Lautréamont
una solitudune superba
I CANTI DI MALDOROR
Dal Canto I
Voglia il cielo che il lettore imbaldanzito e diventato momentaneamente feroce come ciò che sta leggendo, trovi, senza disorientarsi, la sua vita dirupata e salvatica attraverso gli acquitrini desolati di queste pagine oscure e venefiche; infatti, a meno che non ponga nella lettura una logica rigorosa e una tensione dello spirito pari almeno alla sua differenza, le micidiali esalazioni di questo libro gl'imbeveranno l'anima, come l'acqua e lo zucchero. Non è bene che tutti leggano le pagine che seguono; solo pochi potranno assaporare questo frutto amaro senza rischio. Quindi, anima timida, prima d'addentrarti più oltre in simili lande inesplorate, volgi i tacchi indietro, e non innanzi.
Dal canto IV
Sono sporco. Roso dai pidocchi. I porci, quando mi guardano vomitano. Le croste
e le escare delle labbra m'hanno reso squamosa la pelle, coperta di pus giallastro.
Io non conosco l'acqua dei fiumi, né la rugiada delle nubi. Sulla nuca,
come un letamaio, mi cresce un fungo enorme dai peduncoli ombrelliferi. Seduto
sopra un mobile informe, non muovo le membra da quattro secoli. I miei piedi
hanno messo radice nel suolo, e compongono, fino al mio ventre, una sorta di
viva vegetazione, piena d'ignobili parassiti, che, senza derivare ancora dalla
pianta, non è già più carne. Tuttavia il mio cuore batte.
Ma come potrebbe battere, se il marciume e le esalazioni del mio cadavere (non
oso dire corpo) non lo nutrissero abbondantemente ? Sotto l'ascella sinistra,
ha preso residenza una nidiata di rospi, e quando qualcuno di essi si muove,
mi fa il solletico. Badate che non ne scappi fuori uno e non venga a grattarvi
con la bocca l'interno dell'orecchio: sarebbe poi capace di entrarvi nel cervello.
Sotto l'ascella destra, c'è un camaleonte che dà loro una caccia
perpetua, per non morir di fame: bisogna pur campare. Ma quando un partito sventa
compietamente le astuzie dell'altro, non trovano nulla di meglio da fare che
non molestarsi fra loro, e succhiano il grasso delicato che mi ricopre le costole:
mi ci sono abituato.
DA POESIE
La poesia personale ha fatto il suo tempo di ciarlatanerie relative e di contorsioni contingenti. Riprendiamo il filo indistruttibile della poesia impersonale, bruscamente interrotto dopo la nascita del filosofo fallito di Ferney dopo l'aborto del grande Voltaire. Pare bello, sublime, sotto pretesto d'umiltà o d'orgoglio, discutere le cause finali, falsarne le conseguenze solide e note. Disingannatevi, giacché non v'è nulla di più sciocco! Riallacciamo la catena regolare con i tempi passati; la poesia è geometria per eccellenza. Dopo Racine, la poesia non è progredita d'un millimetro. E' indietreggiata. Grazie a chi ? alle Grandi - Teste - Frolle della nostra epoca. Grazie alle femminucce, Chateaubriand, il Mohicano Melanconico; Sénancour, l'uomo in Gonnella; Jean - Jacques Rousseau, il Socialista Stizzoso; Anna Radcliffe, lo Spettro Pazzoide; Edgar Poe, il Mammalucco dai Sogni Alcolizzati; Mathurin il Compare delle Tenebre; George Sand, l'Ermafrodito Circonciso; Théophile Gautier l'Impareggiabile Pizzicagnolo; Leconte, il Prigioniero del Diavolo; Goethe, il Suicida per Piangere; Sainte - Beuve, il Suicida per Ridere; Lamartine, la Cicogna Lacrimosa; Lermontov, la Tigre che Rugge; Victor Ugo, la Funebre Pertica Verde; Mickiewicz, l'Imitatore di Satana; Musset, lo Zerbinotto senza Camicia Intellettuale; e Byron, l'Ippotamo delle Giungle Infernali.