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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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     "LE EMOZIONI DI UN INCONTRO CON UN SOCCORRITORE" 

 

 

 

 di Ambra Cusin

 



 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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EDIZIONI FRENIS ZERO

 "Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Sulla costa abruzzese in un albergo pieno di sfollati del terremoto, a quindici giorni dal sisma, incontro Giovanni[1], anzi vengo rapita da Giovanni.

Nel parlare con delle persone emerge che sono psicologa. A quel punto un uomo, si avvicina a me con passo veloce dicendomi:

“Sei psicologa? Ho il sacchetto pieno, devo scaricare, puoi ascoltarmi?”

E’ molto diretto, non mi lascia il tempo di pensare, lo sento come un fiume in piena, una piena che arriva e che potrebbe travolgermi. Il suo eloquio è veloce, pieno di interruzioni e a volte apparentemente incoerente. Nei soccorritori possiamo ritrovare questo tema dell’incoerenza dovuto alla difficoltà momentanea di accettare di non poter mettere ordine laddove il disordine è inevitabile. Qui non c’è lo spazio per discuterlo, ma credo che con i soccorritori sarebbe necessario lavorare affinché imparino ad utilizzare  la creatività e la vitalità che può nascere dal caos in cui inevitabilmente si trovano a vivere.

Provo un attimo di paura: mi chiedo se saprò aiutarlo, svolgere il mio compito. E’ diverso essere nel mio studio, tra pareti rassicuranti a guardare il vaso con i fiori appena raccolti, mentre ascolto il paziente che parla sul lettino.

E’ diverso qui, so che tutto è diverso.

Non faccio neanche a tempo a trovare due sedie, lontani da occhi indiscreti, in un angolo, e quest’uomo  inizia a parlare.

Ci sediamo di fronte a poca distanza, sento che devo essere vicina, devo poterlo toccare per lasciarmi toccare. Gli appoggio una mano sul ginocchio e lui inizia. Credo che questo bisogno di toccare e di essere toccati sia espresso in modo  mascherato dai frequenti abbracci che i colleghi che sono stati sul luogo del disastro, segnalano. Una collega scriveva sulla mailing-list che molti la abbracciavano. Penso sia necessario un contatto (con-tatto…!) per sentire di essere vivi nonostante tutto…

In questi casi le persone parlano veloci, il pensiero sfugge, l’atteggiamento appare maniacale, ma credo che bisogna stare attenti a non diagnosticare patologie precocemente, perché si rischia di fare di queste una barriera che impedisce l’incontro vero. Le cose da dire sono così tante che si accavallano tra loro e il discorso sembra incoerente. Non lo è. Incoerente è l’esperienza che queste persone, specie i soccorritori, hanno vissuto e che cercano di raccontarci.

 

Dunque:

Quest’uomo, di circa 45 anni, è una persona energica, forte, da subito percepisco di avere di fronte una persona buona.

Non so nulla di lui, non lo conosco, non so se è sposato, se ha figli, dove abita.

Non l’ho mai incontrato prima. Non lo incontrerò più dopo.

Non gli farò domande, ma ascolterò quello che lui più volte chiamerà il suo “svuotare un sacchetto pieno”.

 

<<…da dove comincio…ero già lì alle 9 del mattino, siamo partiti subito, c’era confusione, molta gente chiedeva aiuto, dovevamo intervenire subito, ma c’è un ordine per intervenire, non puoi fare come vuoi, devi aspettare che i vigili del fuoco mettano in sicurezza la scena. Poi veniamo noi. Prendiamo le persone e le mettiamo in barella e sull’ambulanza o sull’elicottero,  poi le spediamo via.

 

Ma quell'uomo mi è rimasto impresso, quel volto bianco di polvere con gli occhi sbarrati… era sotto le macerie, ho dovuto spostare delle macerie per liberare il suo corpo, quando l’ho abbracciato per alzarlo mi sono accorto che aveva un organo interno esposto. Ho tamponato con una benda cercando di rimetterglielo dentro, sanguinava molto, ma soprattutto… soprattutto le sue parole, non riesco a dimenticarle, le ricordo tutto il tempo, ogni notte, non mi lasciano dormire.

Le sue parole: “Non farmi morire!”

Perché queste parole mi hanno colpito così, con tante persone gravemente ferite, mai nessuno mi ha detto queste cose “non farmi morire così! 

Non so cosa vogliano dire, cosa voleva da me? Perché? me lo continuo a chiedere. Devi dirmi cosa voleva da me. Era diverso.

Io ho bisogno di sapere cosa volesse dirmi, perché mi ha parlato così, proprio a me, chi sono io per lui? Chi? Devo parlare con uno che non mi conosce, vedi avrei potuto parlare con qualche amico, ma mi vergognavo, non ce la facevo a parlare con lui di queste cose. Non so perché mi vergogno>>

 (già penso io … perché? Cosa c’è di suo, di inconscio che è stato smosso dalla richiesta di questo uomo così mal messo, cosa è andato a toccare??)

 

<<Non lo so cosa volesse da te, non lo so, forse possiamo assieme dare un senso a questa frase… cercarlo assieme… scoprire perché è così diverso…>> balbetto, mentre dentro di me mi sento incapace e inutile, mentre mi chiedo come potrò aiutare quest’uomo. La mia mente funziona velocissima, anche i miei pensieri si accavallano. Quanto è importante in questi casi poter analizzare il controtransfert, o almeno essere in contatto con se stessi. In quel momento più che mai mi accorgo di quanto la gravità del trauma dipenda dagli intrecci inconsci che un evento elicita.

E mi accorgo che non so il suo nome…

<<Non ci siamo neanche presentati… io mi chiamo Ambra e tu?>>

<<Io sono Giovanni…>> sorride… stiamo parlando da più di dieci minuti e non sapevamo neanche i nostri nomi, ma entrambi eravamo già in un rapporto molto intimo. Ho l’immagine di una penetrazione violenta di immagini e penso che Giovanni sta proprio male.

Continua a parlarmi concitato.

<<Perché Ambra, perché l’ha chiesto a me, cosa voleva dirmi? Noi abbiamo gli psicologi del servizio, facciamo gli incontri di 'debriefing', ma io non ho mai parlato, non ce la facevo, dicevo che tutto va bene, mi sentivo forte ed efficiente, ero troppo preso dalle tante cose da fare, incoraggiavo gli altri, lavoravo 18 ore al giorno e dormivo di botto subito per qualche ora. Ma quando sono tornato a casa al giovedì sera mi è venuta fuori una strana tristezza, ho cominciato a pensare e il volto di quel uomo mi tornava costantemente alla mente. “Non farmi morire!”

Ecco lui non si lamentava, non diceva che gli faceva male, che aveva paura, che non voleva morire, molti in un incidente dicono – non voglio morire! – lui mi ha detto “Non farmi morire” è diverso capisci?>>

<<Sì Giovanni, capisco, è diverso, non ci è ancora chiaro perché, ma entrambi abbiamo capito che è diverso, molto diverso>>.

<<Ho evitato la tristezza per tre giorni dandomi molto da fare, quando è arrivata la tristezza è stata terribile, non parlavo più, neanche con mia moglie che è molto preoccupata,  non mangio quasi più niente, non ci riesco, la notte non posso dormire e se dormo non sogno niente>>.

<<Ci sono cose così incomprensibili Giovanni, un mistero davanti al quale siamo impotenti a dare spiegazioni e questo ci fa soffrire, noi che siamo così abituati a spiegare tutto… a risolvere tutto… noi che vogliamo essere sempre sicuri di tutto… ecco ora ci troviamo così impotenti, così fragili…>>.

Mentre mi parla penso a quanto sia importante il mettersi in contatto con la parte debole, solidarizzando con essa, identificandosi con questa per far sentire che si può tollerare la propria debolezza.

Vorrei poter dare una spiegazione a Giovanni e andarmene, so che dopo aver sentito il suo racconto dovrò portare dentro un peso, e provo paura. Mi chiedo cosa sto facendo qui  e perché sono venuta. Anch’io inizio a vedere con l’occhio della mente questo uomo dal volto pieno di polvere che chiede di non farlo morire. Perché per Giovanni è una frase così speciale?

 

<<Questo uomo si è rivolto proprio a me, a me chiedeva di non farlo morire, io che avevo solo una benda in mano, un niente e poi l’ho passato all’ambulanza e loro lo hanno portato via>>.

 

Mi sfugge una domanda, non resisto, ora so che non avrei dovuto farla perché ho caricato Giovanni, con la mia curiosità, di un ulteriore peso.

<<E poi non  ne hai saputo più nulla?>>

<<Noi non sappiamo più nulla, non seguiamo il percorso,  chissà…io non potevo fare niente di più per lui…>>

Io non riesco a non chiedermi con angoscia se questa persona che lui ha estratto dalle macerie sia viva, e penso che purtroppo sarà probabilmente morta… con un problema del genere non sarà forse neanche arrivato in ospedale… forse quest’uomo che mi sta parlando è l’ultima persona a cui lui ha potuto rivolgere la parola, chiedere aiuto… NON FARMI MORIRE…! Credo che anche Giovanni stia pensando a queste cose, ma di questo per ora non può parlare e io non domando oltre…ho già chiesto troppo…

<<Certo tu hai fatto quello che sapevi e potevi fare, ma noi spesso vorremmo potere tutto, essere onnipotenti e queste esperienze ci mostrano che non lo siamo, questo è doloroso, ci tocca, dobbiamo rinunciare ad un’illusione…>>.

<<Sì lo so questo, ne parliamo con i colleghi, sappiamo di non essere onnipotenti, ma una cosa è saperlo teoricamente, discuterlo nei gruppi, un’altra...>>.


Mentre lo ascolto mi chiedo quanto sia importante  tenere conto, nella formazione dei soccorritori, del fatto che certe cose non si riescano mai a sperimentare veramente. Io credo che certe emozioni, come quelle vissute in una situazione di emergenza, rientrino nell’ambito della impensabilità!

Personalmente penso che solo una formazione personale, lo sviluppo della propria umanità e la conoscenza di se stessi possa sostenere ed aiutare, almeno un po’, nell’elaborazione di questi eventi.

 

L’ angoscia e il senso di inutilità dei miei interventi però mi aiuta… (forse perché lascio che mi attraversi, non faccio resistenza, non mi obbligo ad essere efficiente, fredda e controllata, sono certa che non serve, anzi…).

<<Vedi Giovanni, forse, non credi che ciò che ti ha colpito, toccato è il fatto che questa persona, tra le tante di cui ti sei occupato in quei giorni, ha stabilito una relazione diretta con te, si è rivolto a te personalmente, avete avuto un rapporto personale?>>

Penso infatti che quel “non farmi” implica un rapporto, un io e un tu, un tu a cui viene attribuito un potere, presunto e sperato, di impedire la morte. Giovanni aveva osservato che in genere i feriti si lamentano, chiedono aiuto, mentre questo uomo (di cui appunto come all’inizio tra me e Giovanni, non si sa il nome) stabilisce subito una relazione, breve ed intensa.

Questo uomo pare aver depositato in Giovanni la propria illusione di onnipotenza, con cui nella vita sopravviviamo  a molte cose, che spesso è alla base della speranza, l’onnipotenza di riuscire a fare qualcosa di grande, inserita dentro ad un uomo semplice, generoso finisce per toccare ed intrecciarsi con  l’illusione di onnipotenza di Giovanni. Questo  deve farci riflettere sulle modalità più adeguate per trasmettere il “sapere” nei corsi di formazione: cos’è l’apprendimento, come avviene?

Giovanni ha preso legittimamente paura di se stesso, della propria illusione megalomanica. Dobbiamo essere consapevoli che questa illusione abita in tutti noi e forse è alla base della scelta di fare certe forme di volontariato, non dobbiamo vergognarcene! Non dico questa cosa a Giovanni, ma mi comincia ad essere chiara quando aggiunge:

<<Lui mi chiedeva di non farlo morire, e io … io non sono Gesù Cristo, non posso fare miracoli, io potevo solo tirarlo fuori dalle macerie e metterlo sull’ambulanza il prima possibile. Non sembrava soffrire, non gli faceva male, non si lamentava.. aveva quell’organo fuori… ma mi diceva – non farmi morire>> – Giovanni mi ripeterà questa frase decine di volte… credo che anche questa ripetitività abbia a che fare con il trauma, nel ripeterlo si tenta di dominarlo, di controllarlo, di non sentirsi sovrastati da esso – <<Perché questo uomo è diverso dagli altri?>>

<<E’ vero tu non sei Gesù Cristo…. Ma con lui,  grazie a lui, avete stabilito una relazione, lui è per questo speciale, non si è limitato ad essere uno dei tanti, uno che vedi per un momento e poi te ne dimentichi… è uno con cui hai stabilito un rapporto, grazie a te lui è potuto divenire una persona speciale per te, non uno dei tanti. Hai donato a questo uomo la possibilità di esistere nonostante tutto>>.

<<E poi questa gente, tutta questa gente è il mio popolo, sono abruzzesi, come me, è la mia gente, è un qualcosa che è successo alla mia gente>>.

<<Sì, questo è molto diverso, è successo un qualcosa che non si poteva prevedere, che tu e noi non potevamo evitare, di cui noi non siamo responsabili, eppure è successo, noi ci sentiamo impotenti in queste situazioni e questo ci fa stare molto, ma molto male>>.

Non sono Gesù, mi ha detto e quel “non sono” implica forse, a livello inconscio l’idea di un “sono come Gesù, buono come lui” e la relativa disillusione, il fallimento di un’illusione che da sempre lo aveva sostenuto.

<<Sembra che quest’uomo mi abbia chiesto di essere Gesù Cristo, che può  non far morire, ma io non lo sono, questa è la mia colpa, è questo che non mi lascia dormire, io ho una colpa…>>  e a me verrebbe da aggiungere “Io sono solo Giovanni…” Giovanni che non è un nome qualsiasi, l’apostolo prediletto, il “discepolo amato”… con una colpa così grave!

<<Ecco poi dopo essere stato due giorni a casa sono ritornato al campo, questa volta per cucinare, facevo da mangiare per tantissime persone, ma mi vergognavo: al campo non c’era acqua, la gente per giorni non ha potuto lavarsi (non so neanche in quale campo sia stato, non ho chiesto questi particolari…), avevano solo acqua da bere. Noi che eravamo in cucina avevamo l’acqua corrente della cisterna, per cucinare… ma noi ci lavavamo… alla sera di nascosto. Capisci questa gente così provata costretta a rimanere sporca e noi, che non avevamo i loro problemi, ci riuscivamo a lavare… di nascosto>>(lo ripete più volte).

 

Anche qui possiamo fare delle riflessioni su come facilmente si vivano delle situazioni nella realtà banali, come dei privilegi e come questo ingeneri profondi sensi di colpa.

<<Poi un’altra cosa che mi ha colpito durante il nostro primo intervento era il silenzio… lavoravamo in un silenzio terribile, momenti di un silenzio irreale che si alternava a momenti in cui c’erano grida e tensione>>.

 

Mi chiedo il perché di questo silenzio, cosa ci fa pensare, cosa fa pensare a voi che leggete, perché ha inquietato Giovanni?

 

<<L’altra sera poi mi ha preso male ad una mano, la destra, questa… non capisco perché, non mi sono fatto male, anzi avevo i guanti. Pensa, al mattino del lunedì, appena avvisato dell’emergenza, sono andato al negozio dove vendono guanti di plastica, il padrone sapendo che andavo volontario mi ha aperto nonostante fosse presto e mi ha regalato due paia di guanti. Non ha voluto soldi!>>

Mi chiedo perché ricorda questa cosa come una cosa importante. Eppure,  se vogliamo è una cosa banale, ma si è fissata nella memoria. E’ un ricordo parziale e di minor importanza che si è fissato forse a coprire fatti più traumatici e devastanti, a protezione: un uomo generoso che copre la crudeltà di un evento catastrofico come il sisma, con un paio di guanti… (del resto il guanto è un oggetto che protegge, che serve a non toccare ed essere toccati…).

Chiedo a Giovanni a cosa gli fa pensare la mano, cosa sia per lui la mano…

Sta un momento in silenzio  e poi:

<<La mano, le mani… aiutano… le mani, sì, servono per aiutare, ho scavato con queste mani, ho estratto corpi, ho aiutato persone, forse mi sono stancato e ora mi fanno male i tendini…?>>

<<Le mani che hanno aiutato ti fanno male, Giovanni… certe cose fanno male e le tue mani lo sanno…>>

Gli prendo le sue mani tra le mie, le contengo tra le mie. Sono grosse e rugose, calde, le tengo dentro e le stringo, vorrei proteggerle da tutte le brutte cose che hanno visto. Ci guardiamo, Giovanni ha le lacrime.

<<Non ho pianto questi giorni, non ci riesco, ma non mangio e non dormo, sono giorni che non dormo, non posso dormire…>>.

 Piange delicatamente in silenzio, rispettoso quasi per non disturbarmi.

<<Giovanni tu hai vissuto un’esperienza molto, forse troppo intensa, non solo per te, ma per chiunque. Ora è giunto il tempo per vivere il dolore e la tristezza, non li puoi evitare, puoi solo viverli ed è giusto così. Tu senti tristezza perché sei un uomo vivo, perché sei un essere umano e non una macchina di soccorso. La tristezza in questo caso è come la febbre, non puoi evitarla, è una reazione sana del tuo organismo, della tua mente, è il segno della tua umanità. Devi accettare e non rifiutare la tristezza. Prenditi del tempo ora…>>.

<<Sì, adesso resto a casa qualche giorno, poi riparto al primo maggio per un’altra settimana… anche mia moglie mi dice che devo riposarmi, che non devo pensarci…>> nei soccorritori si può notare questa difficoltà a staccare, questo restare appiccicati ad un ruolo che è al fondo eccitante e risucchiante.

<<Non è possibile non pensarci, lascia che questi pensieri vengano… non opporti, vengono e vanno, se ne andranno lentamente… se stanno andando via lasciali andare… non lasciarti attrarre da queste cose…>>: credo infatti che accada che ci si affezioni a certi “brutti pensieri”, ci si come crogiola in un dolore e si fatica a lasciarli andare, si è come affascinati da essi.

Anch’io mi accorgerò nei giorni successivi di far fatica a lasciare questa esperienza, della voglia di parlarne, ma di Giovanni parlo solo una sera, con dei colleghi[2], per rispetto verso di lui, scelgo di stata zitta.

Lentamente nella stanza dove parlo con Giovanni arrivano gli sfollati, è ora di cena ormai, stanno preparando le tavole. Abbiamo parlato per circa 45 minuti… una seduta… non me ne sono accorta.

Ci alziamo e ci viene spontaneo un abbraccio. Lui è grande e grosso eppure lo sento fragile, si aggrappa quasi a me.

Il mattino dopo con un sorriso sulle labbra si avvicinerà per dirmi <<Grazie… finalmente ho dormito!>>

Nel salutare Giovanni lo inviterò a stare vicino alla moglie che “ha bisogno di te… anche lei ha avuto paura…” Penso che così potrà restare in contatto con una parte fragile di se stesso, che ha depositato nella moglie per mettere la corazza del “cavaliere senza macchia e senza paura”. Penso alla storia del Visconte Dimezzato…

 

 


 

Note dell'autrice:

 

 

[1] Nomi e riferimenti concreti sono inventati ,per ovvi motivi di privacy.

[2] Ringrazio i colleghi della SIPEM SoS FVG (Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza) per aver condiviso con me questo colloquio ed avermi aiutata ad elaborarlo.

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

 

 

 

 

 

   
 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

   
   
 

 

   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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