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"TE LO LEGGO NELLA MENTE. L'empatia nasce nel cervello: da Giacomo Rizzolatti nuove conferme sperimentali"

 

 

di Michele Di Francesco

 

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Articolo pubblicato sul supplemento domenicale del 8.05.2005 de "Il Sole 24 ore".

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                      Rivista Frenis Zero Che ai filosofi faccia bene leggere di scienza è un fatto assodato. Se non altro - per restare a un dibattito attuale sulle pagine del Domenicale - per trovar traccia di una nozione fallibile e rivedibile di verità che si colloca a metà strada tra il dogmatismo di chi non tollera altre visioni e l'indifferentismo (forma estrema di relativismo) per cui tutte le teorie sono uguali. Vi sono casi, tuttavia, in cui la sintesi tra accuratezza sperimentale e implicazioni teoretiche è particolarmente felice, e questo è proprio quanto avviene sull'ultimo numero della prestigiosa rivista <<Science>>, uscito il 29 aprile scorso, dove compare il risultato di una ricerca di grande interesse, tanto scientifico quanto filosofico, sviluppata da quel gruppo di studiosi dell'Università di Parma, raccolti intorno a Giacomo Rizzolatti, noti a livello internazionale soprattutto per la scoperta dei cosiddetti neuroni specchio. Come è noto, tali neuroni hanno la caratteristica di attivarsi non soltanto quando un agente effettua una determinata azione, ma anche quando osserva un suo simile compierla. Le ricerche del gruppo di Parma, che aprono la strada alla comprensione delle basi neuronali dell'empatia e della capacità di "leggere" le menti altrui, sono sviluppate nell'articolo in esame, che indaga ulteriormente le basi della comprensione del comportamento, e in particolare l'attribuzione di intenzioni ai nostri simili.

La ricerca presentata (a firma Fogassi, Ferrari, Gensierich, Rozzi, Chersi, Rizzolatti, e intitolata <<Lobo parietale: dall'organizzazione dell'azione alla comprensione  dell'intenzione>>) si basa su un esperimento condotto ponendo delle scimmie in due differenti situazioni. Nella prima l'animale era indotto ad allungare la mano per afferrare del cibo e portarselo alla bocca. Nella seconda l'atto di allungare la mano era finalizzato ad afferrare un oggetto ( o anche del cibo) per riporlo in un contenitore. Ora, l'esperimento prova che la maggior parte dei neuroni motori delle scimmie che si attivano durante un particolare atto (nel nostro caso l'afferrare l'oggetto-cibo) lo fa in modo sensibile allo scopo finale. In altri termini, la maggior parte dei neuroni codifica lo stesso atto (l'afferrare) in modo diverso a seconda della differente azione di cui esso fa parte. Tornando al nostro esempio, l'azione di portare alla bocca per mangiare può essere vista come composta dalla seguente catena di atti motori: afferro il cibo, lo porto alla bocca, lo mangio. Se invece voglio porre il cibo nel contenitore, attivo un'altra catena: afferro il cibo, lo avvicino al contenitore, ce lo infilo. Il primo atto motorio delle due catene è comune, ma i neuroni che codificano l'atto di afferrare in un caso o nell'altro sono diversi. L'intenzione di compiere una determinata azione si riflette quindi già nel primo atto motorio. Si tratta di un risultato sorprendente (non è così che un ingegnere avrebbe organizzato la cosa), e che sembra suggerire la convergenza di organizzazione funzionale e struttura intenzionale dell'azione.

Ma le sorprese non sono finite. Un ulteriore risultato mostrato dalla ricerca è che molti dei neuroni che formano le catene di atti che compongono un'azione hanno proprietà "specchio" (si attivano anche quando osservo gli stessi atti in altri agenti). Quindi, quando vedo una persona compiere un'azione, si attiva in me non solo il neurone specchio dell'afferrare ma l'intera catena che codifica l'azione osservata. Già nella prima fase il mio sistema nervoso "sceglie" se l'azione di cui vedo l'inizio è un esempio di afferrare il cibo per mangiarlo o per metterlo nel contenitore.

Con un pizzico di audacia lessicale possiamo dire che non attribuisco all'altro meri frammenti di comportamento, ma azioni intenzionali dotate di senso in contesto. Se la catena attivata è quella che si conclude con il portare alla bocca il cibo, allora interpreto colui che osservo come guidato dal desiderio di mangiare: <<questa proprietà neuronale permette alla scimmia di predire lo scopo dell'azione osservata, e quindi di "leggere" le intenzioni dell'individuo in azione>>. Naturalmente gli autori sono ben consapevoli che la comprensione delle intenzioni è un tema articolato, e che i fenomeni individuati ne rappresentano solo un momento. Tuttavia è difficile non concordare con le loro conclusioni, secondo cui quello che è stato individuato è effettivamente un meccanismo che spiega un aspetto di base della comprensione delle intenzioni.

La natura del meccanismo implicato è istruttiva anche in quanto presuppone una stretta connessione tra attività motorie e attività cognitive complesse, come il capire le azioni degli altri. Il meccanismo di interpretazione è stato "cablato" nel nostro sistema nervoso nel corso dell'evoluzione sfruttando l'organizzazione di base del sistema motorio, probabilmente molto arcaica e fatta per atti molto semplici. Ciò non esclude che altri processi siano presenti quando le azioni umane sono coinvolte, a partire, suggerirei, dai meccanismi di decodifica del contesto che favoriscono la scelta tra le differenti "catene". Non siamo quindi alla ricerca di una riduzione della comprensione del comportamento alla biologia. Ma la natura incorporata (enbodied) di questi fenomeni, e la scoperta dell'esistenza di meccanismi neuronali essenziali per la nostra vita sociale è comunque un dato empirico di grande rilievo che la scienza regala alla filosofia.

 

                       
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