Nello
spettacolo Le ultime lune attualmente in scena al
teatro San Babila di Milano si è trovato a
lavorare con l'autore del testo Furio Bordon che è
anche regista, come si lavora con un autore-regista?
Le ultime lune è stato tradotto in tante lingue
e rappresentato in tanti paesi; in Italia era andato
in scena con l'interpretazione di Marcello Mastroianni
e la regia di Giulio Bosetti, perché
lo produceva per la prima volta un teatro pubblico,
cioè lo Stabile di Venezia e il direttore dello
Stabile di Venezia era Bosetti; questa volta
ha voluto fare la regia l'autore stesso, Bordon;
io penso che un autore è meglio che non faccia
la regia dei suoi lavori, sarebbe meglio che si tenesse
fuori l'autore, ma questa è un'opinione mia;
è successo anche a Pirandello che lo
faceva e lo faceva egregiamente; c'è anche
da dire che l'autore-regista realizza uno spettacolo
proprio come lo immaginava.
Ho avuto anche alcune difficoltà nell'interpretarlo,
perché questo è un testo che può
rischiare di cadere anche nel patetico: il tema della
vecchiaia, della solitudine del vecchio, il tema della
paura della morte, il problema di una casa di riposo,
il problema dei rapporti difficili che ci sono in
una famiglia che ha un vecchio debole, malato quando
non riesce ad assisterlo perché non ci sono
i soldi, o non bastano e il vecchio magari lui stesso
non vuole essere assistito per il suo carattere; sono
argomenti che possono cadere nel patetico e anche
nel dolciastro, cosa che io non tollererei e poi insomma
un autore che è anche regista vede i personaggi
in un modo suo. E' capitato che io ho fatto un personaggio
cercando di renderlo un po' epico e straniato, di
non dargli proprio della verità naturalistica
perché per me c'era questo rischio per cui
è anche aggressivo, anche arrabbiato, è
un po' all'opposto di certe parole che dice, per questo
lo faccio un po' epicamente. Io non avendo visto Mastroianni,
che era un carissimo amico, faccio questo spettacolo
anche per un omaggio a lui, ma credo che ci sia una
grossa differenza fra le nostre interpretazioni: mi
dicono che lui era molto più malinconico, mi
pare sia riconosciuto dalla critica che è una
lettura diversa per cui la commedia dimostra di avere
diverse possibilità. L'autore stesso mi ha
detto che forse lui lo immaginava un po' diverso il
mio personaggio, ma così come lo vede, lo condivide.
In
questo spettacolo è sorprendente la sua interpretazione:
nel primo tempo tratteggia un personaggio molto controllato,
che non vuole lasciar trasparire i suoi sentimenti;
nel secondo invece rappresenta un uomo, nella solitudine
della soffitta, completamente disinibito, con un vivacità
di ritmo interpretativo e un'ironia che sottolinea
il dolore più che una intonazione drammatica.
Infatti la mia interpretazione sottolinea l'ironia
insita nel testo.
Lei
è il direttore della sua compagnia, in base
a quale criterio sceglie i testi da rappresentare
? Nel caso de Le ultime lune ha scelto un autore contemporaneo.
Questo spettacolo è una coproduzione tra la
mia compagnia, che è una associazione culturale,
e una cooperativa, che si chiama Artisti Associati,
diretta da Walter Mramor, che agisce già
da una quindicina d'anni; ci mettiamo insieme perché
ci conosciamo e perché abbiamo proprio voglia
di questa autonomia e libertà. Per quello che
riguarda me, la scelta del repertorio è dettata
sempre da una attenzione che io desidero avere nei
confronti della drammaturgia italiana: io ho fatto
per primo in Italia La governante di Vitaliano
Brancati, ho fatto commedie di autori che poi
sono scomparsi, per esempio Antonio Fonelba.
Una delle ragioni per cui ho scelto Le ultime lune
è che la commedia mi piaceva e ritenevo che
fosse giusto riproporla e per di più è
italiana, così come andando avanti sto pensando
di fare soprattutto drammaturgia italiana.
Come
è nato il suo interesse per il teatro?
E' nato in campo di concentramento perché ho
vissuto l'avventura di fare due anni di campo di concentramento
in Germania in seguito alla seconda guerra mondiale,
non in campi di eliminazione, di sterminio, in campi
d'internamento di miliari che erano in Grecia, Jugoslavia,
Albania e in seguito all'armistizio sono rimasti tagliati
fuori dall'Italia e internati dai Tedeschi. Il nostro
era un campo di ufficiali, c'erano l'intellighenzia
di allora e cioè Guareschi, Rebora,
Enzo Paci, il filosofo, Lazzati che
poi fu rettore della Cattolica, Alessandro Natta
che poi divenne il segretario del partito comunista
italiano, e ognuno faceva delle attività per
potere dimenticare quei problemi, la fame, la disperazione
e
io ho fatto teatro e quindi è nata lì,
parlo del '44, '45.
Come
ricorda il teatro del grande attore precedente alla
sua attività?
Lo ricordo come spettatore, avendo visto Ermete
Zacconi, Ruggero Ruggeri, Renzo Ricci,
quei grandi attori di allora, la passione m'era nata
già d'allora, soprattutto vedendo Zacconi
nei Dialoghi di Platone e nel suo repertorio, parte
del suo repertorio poi l'ho fatto anch'io: una celebre
interpretazione di Zacconi era Il Cardinale
Lambertini ed io Il Cardinale Lambertini l'ho fatto
poi, messo in scena da Squarzina regista, come
una specie di provocazione, certo era un testo un
po' pacioccone, non i testi che siamo abituati a fare
dal dopo guerra in poi.
Ha visto recitare Ruggero Ruggeri?
Sì, ho recitato anche insieme a lui; il mio
è stato un debutto strano, perché uscivo
dall'Accademia e il regista Guido Salvini metteva
in scena l'Edipo re di Sofocle all'Olimpico
di Vicenza; allora quegli spettacoli li facevano riunendo
i più importanti attori del momento: Ricci
era Edipo, Ruggeri era Tiresia, Andreina
Pagnani era Giocasta, Carlo Ninchi Creonte,
io un servo, per cui per quello spettacolo io ero
presente in scena con Ruggero Ruggeri, spettacolo
che poi abbiamo fatto a Parigi e a Londra, perché
era stato uno spettacolo che voleva dimostrare nell'immediato
dopoguerra una presenza culturale italiana sia in
Francia che in Inghilterra.
Com'era
il tipo di recitazione di attori come Ruggeri, Zacconi?
Nel passato probabilmente ci sono dei grandi valori
negli attori che sono legati anche al momento e alla
moda di allora, al momento che loro vivevano, quindi
soprattutto anche al repertorio che facevano, se lei
pensa che i più grandi attori dell'800 e del
primo '900 interpretavano La morte civile come se
fosse chissà quale testo. Lo stesso Il cardinale
Lambertini di Testori, un autore abilissimo,
ma che non è né Moliere né
Goldoni, né Strinberg, ha scarsa
importanza artistica.
Nella
sua carriera ha assistito alla nascita del teatro
di regia, come è stato questo passaggio?
L'esempio di passaggio dal teatro del grande attore
a quello di regia è quello di Squarzina
che per provocare ha fatto proprio Il Cardinale
Lambertini, cavallo di battaglia dei grandi attori,
in maniera completamente diversa. Io ho cominciato
proprio col teatro di regia, quindi non conosco il
teatro precedente se non come spettatore, quel teatro
che poi mi ha portato a fare l'attore.
Questo passaggio che lei dice, io personalmente non
l'ho vissuto, ho vissuto il teatro di regia e l'ho
vissuto tanto per capire che da allora al dopoguerra
è nata una rivoluzione sotto tutti i punti
di vista, estetico e culturale, persino organizzativo
e sociale, con due uomini importantissimi che sono
stati Paolo Grassi e Giorgio Strehler
che, avendo dato inizio qui a Milano al primo teatro
a funzione pubblica, hanno fatto una rivoluzione che
poi ha dato i frutti che sappiamo di tutti gli stabili
che ci sono in Italia coi loro problemi, questa è
un'altra questione, però un altro teatro, un
teatro di grande qualità. Quello che succedeva
con Ermete Novelli che ne Il Mercante di Venezia
eliminava l'ultimo atto perché non era presente
lui, questo col nostro teatro di regia non è
più successo, abbiamo raggiunto un'altra civiltà,
un altro livello culturale e artistico.
Come
è stato il suo rapporto con i registi Guido
Salvini, Luchino Visconti, Giorgio Strehler?
Con Guido Salvini ho avuto un incontro brevissimo,
perché poi è morto presto, invece gli
incontri che hanno lasciato un segno importante, proprio
da maestri sono stati Visconti e Strehler,
due grandissimi, ma anche altri, Luigi Squarzina,
Ettore Giannini che si è ritirato presto.
Quelli sono incontri indimenticabili, ho fatto gli
spettacoli più importanti in quel periodo con
Visconti La locandiera, Le tre sorelle, anche
lì con distribuzioni eccezionali che oggi o
non usano più o non è più possibile
fare, perché riunivano tutti gli attori più
importanti del momento, non so nemmeno come facessero,
forse Visconti se lo poteva permettere, perché
probabilmente pagava questi spettacoli coi mezzi suoi.
Invece con Strehler il teatro diventa un servizio
pubblico e allora è più facile riunire
gli attori perché i teatri stabili sono strutture
che non hanno uno scopo di lucro, hanno soltanto la
loro funzione di fare un servizio pubblico.
Nella
sua attuale compagnia come sono i ruoli, c'è
ancora una differenza d'importanza tra i vari attori,
per esempio durante le prove in assenza del regista,
assume Lei la direzione?
Io dopo che lo spettacolo è montato dal regista
e va in giro in tournée, prendo la direzione
artistica, ma questo fa parte dei regolamenti di palcoscenico;
l'attore più anziano deve controllare che lo
spettacolo sia lo stesso, che continui con tutte le
cose in regola dal punto di vista tecnico ed anche
artistico con gli attori.
Quindi
Lei sovrintende all'organizzazione?
Sì, questa è la prima volta che io ho
una compagnia, io sono sempre stato scritturato, faccio
teatro dal '48, quindi adesso sono più di cinquant'anni
che faccio teatro ed è la prima volta che ho
una compagnia che è una associazione culturale
e non ha scopo di lucro, ed è riconosciuta
dal dipartimento dello spettacolo con un contributo
modesto, ma essendo la prima volta che faccio compagnia
è una cosa giustissima. Ci vuole anche un po'
di coraggio, perché è molto più
comodo farsi scritturare, ma così si è
più autonomi e più liberi.
Com'è
il suo rapporto con gli attori giovani, offre loro
consigli, dà suggerimenti riguardo alla recitazione?
Quello che posso fare, sì, sì certo;
io ho grande stima degli attori in genere, sono certo
che i valori, le qualità ci sono e se non ci
sono, verranno più tardi, comunque con gli
attori che oggi escono da Accademie il livello è
sempre di primissimo ordine
Lei
proviene dall'Accademia d'Arte drammatica di Roma
che era sorta per proporre una preparazione agli attori
che fino ad allora erano prevalentemente figli d'arte.
Oggi molti si improvvisano attori di teatro provenendo
da tutt'altra formazione, come valuta l'importanza
delle scuole di recitazione?
Qui io non vorrei dire cose vaghe, perché confesso
che non conosco bene la situazione; posso dire alcune
impressioni, certamente mi rendo conto che le scuole
sono troppe, sono moltissime e si trovano in tutti
i posti d'Italia e ho l'impressione che producano
anche attori giovani che poi non trovano occupazione
e per me questa è una cosa gravissima, un difetto
grave; non si può fare tante scuole e creare
degli attori che poi non avranno sbocco nel loro lavoro;
come si possa risolvere questo problema non lo so,
però ci sono anche delle scuole prestigiose.
Mia figlia sta facendo l'Accademia d'Arte drammatica
dove dalla mattina alla sera si occupano di attività
che riguardano il teatro, sotto tutti gli aspetti,
in tutti i modi, compreso le carenze, le difficoltà
o magari anche i difetti, attraverso i difetti s'impara,
attraverso le cose sbagliate s'impara quello che si
deve fare, ma il fatto importante è che dalla
mattina alla sera, nelle accademie importanti, in
cui la frequenza è obbligatoria, se no gli
studenti vengono espulsi, stanno otto ore; mia figlia
sta lavorando dieci ore al giorno, lavorerà
bene? lavorerà male? Questo dipende anche da
lei da quello che ricaverà da quello che sta
facendo, però lavora, lavorano e il tema è
il teatro in tutti gli aspetti.
Vuole
raccontarci com'erano le riviste di una volta e come
si è svolto il passaggio dalla rivista alla
commedia musicale all'italiana proposta da Garinei
e Giovannini?
Io ho lavorato proprio nel momento del passaggio dalla
rivista alla commedia musicale per cui poiché
in teatro ho cominciato con Gino Cervi a fare
commedie molto divertenti e la rivista non si basava
più sulla soubrette, il comico, la spalla,
ma diventava commedia musicale Garinei e Giovannini,
tra gli attori più brillanti di quella generazione,
di quel momento, hanno scoperto me e mi hanno proposto
diverse cose e io le ho fatte molto volentieri. La
rivista vera e propria non l'ho mai fatta; ho fatta
la rivista con Anna Magnani, ma anche quella era già
una cosa diversa, non era più la rivista, poi
ho fatto una commedia musicale con Tognazzi
e con Rascel, perché in questo genere
ormai c'era bisogno dell'attore di prosa, diciamo,
brillante.