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"LA CASA DEL DOTTOR BLANCHE" di Laure Murat

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 Recensione di Mario Porro

 

 

Autore: Laure Murat
Titolo: La casa del Dottor Blanche. Storia di un luogo di cura e dei suoi  ospiti, da Nerval a Maupassant.
Edizioni: Il Melangolo , 2007 (edizione originale 2001)

Traduzione dal francese di Anna Benocci

Prefazione di Mauro Mancia

Pagine: 442

Prezzo: euro 25,00.


 

Novità - News

Per gentile concessione dell'autore della recensione e della rivista "L'Indice dei libri del mese", proponiamo la recensione scritta da Mario Porro, e pubblicata sul numero di novembre della rivista, del libro di Laure Murat "La casa del Dottor Blanche".


 

 

Rivista Frenis Zero

 


 

    

   

Maitres à dispenser

 


 
 

 

 

 

 

 

                

    Nel 1821, il dottor Esprit Blanche apre a Parigi una casa di cura per malattie mentali – poi gestita dal figlio Émile –, dove troveranno rifugio (ma raramente guarigione) alcune figure di spicco della vita letteraria e mondana della Francia dell’Ottocento. La casa del dottor Blanche della giornalista e scrittrice Laure Murat ci propone uno sguardo inusuale sulla cultura francese ed insieme una pagina di storia della psichiatria e dei rapporti fra l’arte e la patologia. Esprit Blanche è idealmente un allievo di Pinel, colui che ha liberato i folli dalle catene; la casa di cura “a gestione familiare” offriva, oltre a discrezione e riservatezza, l’autorità “morale” degli alienisti, famosi per lo spirito di paterna comprensione e la disponibilità al colloquio. La casa Blanche aveva i tratti di un luogo di villeggiatura: un ampio giardino, orto e frutteto, camere singole e sale di ritrovo dove i pazienti potevano conversare o sentire musica.

    Certo, si deve talvolta ricorrere ai mezzi tipici degli ospedali pubblici dell’epoca, dal salasso ai bagni a sorpresa nell’acqua gelida. In tempi che ignoravano il ricorso agli psicofarmaci, la follia veniva considerata secondo un modello idraulico: l’uso di purganti e di altre tecniche aveva lo scopo di far evacuare dal paziente le sue parti insane. Per evitare pratiche violente, i Blanche fanno ricorso a minacce psicologiche, all’intimidazione e all’inganno, a finzioni curative, spesso opportune quando si deve far breccia nel gioco delirante di chi si crede Napoleone. Nella cura soprattutto di ciò a cui si ancora dava il nome di malinconia (ma dove si cominciano a distinguere la depressione e la psicosi delirante), la loro terapia si fonda sulla parola; e nella prefazione al libro, Mauro Mancia vi scorge l’anticipazione della psicoanalisi freudiana.

 

    Nella clinica sono ricoverati Gounod e Marie d’Agoult (compagna di Franz Liszt), Hugo chiede assistenza ai Blanche per il figlio, una consulenza sarà richiesta per Theo van Gogh (pochi mesi dopo il suicidio del fratello Vincent), la madre di Baudelaire dovrà rinunciare per ragioni economiche a portarvi il figlio. E l’ultimo dei Blanche, Émile, collezionista e critico d’arte, avrà modo di frequentare, soprattutto nella casa di vacanza di Dieppe, i pittori impressionisti (Renoir e Monet in primo luogo); e farà il ritratto ad un giovane amico scrittore, come Flaubert figlio di un medico, cioè Marcel Proust.

 

  Foto: Gérard de Nerval

 

    Quasi ad aprire e chiudere l’attività dei Blanche stanno la reclusione di Gérard de Nerval e quella di Guy de Maupassant. In entrambi i casi, la letteratura dà voce all’altro che invade la coscienza e diventa un modo per dare senso alla patologia psichica; la follia è fonte della scrittura, come se avesse dischiuso nuove potenzialità all’immaginazione. Nel racconto Aurelia Nerval descrive lo sdoppiamento della sua personalità, la confusione mentale dovuta a psicosi maniaco-depressiva. Ma le cure non basteranno a salvarlo dal suicidio nel 1855. Quanto a Maupassant, in molti suoi racconti il delirio e l’allucinazione sono in primo piano; il caso più noto è certo L’Horla, storia di una misteriosa epidemia di follia che sotto forma di un personaggio invisibile contagia le sue vittime. Ben prima delle avvisaglie del male (una paralisi progressiva dovuta a sifilide, caso analogo a molti altri che passano per le camere discrete della clinica), Maupassant, convinto che il talento non fosse altro che una specie di isteria, era stato attratto dalle patologie psichiche. Aveva seguito alla Salpetrière le lezioni di Charcot, tra la folla di studenti e curiosi in cui si aggirava anche un giovane medico viennese di nome Freud. L’interesse per le patologie psichiche (ed in genere per la medicina) coinvolge le figure più eminenti della letteratura francese del tempo: Zola, che ne L’opera aveva narrato il delirio di un pittore alla ricerca dell’assoluto, aveva affidato al personaggio del dottor Pascal, nell’ultimo romanzo del ciclo dei Rougon-Macquart, il compito di catalogare le tare ereditarie della famiglia cui appartiene.

 

  Foto: Guy de Maupassant

 

    Il libro della Murat ci offre la cronaca del passaggio dall’alienista allo psichiatra. Èmile Blanche sarà chiamato più volte a pronunciarsi sulla responsabilità penale dei folli, anche in casi di omicidio; sarà chiesto il suo parere nella valutazione della follia come possibile causa di divorzio. Convinto come molti alienisti del tempo che nelle patologie psichiche avesse un ruolo l’ereditarietà degenerativa (non a caso seguì con attenzione le lezioni tenute da Lombroso a Parigi nel 1889), Émile Blanche riteneva che il delirio esonerasse l’autore dalla responsabilità penale. Una posizione indulgente e giustificativa che sembrava venir meno però nel caso dei giudizi sulle donne, predisposte al crimine per conformazione fisiologica, secondo un luogo comune duro a morire. In uno dei capitoli più interessanti, la Murat si sofferma sul sinistro corteo di donne il cui ricovero in ospedale psichiatrico era richiesto da un padre o da un marito turbati dal desiderio di indipendenza o dalla vita sregolata della figlia o della moglie. 

    Michel Foucault ha mostrato come, liberati dalle catene delle prigioni, i pazzi finiscano per accedere all’universo della reclusione. Il folle è medicalizzato, diventa un malato che ha bisogno di essere curato e riportato sulla retta via. Prendendo il posto del prete, il medico continua a proseguirne la missione; la sua è un’autorità morale, fa leva sui valori della società borghese, il lavoro, la famiglia, e l’ordine. George Canguilhem ricordava che lo psicologo, quando esce dalla Sorbona, può prendere la via che conduce al Pantheon o dirigersi verso la prefettura di polizia.