La presentazione del prof. Tosti


 

Ripercorrere brevemente gli orientamenti della storiografia su cattolici e Resistenza.

Le caratteristiche della vita politica italiana dell’ultimo cinquantennio, hanno alimentato riflessioni sulla Resistenza connotate da una forte impronta rivendicazionista; anche da parte cattolica c’è stata sempre l’esigenza di non far scomparire i propri resistenti all’interno di unitarie associazioni nazionali ma di organizzarne la presenza e mantenerne la visibilità dentro il soggetto politico che raccoglieva la maggior parte del consenso elettorale dei cattolici. E’ stato uno sforzo per mantenere ben visibili alcune diversità, rispetto alle componenti di sinistra, in una lettura che identificava presenza cattolica e democristiana e che si sostanziava in celebrazioni, medaglioni biografici, ricostruzioni storiografiche, soprattutto locali, che avevano come obiettivo quello di conservare e trasmettere la memoria dei resistenti cattolici nei militanti della Democrazia Cristiana. Questo orientamento della cultura di partito, che tendeva a sottolineare, né poteva essere diversamente, lo specifico ruolo dei propri resistenti, dal quale poi faceva discendere gli elementi fondativi dell’azione politica dell’organizzazione, lentamente superato a livello nazionale dagli appelli che, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, diversi intellettuali cattolici lanciarono per sviluppare una storiografia della Resistenza scientificamente impostata, resiste a lungo nella realtà dell’Umbria, anche a causa della peculiare situazione politica della regione, in mano, già a partire dal ‘48, dei social-comunisti

Fu a partire dagli anni Settanta, anche in relazione all’istituzione, prevista dalla costituzione, delle regioni, che prese corpo, anche in Umbria, un nuovo indirizzo storiografico, che teneva maggiormente conto della storia della società italiana e spostava, di conseguenza, l’attenzione dalla specificità della partecipazione dei cattolici alla Resistenza al rapporto fra chiesa, cattolici e nascita della Repubblica. Un convegno del 1975, tenutosi a Foligno, ideato proprio da Alberto Monticone e da un gruppo di suoi allievi, poneva le basi per una nuova lettura della presenza dei cattolici nella Resistenza e nella guerra di Liberazione, più interessata alla ricerca delle motivazioni, più attenta alla ricostruzione del contesto ecclesiale e della dimensione politica. L’iniziativa, con la pubblicazione del volume Cattolici e fascisti in Umbria (1922-1945), a cura di A. Monticone, Bologna, Il Mulino, 1978, faceva compiere un passo notevole agli studi favorendo una spoliticizzazione del richiamo resistenziale.

E in questo orizzonte, ormai allargato, che tende a valorizzare la totalità della guerra, a esaminare il coinvolgimento delle popolazioni civili, rintracciando le radici dei comportamenti differenziati e la spontaneità delle scelte, con una sensibilità e un interesse verso la storia dei singoli resistenti, si muove anche il lavoro di Antonio Nizzi, un volume costruito utilizzando tutte le fonti disponibili, scritte e orali, perfettamente inserito nella storia politica e sociale di Foligno.

Il volume, in parte, toglie a quei pochi mesi, convulsi e violenti, un certo alone di eroicità ma recupera tutta intera la intensa, spiritualità del Circolo S.Carlo e restituisce intatta alla memoria un’immagine più reale e più ricca di umanità. Si è molto discusso sulle motivazioni che portarono alla scelta della Resistenza: Nizzi si pone subito certe domande (cfr. pag. 12) motivi patriottici, morali e religiosi si intrecciano ma in molte testimonianze non si trovano "indicazioni politiche"; sembra prevalere la scelta di un’attività assistenziale a favore dei rifugiati e dei perseguitati. Apparve allora, in tutta la sua evidenza, il ritardo della cultura politica dei cattolici; anche in Umbria l’impreparazione politica di quella generazione che compiva vent’anni tra guerra, Resistenza e ripresa democratica, viene sottolineata dalla testimonianza di Giorgio Battistacci, che ricorda l’assoluta mancanza nei giovani cattolici, formati in periodo fascista e convinti della bontà dell’organizzazione della società e dello stato attuata dal regime, "di qualsiasi formazione politica e di capacità di compiere scelte politiche".

Emerge allora, in quel contesto, anche in Umbria, il ruolo decisivo della generazione ex popolare: di Salciarini a Gubbio, di Vischia a Perugia, di Gabriotti a Città di Castello, di Zeno Fedeli, Giovan Battista Cantarelli e altri a Foligno; erano uomini in grado di riprendere l’iniziativa, perché conoscevano le regole della lotta politica, le sue forme organizzative ed istituzionali.

Breve ma intensa fu l’esperienza del Partito Popolare in Umbria; a molti laici ed ecclesiastici, il Partito Popolare sembrò l’unico strumento contro le ingiustizie dei padroni e le violenze anticlericali dei socialisti ma la sua nascita e la sua diffusione riaprì all’interno della Chiesa umbra antichi contrasti e mai sanate lacerazioni. L’atteggiamento di crescente diffidenza dell’episcopato, favorito dalle disposizioni di Roma, la mancanza di un laicato sufficientemente autonomo, l’accerchiamento nei confronti dei parroci da parte delle autorità fasciste, con l’obiettivo di portarli verso atteggiamenti più concilianti, provocarono una grossa emorragia degli aderenti verso destra che, sanzionata nelle elezioni del 1923, porterà al tramonto dell’esperienza popolare.

Da quella radice, si svilupperanno diversi itinerari, talvolta opposti: se alcuni ex popolari approderanno al fascismo, fu il caso del sacerdote, grande amico di Gabriotti, don Enrico Giovagnoli, o il caso di mons. Faloci Pulignani che dopo aver collaborato alla fondazione del PPI a Foligno e si impegnò nelle elezioni del 1919, abbandonò i popolari e si presentò nel 1923 alle elezioni amministrative nelle liste del Partito Fascista per controllare - come disse – il fascismo dal di dentro; altri, come Gabriotti, Salciarini, e tanti sancarlisti, conservando una forte ripugnanza verso il regime fascista, dall’esperienza popolare arriveranno alla Resistenza, subito comprendendo che quella scelta era a favore della libertà e dei diritti civili, nonché passaggio necessario per l’instaurazione di un nuovo sistema democratico.

Molti cattolici, allora, e quelli del Circolo S.Carlo, per primi, afferrarono subito la dimensione politica del movimento resistenziale; c’è in loro la consapevolezza dell’apertura, dopo la caduta del fascismo, di una nuova fase della storia italiana. Scelta libera, guidata dalla coscienza e da una forte tensione verso un futuro migliore. Scelta libera e spesso operata in solitudine, senza ricercare le direttive del vescovo. Si tratta di una svolta importante, soprattutto nella storia del cattolicesimo locale, che aveva visto sempre il clero in prima linea nell’attività sociale e politica e un laicato sempre sottoposto all’autorità e alla disciplina della dottrina. La scelta dei sancarlisti, come degli altri resistenti cattolici, inaugura allora una nuova fase del rapporto tra fede e politica, fa scoprire nuovi ruoli e nuove responsabilità ponendo le premesse per una nuova presa di coscienza dei compiti del laicato nella Chiesa.

In realtà, quello che emerge, anche dalle testimonianze di Foligno, è che, in quel frangente, si verificò un vuoto di autorità; l’assenza dello Stato, la mancanza di direttive chiare e precise appare evidente. Dopo l’8 settembre, anche a Foligno, si registra un diffuso atteggiamento di estraneità nei confronti della Repubblica Sociale, non era sicuramente vista come la nuova autorità statale, perché non dimostrava la capacità di difendere la vita e la sicurezza dei cittadini e finì per essere identificata con gli occupanti tedeschi. L’idea della Patria tradita, la intollerabile situazione che consentiva alle truppe tedesche di spadroneggiare nel territorio italiano, sono motivi dominanti, per esempio, nelle pagine del diario di Venanzio Gabriotti, e quando, pochi giorni dopo la firma dell’armistizio, un manifesto rende noto che l’Armata tedesca ha assunto tutte le responsabilità della sicurezza della popolazione, non esita a scrivere : "Ricomincia l’epopea del Risorgimento".

La Resistenza considerata come un secondo Risorgimento è stata la proposta interpretativa che, nata nell’ambito della cultura cattolica negli anni del centrismo, ha avuto poi un notevole successo, ma appare oggi un collegamento forzato. In realtà, se - come ha scritto Antonio Parisella - "della Resistenza si vuole sottolineare il carattere popolare o, se si preferisce, nazionale, occorre riferirsi ad un’idea di nazione diversa da quella che intendevano le classi dirigenti dell’Italia liberale e del fascismo. Ciò significa riconsiderare della Resistenza gli elementi di discontinuità rispetto alla storia dell’Italia; durante il periodo della Resistenza prese corpo un blocco sociale inedito, che qualifica la Resistenza eventualmente come un Risorgimento "diverso" rispetto al primo. Anche i sancarlisti che scelsero la Resistenza sembrano consapevoli, della originalità della nuova guerra di liberazione e del passaggio da un tronfio patriottismo, a un nuovo sentimento di Patria, che si vuole non solo libera dall’oppressore tedesco ma anche più vera e giusta.

E’ presente in tutti l’idea, assai cara ai popolari e a Sturzo in particolare, della Resistenza come riconferma dell’indissolubilità dell’amore di Patria dalla concezione della libertà; il proposito della liberazione dell’Italia, dell’Umbria, della sue città, dalla tirannide nazi-fascista non era immaginabile indipendentemente dalla liberazione del "cittadino", dal ripristino di un "sistema" di diritti politici, civili e sociali. Sulle ceneri della dittatura, dopo l’8 settembre, nasce una nuova idea di cittadinanza, che si coagula intorno ai valori di libertà e democrazia e segna, per questo, una forte cesura, non solo con il fascismo ma anche con l’ordinamento liberale. Nelle testimonianze dei sancarlisti è reperibile un tessuto di valori comuni e condivisi dalle diverse militanze politiche, in cui la dimensione nazionale e le istanze di giustizia sociale si intrecciano. Le cose, come è noto, non andarono nel senso immaginato e dopo gli anni dell’unità resistenziale, le forze politiche protagoniste della Resistenza si sarebbero divise e aspramente combattute: così, la memoria delle origini dell’Italia Repubblicana è rimasta fortemente condizionata dalla divisione del mondo in blocchi rigidamente contrapposti. Dopo le elezioni del ‘48 fu lo scontro comunismo anticomunismo a polarizzare la politica italiana e in questo contesto "il riferimento ad un comune fronte antifascista divenne più difficile per entrambi gli schieramenti". Emblematica, in questo senso, mi sembra la vicenda di Antero Cantarelli, candidato DC alle elezioni per l’Assemblea Costituente, che dopo il ’48 preferì ritirarsi, come tanti altri compagni della "Garibaldi", a vita privata.

A più di cinquant’anni di distanza dalla nascita della Repubblica sugli eventi che l’hanno generata rimangono ancora tra gli storici pesanti divergenze di giudizio e "l’idea di una Repubblica viziata sin dall’origine dal compromesso consociativo catto-comunista convive astiosamente e polemicamente con l’idea di una democrazia riconquistata dall’antifascismo in una prospettiva di rinnovamento subito raggelata nell’anticomunismo".

La vicenda del San Carlo, credo senza forzare la storia, resta a dar ragione di quello spirito collettivo, di quell’ansia di libertà e di rinnovamento sociale, di quel comune sentire contro la dittatura, che interessò le diverse militanze politiche e le diverse convinzioni personali; un tessuto di valori comuni che ha costituito un patrimonio sotterraneo, ma tenace, per la vita civile della nuova Italia.

 
L'intervento  del Prof. Antonio Nizzi

 

L'intervento del Sen. Alberto Monticone

 

L'intervento dell'Avv. Giacinto Cecconelli

 

L'intervento del Prof.  Raffaele Rossi

 

Il resoconto dell'iniziativa

 

Le immagini

La Memoria per l'impegno