IL
PERIODO PREVERISTA
Giovanni
Verga,
autore di romanzi, racconti e opere teatrali, è considerato
unanimemente il massimo esponente del Verismo.
Nasce a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri.
I suoi studi non furono regolari: iscrittosi a diciotto anni alla facoltà
di legge, non terminò i corsi, preferendo dedicarsi al lavoro
letterario e al giornalismo politico.
Dopo avere scritto i suoi primi romanzi sul modello dei romanzi storici
risorgimentali (Amore
e patria, I carbonari della montagna,
Sulle lagune) si trasferì a Firenze, ove frequentò i
maggiori salotti letterari e compose le sue prime opere di successo, Una
peccatrice e Storia
di una capinera, che risentono spiccatamente dell’influenza
del secondo romanticismo, ma già rivelano la tendenza del Verga alla
ricostruzione oggettiva di ambienti e personaggi. C’è, infatti,
specie nel secondo romanzo (che tratta di una giovane costretta dai
familiari a vestire l’abito monacale senza alcuna vocazione e che,
innamoratasi perdutamente di un uomo, si lascia consumare dalla tisi),
assai palese lo sforzo di ritrarre oggettivamente l’ambiente monacale,
su cui l’autore operò una minuziosa ricerca di informazioni. Nel 1872
si trasferì a Milano ed anche qui fu bene accolto negli ambienti
culturali e dell’alta borghesia e proseguì nella sua attività di
scrittore di successo e compose altri romanzi, Eva,
Tigre reale ed Eros,
nei quali persiste la volontà di compiacere il pubblico dei suoi
ammiratori tardo-romantici, ma si accentua la tendenza verso una più
attenta ed oggettiva analisi della psicologia umana (visibili i segni
dell’influenza degli “scapigliati”).
L’APPRODO
AL VERISMO
In
realtà stava maturando in Verga una crisi. Dopo un silenzio di tre
anni, nel 1878 esce un racconto che si discosta fortemente dalla materia
e dal linguaggio della sua narrativa anteriore, dagli ambienti mondani,
dalle passioni raffinate e artificiose, dal soggettivismo esasperato,
lirico e melodrammatico: si tratta di Rosso Malpelo, la storia di
un garzone di miniera che vive in un ambiente duro e disumano, narrata
con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di raccontare di
una narrazione popolare. È
la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa
impersonalità. A dire il vero già nel 1874 Verga aveva pubblicato un
bozzetto di ambiente siciliano e rusticano, Nedda, che descriveva
la vita misera di una bracciante; ma il racconto non può essere
considerato un preannuncio della svolta: mutati gli ambienti, restano
infatti identici i toni melodrammatici dei romanzi mondani, ancora
sostanzialmente estranei all’impersonalità verista. Con l’approdo
al Verismo, Verga non abbandona affatto gli ambienti dell’alta società
per quelli popolari. Anzi, come afferma nella prefazione ai Malavoglia,
si propone di tornare a studiarli proprio con quegli strumenti più
incisivi di cui si è impadronito. Le “basse sfere” non sono che il
punto di partenza del suo studio dei meccanismi della società, poiché
in esse tali meccanismi sono meno complicati e possono essere
individuati più facilmente. Poi via via lo scrittore intende applicare
il suo metodo anche agli strati superiori, sino al mondo
dell’aristocrazia, della politica, dell’alta intellettualità. La
nuova impostazione narrativa inaugurata con Rosso
Malpelo
è continuata da Verga in una serie di altri racconti, raccolti nel 1880
nel volume Vita dei campi: Cavalleria rusticana, La lupa, Jeli
il pastore, Fantasticheria, L’amante di Gramigna, Guerra di Santi,
Pentolaccia.
IL
CICLO DEI VINTI E I MALAVOGLIA
Parallelamente
alle novelle Verga concepisce anche il disegno di un ciclo di
romanzi,
che riprende il modello già affermato dai Rougon-Macquart di Zola.
Il primo
accenno a questo disegno è nella Lettera
all’amico Salvatore Paola Verdura
del 1878. Criterio unificante dell’opera è il principio della lotta
per la sopravvivenza, che lo scrittore ricava dalle teorie di Charles
Darwin sull’evoluzione
delle specie animali ed applicata alla società umana: tutta la società,
ad ogni livello, è dominata da conflitti di interesse, ed il più forte
trionfa, schiacciando i più deboli. Verga però non intende soffermarsi
sui vincitori di questa guerra universale, ma sceglie come oggetto di
questa narrazione i vinti.
Il
primo romanzo del ciclo è I Malavoglia (1881), la storia di una
famiglia di pescatori siciliani. I Malavoglia rappresentano la
vita di un mondo rurale arcaico, chiuso in ritmi di vita tradizionali
che si modellano sul ritorno ciclico delle stagioni, e dominato da una
visione della vita anch’essa tradizionale, che si fonda sulla saggezza
antica dei proverbi. Ma non si tratta di un mondo del tutto immobile,
fuori della storia: anzi, il romanzo è proprio la rappresentazione del
processo per cui la storia penetra in quel sistema arcaico,
disgregandone la compattezza, rompendone gli equilibri, sconvolgendone
le concezioni ancestrali. L’azione infatti ha inizio all’indomani
dell’Unità, nel 1863, e mette in luce come il piccolo villaggio
siciliano sia investito dalle tensioni di un momento di rapida
trasformazione della società italiana. La storia e la modernità si
presentano innanzitutto con la coscrizione obbligatoria, ignota al regno
borbonico, che sottrae braccia al lavoro, mettendo in crisi la famiglia
come arcaica unità produttiva: proprio dalla partenza di 'Ntoni
per il servizio militare prende le mosse la vicenda, e ha inizio la
serie di difficoltà economiche e di sventure che rompono l’equilibrio
tra la famiglia Toscano e il sistema sociale del villaggio; a ciò si
aggiungono poi le tasse (la piccola sommossa paesana per il dazio sulla
pece), la crisi della pesca, il treno, il telegrafo e le navi a vapore,
che suscitano le reazioni ostili della mentalità immobile dei paesani.
Il
personaggio in cui essenzialmente si incarnano le forze disgregatrici
della modernità è il giovane 'Ntoni.
Egli è uscito dall’universo chiuso del paese, è venuto in contatto
con la realtà moderna, conoscendo la città del continente; per questo
non può più adattarsi ai ritmi di vita del paese. Emblematico è il
suo conflitto con il nonno, che, in opposizione a lui rappresenta lo
spirito tradizionalista per eccellenza. Alla fine Alessi riuscirà a
ricomporre un frammento dell’antico nucleo familiare, il che non vuole
dire un ritorno perfettamente circolare alla situazione iniziale. È
emblematico il fatto che il romanzo non si chiuda con l’immagine di
questa ricomposizione, bensì con la partenza di 'Ntoni dal paese.
La
costruzione del romanzo è bipolare: da un lato si collocano i Malavoglia, caratterizzati dalla fedeltà ai valori puri; dall’altro
la comunità del paese, pettegola, cinica, mossa solo dall’interesse,
insensibile sino alla disumanità. L’ottica del paese ha il compito di
straniare sistematicamente i valori ideali proposti dai Malavoglia. Quei
valori, onestà, disinteresse, altruismo, visti con gli occhi della
collettività appaiono strani, non vengono compresi, anzi vengono
stravolti e deformati: padron 'Ntoni
che rinuncia alla casa per onorare il debito non è ammirato per il suo
gesto nobile, ma giudicato un “minchione”,
perché non ha applicato la legge dell’interesse; l’angoscia del
vecchio patriarca per il figlio in mare durante la tempesta è
attribuita dal villaggio essenzialmente al timore per il carico di
lupini in pericolo, cioè a ragioni economiche.
DAI
MALAVOGLIA AL GESUALDO
Tra
il primo ed il secondo romanzo del ciclo passano ben otto anni. Nel
frattempo escono le Novelle rusticane (1883), che ripropongono
personaggi e ambienti della campagna siciliana. Nel 1889 esce infine Mastro-don
Gesualdo, storia dell’ascesa sociale di un muratore che, con la
sua intelligenza e la sua energia instancabile, accumula enormi
ricchezze, ma va incontro ad un tragico fallimento nella sfera degli
affetti familiari. Nel nuovo romanzo il livello sociale, in obbedienza
al piano del ciclo, si è elevato rispetto ai Malavoglia e alle
novelle: non si tratta più di un ambiente popolare, di contadini,
pescatori, operai, ma di un ambiente borghese e aristocratico. Ciò fa sì
che anche il livello del narratore si innalzi. Un’altra particolarità
dell’impianto narrativo distingue il Gesualdo dai Malavoglia.
Mentre di questi ultimi si è sottolineata la coralità dei personaggi,
nel Gesualdo notiamo il prevalere di un protagonista, che si
stacca nettamente dallo sfondo popolato di figure. Con una formula che
ha goduto di molta fortuna, Luperini, ha definito Gesualdo l’eroe
tipico del progresso, il self-made man che si costruisce da sé
il proprio destino grazie alla sua dinamicità e alla sua
intraprendenza.
LA
TECNICA NARRATIVA
Con
Verga c’è la scomparsa del narratore onnisciente, i cui modelli sono
stati per anni Manzoni
e Scott. Il punto di vista dello scrittore non si
avverte mai, infatti, nelle sue opere. Un esempio chiarissimo è fornito
dall’inizio di Rosso Malpelo, opera in cui Verga inaugura la
nuova maniera di narrare :« Malpelo si chiamava così perché aveva i
capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso
e cattivo […]
». La logica che sta dietro a questa affermazione non è certo quella
di un intellettuale borghese quale era il Verga: viene fatto dipendere,
infatti, da un qualità essenzialmente morale (“malizioso e
cattivo”) un dato fisico, naturale (“i capelli rossi”). Questo
rivela una visione primitiva e superstiziosa della realtà, estranea
alle categorie razionali di causa ed effetto, che vede nell’individuo
“diverso” un essere segnato come da un’oscura maledizione, che
occorre evitare. E tutta la vicenda è narrata da questo punto di vista.
Il nuovo narratore inoltre non informa mai esaurientemente sul carattere
e sulla storia dei personaggi (come fa Manzoni nelle ampie digressioni
dedicate a Fra Cristoforo, alla monaca di Monza, all’innominato), né
offre dettagliate descrizioni dei luoghi dove si svolge l’azione (si
pensi ancora alla descrizione del lago di Como che apre I Promessi
Sposi). In questo modo il lettore, all’inizio per esempio dei Malavoglia
si trova davanti a personaggi di cui possiede solo notizie parziali, ma
che man a mano arriva a conoscere attraverso ciò che essi stessi fanno
o dicono, oppure attraverso ciò che gli altri dicono di loro.
L’IDEOLOGIA
Alla
base della visione di Verga stanno posizioni radicalmente
pessimistiche:
la società umana è dominata dal meccanismo della “lotta per la
vita”(darwinismo sociale), un meccanismo crudele, secondo il quale il
più forte schiaccia necessariamente il più debole. La generosità
disinteressata, l’altruismo, la pietà sono valori ideali, che non
trovano posto nella realtà effettiva. Gli uomini non sono mossi da
motivi ideali, ma dall’interesse economico, dalla ricerca
dell’utile, dall’egoismo, dalla volontà di sopraffare gli altri. È
questa una legge di natura, universale, che governa qualsiasi società
in ogni tempo e luogo, e domina non solo le società umane, ma anche il
mondo animale e vegetale. Come legge di natura essa è immodificabile:
perciò Verga giunge alla conclusione che non si possono dare
alternative alla realtà esistente.
IL
VERISMO DI VERGA E IL NATURALISMO ZOLIANO
Verga
sviluppa l’originalissima tecnica della “regressione”, ovvero
l’assumere il punto di vista del mondo popolare rappresentato. Nei
romanzi di Zola non esiste nulla di simile. La voce che racconta nei
Rougon-Macquart
riproduce sempre il modo di vedere e di esprimersi dell’autore, del
borghese colto, che spesso interviene con giudizi sulla materia
trattata, sia impliciti, che espliciti. L’impersonalità zoliana è
quindi profondamente diversa da quella verghiana: per Zola impersonalità
significa assumere il distacco dello scienziato, che si allontana
dall’oggetto, per osservarlo dall’esterno e dall’alto; per Verga
significa invece immergersi, “eclissarsi” nell’oggetto. Per usare
due formule proposte dal critico letterario Luperini, l’impersonalità
di Zola è a parte subiecti, quella di Verga a parte obiecti.
Queste
diverse tecniche narrative sono frutto di due poetiche e di due
ideologie radicalmente diverse. Zola interviene a commentare e a
giudicare, dall’alto del suo punto di vista scientifico, perché crede
che la scrittura letteratura possa contribuire a cambiare la realtà, ed
ha piena fiducia nel carattere progressivo della letteratura, come
studio dei problemi sociali e stimolo alle riforme; dietro la
regressione di Verga vi è invece il carattere rassegnato dato dalla
realtà immodificabile.