HIMALAYA '99 |
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Mount Everest from Kala Pattar
Pagine a cura di: Alberto Arenghi Giorgio Vassena Università degli Studi di Brescia
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"CHANGRI NUP GLACIER MONITORING EXPEDITION 99" APPROFONDIMENTI 1° Approfondimento LA MISSIONE SCIENTIFICA DELL'UNIVERSITA' DI BRESCIA IN NEPAL. LA "CHANGRI NUP GLACIER MONITORING EXPEDITION". 2° Approfondimento DALLE ALPI ALL'HIMALAYA. UNA TERRA SENZA GHIACCIAI ? 3° Approfondimento MONTE EVEREST E K2: QUAL E' LA CIMA PIU' ALTA DEL MONDO 4° Approfondimento LE MODERNE TECNOLOGIE DI POSIZIONAMENTO SATELLITARE FINALIZZATE AL RILEVAMENTO DEI GHIACCIAI HIMALAYANI 1° Approfondimento LA MISSIONE SCIENTIFICA DELL'UNIVERSITA' DI BRESCIA IN NEPAL. LA "CHANGRI NUP GLACIER MONITORING EXPEDITION". Autori: Gaetano Carcano, Matteo Sgrenzaroli, Giorgio Vassena, Alberto Arenghi L' inizio di una ricerca scientifica è
come l'inizio di un avventuroso viaggio ricco di
incognite e di imprevisti. Quello che si descriverà in
questo articolo e in quelli che seguiranno vuole essere
un resoconto di questo viaggio, degli spunti scientifici
che l'hanno originato, delle tematiche ad esso connesse e
piu' ancora una cronaca diretta di una spedizione il cui
terreno di ricerca sarà l'Himalaya con i suoi remoti
ghiacciai. La spedizione scientifica "Changri Nup
Glacier Monitoring Expedition" (spedizione per il
monitoraggio del ghiacciaio Changri Nup) nasce da un'idea
del Prof. Claudio Smiraglia dell'Università degli Studi
di Milano, presidente del comitato scientifico del CAI,
in collaborazione con l'Ing. Giorgio Vassena, ricercatore
presso l'Università degli Studi di Brescia, il Prof.
Giacomo Casartelli, membro del Comitato Glaciologico
Italiano e gli Ingg. Matteo Sgrenzaroli e Gaetano Carcano
del JRC (Joint Research Center) Centro Comune di Ricerca
Cee di Ispra, al fine di definire delle nuove metodologie
di rilevamento con cui affrontare lo studio
dell'evoluzione degli estesi ghiacciai himalayani. Lo
studio dei ghiacciai nasce dall'interesse scientifico di
monitorare un elemento fondamentale del paesaggio
montano, fonte di importanti riserve idriche e in grado
di modificare, con la sua continua evoluzione, l'ambiente
di importanti porzioni di territorio. Il regresso delle
masse glaciali nell'ambiente alpino registrato negli
ultimi anni, pone una serie di interessanti
interrogativi, in particolar modo circa l'entità del
ritiro e la stima del tempo di sopravvivenza dei singoli
ghiacciai. La comunità scientifica cerca inoltre di
comprendere se i fenomeni a cui stiamo assistendo siano
limitati nel tempo e di tipo locale, se riguardino cioè
solo un settore delle Alpi o tutto l'arco alpino e se
siano rilevabili anche in altre catene montuose. Dopo
anni di esperienza sui ghiacciai alpini grazie alla
spedizione scientifica "Changri Nup Glacier
Monitoring Expedition" si avrà la possibilità di
studiare in Himalaya un ghiacciaio di alta quota con
moderne tecnologie di rilevamento, dando un contributo
importante alla risposta a tali quesiti. L'obiettivo
fondamentale di questa spedizione è quello di effettuare
un rilevamento del ghiacciaio Changri Nup. Si porrano
inoltre le basi metodologiche per effettuare negli anni
un monitoraggio delle variazioni di un ghiacciaio posto
in ambiente himalayano. Il ghiacciaio Changri Nup si
trova alle pendici del monte Everest ed è un confluente
laterale del ghiacciaio Khumbu, che, solcando l'omonima
vallata, dal monte Everest scende verso sud per più di
10 km. Lo Changri Nup è un ghiacciaio di dimensioni
limitate, circa 2 chilometri quadrati, che si presta
particolarmente a studi scientifici grazie alla
morfologia semplice e per la vicinanza alla così detta
"piramide", il laboratorio di ricerca d'alta
quota del Consiglio Nazionale delle Ricerche Italiano
situato a 5050 metri. Tale struttura in vetro e
alluminio, progettata e costruita a Brescia, fu
realizzata tra il 1989 e il 1990 all'interno del progetto
Ev-K2 CNR avviato due anni prima dal Prof. Ardito Desio
al fine di rideterminare le altezze di Everest e K2. 2° Approfondimento DALLE ALPI ALL'HIMALAYA. UNA TERRA SENZA GHIACCIAI ? di Claudio Smiraglia A tutti gli appassionati di alta montagna che durante l'estate 1998 hanno percorso itinerari sulle Alpi non sarà certo sfuggita la situazione di intensa riduzione delle colate glaciali. Alte temperature estive, che hanno fatto seguito ad un inverno poco nevoso, hanno provocato diminuzioni di spessore che nelle giornate più calde sono arrivate ai 10 cm ed arretramenti delle fronti valutabili in alcune decine di metri. Il fenomeno ha interessato praticamente tutti i ghiacciai delle Alpi Italiane e della Lombardia, compresi quelli della provincia di Brescia, come l'Adamello, dove il limite delle nevi, la linea cioè che separa in un ghiacciaio la zona di fusione dalla zona di accumulo nevoso, era collocata a fine agosto a quote superiori ai 3500 m e in molti casi non era individuabile. Ciò vuole quindi dire che il ghiacciaio è totalmente privo di neve residua dell'inverno precedente e che praticamente non ha più alimentazione. Il fenomeno osservato si inserisce nella fase di intenso regresso glaciale a livello mondiale che ha preso avvio verso la metà del secolo scorso dopo la conclusione della Piccola Età Glaciale. Il regresso si è però incrementato negli ultimi due decenni, il che ha fatto pensare ad un possibile intervento antropico come causa (o concausa) dell'aumento recente della temperatura, cui va sostanzialmente attribuita la fase di deglaciazione attuale. Si tratta dell'incremento della concentrazione dell'anidride carbonica nell'atmosfera, dovuta principalmente all'utilizzo di combustibili fossili, come carbone e petrolio. I ghiacciai reagiscono dunque ad una variazione anche minima del sistema ambientale (si pensi che un incremento della temperatura media estiva di un grado può ridurre del 50% la superficie totale delle masse glaciali !) e costituiscono quindi un elemento fondamentale per il monitoraggio delle variazioni climatiche. I ghiacciai tendono infatti a porsi in equilibrio con i fattori climatici (in particolare temperatura e precipitazioni), modificando la propria geometria (spessore e superficie). Un incremento della temperatura, ad esempio, provocherà una riduzione areale e volumetrica del ghiacciaio, che porterà la propria lingua a quote superiori, dove le temperature più basse consentiranno il mantenimento della massa glaciale. Tenendo conto delle dimensioni dei ghiacciai italiani (in particolar modo gli spessori) e delle riduzioni misurate in questi ultimi anni (anche due-tre metri di spessore fuso per i ghiacciai posti a quote più basse), si è valutato che la loro sopravvivenza si riduce ormai a qualche decennio. Se la tendenza del clima attuale non mostrerà sensibili variazioni, si stima infatti che entro la metà del secolo XXI, la maggior parte dei ghiacciai italiani si estinguerà. Il fenomeno di per sé potrebbe non essere preoccupante ed è sicuramente già avvenuto svariate volte nella storia anche recente del nostro pianeta. Il pensare alle Alpi senza ghiacciai non può tuttavia che causare qualche turbamento in chi ama e frequenta questa straordinaria catena montuosa. Gli effetti pratici, in particolar modo sul turismo di alta quota, sull'alimentazione dei bacini idroelettrici, sull'irrigazione, cominciano già a farsi sentire. Per quanto riguarda, ad esempio, l'alpinismo e l'escursionismo, la riduzione di spessore dei ghiacciai e la diminuzione della superficie dei bacini di accumulo nevoso, hanno sicuramente ampliato la difficoltà e la pericolosità di numerosi itinerari. Molte "vie normali" che qualche decennio fa potevano essere percorse senza particolari pericoli, oggi, specialmente in stagione avanzata, offrono difficoltà sensibili; è il caso, ad esempio, del Gran Paradiso, dove affiorano pericolose e ripide placche di ghiaccio vivo; del Monte Rosa, dove, dietro il Rifugio Gnifetti, i crepacci formano una ragnatela quasi inestricabile; dell'Adamello, dove anche la salita al rifugio della Lobbia, può presentare qualche pericolo oggettivo. Senza dire poi che molte delle classiche pareti nord a metà agosto sono prive di neve e mostrano roccioni affioranti sempre più vasti, come la nord del S. Matteo. L'alpinista e il semplice appassionato di montagna devono dunque adeguarsi, modificare la loro mentalità e i loro ritmi di fronte a questo succedersi di eventi naturali, che modificano in modo sensibile e avvertibile anche a livello di una generazione il loro "terreno di gioco". Di fronte a questi fatti scaturisce inevitabile una serie di interrogativi, in particolar modo sulla loro estensione areale: sono fenomeni locali, riguardano ad esempio solo un settore delle Alpi oppure tutte le Alpi oppure anche altre catene montuose? È chiaro che la risposta che ne deriva, potrebbe modificare sensibilmente il nostro atteggiamento non solo di frequentatori della montagna, ma anche di utilizzatori delle risorse naturali e di gruppi umani che si avviano al XXI secolo. La constatazione della diffusione ubiquitaria del regresso glaciale potrebbe infatti far pensare ad un fenomeno globale di riscaldamento della nostra atmosfera, ad una diffusione in aree remote di inquinanti, di gas serra, di un impatto antropico diretto o indiretto ormai esteso oltre ogni confine terrestre. Da queste riflessioni deriva l'interesse della ricerca scientifica attuale per i confronti fra le diverse zone glacializzate. Ormai da tempo anche nel nostro Paese si sta operando in aree remote come l'Antartide. Sono tuttavia le grandi catene asiatiche, come l'Himalaya e il Karakorum, a presentare da questo punto di vista molteplici elementi di interesse per una ricerca scientifica in campo glaciologico che si ponga l'obiettivo di verificare lo stato del glacialismo nelle catene montuose extralpine. I ghiacciai delle aree polari non solo presentano dimensioni gigantesche, non comparabili con quelli delle zone temperate e tropicali, ma sono costituiti da ghiaccio che dal punto di vista fisico è molto diverso da quello alpino (si tratta di ghiaccio "freddo", con temperatura cioè sempre al di sotto del punto di fusione); ne deriva che gli effetti di un eventuale riscaldamento dell'atmosfera sono avvertibili in questi ghiacciai solo dopo tempi di risposta molto lunghi, dell'ordine di centinaia o addirittura migliaia di anni. I ghiacciai himalayani, pur tenendo conto delle quote elevatissime raggiunte da quelle montagne (vi si raccolgono tutte le cime della terra superiori agli 8000 m), possono invece costituire un utile e interessante termine di paragone. Partendo da queste considerazioni, alcuni studiosi italiani da qualche anno si sono diretti verso gli apparati glaciali dell'Himalaya e del Karakorum, seguendo la traccia del maestro di questi studi, il prof. Ardito Desio, che dalla vetta dei suoi 101 anni felicemente portati, è ancora prodigo di consigli per i giovani ricercatori. Lo stesso Desio fu l'ideatore del Laboratorio-Piramide che sorge a 5050 m ai piedi dell'Everest. Anche quest'anno un gruppo di studiosi italiani nell'ambito del Programma di Ricerca Ev-K2-CNR si dirigerà verso queste montagne. Lo scopo principale è la verifica delle "condizioni di salute" di alcuni dei ghiacciai situati ai piedi dell'Everest, in particolare il Changri Nup, che confluisce da destra nella più grande colata del Ghiacciaio Khumbu. Si tratta quindi di valutare le variazioni areali, di spessore, di volume, di confrontarle con i dati climatici dell'ultimo mezzo secolo. Si utilizzeranno sofisticati strumenti topografici che, anche con l'ausilio di satelliti orbitanti nell' atmosfera, permetteranno la restituzione di carte accurate a grande scala dei ghiacciai oggetto della ricerca. Il confronto, effettuato con metodologie informatiche, con la cartografia preesistente permetterà di determinare insomma se anche in questa zona dell'Himalaya, come avviene sulle Alpi, è in atto il disfacimento delle colate glaciali. Altro tema di interesse e di confronto fra le due catene montuose è il comportamento e l'evoluzione dei ghiacciai nella presente fase di regresso. Gli appassionati di montagna avranno notato come le superfici dei ghiacciai alpini in questi ultimi anni siano divenute più "nere", abbiano cioè aumentato la loro copertura detritica. In Himalaya i ghiacciai più diffusi sono proprio quelli "neri", i cosiddetti "debris covered glaciers", la cui lingua è totalmente ricoperta di un mantello di pietrame (ricordiamo che sulle Alpi queste strutture sono piuttosto rare; un esempio nel gruppo dell'Adamello è costituito dal ghiacciaio del Venerocolo). Il detrito riduce la fusione del ghiaccio sottostante, modifica gli scambi energetici fra atmosfera e criosfera, in altre parole rappresenta una sorta di autodifesa del ghiacciaio di fronte all'incremento termico. Come avviene questa autodifesa, quali sono gli spessori di detrito che possono permettere la sopravvivenza del ghiacciaio, da dove deriva il detrito, quali sono i tempi richiesti per attuare una copertura completa, quali sono gli incrementi termici sopportabili con i vari spessori di detrito, quale sarà in ogni caso il destino di queste colate glaciali? Sono queste alcune delle domande a cui i ricercatori italiani che partiranno fra pochi giorni per l'Himalaya cercheranno di dare risposte e di fornire informazioni anche ai lettori bresciani quasi in tempo reale. L'auspicio è che il loro lavoro porti ad una migliore conoscenza delle condizioni attuali di quel fenomeno naturale straordinario rappresentato dai ghiacciai e suggerisca una riflessione su un approccio meno distruttivo con l'ambiente naturale, di cui noi stessi siamo inevitabilmente una parte, ricordiamolo, non indispensabile. 3° Approfondimento MONTE EVEREST E K2: QUAL E' LA CIMA PIU' ALTA DEL MONDO ? L'avventurosa storia delle misurazioni delle più alte cime delle terra di Giorgio Porretti Qual'è la montagna più alta del
mondo? A questa domanda si risponde facilmente: il Monte
Everest nella catena himalayana. Questa convinzione venne
smentita dal clamoroso annuncio che l'astronomo Prof.
George Wallerstain fece l'8 maggio 1987, affermando che
il K2 superava di 11 m il Monte Everest secondo alcune
misure effettuate con uno degli apparecchi più moderni
che utilizzano i segnali emessi da alcuni satelliti
artificiali. Il Prof. Ardito Desio, che aveva condotto
nel 1954 la spedizione Italiana per la prima ascensione
del K2, si mobilitò per organizzare una spedizione
scientifica che verificasse questa nuova ipotesi sulle
quote dei due giganti himalayani. Per quanto riguarda
l'esecuzione delle misure si ricorse ad apparecchiature
di una generazione più recente di quelle impiegate da
Wallerstein, note con la sigla GPS (Global Positioning
System). La nuova tecnologia GPS si basa sul segnale
trasmesso a terra da una costellazione di satelliti che
descrivono orbite a circa 20000 Km dalla terra e ricevuto
dagli utenti grazie opportune antenne riceventi. Grazie
al segnale ricevuto contemporaneamente da almeno 4
satelliti è possibile risalire alla propria posizione in
modo molto più veloce e accurato rispetto ai metodi
tradizionali. Le misurazione della quota dell'Everest e
del K2 vennero effettuate in due fasi distinte: in una
prima fase vennero valutate le posizioni dei relativi
campi basi con l'uso dei GPS in una seconda fase,
collimando la cima da punti diversi con un teodolite e
misurando le distanze tra i punti di osservazione, venne
valutata la quota della cima. Partita per Khatmandu il 19
luglio 1987 la spedizione italiana riuscì ad effettuare
la misura delle due cime in un mese sotto la guida del
Prof. Alessandro Caporali e attestò all'Everest la quota
di 8872 metri più o meno 20/24 metri maggiore di quella
ritenuta anteriormente, e al K2 la quota di 8616 metri
più o meno 7metri. Molto tempo era passato da quando nel
1818 il geografo prussiano Alexander von Humboldt
riportava sulla famosa rivista Annales de Chemie et de
Physique i risultati delle prime misure inglesi delle
montagne della catena himalayana A quell'epoca si pensava
che la vetta più alta fosse il Dhaulagiri oggi incluso
nel numero delle 14 montagne che superano gli ottomila
metri di quota. Per ottenere valori numerici affidabili
delle altezze mancavano delle basi certe di riferimento,
cioè punti in valle di altezza nota dai quali effettuare
le misure Per quotare queste basi lontane migliaia di
chilometri .dal mare, quota zero di riferimento, si
utilizzavano allora barometri pesanti, fragili e soggetti
alle variazioni meteorologiche. Solo nel ventennio
successivo vennero stabilite basi trigonometriche certe
quando, cioè, William Lambton e George Everest
arrivarono alle falde dell'Himalaya con le misure del
Grande Arco Trigonometrico dell'India. Durante tale
campagna di misura vennero individuati il Kanchenjunga
(il terzo ottomila in ordine di altezza) e il Picco XV
(più tardi chiamato Monte Everest) la quota del quale
venne approssimata a 8840metri. La ricerca del Survey of
India, l'ente Indiano per la Cartografia e la Topografia
fondato da Lambton, continuò le sue misure verso ovest,
dove la catena forma un arco convesso e prende il nome di
Karakorum. 4° Approfondimento LE MODERNE TECNOLOGIE DI POSIZIONAMENTO SATELLITARE FINALIZZATE AL RILEVAMENTO DEI GHIACCIAI HIMALAYANI Autori: Gaetano Carcano, Matteo Sgrenzaroli, Giorgio Vassena E' nel luglio 1998 presso l'accogliente Rifugio Bignami, ai piedi delle stupende masse glaciali che dalle cime del gruppo del Bernina scendono a sud verso la Val Malenco, che per la prima volta, durante uno dei periodici incontri del Comitato Glaciologico del Club Alpino Italiano (CAI), incontriamo tutti insieme il Prof. Claudio Smiraglia, presidente del Comitato Scientifico del Club Alpino Italiano. Alcuni di noi già da tempo collaboravano saltuariamente con le attività del Comitato Glaciologico, mettendo a disposizione il proprio tempo libero e le proprie capacità alpinistiche per le rilevazioni glaciologiche su diversi ghiacciai alpini. In questa occasione però, per la prima volta, nel colloquio con il Prof. Smiraglia si mette a tema anche come le nostre capacità professionali nel campo del rilievo topografico-fotogrammetrico e da satellite (remote sensing) possano essere efficacemente impiegate in questo settore di ricerca. E' così che si decide di attivare al più presto una serie di iniziative di sperimentazione pratica di rilevamento moderno, su un'area test, il ghiacciaio del Pizzo Scalino. Ci ritroviamo dunque, dopo qualche mese, su cima Fontana, di fronte al ghiacciaio del Pizzo Scalino, con la strumentazione topografica e fotogrammetrica al seguito, con l'obiettivo di definire delle metodologie rigorose ma allo tempo stesso speditive e facilmente ripetibili anche da personale non specializzato, per rilevare le variazioni geometriche di un ghiacciaio attraverso un approccio fotogrammetrico, dunque solo tramite fotografie o immagini del ghiacciaio stesso. Le quantità che si intendono osservare sono l'estensione areale della superficie coperta da ghiaccio, gli spostamenti della posizione della fronte, la determinazione della posizione della linea di separazione tra nevato e ghiaccio vivo (linea di equilibrio), la stima della velocità di scorrimento. Da un punto di vista metodologico l'approccio più efficace per la determinazione di queste grandezze sarebbe l'elaborazione di foto aeree ottenute con voli dedicati e con camere utilizzate usualmente per fini cartografici, insomma un vero e proprio rilievo aerofotogrammetrico. Purtroppo le limitate risorse economiche a disposizione limitano l'impiego di questo approccio solo a casi sporadici ed unicamente sulle masse glaciali di maggior interesse. Una valida alternativa ai voli aerofotogrammetrici potrebbe venire nei prossimi anni dall'utilizzo delle immagini acquisite dai nuovi satelliti ad alta risoluzione per il telerilevamento di cui è prevista la messa in orbita a breve. Questi satelliti saranno in grado di fornire a tutti gli utenti, tramite modalità di scelta dell'immagine e acquisto via INTERNET, immagini della superficie terrestre con risoluzione dell'ordine di pochi metri e dunque, in campo glaciologico, dovrebbero permettere di definire i contorni dei ghiacciai con precisioni dell'ordine di qualche decina di centimentri. Purtroppo uno di questi satelliti, Earlybird della americana Earthwatch (risoluzione a terra di 3 metri in pancromatico), posto in orbita nel corso di quest'anno, è stato "perso" dalle stazioni di controllo a terra e dunque le sue immagini non potranno essere utilizzate, come previsto in precedenza, per lo studio del ghiacciaio Himalayano Changri Nup. Le metodologie per la determinazione delle variazioni geometriche dei ghiacciai sono effettuate generalmente seguendo approcci molto diversi a seconda delle competenze dei singoli glaciologi in campo topografico e a seconda della "tradizione" di misura applicata in ogni specifico ghiacciaio. L'utilizzo dei moderni teodoliti elettronici (chiamati in topografia Stazioni Totali) in cui è integrato un distanziometro, può fornire dei buoni risultati in termini di precisione della misura di alcuni particolari dei ghiacciai, in particolare dell'avanzamento o arretramento delle fronti. Tale strumentazione è però di difficile utilizzo per il rilievo delle estese e corrugate superfici dei ghiacciai. La stazione totale richiede infatti che il punto misurato sia visibile dal punto di stazione dello strumento, la qual cosa è spesso di difficile attuazione. Si è dunque sperimentato l'utilizzo della moderna strumentazione di posizionamento satellitare GPS (Global Positioning System) che può in parte risolvere i problemi prima citati. Ma cosa e' il sistema GPS, di cui oggi si sente tanto parlare? Il sistema GPS, Global Positioning System, e' un sistema che permette di posizionare un punto in qualsiasi parte del globo, con qualsiasi condizioni metereologica e in qualsiasi luogo, elaborando il segnale proveniente da una costellazione di satelliti. Nato come primo prototipo gia'durante la guerra del Vietnam ad opera dell'esercito americano, al fine di rispondere all'esigenza militari di un sistema che permettesse agli utenti militari di determinare la propria posizione con buona precisione e senza essere individuati dal nemico. A tal fine il sistema GPS si basa su antenne in grado di ricevere segnali da satellite, senza la necessità di dover emettere a sua volta alcun tipo di segnale; tale sistema e' stato reso disponibile per usi civili a partire dagli anni '80 ed ora è di vastissimo impiego. Il primo prototipo di questo sistema di posizionamento, chiamato TRANSIT, era basato su una costellazione di satelliti posta in orbita gia' a partire dal 1960, ma e' risultata poco affidabile. Il 22 Febbraio del 1978 veniva mandato in orbita il primo satellite della costellazione GPS e poco tempo dopo il sistema GPS diventava operativo su tutto il globo. Il sistema GPS e' costituito da 3 distinti componenti definiti "segmenti": il segmento spaziale, il segmento di controllo ed il segmento utente. Il segmento spaziale si riferisce alla costellazione di satelliti e alle informazioni navigazionali ad essa collegate, cioe' alla loro posizione ad ogni istatante. La costellazione attuale e' composta da 24 satelliti utilizzabili ed e' studiata in maniera tale che in ogni posizione sulla terra siano visibili almeno 4 satelliti contemporaneamente. Il segmento di controllo e' costituito da tutte quelle stazioni a terra che seguono e controllano di continuo la posizione dei satelliti. Questo viene effettuato tramite opportuni strumenti a puntamento laser; in questo modo l'informazione che il satellite trasmette al ricevitore riguardo la propria posizione puo' essere continuamente aggiornata ottenendo una stima della propria posizione accurata. La stazione di controllo principale e' situata nella base dell'aviazione americana di Falcon in Colorado. Le altre stazioni di controllo sono sparse in tutto il globo. Il segmento utente e' costituito essenzialmente dall'utilizzatore con il proprio o i propri apparati di ricezionne, il quale per utilizzare il segnale satellitare non deve pagare alcun abbonamento, ma unicamente provvedere all'acquisto degli strumenti stessi. Il posizionamento di un punto mediante il sistema GPS e' possibile grazie all'elaborazione del segnale proveniente dal satellite che prevede la stima della distanza tra il punto di osservazione e almeno 4 satelliti della costellazione GPS. L'utente del sistema GPS tramite un'antenna e un ricevitore (spesso uniti in un unico strumento), è dunque in grado di conoscere la propria posizione nel sistema di coordinate preferito. Il calcolo della posizione può avvenire in tempo reale tramite la modalità "pseudorange", con precisioni nell'ordine di 50-100 metri ed è in questo modo che operano gran parte dei ricevitori "palmari" e di basso costo (da 500-600 mila lire fino a 6-7 milioni). Ciò che differenzia tali ricevitori di tipo "speditivi" sono diversi parametri tra cui il numero massimo di satelliti osservabili (numero di canali), la qualità del trattamento del segnale, la possibilità di registrare il segnale, la qualità dell'interfaccia utente e il livello di miniaturizzazione dello strumento. Gli impieghi di tali sistemi sono molto vari, spaziando dall'impiego nella gestione di flotte di veicoli commerciali all'impiego nei sistemi di antifurto per autoveicoli; risultano in generale molto utili per tutte quelle situazioni in cui è necessario sapere "dove si è", quindi viaggi d'avventura, posizionamenti di natanti, safari ma anche piu' semplicemente per trekking nelle montagne di casa nostra. L'impiego topografico e dunque di precisione del sistema GPS si basa invece su un trattamento assai più complesso dei segnali provenienti dal segmento spaziale e sull'utilizzo del sistema in forma differenziale. Si rinuncia cioè a definire la posizione dei ricevitori in tempo reale e rispetto ad un sistema di riferimento assoluto, per fornire i risultati dopo opportuni trattamenti dati e solo come posizione relativa tra i diversi ricevitori. In topografia dunque la misura GPS viene sempre effettuata utilizzando le registrazioni dei segnali satellitari effettuate contemporanee da diversi ricevitori posizionati nei punti di cui si desidera determinare la posizione relativa. In questo modo è possibile determinare con precisioni dell'ordine di pochi millimetri al chimometro la distanza e l'angolo rispetto al nord di due punti posti sulla superficie terrestre. La rivoluzione epocale di tale approccio alle misure topografiche è costituito dal decadere di uno dei più importanti vincoli sempre esistiti nel campo del rilevamento e cioè dalla visibilità tra il punto di stazionamento strumentale e il punto osservato con le ottiche dello strumento. Misurare la posizione relativa tra punti posti alle pendici opposte di una montagna di migliaia di metri non costituisce più un problema ! Se dunque l'impiego dei sistemi GPS in applicazioni topografiche richiede l'intervento di personale specializzato e l'uso di strumentazione altamente costosa (si pensi che un ricevitore "geodetico" in grado di registrare entrambe le frequenze L1 ed L2 emesse dai satelliti GPS può costare nell'ordine di 50 milioni di lire), è anche vero che la produttività di tale approccio è elevatissima, se confrontata con i metodi di rilevamento topografici classici. Nel marzo 1998 presso il ghiacciaio del Pizzo Scalino, ancora in situazioni di innevamento invernale, si è dunque provveduto a realizzare ad una quota superiore ai 3000 metri e con temperature variabili tra -5 e -15 gradi una campagna di misura con GPS finalizzata a calcolare la posizione di alcuni punti di controllo dello stato di innevamento o di ablazione (per il periodo estivo) del ghiacciaio, da anni studiati dal Prof. Giacomo Casartelli. Tali misure sono state ripetute nell'agosto 1998, permettendo dunque ai ricercatori di valutare la variazione dello spessore del ghiaccio, confrontando la differenze in quota misurata durante le due campagne di misura. L'interesse per l'evoluzione dei ghiacciai alpini non può che portare ad interessarsi anche ai ghiacciai himalayani, che in molti aspetti permettono di osservare, anche se in scala molto maggiore, quelli che saranno gli effetti del ritiro anche nei nostri ghiacciai. Nell'aprile 1998 abbiamo dunque deciso di impegnarci nell'organizzazione di una ricerca riguardante lo studio di un ghiacciaio himalayano, al fine di studiarne l'evoluzione nel tempo e per individuare l'approccio topografico più efficace per il rilievo. Il ghiacciaio scelto è lo Changri Nup alle pendici del monte Pumori e affluente del ghiacciaio Khumbu che ha origine nel monte Everest. La scelta dello Changri Nup è dovuta alla sua posizione in prossimità della "piramide", il laboratorio di ricerca del CNR posto in quota lungo una morena del ghiacciaio Khumbu, e al fatto che il Prof. Claudio Smiraglia già nel periodo compreso tra il 1994 e il 1997, aveva effettuato ricerche su tale ghiacchiaio, con prelievi di campioni di neve e ghiaccio e misurazioni topografiche riguardanti la posizione della fronte "bianca", cioè non ricoperta da detrito, del ghiacciaio stesso. Lo Changri Nup sarà rilevato mediante strumentazione GPS (Trimble), cortesemente avuta in prestito grazie all'interessamento degli ingg. Nardini e Padovani della sede centrale di Nikon Italia, che gestisce la rete di vendita e di assistenza di tale strumentazione in Italia. La spedizione scientifica, denominata "Changri Nup Glacier Monitoring Expedition", è composta da cinque membri. Giorgio Vassena, ricercatore presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Brescia e responsabile delle misurazioni topografiche, Gaetano Carcano e Matteo Sgrenzaroli del JRC (Joint Research Center) centro di ricerche comune della CEE a Ispra, da Giacomo Casartelli del Comitato Glaciologico del CAI e da Roberto Sgrenzaroli, responsabile logistico della spedizione. Gli obiettivi della spedizione sono scientificamente arditi. Si prevede di realizzare ad una quota compressa tra 5000 e 5600 metri, una rete topografica determinata con GPS, in modo da definire lungo i bordi del ghiacciaio una serie di vertici in cui le coordinate siano note con elevata precisione (si pensi che per determinare con preciisone i lati della rete topografica si prevede di stazionare con il ricevitore GPS per circa 40 minuti). Le coordinate dei punti saranno valutate a partire dai vertici impiegati dai Proff. Poretti e Marchesini per la valutazione della quota del monte Everest. La base di partenza logistica per queste misurazioni sarà in un primo momento la piramide di ricerca del CNR ed in seguito un campo avanzato allestito a quota 5500 metri. Una volta determinate le coordinate dei vertici della rete definita "principale" per le elevate caratteristiche di precisione (pochi millimetri) che la caratterizza, si provvederà ad acquisire delle sezioni trasversali del ghiacciaio, in modalità RTK dall'inglese Real Time Kinematic (rilievo in tempo reale in movimento). Si tenterà dunque di applicare, per la prima volta a queste quote, una modalità di misurazione GPS che prevede il calcolo delle coordinate dei punti in cui si trova l'antenna di ricezione, in tempo reale. Tale modalità prevederà il posizionamento in quota di un'antenna GPS posizionata su un treppiede topografico, in corrispondenza di un punto noto della rete "principale", che trasmetterà nell'etere, mediante un'antenna direzionale e un'apparato di trasmissione radio opportunamente amplificato (denominato radio-modem), i dati ricevuti dai satelliti. Altri due operatori si muoveranno sul ghiacciaio, dotati anch'essi di un'antenna GPS in grado di ricevere i dati satellitari e di una radio ricevente, in grado di ricevere i dati trasmessi dall'antenna fissa posta sul treppiede. Gli operatori in cammino sul ghiacciaio, mediante l'uso di un opportuno "computer-ricevitore" che elabora insieme i dati satellitari ricevuti dall'antenna fissa e quelli ricevuti dall'antenna al seguito dell'operatore, potranno conoscere ogni 5 secondi la propria posizione con precisione dell'ordine di pochi centimetri. In questo modo il rilievo di sezioni e di altri particolari del ghiacciaio diventa rapido e certo nei risultati, permettendo una veloce verifica della qualità del lavoro di rilevamento in fase di esecuzione dello stesso. Se la spedizione sarà in grado di ottenere questi risultati, si dedicherà anche alla stima della velocità di scorrimento del ghiacciaio verso valle, posizionando ad intervalli di pochi giorni i ricevitori di segnali GPS a diverse quote del ghiacciaio stesso, giungendo fino alla quota massima di 6000 metri. Le incognite di un così fitto programma di lavoro ad una quota "estrema" sia per i materiali che per il fisico dei ricercatori, presenta numerose incognite. Saranno sufficienti i pannelli solari del campo avanzato a caricare le batterie della strumentazione (teodolite, GPS, computer portatili, radio, telefono satellitare) ? Riusciranno i ricercatori ad avere la lucidità necessaria per non commettere errori nelle eleborazioni di dati che dovranno essere eseguite la sera nelle tende di alta quota, alla luce di candele e lampade a gas, dopo una giornata spesa camminando in alta quota ? Sarà il tempo clemente permettendo il rispetto del programma delle misure topografiche ? I risultati scientifici della spedizione potranno permettere di definire un moderno approccio alla problematica del rilievo dei ghiacciai himalayani. La spedizione sarà stata inoltre un'occasione per diffondere anche al grande pubblico, attraverso il Giornale di Brescia e il sito WEB disponibile in Internet, le problematiche connesse allo studio dei ghiacciai e alle aggiornate metodologie di rilevamento topografico. Da parte nostra, componenti della spedizione, sarà stata l'occasione per rinfrancare un'amicizia nata qualche anno fa al Politecnico di Milano durante il corso di Topografia, tra due giovani studenti (Gaetano Carcano e Matteo Sgrenzaroli) e un giovane laureato dottorando nella materia; un'amicia nata da un comune interesse per la montagna, il rilevamento e più in generale per una passione nell'indagare gli aspetti sempre stupefacenti della realtà che ci circonda. |