EDUCAZIONE E PASSIONE
... A me, come padre di famiglia, occorre altro. Me lo chiedo da tempo, in un mondo che
peggiora, in una società come la nostra, che degrada di giorno in giorno, e nasconderselo sarebbe ingenuità o delitto. Si respira un’aria che addormenta, piena di bacilli che corrompono. La tendenza a scavarsi ciascuno - in questa realtà morbida, instabile, disorientante - una piccola nicchia di quiete personale è diffusa come un’epidemia. L’arte del compromesso è alla portata di tutti, come Kant e Croce nelle collane tascabili. Gli strumenti della tecnica entrati nella vita quotidiana per servirla, se ne impadroniscono. L’auto, il televisore, il frigorifero, la lavatrice, il giradischi sono idoli, ormai più venerati e obbediti di qualsiasi altro nella storia delle religioni. Diventiamo meschini senza accorgercene, proprio come si diventa vecchi o pazzi. La lezione della moderazione, del buon senso, del senso comune si fa ossessionante. Le “piccole virtù” prendono il posto della “grande passione”, come in un matrimonio di convenienza. Le “grandi passioni” sono faticose: è facile stancarsene.
Penso di descrivere (telegraficamente) un’esperienza abbastanza diffusa, di additare un pericolo che certo non siamo in pochi a vedere. Ecco, mi interessano soprattutto i suoi riflessi sul nostro rapporto coi figli. Se siamo noi a cedere, ad abbandonarci ad una vita “senza passione”, a non provare rabbia per come va il mondo, a guarire dalla nausea, a rinunciare all’azione, possiamo ottenere due risultati, per noi egualmente negativi: nel caso migliore (per loro) saranno i figli a rivoltarsi contro di noi, a fare contro di noi la loro “rivoluzione culturale” (speriamo che l’immagine non mi faccia qualificare come cinese); nel caso peggiore, alleveremo dei piccoli ipocriti carrieristi. Bravi tecnici, magari, ma odiosi “benpensanti”.
E se noi non cediamo: se continuiamo a pensare che una vita “senza passione” è degna di un albero, di un gatto, ma non di un uomo, allora come possiamo comunicare ai nostri figli questo atteggiamento? Sono sufficienti, allora, i consigli della psicologia e le conquiste della pedagogia sperimentale? Essere “genitori moderni” può bastare? Fino a che punto, e con quali mezzi, l’educazione del cuore deve accompagnarsi all’educazione della mente? Dovrei definire, prima d’andare avanti, che cosa intendo per “passione”. Sono sicuro d’averlo già fatto capire a sufficienza. Ma se occorre una definizione più precisa, eccola: intendo per “passione” la capacità di resistenza e di rivolta; l’intransigenza nel rifiuto del fariseismo, comunque mascherato; la volontà di azione e di dedizione; il coraggio di “sognare in grande”; la coscienza del dovere che abbiamo, come uomini, di cambiare il mondo in meglio, senza accontentarci dei mediacri cambiamenti di scena che lasciano tutto com ‘era prima: il coraggio di dire di no quand’è necessario, anche se dire di sì è più comodo, di non “fare come gli altri”, anche se per questo bisogna pagare un prezzo.
...Rimane la necessità, il dovere di comunicare loro non solo il piacere della vita, ma la “passione della vita; di educarli non solo a dire la verità ma ad avere la “passione” della verità, ecc. Vederli felici non ci può bastare. Dobbiamo vederli “appassionati” a ciò che fanno, a ciò che dicono, a ciò che vedono. ...Dico, che oggi più di prima, oggi più che mai, i nostri figli hanno bisogno di esperienze che destino in loro quella che ho chiamato la “passione”: esperienze, non discorsetti, perché le parole non possono sostituire l’esperienza. ...I ragazzi hanno bisogno di quelle che una volta si chiamavano “le cose più grandi di loro”. Hanno bisogno di prender parte a “cose vere”. Hanno bisogno di misurare la loro energia su scala più vasta che non siano la scuola e la famiglia. Hanno bisogno di concepire ideali e d’imparare ad amarli sopra ogni altra cosa. Ciò che facciamo per incoraggiarli in questa direzione è giusto: ciò
che facciamo per trattenerli è sbagliato. Dai figli, una volta cresciuti, possiamo ricevere due sorte di rimproveri, possono rimproverarci di non averli aiutati “a far fortuna”, e sarebbe triste per loro e per noi, perché significherebbe che abbiamo educato de cinici egoisti. Ma sarebbe molto più grave se ci potessero rimproverare di aver dato alla loro vita un orizzonte moralmente meschino.
Gianni Rodari (da Scuola di fantasia, Ed.Riuniti,1992)