Jean - Nicolas - Arthur Rimbaud è un caso limite
nel mondo della letteratura. Dopo aver fermamente, allucinatamente creduto
nel potere magico della poesia, nella possibilità del poeta di
farsi inventore, creatore di nuovi mondi, di diventare, attraverso un
"lungo immenso e ragionato disordine di tutti i sensi un veggente
il grande Inferno, il grande Criminale, il grande maledetto - e
il sommo Sapiente" per conquistare l'ignoto; dopo aver scritto fra
i sedici e diciannove anni l'opera più originale, rivoluzionaria
e illuminata della letteratura francese, abbandona improvvisamente e per
sempre la poesia. Si dà a una vita di viaggi e commerci. Rinuncia
all'avventura spirituale e si butta in quella materiale.
|
Arthur Rimbaud
l'uomo dalle suole di vento
IL BATTELLO EBBRO
Poiché andavò scendendo lungo i Fiumi impassibili,
Senti che bardotti non mi guidavan più:
Ignudi ed inchiodati ai pali variopinti,
I pellerossa striduli li avevan bersagliati.
Col mio cotone inglese, col mio grano fiammingo,
non mi curavo più di avere un equipaggio.
Quando, assieme ai bardotti, si spensero i clamori,
I fiumi mi lasciarono scendere liberamente.
Dentro lo sciabordare aspro delle maree,
L'altro inverno, più sordo di una mente infantile,
Io corsi ! E le Penisole strappate dagli ormeggi
Non subirono mai sconquasso più trionfante.
La tempesta ha sorriso ai miei risvegli in mare.
Più lieve d'un turacciolo ho danzato sui flutti
Che eternamente spingono i corpi delle vittime,
Dieci notti, e irridevo l'occhio insulso dei fari !
Più dolce che ai fanciulli qualche acida polpa,
L'acqua verde filtrò nel mio scafo di abete
E dalle macchie rosse di vomito e di vino
Mi lavò, disperdendo il timone e i ramponi.
Da allora sono immerso nel Poema del mare
Che, lattescente e invaso dalla luce degli astri,
Morde l'acqua turchese, dentro cui, fluttuando,
Scende estatico un morto pensoso e illividito;
Dove, tingendo a un tratto l'azzurrità, deliri
E ritmi prolungati nel giorno rutilante,
Più stordenti dell'alcool, più vasti delle lire,
Fermentano i rossori amari dell'amore !
Io so i cieli che scoppiano in lampi, so le trombe,
Le correnti e i riflussi: io so la sera e l'Alba
Che si esalta nel cielo come colombe a stormo;
E qualche volta ho visto quel che l'uomo ha sognato !
Ho visto il sole basso, fosco di orrori mistici,
Che illuminava lunghi coaguli violacei,
Somiglianti ad attori di antichi drammi, i flutti
Che fluivan con tremito di persiane lontano !
Sognai la notte verde dalle nevi abbagliate,
Bacio che sale lento agli occhi degli Oceani,
La circolazione delle linfe inaudite,
E, giallo e blu, il destarsi dei fosfori canori !
Ho seguito, per mesi, i marosi che assaltano
Gli scogli, come mandrie di isterici bovini,
stupito che lucenti piedi delle Marie
potessero forzare i musi degli Oceani !
Ho cozzato in Floride incredibili: fiori
Sbocciavano fra gli occhi di pantere con pelli
D'uomo! in arcobaleni come redini tesi
A glauche mandrie sotto l'orizzonte dei mari !
Ho visto fermentare gli stagni enormi, masse
Dove frammezzo ai giunchi marcisce un Leviatano!
Frane d'acqua scuotevano le immobili bonacce,
Cateratte lontano crollavano nei baratri !
Ghiacciai, soli d'argento, flutti madreperlacei,
Cieli ardenti ! Incagliavo in fondo a golfi bruni
Dove immensi serpenti mangiati dalle cimici
Cadon, da piante torte, con oscuri profumi!
Ai bimbi, avrei voluto mostrare le dorate
Dell'onda cupa e azzurra, o quei pesci canori.
- Schiume di fiori, mentre salpavo, m'han cullato,
E talvolta ineffabili venti m'han dato l'ali.
Martire affaticato dai poli e dalle zone,
Il mare che piangendo mi addolciva il rullio
Faceva salir fiori d'ombra, gialle ventose,
Ed io restavo, simile ad una donna in ginocchio,
Quasi isola, scuotendo su miei bordi i litigi
E lo sterco degli uccelli dagli occhi biondi, e urlanti.
Vogavo ed attraverso i miei legami fragili
Gli affogati a ritroso scendevano a dormire!
Io, battello perduto nei crini delle cale,
Spinto dall'uragano nell'etra senza uccelli,
- Né i velieri anseatici, né i Monitori avrebbero
Ripescato il mio scafo ubriacato d'acqua,
Libero, fumigante, di brume viola carico;
Io che foravo il cielo rossastro come un muro
Che porti, leccornie per i buoni poeti,
Dei licheni di sole e dei mocci d'azzurro;
Io che andavo chiazzato delle lunule elettriche,
Folle trave, scortato dagli ippocampi neri,
Quando il luglio faceva crollare a scudisciate
I cieli ultramarini dai vortici infuocati;
Io che tremavo udendo gemere a cento leghe
I Behemot in foia ed i densi Maèlstrom,
Filando eternamente sull'acque azzurre e immobili,
Io rimpiango l'Europa dai parapetti antichi !
Ho visto gli arcipelaghi siderei e delle isole
Dai cieli deliranti aperti al vogatore:
- E' in queste notti immense che tu dormi e t'esili
Stuolo d'uccelli d'oro, o Vigore Futuro ?
Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro:
L'acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Che la mia chiglia scoppi! Che vada in fondo al mare!
Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
Nera e gelida, quando nell'ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.
Non posso più, bagnato da quei languori, onde,
Filare nella scia di chi porta cotone,
Né fendere l'orgoglio dei pavesi e dei labari,
Né vogar sotto gli occhi orrendi dei pontoni.
VOCALI
A nera, E bianca, I rossa, O verde, O blu: vocali;
Lo dirò un giorno i vostri ascosi nascimenti:
A, nero vello al corpo delle mosche lucenti
Che ronzano al di sopra dei crudeli fetori,
Golfi d'ombra; E, candori di vapori e di tende,
Lance di ghiaccio, brividi di umbelle, bianchi re;
I, porpore, rigurgito di collera, di ebbrezza penitente;
Ü, cicli, vibrazioni sacre dei mari viridi,
Quiete di bestie al pascolo, quiete dell'ampie rughe
Che alle fronti studiose imprime l'alchimia.
O, la suprema Tuba piena di stridi strani,
Silenzi attraversati dagli Angeli e dai Mondi:
- O, l'Omega ed il raggio violetto dei Suoi Occhi!
MA BOHÈME
Andavo, i pugni stretti nelle tasche sfondate,
Ed anche il mio pastrano diventa ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa, ed ero il fido;
Quanti splendidi amori ho mai sognato allora!
Negli ultimi calzoni avevo un largo squarcio.
- Pollicino sognante, spargevo nel mio errare
Rime. L'Orsa Maggiore mi faceva da ostello.
- Le mie stelle nel cielo dolcemente frusciavano;
Le ascoltavano, seduto ai lati delle strade,
In quelle sere miti di settembre e sul viso
Le gocce di rugiada m'eran vino gagliardo;
E, rimando nel cuore di fantastiche tenebre,
Tiravo, come fossero delle lire, gli elastici
Delle scarpe ferite, col piede accanto al cuore!
DALLA LETTERA A PAUL DEMENY
15 maggio 1871
Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di pazzia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura nella quale egli ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale egli diventa il grande infermo, il grande criminale, il grande maledetto, - e il sommo Sapiente! - Egli giunge infatti all'ignoto! Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Egli giunge all'ignoto, e quand'anche, smarrito, finisse col perdere l'intelligenza delle proprie visioni, le avrà pur viste! Che crepi nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti sui quali l'altro si è abbattuto!