L'intervento del sen. Alberto Monticone


 

Sono venuto qui questa sera con molto interesse perché ricordo la vivacità degli interventi, dei dibattiti di quel lontano convegno del 1975 intorno ai rapporti tra cattolici e resistenza..

Ho letto con grande attenzione il libro del prof. Nizzi che ha fatto un’opera particolarmente significativa, per le cose dette molto puntualmente dall’amico Mario Tosti, anche perché ha dato uno sfondo complessivo alla vicenda dell’Istituto S. Carlo: cioè ha voluto riprendere con una accurata indagine documentaria e storiografica il cammino che l’Istituto S. Carlo ha fatto dalle sue origini sino al periodo della nascita della Repubblica, in particolare soffermandosi sugli anni del fascismo e della Resistenza.

 

Questa prospettiva è molto importante perché in questo momento storico della cultura e della coscienza politica italiana, ma anche della coscienza civile dei cattolici, è rilevante non uscire dai dibattiti in qualche misura pretestuosi di questi giorni, di queste settimane, sul revisionismo storico e sul controllo della storia che viene offerto alle nuove generazioni.

 

Il percorso fatto dal libro è emblematico, significativo e utile perché non è il rifugio nella memoria o l’esaltazione di una vicenda straordinaria come quella dell’Istituto S. Carlo, e di un’azione impegnativa e gloriosa dei sancarlisti nella Resistenza, ma è una attenta valutazione di un dato storico così come si è svolto, cioè ricercandone l’effettiva realtà, le radici delle motivazioni e gli effetti sulle coscienze dei giovani, e non più giovani, che quell’Istituto hanno vissuto da prima e poi hanno propagandato con la loro testimonianza a Foligno e nella società civile più in generale.

 

Sono stato particolarmente colpito da alcune testimonianze (alcune le conoscevo, altre le ho lette nel volume) che fanno riferimento soprattutto a due elementi costitutivi di questa storia folignate e nello stesso tempo storia cattolica dei laici italiani: il primo elemento è quello della formazione che nell’Istituto S. Carlo è stata gradualmente allargata a diverse attività che andavano appunto dalle attività più propriamente catechistiche, a quelle artistiche, sportive, culturali in senso lato; formazione che gradualmente si amplia fino a far crescere davvero una generazione, che poi si moltiplica nel tempo, di cittadini: cioè di uomini e donne che si sanno davvero inserire nella loro società; questa storia che non è vista né col senno di poi né con l’esclusiva ottica del tempo, ma guardata in rapporto all’evoluzione della storia, della società e dei problemi del tempo. Perché in questo sta il significato del ricorso ad una memoria storica: una memoria storica che per Foligno, e per i cattolici di Foligno in modo speciale è particolarmente importante, significativa. Una memoria però che non è nostalgica e neppure in se stessa celebrativa, ma è una memoria costruttiva.

 

L’altro punto fondamentale che mi ha colpito nel libro è quella attenzione, che poi si esplicita nella scelta resistenziale, del primato della coscienza; cioè in fondo è la chiamata di questi giovani ad essere responsabili delle scelte, che poi fanno appunto non per motivi politici, partitici o di schieramenti ma per motivi di valutazione di quella che è la realtà.

Una valutazione fatta secondo una coscienza divenuta già matura nell’età giovanile. Io credo che questo sia davvero il significato di una memoria storica, questo primato della coscienza.

Questo ci aiuta oggi a capire quello che può essere importante per noi oggi e cioè il rapporto tra la memoria di queste vicende ed il presente, anzi le possibilità per il futuro.

Credo che la storia del movimento cattolico durante il regime fascista, che ha suscitato molte e diverse valutazioni tra gli storici, (e ahimè devo dire anche tra i politici, da un’opinione pubblica più superficiale), è una storia fatta di gruppi, circoli, di realtà associative che partono dal basso e che da una unità di comunicazione, di sentimenti, di orientamenti, che poi si concentrano ovviamente su alcuni punti essenziali; da questa unità fanno realmente emergere la capacità della base popolare, cristiana dei laici cristiani verso scelte importanti nella vita, nelle proprie professioni, nelle proprie attività come allora veniva detto di apostolato cristiano e nella attività civile e poi politica.

 

Credo che questa attenzione ai luoghi di formazione non sia un fatto meramente riservato al passato: l’Istituto S. Carlo è uno di questi luoghi importanti, decisivi che ha lasciato una traccia che credo possa essere davvero utile per il presente, ma in un certo senso occorre che ci si renda conto da questa lettura che nella Chiesa, nella società civile, i laici ed i cristiani devono continuamente reinventare l’aggregarsi, il riconoscersi in piccoli realtà: cioè ripartire continuamente da un vivere l’esperienza quotidiana e guardare alle prospettive future insieme.

Purtroppo il momento culturale italiano, e forse più in generale europeo,  sotto un questo profilo è abbastanza lacunoso perché il ritorno alla realtà territoriali è un ritorno che non è spesso indirizzato a porsi realmente in ascolto di questa realtà territoriale, non indirizzato a vivificarla dal basso, a renderla operativa per una comunanza più grande di ideali, di esperienza di vita (anche di esperienza cristiana oltre che di esperienza civile).

E’ piuttosto una rivendicazione in qualche modo che può portare a ritirarsi nelle piccole realtà piuttosto che a valorizzarle. Allora ancora io vorrei partire dal libro per cercare di capire come alcune di queste pagine possano essere utili ad una ripresa culturale dal basso della nostra società. In modo particolare credo si possano osservare due momenti indicati dal libro: il momento della ribellione, della rivolta morale della coscienza cristiana nella Resistenza, ed il momento più in generale del rapporto tra la Chiesa locale e la vita cittadina.

Quando si aprono queste pagine, sia nel testo dell’autore sia nella testimonianze, vengono in mente altre esperienze di persone, di piccoli gruppi che sono partiti dalla coscienza dall’esperienza locale e che poi hanno portato una ventata più generale di  rinascita di un risorgimento, non soltanto sulla vecchia traccia nazionale, illustre ed importante e che ingiustamente (non qui dal prof. Tosti ma da qualche altra parte) viene rinnegata, ma un Risorgimento più complessivo, più aperto. Mi veniva in mente quella testimonianza di Teresio Olivelli anche lui un cristiano, un ribelle per amore, come scrisse nel suo testamento spirituale e nella preghiera dei ribelli per amore della Resistenza, un giovane ufficiale degli alpini che appunto, fu protagonista al nord della Resistenza.

 

Credo che queste esperienze siano grandemente importanti non per metterle in una galleria di eroi, di persone da venerare, certamente da rispettare, da valorizzare, nella memoria, ma per provocare noi stessi a qualche cosa di diverso.

L’altro aspetto è quello del rapporto tra la comunità ecclesiale locale e la vita cittadina che ha attraversato in modo molteplice questi ambienti, con differenti carature anche di accordo, di contrasto, e comunque sempre con una relazione intensa. Questo rapporto, questa mediazione è elemento ancora molto importante: è un fatto per l’avvenire. Vorrei dire che ogni generazione passata al S. Carlo ha avuto il suo modo di fare ed in un certo senso è questo cambiamento continuo generazionale che ha una sua perennità di valore etico e civile, cristiano e politico in senso alto.

 

Allora qui mi viene da dire che occorre fare un confronto tra quello che oggi si pensa, si legge, si scrive nei libri, nei giornali, nelle scuole, nelle realtà istituzionali intorno alla cultura, alla cultura storica, alla memoria.

Mi sia consentito anche in questo sede, proprio leggendo con rispetto una memoria storica che a suo modo era anche controversa; ha avuto momenti anche di contraddizione talvolta tra le scelte degli uni e degli altri, le scelte successive di alcune persone, però una memoria storica confrontata con la vita non dettata dall’esterno. Ebbene se noi oggi guardiamo in Italia dobbiamo dire che la memoria storica nel nostro Paese è altamente deficitaria. Il revisionismo che una parte della cultura politica e sociale del nostro Paese vuole ritenere come la strada giusta per rifare l’Italia, per affratellare l’Italia, per superare le contraddizioni: il revisionismo programmatico è un errore non soltanto storico, ma è un errore etico-politico, è un errore che purtroppo compiono anche persone di grande dignità culturale e di grande rilievo culturale e anche politico

La memoria storica, la storia, non può essere sottoposta a  revisionismo da nessun altro che da una critica reale, cioè da uno studio. Intanto da un riconoscimento della memoria. Nel momento in cui noi leggiamo queste testimonianze e questa analisi storica sull’Istituto S. Carlo di Foligno ci dobbiamo mettere in una condizione di accettazione delle scelte compiute dai protagonisti di questo Istituto, un’accettazione anche critica, ma un riconoscimento di quello che hanno fatto senza pensare poi di utilizzarlo per altri fini che magari sono per appagare noi stessi, per rendere meno difficile a noi la vita oggi.

 La storia va assunta con coraggio così come si è svolta, naturalmente sapendo bene (e qui è il compito non solo della storia ma di ogni cristiano che voglia confrontarsi con la tradizione) che il riconoscimento di quello che hanno fatto i nostri predecessori non può tradursi in una utilizzazione per noi.

Noi siamo responsabili di quello che dobbiamo fare oggi nella nostra società. Questo è il primo aspetto che vorrei sottolineare.

 Il secondo aspetto mi viene proprio dal programma dell’Istituto S. Carlo: cioè da questa idea della formazione. In fondo l’Istituto S. Carlo era anche una realtà che serviva le parrocchie, che serviva la vita della Chiesa locale, e che procedeva ad alcuni tipi di formazione che era difficile realizzare in singoli momenti separati della catechesi, o delle singole parrocchie.

Quello della formazione è un tema importante; ma come è possibile oggi pensare ad una formazione che riesca a coniugare il cristianesimo, i valori morali e la realtà sociale del momento?

E’ questa formazione non può essere dettata dall’alto, precostituita nei suoi elementi, fissata quasi una volta per sempre e soprattutto non può essere antagonista con la realtà storica del nostro tempo: la formazione non può essere altro che una finestra aperta sul presente e sul futuro, con una capacità ovviamente di distinguere nell’analisi quelle che sono i valori fondanti, comuni che accomunano i credenti con i non credenti, i cristiani con la realtà civile; però il protagonismo è affidato a coloro che vengono formati.

E qui vorrei fare un ulteriore passo in avanti ( forse sono riflessioni che esulano da un contesto prettamente storico, ma parlando in un contesto etico e culturale si possa guardare innanzi).

Io scorgo in queste successive generazioni che si sono formate qui, non un modello sclerotizzato lungo i decenni, ma un modello che si è man  mano attualizzato e questo modello ha avuto, certo con qualche ricaduta all’indietro, una tensione verso la laicità cristiana, cioè la formazione alla laicità cristiana.

Questi giovani che sono usciti dal S. Carlo quando hanno fatto le loro scelte di coscienza non solo nel periodo fascista e nella Resistenza, ma poi nelle professioni e nell’attività civile, nella vita, hanno dovuto fare ricorso a quanto hanno appreso, hanno sperimentato nella formazione al primato della laicità cristiana, alla responsabilità. Questo è il cammino aperto verso una nuova ripresa di piccoli gruppi, di esperienze messe in comune dalla base dei laici cristiani nella chiesa e nella società civile.

Ed alcune di queste pagine sono veramente significative, per esempio gli appelli di Antero Cantarelli nel momento della libertà  e gli appelli anche ai giovani; non sono i moniti del maturo, perché non era ancora vecchio quando li faceva, che vuole insegnare ai giovani qualcosa, ma sono appelli per un cammino di autonomia e di laicità cristiana.

Infine vorrei spendere una parola per gli aspetti della cultura e della cultura popolare. Mi pare che qui l’Istituto S. Carlo sia stato un esperimento un laboratorio di cultura popolare; un laboratorio che ha compiuto il suo percorso storico in un certo modo. Oggi noi avremmo bisogno di nuovi laboratori che ci consentano di superare pregiudizi, di aprire le menti e le esperienze, non solo dei giovani ma di tutti, alle nuove possibilità che si hanno, anche dal punto di vista tecnologico, delle comunicazioni.

Nella rivoluzione tecnologica e comunicativa ci vogliono laboratori nuovi, ma che non possono prescindere dall’esperienza vitale; e credo che l’esperienza vitale sia ancora valida nell’associazionismo, nell’associazionismo di base, in particolare in quello cattolico, nei piccoli gruppi, nella ripresa dal territorio per un progetto più vasto che non deve essere già definito nelle sue linee per una nuova cittadinanza, che però deve essere comunque motore di attenzione di attesa, di capacità di accogliere il nuovo. Questo è la lezione del rapporto tra la memoria storica e l’impegno: la capacità di accogliere il nuovo.

Dal punto della storiografia questo libro e queste testimonianze che saranno corroborate ancora anche questa sera sono certamente un apporto importante ed io spero che non sia soltanto un apporto folignate, umbro, ma che sia qualche cosa che possa entrare in un circolo di metodo culturale e laicale cristiano molto più vasto dell’Umbria.

Mi scuso di queste osservazioni molto superficiali ma sono venuto soprattutto a rendere omaggio a questo senso di una memoria che  si rinnova non negli modi ma che ha la capacità di guardare in avanti e di lasciare spazio a chi viene nuovo.

 
L'intervento  del Prof. Antonio Nizzi

 

L'intervento del prof. Mario Tosti

 

L'intervento dell'Avv. Giacinto Cecconelli

 

L'intervento del Prof.  Raffaele Rossi

 

Il resoconto dell'iniziativa

 

Le immagini

La Memoria per l'impegno