L'intervento dell'avv. Giacinto Cecconelli - sancarlista


 

Naturalmente non ho niente da dire a titolo personale perché non ho veste ufficiale per potere esprimermi, ma mi ritengo onorato a nome di tutti i giovani sancarlisti di un tempo, oggi ex-giovani ma sempre sancarlisti.

Oggi, quando sono arrivato con grande emozione mi sono ritrovato in luoghi dove ho trascorso  gran parte della mia adolescenza. Soprattutto mi ha fatto piacere incontrare tanti amici e nonostante il degrado fisico apportato dal tempo ci siamo riconosciuti, perché evidentemente c’è qualche cosa di più delle caratteristiche somatiche che ci accomuna.

 

Mi era stato detto di portare testimonianza delle mie esperienze e portare qualche episodio della mia vita di sancarlista: non lo farò anche perché tante cose nel corso degli anni si sono dimenticate.

 Ho visto che il prof. Nizzi ha inserito nel libro degli scritti di Tucci sulla Gazzetta di Foligno, di episodi accaduti qui nel S. Carlo e forse proprio su questo palcoscenico: sono tutti veri ma in realtà sono maggiormente apprezzati da chi ne è stato protagonista o spettatore in quegli anni; raccontati a distanza di cinquant’anni perdono il sapore e la vivezza che si ha nella immediatezza dell’accaduto. Potrei raccontarne degli altri ma sono certamente marginali.

Io prenderei lo spunto, senza voler nulla aggiungere a quello che è stato egregiamente detto finora, ma vorrei porre l’accento su due cose che traggono un po’ spunto da quello che ha scritto don Giuseppe Betori nella prefazione “non semplice luogo di aggregazione giovanile, ma una vera fucina di esperienze umane e di fede che danno ragione al volto stesso della città è andata assumendo tra la fine del secolo scorso ed il presente”.

 

E su questo punto che vorrei soffermarmi richiamandomi anche al concetto di laicità cristiana sul quale ha posto l’accento il prof. Monticone.

Voglio richiamarmi a questo concetto non per contestare ma per precisare quello che ha detto il prof. Tosti che ha dato una connotazione decisamente o quasi politica al movimento partigiano. Il libro parla della storia del S. Carlo e attraverso quella storia noi possiamo arrivare a delle conclusioni e a dare un diverso significato del perché poi siamo arrivati alla resistenza, e soprattutto perché i giovani del S. Carlo ci si sono buttati in pieno in questa attività.

L’Istituto S. Carlo ha origini lontane, io ricordo soltanto che quando mi sono inserito nella vita dell’Istituto S. Carlo ho apprezzato estremamente la concezione democratica dell’attività che vi si svolgeva; oggi il concetto di democrazia è normale, è giusto che ci sia: ma in un periodo in cui esisteva un solo partito che ti dava ordini e ti diceva come dovevi agire, quello che dovevi pensare e fare, dove non c’erano scelte, elezioni, ma c’erano nomine che venivano dall’alto, in questo contesto il concetto di democrazia che c’era nell’Istituto S. Carlo era sorprendente: oggi noi lo apprezziamo molto più di quanto pensavamo allora.

 Dico democrazia perché i soci una volta l’anno si riunivano e procedevano alla elezione del Presidente, segretario e consiglieri; questo organo era quello che prendeva le decisioni per lo svolgimento delle attività, per l’indirizzo da dare all’Istituto stesso: è vero che c’era l’assistente ecclesiastico, ma aveva una funzione di controllo, di assistenza per evitare che magari nell’esuberanza e imprevidenza giovanile ci fosse qualche deviazione  o errore, ma sostanzialmente chi governava e dirigeva l’Istituto S. Carlo erano i giovani stessi democraticamente eletti dai soci.

Questo è importante perché significava che l’Istituto è stato sempre in qualche modo in mano ai giovani laici; l’Istituto S. Carlo non era una pia aggregazione, che cercava di dare una pia formazione religiosa dei giovani, ma contribuiva a crearne una forte personalità perché poi gli adulti futuri sapessero contare nella vita civile.

 

Quindi una grossa preparazione nel campo sociale, che si manifestava attraverso attività sportive, culturali, anche filodrammatiche (dato che siamo in un locale dove l’attività filodrammatica era fiorente); queste che sembrano cose marginali, ma hanno concorso a determinare una  personalità, autonomia, indipendenza dei giovani anche se non poteva essere manifestata dato il regime vigente. Anche l’attività sportiva era un veicolo di insegnamento, di esempio per gli altri; perché nelle formazioni sportive del S. Carlo che si proiettavano anche all’esterno e davano un grosso contributo alle altre formazioni sportive e che si sono fatti onore e che davano dimostrazione di serietà e di impegno all’esterno: anche l’attività filodrammatica. Ho scritto in proposito due righe per il libro perché il prof. Nizzi me lo ha chiesto: e quello che ho scritto penso non sia del tutto inesatto perché attraverso anche l’attività filodrammatica i giovani acquistavano maggiore sicurezza e maggiore proprietà di linguaggio.

Tutto questo per dire che quando ci siamo trovati di fronte alle scelte che dovevamo fare ciascun giovane era già consapevole della strada che doveva seguire perché non aveva seguito pedissequamente gli ordini che venivano impartiti ma veniva conservata la sua autonomia e indipendenza.

Quando poi è sorto il momento partigiano, io non penso che c’era smarrimento e incapacità di prendere decisioni: è stata una logica e naturale conseguenza di quello che era una concezione di vita, un concetto della persona umana della dignità e dell’anelito di libertà che ciascuno aveva.

Io ho fatto il partigiano e vi dico che intimamente (per me soltanto) ne sono veramente fiero non già per quello che ho fatto ma per il solo fatto di avere partecipato all’attività partigiana, perché mi sono riconosciuto una certa autonomia di giudizio ed un certo senso di libertà che volevo raggiungere; anche se poi è possibile che dal lato pratico io non abbia concluso niente è possibile: non si poteva pretendere molto dal singolo individuo.

Però  c’era questo desiderio, con la mira di un sovvertimento di un ordine sociale, senza essere a conoscenza di idee e di criteri di partiti, di politica (le abbiamo acquisite dopo); io stesso finita la guerra ho cercato di organizzare delle riunioni qui nel S. Carlo chiamando esponenti di vari partiti perché ci illustrassero, ci dicessero quelle che erano le vie da seguire. Ma nel momento in cui ci siamo trovati di fronte a scegliere una via o l’altra abbiamo scelto quella dei partigiani perché ci sembrava che fosse la più degna per le aspirazioni personali perché eravamo abituati a pensare in quella maniera, poi dopo c’è stato certo anche il concerto politico, l’indirizzo perché i partiti sono arrivati e quelli più esperti di noi hanno cercato di incanalare il movimento; forse il torto di molti di noi è stato quello di non avere continuato a dare la propria opera all’esterno sia in ambito politico (io non ho mai avuto tessere di partito in tasca pur avendo partecipato in qualche modo all’attività politica, anche marginalmente: me ne rimprovero, ma è così).

Il punto cruciale è che quando si è trattato di scegliere, questo concetto di laicità cristiana, mi pare che fosse veramente vivo: perché io non sono andato a fare il partigiano perché me lo ha detto il parroco, l’assistente o il vescovo, non me lo ha detto nessuno: il mio sentimento era questo, il mio anelito di libertà era quello e ho fatto il partigiano

Io credo di avere  con questo espresso il sentimento di molti giovani; ho visto qualcuno tra gli spettatori che giovanissimi, 17 – 18 anni sono venuti nel gruppo di combattimento  Cremona e abbiamo combattuto sulla linea gotica; li ho rivisti con piacere e non posso dire che loro avevano già un disegno politico quando si sono intruppati con noi e sono venuti. C’era questo desiderio di liberarsi dalle pastoie di un partito unico e di avere la possibilità di esprimersi liberamente e di dire quello che si pensa veramente.

Non devo aggiungere oltre che mi ha fatto piacere rivedere tra di voi tanta gente che mi è stata tanto cara e mi auguro che ci si possa rivedere tra non molto per esaminare
 
L'introduzione del Prof. Mario Tosti

 

L'intervento del Sen. Alberto Monticone

 

L'intervento del prof. Anronio Nizzi

 

L'intervento del Prof.  Raffaele Rossi

 

Il resoconto dell'iniziativa

 

Le immagini

La Memoria per l'impegno