come della sua ineluttabile miseria.
Siamo
insomma lontani dagli esperimenti pop de L’era
del cinghiale bianco, La voce del padrone o L’arca di Noé: le canzoni rigettano qualsiasi tipo di
percussione, “Povera patria” non ha certo l’immediatezza di “La voce del
padrone”, “Come un cammello in una grondaia” ha più dell’aria lirica
che dell’episodio pop da quattro minuti, mentre “L’ombra della luce” è
quasi un deliquio, un momento in cui l’estasi religiosa travalica i confini
dell’umano e porta l’Uomo a un passo da Dio. E’ un disco, questo, che
invita a (o forse intima di) guardarsi dentro, per potersi migliorare, ma che
nel contempo, tingendosi d’integralismo, rifiuta ogni pietà per
l’intrinseca debolezza dell’essere umano: un animale in fondo, a ben vedere.
E, curioso contrasto, la voce di Battiato proprio mentre pronuncia sentenze
capitali nei confronti del mondo intero è dolce e struggente come mai in
passato. Un LP ostico, che probabilmente usufruirà di pochi passaggi radio. E,
diciamolo pure, un capolavoro. (8) all’album di Camisasca, (10) a quello di
Battiato.
Luca Bernini
JURI GIULLARE DI DIO
Dopo più di dieci anni trascorsi in monastero è tornato Camisasca con "Il
Carmelo di Echt", un album di preghiera e di meditazione. Juri giullare di
Dio, anche se dei francescani non ha mai amato la troppa semplicità,
l'immediatezza genuina. Tant'è vero che Juri Camisasca ha preferito vivere per
quasi dieci anni in un monastero benedettino. La sua è una storia piuttosto
strana ed ora che è tornato ad affacciarsi alla vita "civile" con un
nuovo album, "Il Carmelo di Echt" (ed. EMI), chi lo ricorda agli inizi
degli anni settanta sulla animata scena musicale milanese potrebbe chiedersi il
perché di tanto silenzio. Allora, spinti dalla curiosità che può suscitare un
disco con liriche così importanti, nate da un animo profondamente religioso, un
disco di preghiera e meditazione, siamo andati ad ascoltare la sua storia. La
racconta in tutte le sue parti, che sono fondamentalmente due: prima e dopo il
suo incontro con Dio. "Ho sempre voluto fare il musicista, scrivere
canzoni. Nella prima metà degli anni settanta vivevo a Milano, c'era un grande
fermento, i tempi davano ai musicisti la possibilità di esprimersi, di fare
cose. Il mio primo disco l'ho inciso per la Bla Bla, si chiamava La finestra
dentro; ero molto diverso da come sono oggi, ma già questo titolo era
indicativo di una ricerca di profondità, c'erano nel disco cose molto
importanti, ma dette senza consapevolezza. Allora pensavo di realizzarmi
attraverso la musica, cercavo di colpire per colpire, era un problema di vanità.
Credo che anche ora questo problema esista, fare un disco o sentirsi puri è già
una vanità, ma non voglio pensarci, il pensiero in questo caso potrebbe
nuocere". Un giorno Camisasca incontra la sua spiritualità. "Stavo
male, mi chiudevo sempre di più in me stesso. Poi ho visto la luce; parlandone
dopo tanto tempo posso dire che è stata veramente un'illuminazione".
Allora decide di andare via da Milano e si chiude in un eremo camaldolese nelle
Marche per un anno e mezzo, poi per quasi dieci anni in un monastero benedettino
dove prende i voti. Ma non ha la forza, o forse la voglia, di confermarli.
"Al momento di prendere i voti solenni, di diventare monaco davvero, ho
pensato di fare un'altra scelta. Ho capito che la vita in una comunità non mi
dava più di tanto, ho pensato che il mio monachesimo sarebbe stato dentro di
me, che anche senza una firma avrei potuto donarmi totalmente a Dio".
Scrive: "I sentimenti al solito non convincono mai" (L'urlo degli Dei)
o anche "I pensieri non danno mai la pace, disturbano la mente (La nave
dell'eterno talismano) e si scopre un concetto di meditazione assolutamente
orientale, quello di liberarsi dalle passioni, di svuotare la testa per sentire
di più, per non avere mediazioni nella ricerca dell'Assoluto. "E' nella
mia natura vedere i punti di collegamenti che ci sono nella tradizione orientale
e la nostra. Poi la meditazione, nel suo concetto orientale, è anche usata nel
cristianesimo: i padri del deserto per esempio avevano in mente solo il nome di
Cristo, come un mantra, per liberarsi dai pensieri". Non è la prima volta
da quando è uscito dal monastero che Juri Camisasca si occupa di musica: ha
avuto una parte nella Genesi di Franco Battiato e ne avrà probabilmente una
nella sua seconda opera Gilgamesh, e qualche anno fa ha inciso un Te Deum per
L'Ottava, l'etichetta della quale Battiato era direttore artistico. Perché la
musica? "E' la forma di espressione che preferisco; la canzone è poi
quella più completa, voce e musica, due arti insieme". Supervisore
artistico del suo disco è stato Mauro Pagani, perché non Battiato? "Perché
ho sempre corso il rischio di essere troppo accostato a Franco. Abbiamo molto
suonato insieme e molto spesso, improvvisando, abbiamo fatto le stesse cose,
come se un'unica fonte si esprimesse attraverso due canali. Ma io sono io e ho
bisogno di salvaguardare la mia autenticità"
Laura Putti
JURI
CAMISASCA Pregando a tempo di rock
Coloro che hanno seguito il cammino mistico-artistico di Roberto "Juri"
Camisasca aspettavano con trepidazione l'uscita di questo suo nuovo album,
"Il Carmelo di Echt", per la Emi Dischi. Lo aspettavano perché a
distanza di quasi venti anni possono ascoltare di nuovo la voce di Juri cantare
canzoni. Nell'88 ci fu la parentesi del "Te Deum", un album singolare
uscito per l'etichetta Ottava. Il primo disco invece uscì nel lontano 1974 per
l'etichetta Bla Bla che sta ristampando tutto il materiale di allora in supporto
CD. Juri faceva il cantautore un po' controcorrente con dei testi molto duri che
parlavano di "topi che rodevano il cervello" o di "vene come
fognature". Non era un modo violento di manifestarsi quanto un mettere in
mostra un forte disagio e caos che gravava sulla sua persona. Nel '78
all'indomani di un concerto per voce e harmonium presso la Villa Reale di
Monza, decide di lasciare la vita pubblica e ritirarsi in un monastero. Lo si
rivedrà tra la gente soltanto dieci anni dopo quando parteciperà all'opera
"genesi", messa in scena da Battiato al Regio di Parma. Piano
piano si fa di nuovo spazio in lui la voglia di riprendere il cammino
dell'artista, convinto di avere, oggi più di ieri, cose importanti da
comunicare. Franco Battiato prima, Alice e Milva poi, canteranno le sue canzoni:
"Nomadi", "Visoni", "Il sole nella pioggia" e
"Potemkin".
D. Bentornato Juri, ma dimmi cosa capirà la gente delle tue canzoni con quei
testi così importanti?
R. Non sono mai andato via ma ora mi interessa stabilire un contatto con gli
altri e quindi ho cercato di associare messaggi con connotazioni spirituali a
ritmi e melodie tipiche del rock. Sono stato un ammiratore di Hendrix e
allora perché non utilizzare una chitarra distorta così come succede nel
motivo "Revolution Now". Rivoluzione intesa come mutamento spirituale.
D. Mi ha colpito una frase da "Il viaggio degli umani" in cui canti
"E che ne sarà degli cosmonauti/che se ne vanno
contromano/..nell'astinenza del calore umano". Era così anche nella
condizione che vivevi come monaco?
R. No, ti rispondo con una frase di Evagrio Il Pontico: "Il monaco è
colui che è ritirato da tutti, vive separato da tutti ma è unito con
tutti".
D. A breve uscirà il tuo primo disco su CD. Come ricordi quell'esperienza a
distanza di vent'anni?
R. A quei tempi ero una persona totalmente diversa. Quel disco è nato su
invito di Battiato che mi presentò a Pino Massara, direttore della Bla Bla.
Andai per un provino senza brani miei, vi ritornai una settimana dopo con una
serie di canzoni scritte di getto. Pensai che l'unico modo per fare centro era
quello di cantare cose diverse, storie surreali, comunque collegate a un filo
logico. Seppi dopo che certe mie canzoni raccontavano mondio già esplorati da
Kafka e Orwell.
Giordano Casiraghi
JURI CAMISASCA
Il Carmelo di Echt Emi
Un graditissimo ritorno quello di Juri Camisasca dopo l'album "Te
Deum" e dopo quella "Finestra Dentro" di venti anni fa. Ora la
sua voce appare molto più moderata cantando frasi colme di saggezza, tutte da
scoprire insieme alla musica molto carica e a tratti rock. Nessun dubbio sulle
qualità artistiche di Juri che è tornato per raccontarci il suo cammino e
la sua esperienza di monaco. Sono canzoni ben confezionate che lasciano un alone
di curiosità per le cose che ci circondano. Invitano a pensare che non tutto
ruota attorno ai desideri terreni.
Voce amorevole ben dosata. giudizio: 8 (G.C.)
Esce dal silenzio Juri il mistico dell'ellepì
Pareva scomparso senza preavviso. Volato chissà dove, e neanche a Melegnano, dove è nato 41 anni fa e dove vivono tuttora i suoi fratelli, nessuno ne sapeva qualcosa. Eppure a Milano in molti si ricordavano di quando nel 1974 uno sconosciuto Battiato gli aveva prodotto il primo long-playing, "La finestra dentro". Già allora qualcuno, colleghi, critici, portatori sani di sogno, aveva creduto di intravedere in quel giovane, di soli 23 anni, la genesi di un nuovo astro, in una città che da tempo sfornava soltanto promesse del cabaret e piccoli gruppi rock-jazz.
"Inspiegabile - si diceva -. A uno come lui, cresciuto artisticamente in Porta Ticinese, la "rive gauche" dei Navigli, per molti piccola fabbrica dei sogni, a rigor di logica il proprio nome stampato su un ellepì dovrebbe suscitare fin dall'inizio l'euforia di un traguardo insperato". E invece niente.
"Ero arrivato, sì - dice oggi con un'allusione subliminale - ma al capolinea. Sentivo di avere fallito sul piano ideale, il successo non mi suscitava felicità, cercavo altro". Siamo dunque alla fine degli anni 70 e, dopo un lungo periodo di disagio e di travaglio interiore, Roberto Camisasca, detto Juri, personaggio piuttosto noto a un'intellighenzia milanese che ammette Hendrix, i Beatles, i Doors e pochi altri fra gli oggetti di culto, scompare. Fisicamente. Lascia l'ambiente discografico. Diventa irreperibile,anche tra gli amici nessuno sa più dove sia finito. Lo troveranno più avanti, quasi trasfigurato nell'aspetto e nello sguardo, dietro le vesti di un eremita, in un convento.
Cosa era successo? Mentre altri prendevano il volo per l'India o cercavano se stessi nell'LSD, di fronte a un reticolo di possibilità lui aveva optato, con innegabile capacità mimetica, per un monastero benedettino, una sorta di satellite psichico dove sarebbe rimasto undici anni. "A dipingere, lavorare, alzarsi prima del sole. Leggere S. Agostino, S. Teresa d'Avila, i trattati di mistica di S. Giovanni della Croce". Giorni tutti uguali, ma paradossalmente diversi uno dall'altro, votati a una seconda velocità del tempo. "All'inizio volevo solo sondare il mio mondo interiore, cercare una realtà che andasse al di là dei sensi. Poi - sorride - lentamente è avvenuta una sorta di miracolo, come se l'energia della vita si fosse fatta avanti e mi avesse prospettato una possibilità nuova".
Quale? "Ho imparato quell'umiltà necessaria a convivere con caratteri diversi. Ho un ricordo affascinante della liturgia. La preghiera in comune, la quotidianità fatta di silenzi e disciplina, l'organizzazione della vita dei monaci". Juri parla di tutto questo al passato. Vive ancora in una casa povera,priva di lussi.
Ha prodotto, su richiesta della EMI e con la consulenza dell'amico Battiato, un nuovo album, "Il carmelo di Echt", un'opera sempre ai limiti dell'estraneazione mistica, ma questa volta intrisa di quiete.
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