L'intervento del prof. Raffaele Rossi - Presidente I.S.U.C.


 

Sono lieto di essere presente a questa iniziativa, contento di avere ascoltato il contributo del prof. Monticone, e questa bella testimonianza dell’avv. Cecconelli; questo ha arricchito la conoscenza che io in parte avevo del S. Carlo di questa organizzazione sicuramente, sono d’accordo con Mario Tosti, abbastanza eccezionale nel panorama del mondo cattolico umbro; conoscevo alcuni aspetti di questa storia, ma il libro di A. Nizzi l’ha precisata, ne ha descritto in modo organico completo anche con la ricchezza delle testimonianze.

Una storia lunga, con questa impronta, questo riferimento di libertà religiosa, ma non solo religiosa: le cose che diceva Cecconelli sono molto convincenti e poi lo si coglie da quelle due belle lettere di Antero Cantarelli molto significative così come dal diario di Fausta e Adelio Fiore, altro sancarlista.

 

Questo stretto rapporto tra l’Istituto S. Carlo e la Resistenza antifascista, sicuramente l’elemento che più colpisce

“Dove si affermano valori - cito le parole di Cantarelli – di libertà, di giustizia, di eguaglianza”: allora io ritrovo molta sintonia, e in questo voglio dare la mia testimonianza, con i giovani cattolici di Perugia, a me vicini, per il comune orientamento nell’impegno antifascista, mi riferisco a Giorgio Battistacci, a Ferruccio Chiuini per la continuità di rapporto, di confronto. Anche quando eravamo divisi su partiti diversi e avversi, però rimanevano uniti da quell’ideale di liberazione che avevamo inteso non solo come fine della guerra, delle sofferenze, come riconquista della libertà, ma anche come profondo rinnovamento della società. Questo è un dato che ci ha sempre unito, che ci ha consentito anche nelle appartenenze politiche avverse di ritrovarci di avere un confronto e di imparare una cosa (che io ho imparato in questo confronto con loro): avere il senso del limite dello stare in politica.

 

Antonio Nizzi ha indicato come la sola presenza dell’organizzazione cattolica, nella sua attività verso i giovani, questa educazione alla democrazia, come diceva l’avv. Cecconelli, contestava di fatto il monopolio educativo del regime; certo alle spalle doveva esserci tutta una azione, una esperienza, il primato ed il sussulto delle coscienze; certo anche i riflessi forse anche politici. Ho presente che in quel convegno che è stato richiamato, Pietro Scoppola , mi pare, ponesse un problema di studiare l’eredità, da un lato dell’integrismo, dall’altro lato del modernismo e degli orientamenti democratici. Io credo che se qui nel S. Carlo una eredità la si possa trovare  bisogna tener conto di queste idee democratiche e forse anche, per stare sul piano più politico, della tradizione del partito popolare; sono aspetti credo che andrebbero ulteriormente approfonditi, almeno per quello che mi riguarda.

Io chiuso il libro ho fatto alcune riflessioni.

Intanto l’importanza di questo lavoro, credo che il prof. Monticone da grande esperto storico possa essere d’accordo, il valore storiografico. Cioè la storia locale che non è una storia minore, che se non chiusa in se stessa  consente una penetrazione nel profondo della società, ci avvicina di più  alle realtà dei fatti, sottolineo l’importanza di questo lavoro anche da questo punto di vista, e anche perché a mio parere, consente una verifica di certe tesi storiografiche che sono divenute di moda, quando non la revisione (che mi pare un giusto metodo della storico) ma questo revisionismo al servizio di obiettivi più o meno politici ha cercato di imporre una serie di tesi.

Si è parlato anche di una debolezza, di una timidezza degli storici di contestare certe tesi: per esempio, intanto la questione tanto indagata del consenso al regime fascista; ma questo libro, come altri libri, dimostra ben altro: dimostra che questo consenso non è però così largo tra certi strati, era più largo nel ceto medio, ma comunque era fragile, molto fragile anche quando era molto largo.

Io sono rimasto colpito da questi due documenti dei prefetti di Perugia e Terni che nel 1940 al momento della dichiarazione di guerra da parte di Mussolini alla Francia e all’Inghilterra scrivono al Ministero degli Interni dicendo che tra la popolazione c’è preoccupazione e che c’è un atteggiamento non positivo verso l’alleato tedesco, e siamo all’inizio della guerra e questo è molto significativo, perché poi abbiamo visto che il 25 aprile del ’43 quando la monarchia fa il colpo di stato e arresta Mussolini questo partito che era così seguito che aveva questo grande consenso si scioglie come neve al sole, ci vogliono poi i tedeschi per rimetterne in piedi qualche cosa che potesse continuare quella esperienza.

 Tosti, ne ha parlato: l’8 settembre come “morte della Patria”, anche questo è diventato come una specie di motivo imposto: ma quale idea di Patria moriva? E quale idea di patria invece si affermava? Una nuova idea di patria, ma Cantarelli, Cecconelli, i sancarlisti riscattavano la patria; quindi Galli Della Loggia dovrebbe forse confrontarsi di più con le realtà locali, fare queste verifiche.

Lo dico anche per Renzo De Felice, questo grande storico del fascismo, che ha indagato come nessun altro montagne di documenti e da questo punto di vista ha compiuto sicuramente un’opera meritevole che successivamente ha accresciuto, ha arricchito le conoscenze sul fascismo: però questa storia della zona grigia dell’attendismo civile, a me non ha mai convinto, perché sarebbe una zona, la grande maggioranza del popolo italiano che sta ferma mentre ci sono due minoranze che sanguinosamente si combattono tra loro.

Però non è così, questa zona grigia è mobile; io ho avuto una esperienza nel ‘42-’43 qui sulle vostre montagne a Pupaggi di Sellano, sono andato a fare il maestrino di montagna: io fui colpito e lo dico perché è un’ottica non urbanocentrica con la quale si guarda la guerra (era la realtà poi di tanta parte del Paese, dell’Italia agricola, dal fatto che in questo paese, allora, non c’erano più gli uomini adulti perché erano tutti in guerra o in prigionia, c’erano vecchi e donne, bambini che strappavano a stento qualche cosa dall’avara terra, e con la paura poi dell’ammasso obbligatorio che li portava via quasi tutti, davanti a questa popolazione intera, dove non c’era ombra di azione politica dove non c’era ombra di antifascismo, lo Stato era in profonda crisi di identità e c’era il parroco che sul davanzale della sua finestra metteva il telefunken l’unico apparecchio radio esistente e a tutto volume faceva ascoltare i bollettini di guerra, ma non erano quelli di Roma, era Radio Londra.

Popolazioni quindi che si spostano verso la liberazione, verso la pace, verso gli alleati e quindi verso la Resistenza o meglio diciamo “le Resistenze”, perché anche quel parroco faceva la Resistenza.

L’altra riflessione che faccio, leggendo il libro, è la dialettica tra vertice e base , tra regime fascista e Chiesa; essi si confrontano, si accordano con il Concordato del 1929, si scontrano; (nel ’31 poi qui ci sono i fatti che riguardano il S. Carlo) fallendo tutti e due i propri obiettivi.

Il regime non riesce a “fascistizzare” i cattolici, o almeno tutti i cattolici come avrebbe voluto, la Chiesa non riesce a “cattolicizzare” il fascismo: l’intesa dei vertici deve fare i conti con la realtà sociale perché la base interagisce. Io ricordo quella che era la scuola durante il fascismo (non solo per quello che riguarda i libri di testo): avevamo il libro unico, e chi aveva qualche stimolo o interesse dovevamo andare a cercare libri proibiti per capire, per sapere cosa era successo in Italia; ma in questa scuola così gerarchica, così autoritaria durante l’ora di religione si poteva insultare, era permessa ogni forma di intolleranza verso il professore di religione, cosa neanche immaginabile verso nessun altro. Forse aveva ragione il futuro Papa Paolo VI, quando scrisse “se la libertà al Papa non è garantita dalla forte  e libera fede del popolo, quale trattato e quale territorio lo potranno”.

L’ultima considerazione è questa: leggendo questo libro ho ripensato a quanto in questo secolo hanno pesato gli ideologismi, non parlo degli ideali, parlo delle esasperazioni, dell’odio ideologico, lungo questo secolo definito terribile, secolo della catastrofe, è stato anche tante cose, ha avuto anche le luci del progresso economico, dello sviluppo tecnico e tecnologico, del miglioramento delle condizioni, ma ha avuto anche le tenebre della barbarie.

E non ignorerei quello che c’è prima e quello che prepara sia la grande guerra sia la dittatura: quando ero ragazzo cercavo di capire quello che c’era stato prima del fascismo e andavo a leggere i libri e le riviste di quindicennio giolittiano che c’è in Italia prima della I guerra mondiale e rimanevo colpito da quella agitazione antiparlamentare e antidemocratica così violenta che veniva da grandi intellettuali schierati contro i partiti contro la politica: cito alcune cose: Giovanni Papini “L’Italia ha bisogno di sangue, di sterminio, ha necessità di guerra esterna ma anche di guerra interna -cioè preconizzava la guerra civile”, Prezzolini: “bisogna immergersi nella barbarie per ringiovanirsi”  e non dico di Marinetti che parlava della guerra come “igiene del mondo”  e che gridava agli avversari “bruceremo le vostre catapecchie per riscaldarci questo inverno”: cito queste cose per evidenziare anche la terminologia violenta che denota i prodromi, ci sono i germi della guerra e della dittatura. Questo odio ideologico ha continuato: pensate all’Umbria degli inizi del secolo quando succede un fatto nuovo che è la scesa in campo del mondo contadino e cambia di segno la storia della regione: allora ci sono le leghe rosse di contadini organizzate dai socialisti, e ci sono le leghe bianche organizzate dai parroci. E sono fieramente divise dalla ideologia che contrapponeva ciò che la condizione sociale avrebbe dovuto invece unire.

Quando Don Rughi, parroco di Gubbio, organizza un grande sciopero che va dall’alta valle del Tevere, nell’egubino, fino a sotto Perugia, fino a Bosco, lo Stato manda l’esercito a spezzare lo sciopero, l’autorità ecclesiastica condanna don Rughi, i pontefici laici ugualmente lo irridono: i poteri forti uniti, nonostante le loro differenze ideologiche, i contadini divisi dall’ideologia e sconfitti. Ho meditato su queste cose anche quando durante gli anni ’50 i contadini e i loro figli non sognavano mica il socialismo reale, non sapevano cos’era, ma una liberazione sociale e umana.

Concludo dicendo che certo parliamo di cose lontane quando oggi tutto è diverso, la storia non si ripete, nell’epoca della mondializzazione si ripropone però il problema dei problemi, quello della democrazia, se ne è parlato.

Nella diversità dei tempi dobbiamo considerare che lo svolgimento storico non è sempre lineare, conosce anche alti e bassi e anche le ricadute. Possono cambiare le forme e dico che di quegli ideali dei sancarlisti c’è bisogno ancora, c’è bisogno di quella tensione morale e passione civile e per far questo dobbiamo coltivare non solo nelle scuole ma anche nelle famiglie da parte di tutti, come un’etica  civile il diritto dovere della memoria.

 

 
L'introduzione del Prof. Mario Tosti

 

L'intervento del Sen. Alberto Monticone

 

L'intervento dell'Avv. Giacinto Cecconelli

 

L'intervento del prof.  Antonio Nizzi

 

Il resoconto dell'iniziativa

 

Le immagini

La Memoria per l'impegno