Stéphan Mallarmé

Stephan Mallarmé ritratto da Eduard Monet (1876) Museo d'Orsay (impressionismo olio su tela 90x113)

Se l'avventura degli altri maledetti è umana almeno quanto poetica, quella di Mallarmé è invece solo e unicamente poetica. Nasce a Parigi il 18 marzo 1842; compie normalissimi studi e si impiega subito come funzionario "in soprannumero " all'ufficio del Registro di Sens. È una tradizione familiare quella dell'impiego da scribacchino. La sua esperienza di vita è stata, sino a qui, unicamente dolorosa: bambino e poi fanciullo malaticcio, gracile e timido, Stéphane Mallarmé è rimasto orfano una prima volta - di madre - a cinque anni; e poi ancora orfano dell'affetto dell'adorata sorella Marie, deceduta poco tempo dopo. Due lutti che lo spingono a rinchiudersi sempre di più in se stesso. Nel 1862, va a Londra a perfezionarsi nell'inglese; quando torna in Francia si dedica all'insegnamento. Le tappe della sua carriera di insegnante, poco portato all'insegnamento, sono Tournon, Besançon (1866), Avignon (1867) e infine Parigi (1871), dove avrà finalmente modo di vivere in una atmosfera culturalmente stimolante e di conoscere personalmente i poeti Rimbaud, Victor Hugo, Paul Verlaine, Villiers de L'Isle - Adam.
Nel 1894 abbandona l'insegnamento e si ritira a vivere a Valvins, dove morirà il 9 settembre 1898. La sua "Grande Avventura" è - lo ripetiamo - unicamente spirituale e poetica; gli incontri fondamentali della sua vita, quello con la poesia di Baudelaire, nel 1861, e quello con l'opera dell'americano Edgar Allan Poe. La poesia sarà sempre il suo rifugio contro la tristezza della realtà. Rivelato al pubblico dall'articolo di Verlaine sui poeti maledetti, nel quale è stato salutato come il Grande Maestro dei simbolisti, comincia subito a raccogliere intorno a se, ai suoi celebri "martedì letterari", i suffragi di una folta schiera di discepoli. In pratica, ha trascorso buona parte della sua vita da "recluso della poesia", a perseguire la "mistica ambizione di elaborare, con pazienza di alchimista IL LIBRO ASSOLUTO", il libro unico nel quale dovrebbe essere contenuta "la spiegazione orfica della terra che è il solo dovere del poeta e il jeu letterario per eccellenza". Nel 1887, ripubblica, sotto il titolo Poesie complete (Poésies Complétes), tutti quei componimenti che ha disseminato in quasi trent'anni di attività, su riviste e pubblicazioni minori. Tra le sue più celebri opere ricordiamo Erodiade (1868) e Il meriggio di un fauno (1876) musicato nel 1894 da Diebussy. Nel 1897, un anno prima di morire, pubblica il suo tentativo di "libro assoluto": Un colpo di dadi non abolirà mai il caso (Un coup de dés jamais n'abolira le Hasard), il "poema polverizzato", poema testamento che apre la strada alla poesia ermetica, agli esperimenti poetici e calligrafici di Apollinaire e dei surrealisti, a tutte le teorie di "laboratorio poetico" che ancora oggi condizionano la nostra poesia.

Stéphan Mallarmé
una vita per la poesia
Erodiade disegno a carboncino di Salvo Monica

 

 

 

 

 

 

 

 

PER LA TOMBA DI EDGAR POE

Quale in lui stesso al fine l'Eternità lo cangia
il Poeta ridesta con una nuda spada
il secolo atterrito di non aver compreso
che la morte parlava per quella voce strana.
Come l'idra ebbe un vile sussulto, udendo il Genio
dare un più puro senso alle fruste parole,
così quelli han gridato ch'ei bevve un sortilegio
in qualche nero intruglio che cola senza onore.
Del suolo e della nube nemica o stolta accusa!
Se non può l'idea nostra scolpire un bel rilievo
di cui s'orni la tomba di Poe, da sé splendente,
qui resti almeno il calmo blocco di marmo puro,
caduto da un oscuro disastro, e arresti i neri
voli della bestemmia sparsa dentro il futuro!

BREZZA MARINA

Triste è la carne! e ho letto tutti i libri.
Ah, fuggire, laggiù, fuggire! Sento
che uccelli vi sono ebbri a star fra ignote
schiume ed il cielo! Nulla, né i giardini
specchiàti in occhi e dal fondo affiorati,
tratterrà il cuore che già dentro il mare
si tuffa, o notti!, né il deserto lume
della lampada sopra il foglio vuoto,
difeso dal candore e non la giovane
donna che allatta il piccolo. Andrò via!
Barca che culli il tuo alberame, alza
per esotiche terre, presto, l'ancora!

Da crudeli speranze desolato,
un chiuso affanno crede ancora all'ultimo
addio dei fazzoletti! E forse gli alberi
che invitano tempeste, son di quelli
che un vento inclina sopra gli sperduti
naufraghi, ormai senza alberi, senza alberi,
e senza isole fertili … Ma, ascolta,
dei marinai mio cuore, ascolta il canto!

ANGOSCIA

Non vengo questa sera a vincere il tuo corpo, bestia
Cui vanno i peccati d'un popolo, ne a scavare
Tra i tuoi capelli impuri una triste tempesta
Con l'incurabil noia che il mio bacio sa versare:
Domando al tuo letto il sonno pesante senza sogni
Planando sotto l'ignote cortine del rimorso,
E che tu puoi gustar dopo tue nere menzogne
Tu che sul nulla ne sai più dei morti.
Perché il vizio, rodendo la mia nativa nobiltà
M'ha come te segnato la sua sterilità,
Ma mentre il tuo seno di pietra è abitato.

SOSPIRO
Anima mia verso la tua fronte ove sogna, placida sorella
Autunno seminato di macchie di rossore,
E verso il cielo errante del tuo occhio angelico
Sale come in un malinconico giardino,
Fedele, un bianco getto d'acqua sospira verso l'Azzurro!
- Verso l'Azzurro intenerito d'Ottobre pallido e puro
Che mira nei grandi bacini il languore infinito
E lascia, su l'acqua morta ove la fulva agonia
Delle Foglie erra al vento e scava un freddo solco,
Trascinarsi il sole giallo d'un raggio lungo.

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