QUESTIONE MERIDIONALE

 

LA PIOVRA:

NOTE SULLE ORIGINI E SU TALUNI ASPETTI DELLA CRIMINALITA’ MAFIOSA

 

La mafia nasce in Sicilia come conseguenza della questione meridionale post-unitaria ponendo le sue radici nella struttura socio-economica feudale (caratterizzata da forti rapporti personali) nonché in costumi e usanze precedenti all’unificazione.

La Sicilia, sopratuttutto il triangolo Palermo – Trapani – Agrigento prima sede della mafia, durante il Settecento non raggiunge un grande sviluppo industriale e commerciale e questo fa sì che, invece che una classe borghese moderna, persista un piccola borghesia che vive all’ombra della nobiltà al di fuori della ventata riformatrice dell’Illuminismo. Così il latifondo, fino all’unità d’Italia, rimane alla base di tutta l’economia dell’isola. Questi feudi, proprietà dei nobili vengono gestiti non da loro direttamente, ma suddivisi in grandi tenute assegnate ai gabellotti i quali le subaffittano ai contadini.

Questa gerarchia piramidale crea un larghissimo strato di contadini poveri che lavorano saltuariamente e che si affidano alla chiesa per l’assistenza.

Da questa gerarchia nasce un sistema illegale che affida alla giustizia privata la tutela dell’ordine pubblico solo con le maniere forti. A capo di questo sistema ci sono i gabellotti i quali per la riscossione dei fitti delle loro terre utilizzano la violenza, inoltre sono loro che decidono chi e per quanto tempo debba lavorare, detenendo così sia la “giustizia” che lo sfruttamento dei privilegi favorendo solo chi li contracambia con favori.

Ma ci sono anche altri gruppi armati, in Sicilia: i briganti formati da contadini ribelli e i gruppi che combattono il banditismo, istituiti dai Borboni. Questi gruppi, specialmente i gabellotti, sono già associazioni di stampo mafioso.

Nel 1860 molti gruppi mafiosi appoggiano Garibaldi nella guerriglia contro i Borboni credendo di poter acquisire ulteriori vantaggi dopo aver raggiunto l’autonomia della regione Sicilia. Ma quando il governo italiano impone l’annessione dell’isola al nuovo Stato, i mafiosi si inserscono nella generale delusione che si trsforma in diffidenza verso

le autorità del nuovo Stato vissuto come nuovo conquistatore.

 


I briganti iniziano una guerra contro l’esercito italiano, rifugiandosi sulle montagne nei periodi di crisi e occupando città e paesi quando è possibile. Alcuni di questi briganti divengono delle vere e proprie leggende. Dal canto suo il governo di Torino organizza una guardia nazionale che cerca di evitare l’unificazione delle bande.

Successivamente, il parlamento promuove un’inchiesta per scoprire le cause profonde del brigantaggio. Ma questi documenti vengono archiviati e coperti dal segreto di Stato. Nell’agosto del 1863 si arriva al culmine della repressione con la legge Pica in cui si concede il libero arbitrio alle autorità nell’infliggere le pene. Alla fine del 1865 il brigantaggio è quasi del tutto sconfitto, anche se in realtà continua a esistere ma con legami di massa.

La Sicilia non è colpita dal fenomeno del brigantaggio ma ci sono molte tensioni sociali come l’insurrezione di Palermo che vede una partecipazione popolare vastissima dovuta alla crisi economica e alla disoccupazione.

Così la legge unica viene estesa fino all’isola. Però le difficoltà della nuova amministrazione e le resistenze dei dirigenti locali alimentano nella Sicilia occidentale un fenomeno di criminalità organizzata chiamata “mafia”.

All’inizio l’organizzazione mafiosa è formata da gruppi di persone che si mettono a servizio dei latifondi per la repressione violenta dei moti contadini; successivamente la mafia si instaura nei settori amministrativi e politici della città e prende sempre più piede perché ci sono molti che provano risentimenti per l’amministrazione piemontese. Mentre il governo cerca di stroncare il brigantaggio, nell’opinione pubblica prende forma la cosiddetta “questione meridionale”. Così si inizia ad analizzare il meridione evidenziando: il tema della mafia, quello della camorra, quello del brigantaggio e dell’analfabetismo. Per affrontare la questione meridionale taluni si affidano al “mito del buon governo” cioè la fiducia nelle riforme dello Stato liberale, altri di orientamento democratico e socialista concentrano l’attenzione sulle vere cause del problema, per la cui soluzione ritiene opportuna un’alleanza tra gli operai del Nord e i contadini del Sud, quindi l’ascesa della classe contadina meridionale.

Anche le successive imposizioni fiscali e la lotta al brigantaggio decretate dal governo contribuiscono a far crescere il malcontento della popolazione, che si rifugia nella mafia, vista come un potere meno istituzionale e più affidabile.

Poi la mafia inizia a dare un sostegno ai candidati alle elezioni che in cambio dovevano garantirle la possibilità di controllare determinate zone siciliane.

Dopo il 1876 il potere della mafia si allarga, perché i deputati siciliani, eletti dai mafiosi, sono determinanti per la costituzione del governo De Pretis. Inoltre i gabellotti hanno cambiato il loro rango sociale, dato che le nuove generazioni iniziano ad essere alti funzionari, medici, avvocati e grandi esponenti del clero.

Ma anche se la mafia ha aumentato le proprie ricchezze, ha ancora bisogno dell’appoggio di nobili e di persone incensurate che si occupino dei rapporti con le istituzioni politiche e religiose. Molti sono i tentativi di onesti funzionari di far luce sulle oscure vicende delle organizzazioni mafiose ma ogni volta questi vengono sollevati dalle loro indagini o il caso è chiuso per insufficienza di prove.

Tutti quelli che tradiscono l’organizzazione vengono uccisi in maniera brutale, così dal 1901 al 1905 numerosi sono i casi di omicidi e sequestri.

Alla fine dell’ottocento si assiste ad un grande flusso migratorio verso l’America dei siciliani in cerca di lavoro, e tra questi ci sono anche grandi capi mafiosi che creano una rete criminale collegata con la Sicilia.

In Italia, durante gli anni che vanno dal governo Crispi alla Prima guerra mondiale, la mafia continua a rafforzare i suoi rapporti con i politici e sono proprio i mafiosi che cercano di reprimere il  movimento socialista che spinge i contadini a ribellarsi allo sfruttamento.

Con il fascismo, la mafia sembra arrestata perché Mussolini manda prefetti e poliziotti in Sicilia per controllare meglio le organizzazioni. Ma, al contrario di quanto affermano i fascisti, l’organizzazione mafiosa non viene sconfitta, e lo dimostrano i numerosi processi irrisolti, con assoluzioni per insufficienza di prove.

La mafia collabora anche con gli alleati prima dello sbarco in Sicilia: infatti i servizi segreti americani usano i mafiosi americani per mettersi in contatto con quelli siciliani ed ottenere dei suggerimenti militari. In cambio la mafia cerca di ottenere l’impunità per alcuni membri sotto processo in Italia e negli Stati Uniti e un’ampia autonomia regionale della Sicilia.

Anche dopo la guerra la mafia, dichiaratasi disponibile alla lotta al comunismo, coopera con il movimento indipendentista e il banditismo per impedire l’avanzata dei partiti di sinistra e del sindacato (ne è un esempio la strage di Portella delle Ginestre del 1947 durante la manifestazione della CGIL per il 1° Maggio).

Dopo aver sostenuto l’area liberale e monarchica, dopo il 1948 i mafiosi si infiltrano anche nella Democrazia Cristiana e condizionano le scelte delle amministrazioni in modo da ottenere appalti destinati ad opere pubbliche.

Alla fine degli anni’50 la mafia subisce una trasformazione che concide con i nuovi cambiamenti politici. Infatti il governo avvia un programma di intervento economico che serve per industrializzare la Sicilia ancora in ritardo nello sviluppo e prevalentemente agricola. Così vengono promosse molte opere pubbliche che contribuiscono a far guadagnare sempre più i capi mafiosi perché sono loro che gestiscono gli appalti edilizi.

La mafia, in questi anni, allarga il proprio giro e ben presto investe la ricchezza creata da atti illeciti in attività lecite, come il commercio, l’industria e le banche. Questo riciclaggio di denaro sporco contribuisce a migliorare lo sviluppo economico siciliano legando alla causa mafiosa onesti cittadini.

Anche il rapporto tra la mafia e i politici cambia, infatti i mafiosi non hanno più bisogno dei nobili per tenere i contatti con le istituzioni perché ora ci sono politici, avvocati e commercialisti che fanno direttamente parte dell’organizzazione. E molti partiti, soprattutto la Democrazia Cristiana, vengono accusati di connivenza con le           organizzazioni mafiose perché ricevono molti voti dalla Sicilia. Ma soprattutto la sottovaluatzione e la negazione del problema – mafia da parte di vasti settori politici ed esponenti ecclesiastici siciliani, che ancora negli anni ’60 respingono gli attacchi alla mafia come attacchi a tutta la Sicilia, contribuiscono a creare attorno alla mafia un muro di omertà, che impedisce per lungo tempo che i processi per mafia colpiscano non solo la manovalanza ma la “cupola”.

A partire dagli anni ‘70 il traffico degli stupefacenti, in particolare dell’eroina, diventa una delle più importanti attività mafiose, raggiungendo livelli mondiali: infatti i mafiosi acquistano la materia prima dal Medio Oriente, poi vanno negli Stati Uniti ed in Europa per la raffinazione e lo spaccio. Questo enorme traffico causa molte guerre tra le diverse orgnizzazioni mafiose: in Italia tra mafia, camorra e ‘ndrangheta, in Francia tra mafia e marsigliesi e negli Stati Uniti tra Cosa Nostra e la mafia cinese. Ma dà anche il via ad una lotta internazionale alla mafia.                

In Italia nuove leve di giudici e amministratori contribuiscono a creare una cultura antimafia tra la popolazione siciliana e danno il via a processi significativi che finalmente colpiscono i vertici dell’organizzazione. Molti pagano con la vita, come il procuratore della repubblica Scaglione, il commissario di polizia Giuliano, il magistrato Terranova, il capitano dei carabinieri Basile, il procuratore della repubblica Costa, il segretario regionale del Pci La Torre, il generale dei carabinieri Dalla Chiesa, il giudice Chinnici, i magistrati Falcone e Borsellino e il giornalista Fava.

Ma tutt’oggi, nonostante i casi mortali inferti, l’organizzazione  non sembra ancora sconfitta.

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Aggiornato il 12/06/01