LXXXIX

IL CIGNO

A Victor Hugo
I

Andròmaca, io penso a voi ! Quel breve
fiume, misero specchio dove un tempo
la maestà immensa del vostro dolore
vedovile splendette, quel bugiardo
Simoenta che gonfia delle vostre
lacrime, mi ha di colpo fecondato
la fertile memoria mentre andavo
attraversando il nuovo Carosello.

Già la vecchia Parigi non è più;
- di una città l'aspetto, ahime, si muta
più presto di un mortale cuore - e solo
in ispirito vedo quel gran campo
di baracche, quel mucchio di colonne
e di sbozzati capitelli, le erbe
i grandi massi inverditi dall'acqua
di pozzanghera e, dietro le vetrine,
cianfrusaglie brillare alla rinfusa.
Là un serraglio faceva ingombro, un tempo;
là un mattino, nell'ora in cui il Lavoro
si sveglia sotto cieli freddi e chiari,
e quando un uragano oscuro levano
gli spazzini nell'area silenziosa,
un cigno vidi, evaso dalla gabbia,
trascinare sull'aspro suolo il bianco
piumaggio e col palmato piede il secco
lastricato sfregare. Su un rigagnolo
prosciugato la bestia, il becco aprendo,
bagnava a scatti le ali nella polvere
e, mémore del bel lago natale,
diceva: "Pioggia, quando scenderai ?
Quando rimbomberai, fòlgore ?"
Vedo
Quel misero - fatale e strano mito -
Verso il cielo rivolgere talvolta,
come l'uomo di Ovidio, verso il cielo
ironico e spietatamente azzurro,
l'avida testa sul collo convulso
ad accusare Iddio.

II
Parigi cambia,
ma nulla nella mia malinconia
si è mutato; palazzi nuovi, massi,
vecchi sobborghi, impalcature, tutto
si trasforma per me in allegoria,
e più che rocce gravano i ricordi
più cari. Cosi, innanzi a questo Louvre,
mi sopraffà un'immagine: io penso
al mio gran cigno, coi suoi gesti folli,
ridicolo e sublime come gli èsuli,
ròso da un desiderio assiduo; e a voi,
Andròmaca, caduta dalle braccia
di uno sposo magnanimo, avvilita
sotto la mano del superbo Pirro;
di Ettore, ahimè la vedova, e di Elèno
la sposa, voi nell'estasi chinata
sopra un vuoto sepolcro.
Ed alla negra
penso, smagrata e tisica, che cerca
scalpicciando nel fango, l'occhio attonito,
dietro l'immenso muro della nebbia,
sàgome assenti d'alberi di cocco
dell'Africa superba; a chi ha perduto
quel che giammai giammai non si ritrova;
a chi beve le lacrime e al Dolore
succhia come a una buona lupa; ai magri
orfanelli, appassiti come fiori.
Cosi nella foresta ove in esilio
si ritira il mio spirito, un antico
Ricordo suona a perdifiato il corno.
E penso ai marinai dimenticati
sopra uno scoglio solitario, ai vinti,
ai prigionieri, ed a molti altri ancora.

The Silver Tiara 1900 Fernand Khnopff

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