Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

  Home Frenis Zero

        

 

 

     "LA PERSONA DELL'ANALISTA NEI PASSAGGI ISTITUZIONALI" 

 

 

 

 di Laura Montani

 


Questo testo scritto da Laura Montani, psicoanalista di Roma, membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, vuole arricchire uno spazio di riflessione, curato dalla stessa Montani, che la rivista di psicoanalisi Frenis Zero ha aperto sul "femminile" alle prese con la psicoanalisi nella sua duplice dimensione di ricerca teorica e di cura da una parte, ma anche di istituzione dall'altra. Ringraziamo di cuore la dott.ssa Montani per aver voluto permettere l'apertura della nostra rivista a tale nuovo ambito di riflessione e di studio.


 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

clicca qui per la ricerca nel sito/Search in the website
A.S.S.E.Psi. web site (History of Psychiatry and Psychoanalytic Psychotherapy ) 

 

A.S.S.E.Psi.NEWS (to subscribe our monthly newsletter)

 

Ce.Psi.Di. (Centro di Psicoterapia Dinamica "Mauro Mancia") 

 

Maitres à dispenser (Our reviews about psychoanalytic congresses)

 

Biblio Reviews (Recensioni)

 

Congressi ECM (in italian)

 

Events (art  exhibitions)

 

Tatiana Rosenthal and ... other 'psycho-suiciders'

Thalassa. Portolano of Psychoanalysis

 

PsychoWitz - Psychoanalysis and Humor (...per ridere un po'!)

 

Giuseppe Leo's Art Gallery

Thalassa. Portolano of Psychoanalysis

EDIZIONI FRENIS ZERO

 "Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

Click here to order the book

"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

Click here to have a preview 

Click here to order the book

 

 

"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

Click here to order the book

OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

Click here to order the book

 

 

"Il mio nome è una domanda e la mia libertà è nella mia propensione alle domande"

 Edmond Jabès Il libro delle interrogazioni

 

 

La passione dell'istituzione

 

 

 

 

Una breve premessa di metodo: considero qui l'Istituzione come un soggetto, dotato di un corpo, il "corpus istituzionale", formato dalle persone che la compongono e la fanno esistere, e tuttavia dotata di una valenza transindividuale che ne fa un apparato mitico per chi coopera alla sua esistenza. Partirò da una considerazione assai semplice: l'analista è un essere umano che svolge un lavoro molto particolare, definito, nel corso del tempo, pratica dell'inconscio. Questo lavoro venne però rubricato, da chi lo inventò, sotto il titolo delle professioni impossibili, insieme a quella del governare e dell'insegnare. Impossibilità che sembrerebbe per certi versi smentita dall'esistenza storica di istituzioni che attesterebbero, al contrario, di una sua possibilità.

 

Del lavoro dell'analista, quando l'analista fa capo ad un'istituzione che lo istituisce come tale, fanno parte anche vari passaggi che egli, 'in persona', deve affrontare, per essere un membro della istituzione che lo istituisce analista. Il campo che mi propongo brevemente di indagare qui è quello che si apre tra i due termini della coppia possibile-impossibile come il luogo semantico dove si muove la dialettica dell'analista al lavoro 'come persona', da una parte,  e l'istituzione come soggetto dall'altra. I passaggi istituzionali che l'analista incontra nella sua formazione, visti alla luce di questa dialettica tra possibile e impossibile, mi daranno modo di riflettere sul resto inconscio che tali passaggi inevitabilmente comportano. Penso inoltre che entrambi, sia l'analista 'come persona' che l'istituzione come 'soggetto', siano in debito l'uno con l'altro per quanto riguarda il loro essere possibili. La possibilità di entrambi è pensabile però soltanto all¹interno del paradosso, messo in luce dalla svolta epistemica psicoanalitica, che ha indicato una volta per tutte alla scienza l'impossibilità di pensare il soggetto all'interno dell'orizzonte della ragione classica. Una seconda considerazione, meno semplice forse della prima, è la seguente: il mestiere dell'analista, che continua ad essere esercitato da più di cento anni, proprio per la sua impossibilità originaria,  fatidica - ricordo qui che 'fatum' e destino sono omologabili, -  si svolge in un assetto paradossale, che  impone una torsione continua non solo al narcisismo (essendo che  tale lavoro si esercita appunto nell'impossibilità), ma alla ragione, e rende pertanto obsolete attrezzature metodiche come quelle che stanno alla base dell'intersoggettivismo o del cognitivismo, organizzando il  fronte della cura all'interno stesso del paradosso. Lavorare come analista ha comportato per me, pertanto, come per tutti quelli che hanno scelto di svolgere questo lavoro, l'accettazione e la sopportazione del paradosso fondamentale su cui si regge la costruzione teorico-pratica della nostra disciplina: rendere conscio l'inconscio. Accettare dunque di lavorare nell'impossibilità. L'obbiettivo pratico e la sfida etica su cui si fonda il processo della cura si articolano dunque non solo all'interno della ferita narcisistica della propria impossibilità, ma a ridosso di un'esposizione continua e costante ai dispositivi profondi, pulsionali, passionali, affettivi, che fondano la tramatura  della nostra persona e quella delle persone che curiamo, in un rimando costante a qualche cosa che  all¹interno e come da un altrove per-suona. Alla luce del paradosso che fonda la nostra pratica, che privilegia, cerca, tallona questo altrove all'interno del soggetto, anche la nozione di  'persona' risulta radicalmente differente rispetto a quella delle varie formulazioni filosofiche che ne sono state date nel corso del tempo. L'orizzonte psicoanalitico accoglie la nozione di persona per decostruirla, mostrandone la profonda attinenza con quello di maschera dell'antichità. Non sostanza, dunque, ma  luogo di attraversamento del desiderio che caratterizza ma anche attenta l'identità di ciascuno di noi. La persona psicoanalitica si mantiene nello statuto paradossale della teoria che la fonda. Impossibile, eppure  costantemente viva e presente come conato, tentativo, istanza[1]. L'analista sa, perché la sua pratica glielo ha insegnato, che la sua persona stessa è un luogo continuamente attraversato da un ignoto, tuttavia, come i suoi pazienti, non può non illudersi che essa non sia reale. E inoltre la sua persona è tutto quel che possiede e può mettere in gioco per giocare la partita della cura. Infatti si dice  per esempio: "ci e' andato di persona", per significare una presenza piena, totale. Ma, per il pensiero psicoanalitico, questa presenza ha la stessa valenza  dell'essere "hunted"[2].

 

 

Questa condizione della cura e della persona psicoanalitiche, in bilico costante tra possibilità e impossibilità, non può non avere ricadute passionali sulla storia e sul processo di formazione dell'analista. Le esplorerò dal versante della mia personale esperienza di persona-soggetto.

 

 

 

 

Sono un membro associato della SPI dal 1994. Da circa otto anni desidero effettuare il passaggio  a membro ordinario. In tutti  questi anni mi sono confrontata con una costante esitazione ad effettuare questo passaggio, esitazione e su cui mi sono a lungo interrogata e su cui i pensieri che seguono sono una prima, appena abbozzata messa in forma. 

Non chiamerei   la mia, resistenza, ma esitazione.

'Esitare' ha tre sensi, almeno secondo il Devoto:

1-  Essere o mostrarsi incerto nell'affrontare circostanze impegnative. 2 - Risolversi in un certo modo (linguaggio medico). 3 - Vendere, smerciare. Rispetto al primo senso, il mio impegno nell'istituzione in questi anni testimonia una volontà costante di confronto, con  "circostanze impegnative", e  tanto più dunque mi stupisce la mia esitazione a effettuare il passaggio all'ordinariato.

 

Il secondo significato, quello del linguaggio medico esitare, mi permette di coglier meglio  la valenza di questo mio stato d'animo.  Propongo di considerare la mia esitazione come un effetto di senso prodotto, indotto, o per dirla con Aulagnier, una sorta di impregnazione che vado subendo nel mio rapporto con l'Istituzione o, per rimanere nella suggestione del significato medico, l'esito di una malattia che chiamerei 'la passione dell¹istituzione'. Per attraversare questo passaggio l'Istituzione mi chiede un curriculum personale molto ampio, una specie di biografia, e il racconto di una analisi condotta autonomamente, senza supervisione. Questa richiesta da parte dell'Istituzione non va da sé e non può non creare risonanze plurime nella mia 'persona'. Come infatti, da analisti, non possiamo riferirci ingenuamente  alla nozione di persona, così l'Istituzione, formata in definitiva da un corpus di analisti, non  può riferirsi ingenuamente alla questione della scrittura. Perché lo fa?  Freud  stesso diceva della sua scrittura: <<I miei casi clinici si leggono come romanzi>> misurandosi con il problema cruciale della non osservabilità dei dati psicoanalitici. Mi interrogo dunque sullo statuto passionale che produce nell'Istituzione come 'soggetto' questo diniego e specularmente produce in me l'esitazione al passaggio. Qual è il desiderio che sottende il diniego dell'Istituzione  che mi sollecita, se voglio attraversare il passaggio all'ordinariato, a una operazione di diniego altrettanto forte? Una prima, parziale e provvisoria risposta la trovo nel constatare che l'Istituzione come soggetto (come ogni soggetto dunque) ha bisogno di rimanere nel proprio mito personale. Questo mito riguarda l'oggettività delle istituzioni di cura e tutto l'armamentario dei giudizi e delle valutazioni, che, se letto con un metodo strettamente psicoanalitico, si sgretola. Non ci rimane altro in mano allora che il modello della famiglia istituzionale, interna ed esterna. Alla luce di questo modello, messo ormai ampiamente in luce da tantissimi studiosi, tra cui spiccano Kaes, Enriquez, Fornari, potremmo dunque dire che il passaggio all'ordinariato è un momento in cui la passione dell'Istituzione subisce, dopo la benevola e liberale assistenza dell'associatura (rito di passaggio dove l'analista persona entra a fare parte della famiglia analitica a tutto titolo, insomma viene accolto),  una torsione che svela il bisogno profondo del controllo sui figli, mascherato dalla veste dell'autonomia e libertà.

 

  "Se vuoi diventare ordinario, raccontami tutto della tua vita" dice l'Istituzione sapendo bene che è impossibile.

 

"Parlami del tuo modo di lavorare - dice ancora l'Istituzione, se mi va bene sarai ordinario".

 

Il passaggio da membro associato a membro ordinario sembrerebbe essere dunque quello su cui maggiormente si condensa una forte incertezza statutaria  da parte della Istituzione; anche essa soggetta, come tutti i soggetti al proprio inconscio che esita nel ripristino di un principio di autorità che nella scienza è da Galilei in poi rigettato ed escluso.

 

 

 

L'Istituzione, per uscire dalla sua astrattezza di soggetto, ha bisogno delle persone in carne ed ossa degli analisti. Questo apre una dinamica di desiderio tra  le persone degli analisti e l'Istituzione che assume valenze diverse nei vari passaggi.

 

Per esistere l'Istituzione non ha bisogno degli ordinari; ne ha però molto bisogno per difendere la propria esistenza, a cui candidati e associati hanno già  ampiamente provveduto. Diverso è dunque il patto passionale che l'istituzione stipula con candidati e associati da quello che stipula con gli ordinari che, nonostante il nome, sono comunque rari.

 

Nel passaggio all'ordinariato l'analista e l'Istituzione sono soli, uno di fronte all'altro,  e reciprocamente si temono: nel passaggio si gioca infatti la posta della trasmissione, tra due soggetti attivi. I Padri si confrontano sullo scenario della possibile paternità dei figli, che, lo sappiamo da "Totem e Tabù", non va da sé.

 

Ci si imbatte dunque in un giudizio profondamente passionale, che ha a che fare con l'angoscia di castrazione, l'accettazione del limite e della morte, da una parte, il desiderio di clonare identici dall'altra. Quale è il criterio oggettivo, infatti, secondo il quale la mia vita narrata nel curriculum, il mio modo di lavorare narrato nel racconto di un'analisi condotta autonomamente, verranno giudicati e considerati idonei a che io effettui questo passaggio? Temo che sia un giudizio 'tracciato' profondamente da resti inconsci tanto più forti quanto più esso pretende l'oggettività. Questi resti  sono, a mio avviso, il deposito calcinato delle teorie nelle correnti di pensiero e  nelle scuole istituzionali. Lascio però in sospeso l¹interrogativo e torno al mio esitare.

 

Dunque,  come dicevo, desidero effettuare il passaggio a membro ordinario. Questa enunciazione, apparentemente  semplice e chiara, proprio per la sua chiarezza - ricordiamo che "una candela  accesa nel buio non fa che aumentare lo spessore delle tenebre che gli stanno intorno" interroga  quel punto  di me dove  il desiderio, attraversandomi, incrocia   due  precise figure: quella di me come 'persona-soggetto' e quella del  'soggetto 'istituzione'.

 

Sulla scorta di quanto la psicoanalisi ci ha insegnato intorno al rapporto originario con l'istituzione originaria, la famiglia, la persona è un luogo simbolico dove si assemblano molteplici aspetti dell'umano rapportarsi all'istituzione, qualunque essa sia. Ne sceglierò tre: il desiderare, il temere, lo sperare.

 

Ribadendo una precisazione di metodo, vale a dire che come analista è comunque indubbio che non posso qui rifermi con ingenuità alla mia persona, mi proverò a raccontare quanto, come persona, mi è parso di incontrare, a livello di esperienza di sentimento, vivendo e pensando la questione dei passaggi istituzionali. A questo fine, per dire cosa ho desiderato, cosa  ho sperato, e cosa temo, per dire cosa mi fa così esitare a percorrere un'altro segmento dei passaggi istituzionali, l¹ordinariato, mi servirò di un sogno[3].

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

Un sogno

 

 

 Nel sogno mi trovo in una piazzetta del centro di Roma. Probabilmente in Trastevere. E' una mattina assolata e chiara. C'é uno dei precedenti presidenti della SPI, molti bambini tra cui spicca mio nipote Sebastiano, di cinque anni, vestito da piccolo mago, con un abito di raso rosso che ne fa risaltare i capelli biondi. E' un ritrovo gioioso in un giorno di festa. Io e il bambino ci teniamo per mano e ci troviamo ai bordi del quadro del sogno, come se stessimo per uscire di scena.

 

   
 

Desiderare, Sperare, Temere

 

 

Lo sperare, il temere sono movimenti dell'anima, come il desiderio. Ma il desiderio è un movimento più forte, più radicale. Convoca tutte le forze dell'essere, e come tale, travolge lo stesso timore e lo cancella. Potremmo dire che sperare e temere  sono sottovoci del desiderio, là dove il desiderio puro ha trovato già forme e assetti rappresentazionali. Accogliere il desiderio e la sua forza originaria non va da sé. Come mostra il sogno,  infatti il bambino vestito di raso rosso, biondo e splendente, sta un po' in disparte, anzi sembra quasi che stia uscendo di scena. Il cartello del sogno è certamente caratterizzato dalla figura centrale, costituita da un principio paterno organizzante, che tiene insieme le mie numerose parti (rappresentate in immagine  e che il sogno indica come 'gruppo psicoanalitico'). La mia persona, me stessa rappresentata tale e quale sono, non sono la stessa cosa del mio desiderio, come il sogno mostra bene. "La mia persona in stretto contatto  con il suo ES" (ci teniamo infatti per mano io e il bambino) certamente non  si oppone al padre, partecipa all'incontro nella piazza assolata,  ma come se  si tenesse in posizione defilata. Il bambino vestito di raso rosso porta un cappello da mago: un modo concreto di rappresentare  la valenza magica del pensiero desiderante, che non può allinearsi con quello del padre, pur mantenendo con esso una relazione. Dal punto di vista del puro desiderare il sogno quindi mantiene intatti connessioni e legami, pur riservando all'individualità un luogo privilegiato insieme alla possibilità di giocare con il bambino interno, e volendo, uscire di scena. Dal punto di vista dello sperare, nel sogno, pur nella non centralità della coppia formata da me e dal bambino, le connessioni e i contatti vengono come segnalati da fili invisibili, che sono il senso di appartenenza che ricordo di avere provato  durante questa esperienza onirica: mi sentivo legata al gruppo dei fratelli e al padre, ma non VINCOLATA. Questa speranza di una storia familiare che lega ma non VINCOLA è uno dei possibili organizzatori del sogno, come del resto credo sia un organizzatore  cardine della mia attuale permanenza nell'istituzione. Non si tratta di immaginario, si tratta di quella spinta  forte alla trasformazione e al cambiamento che è attuabile solo sulla scorta della speranza. L'immaginario è la forma rappresentativa che in questo caso prende la speranza: allora vediamo nel sogno una scena chiara, composta, solare: la famiglia analitica convive nelle sue complesse componenti. Ma dal punto di vista del  temere la scena onirica può perdere le sue caratteristiche di luce solare  ed essere vista  invece come un bassorilievo che ferma  e fissa i personaggi sulla scena in ruoli congelati, in maschere da tragedia. C'è infatti il coro (il gruppo psicoanalitico), il tiranno (ricordo che in greco 'turanòs' significa re, capo), la coppia formata da me e dal bambino in rosso, la cui posizione quasi fuori scena può stare a significare lo scontro individuale e sempre tragico della creatività con il potere. Raccogliendo sinteticamente, per ragioni di tempo evidenti, le suggestioni fornitemi fin qui dalla scena del sogno per comprendere più a fondo la mia esitazione a varcare il passaggio che porta all'ordinariato, potrei a questo punto dire, seguendo le suggestioni lanciate da Freud in "Introduzione al narcisismo", che l'ordinariato potrebbe corrispondere, nella dinamica dei passaggi istituzionali, a quel momento della vicenda umana in cui, spinto dalla pulsione di CONSERVAZIONE DELLA SPECIE, l'individuo si trova, senza sapere perché, costretto a generare. Il che, come sappiamo comporta la limitazione delle pulsioni dell'Io, quindi una rinuncia forte al proprio narcisismo.

  Ma come dice Green, - e mi sembra un'osservazione preziosa, da non dimenticare - il narcisismo gode di cattiva stampa e cattiva fama. La genitorialità, la genitalità gli vengono contrapposti come si contrappone il bene al male. Tutte le sue manifestazioni e le sue componenti vitali vengono quasi sempre scotomizzate in favore di una  sua, per certi versi, lettura patologica: raramente in psicoanalisi si parla di narcisismo di vita, che è la parte più ricca ed interessante del pensiero di Green, privilegiando di questo pensiero il narcisismo di morte e la figura della madre morta di cui si fa uso corrente e abuso. Ma Green stesso conviene  e sottolinea fortemente che accanto al narcisismo di morte, quello più esplorato dalla clinica psicoanalitica, è pensabile un narcisismo di vita, in stretta connessione con l'Essere. Questo narcisismo sta al  fondamento stesso della vita individuale e della creatività, al di là della riproduzione, generazione, trasmissione. Se la conservazione della specie umana spinge alla procreazione, così come la conservazione della specie analisti spinge all'ordinariato, e se l'istituzione familiare  trascende l'individuo e lo cancella, come sappiamo da Hegel prima e da Lacan, che ne sviluppa il pensiero, poi, potremmo convenire che nel passaggio all'ordinariato qualche cosa della persona dell'analista, della sua individualità si perde ed egli si mette, per certi versi, al servizio dell'istituzione perché sopravviva, correndo il rischio che le sue  personali parole possano diventare parole d'ordine. Questo è, lo confesso, il mio timore. Ma dal momento che l'Istituzione, nonostante lo statuto di Moloch che detiene nell'immaginario individuale e collettivo, e quindi nel suo stesso immaginario, è in definitiva formata da  'persone', su queste si appunta il mio desiderio e la speranza che i miei timori possano, a contatto con l'esperienza, essere fugati. Per fare questo dunque, o perché questo accada, non mi resta che effettuare il passaggio.

 

 

 

 

  Per concludere
   
 

 

   
 

 

Sappiamo che tra Freud e Einstein ci fu un carteggio drammatico a proposito dell' insolubilità dell¹enigma della guerra: entrambi, lo scienziato dell¹anima e il genio della fisica, arretravano di fronte all'orrore storico che il secolo XX stava mettendo in scena. Tuttavia nei suoi  'Pensieri sugli anni difficili', Einstein, pur mostrandosi sconsolatamente stupefatto rispetto al carattere degradato che tutte le istituzioni andavano assumendo, nessuna esclusa, tuttavia non si vietava di esprimere la speranza che, a fronte  di una verità incontrovertibile come la seguente: "La tecnologia, o scienza applicata, ha posto l¹uomo di fronte a problemi di estrema gravità e la sopravvivenza stessa dell'umanità dipende da una soddisfacente soluzione di tali problemi",  potessero

"... sorgere nuove istituzioni e tradizioni sociali senza le quali i nuovi strumenti porteranno inevitabilmente a un disastro della peggior specie". A fronte di queste considerazioni credo che si possa assumere, rispetto ai passaggi istituzionali e a quello dell'ordinariato in particolare, una apertura analoga a quella del grande fisico; egli  del resto non ignorava di certo  quanto e come le scoperte da lui stesso fatte potessero essere lesive per l¹umanità, ma tuttavia ne ventilava incessantemente la possibilità di impiego in senso opposto. L'Istituzione psicoanalitica è depositaria di una scoperta, la psicoanalisi, che può essere usata, proprio come  quella dell'energia atomica, pro o contro l¹umanità. I fantasmi che si addensano infatti intorno all'uso autoritario e ritorsivo di questa forma di sapere, esplosivo  e lesivo per la dignità della persona se usato senza giudizio, sono molti e già Freud li denunciava  citando il famoso  lamento di un paziente:<<Croce vinco io, testa perdi tu>>, che li condensa tutti. Ma, utilizzando un'apertura  einsteiniana, è possibile pensare che quello che, nell'ordinariato, dal versante del TEMERE può risuonare nella parola stessa come un mettersi al servizio del congelamento della ricerca espletando una sorta di servizio d'ordine della dottrina, andando così a garantire un'omeostasi che, per molti autori, è il senso  pulsionale profondo delle istituzioni ­ soprattutto di quelle di cura ­ può di contro, dal versante dello SPERARE, mettere in gioco, come mi è accaduto e mi accade, quella parte di me che nella famiglia, nella scuola, nella formazione, ha interrogato lo status quo di queste istituzioni, cercando di portare in quegli ambiti la spina, - forse a volte  irritativa - della domanda: qui forse la mia  'persona', prima bambina, poi donna, poi moglie, poi madre, poi analista , è marcata da un tema di destino. LA MIA ANALISI MI HA INSEGNATO A RICONOSCERLO, MA NON A CONOSCERLO, mi ha insegnato ad interrogare ciò che via via andavo riconoscendo e a non considerarlo un patrimonio di sapere acquisito. Mi ha insegnato in definitiva che l¹enigma  della persona, come quello delle istituzioni che essa fonda e di cui ha bisogno per esistere, non si scioglie, e che il DESIDERIO, come la sfinge, continua a porre domande ma, a differenza di quella del mito, non accetta risposte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  Note:

[1]  Il lavoro di risentimatizzazione della nozione di persona dal versante psicoanalitico, come è emerso dal recente congresso di Sorrento, è oggi come oggi  più che mai necessario. Che vuole  infatti dire questo ritorno controverso a una nozione, quella di persona, che viene da lontano, e ha attraversato tutta la cultura occidentale?   Da quello di persona come maschera  infatti, che incontriamo nella latinità, via via  attraverso una significazione che, dal tomismo in poi, ne accentua sempre più il carattere di sostanza, arriviamo alla critica spietata operata da Locke e Hume alla sostanza e quindi alla persona. come tale.  La nozione di persona   esce profondamente trasformata dalla riflessione kantiana, dopo la quale non é più possibile pensarla come sostanza metafisica, ma  come  un'istanza trascendentale implicita in ogni agire umano che si voglia considerare tale.  Dall'ormai famoso 'come se' della terza Critica kantiana (dove l'essere umano è posto come originariamente destinato all'attribuzione di senso) inizia inoltre una svolta epistemica che articola lo scarto tra significato e senso e attraversa  tutta la cultura contemporanea. Questa ci restituisce una nozione di persona estremamente articolata e complessa che deve alla scoperta freudiana la messa in questione sia della versione della persona dei 'filosofi analitici' (Quine, Kripe, Wiggins, Nussbaum, Putnam), sia dei 'filosofi continentali'. Infatti, i primi ritornano rivisitandola, nel senso di una imprescindibile dignità accordatale, alla nozione aristotelica di sostanza, ma le negano nel contempo la sua fondamentale e autentica problematicità. I secondi, pur riconoscendo alla soggettività, per sua struttura, un'intima  e interna alterità, tuttavia  risolvono lo scarto che attraversa il 'sé come altro' in un'infinita possibilità di attribuzione di senso (Ricoeur, Heidegger, Gadamer).

La scoperta freudiana si situa là dove essa, non essendo riducibile ad un'ermeneutica, come mostra esemplarmente il testo di Costruzione in analisi, rimanda ad un'alterità che non può essere infinitamente percorsa ed interpretata.  Si scontra,  questa alterità, come mostra 'L'Interpretazione dei sogni', in un 'ombelico', un punto di chiusura, un limite, oltre il quale non ci si può spingere. L'illusione ermeneutica o interpretante cade a ridosso di questo 'onfalos'.

 

 

 

 

 

[2] Come dice Emily Dickinson: <<Per essere abitati dai fantasmi non c'è bisogno di corridoi, non c'è bisogno di una casa, basta un Io>>.

 

 

 

[3]  Pensieri onirici e contenuto manifesto stanno davanti a noi come due esposizioni del medesimo contenuto in due lingue diverse. Il contenuto del sogno è dato in forma geroglifica, scrittura di cui dobbiamo imparare a conoscere caratteri e regole sintattiche: i segni non vanno letti secondo il loro valore di immagini, ma secondo la loro relazione simbolica (esempio dell¹indovinello a figure ).

 

 

   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Edizioni "FRENIS ZERO" All right reserved 2004-2005-2006-2007-2008-2009-2010-2011