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Gianrico Tedeschi
Intervistato a Milano in occasione della messa in scena dello spettacolo "Le Ultime Lune" di Furio Bordon. Al Teatro Sanbabila dal
9 al 28 gennaio.

di Albarosa Camaldo

 
26/01/2001

 

Nello spettacolo Le ultime lune attualmente in scena al teatro San Babila di Milano si è trovato a lavorare con l'autore del testo Furio Bordon che è anche regista, come si lavora con un autore-regista?
Le ultime lune è stato tradotto in tante lingue e rappresentato in tanti paesi; in Italia era andato in scena con l'interpretazione di Marcello Mastroianni e la regia di Giulio Bosetti, perché lo produceva per la prima volta un teatro pubblico, cioè lo Stabile di Venezia e il direttore dello Stabile di Venezia era Bosetti; questa volta ha voluto fare la regia l'autore stesso, Bordon; io penso che un autore è meglio che non faccia la regia dei suoi lavori, sarebbe meglio che si tenesse fuori l'autore, ma questa è un'opinione mia; è successo anche a Pirandello che lo faceva e lo faceva egregiamente; c'è anche da dire che l'autore-regista realizza uno spettacolo proprio come lo immaginava.
Ho avuto anche alcune difficoltà nell'interpretarlo, perché questo è un testo che può rischiare di cadere anche nel patetico: il tema della vecchiaia, della solitudine del vecchio, il tema della paura della morte, il problema di una casa di riposo, il problema dei rapporti difficili che ci sono in una famiglia che ha un vecchio debole, malato quando non riesce ad assisterlo perché non ci sono i soldi, o non bastano e il vecchio magari lui stesso non vuole essere assistito per il suo carattere; sono argomenti che possono cadere nel patetico e anche nel dolciastro, cosa che io non tollererei e poi insomma un autore che è anche regista vede i personaggi in un modo suo. E' capitato che io ho fatto un personaggio cercando di renderlo un po' epico e straniato, di non dargli proprio della verità naturalistica perché per me c'era questo rischio per cui è anche aggressivo, anche arrabbiato, è un po' all'opposto di certe parole che dice, per questo lo faccio un po' epicamente. Io non avendo visto Mastroianni, che era un carissimo amico, faccio questo spettacolo anche per un omaggio a lui, ma credo che ci sia una grossa differenza fra le nostre interpretazioni: mi dicono che lui era molto più malinconico, mi pare sia riconosciuto dalla critica che è una lettura diversa per cui la commedia dimostra di avere diverse possibilità. L'autore stesso mi ha detto che forse lui lo immaginava un po' diverso il mio personaggio, ma così come lo vede, lo condivide.

In questo spettacolo è sorprendente la sua interpretazione: nel primo tempo tratteggia un personaggio molto controllato, che non vuole lasciar trasparire i suoi sentimenti; nel secondo invece rappresenta un uomo, nella solitudine della soffitta, completamente disinibito, con un vivacità di ritmo interpretativo e un'ironia che sottolinea il dolore più che una intonazione drammatica.
Infatti la mia interpretazione sottolinea l'ironia insita nel testo.

Lei è il direttore della sua compagnia, in base a quale criterio sceglie i testi da rappresentare ? Nel caso de Le ultime lune ha scelto un autore contemporaneo.
Questo spettacolo è una coproduzione tra la mia compagnia, che è una associazione culturale, e una cooperativa, che si chiama Artisti Associati, diretta da Walter Mramor, che agisce già da una quindicina d'anni; ci mettiamo insieme perché ci conosciamo e perché abbiamo proprio voglia di questa autonomia e libertà. Per quello che riguarda me, la scelta del repertorio è dettata sempre da una attenzione che io desidero avere nei confronti della drammaturgia italiana: io ho fatto per primo in Italia La governante di Vitaliano Brancati, ho fatto commedie di autori che poi sono scomparsi, per esempio Antonio Fonelba. Una delle ragioni per cui ho scelto Le ultime lune è che la commedia mi piaceva e ritenevo che fosse giusto riproporla e per di più è italiana, così come andando avanti sto pensando di fare soprattutto drammaturgia italiana.

Come è nato il suo interesse per il teatro?
E' nato in campo di concentramento perché ho vissuto l'avventura di fare due anni di campo di concentramento in Germania in seguito alla seconda guerra mondiale, non in campi di eliminazione, di sterminio, in campi d'internamento di miliari che erano in Grecia, Jugoslavia, Albania e in seguito all'armistizio sono rimasti tagliati fuori dall'Italia e internati dai Tedeschi. Il nostro era un campo di ufficiali, c'erano l'intellighenzia di allora e cioè Guareschi, Rebora, Enzo Paci, il filosofo, Lazzati che poi fu rettore della Cattolica, Alessandro Natta che poi divenne il segretario del partito comunista italiano, e ognuno faceva delle attività per potere dimenticare quei problemi, la fame, la disperazione…e io ho fatto teatro e quindi è nata lì, parlo del '44, '45.

Come ricorda il teatro del grande attore precedente alla sua attività?
Lo ricordo come spettatore, avendo visto Ermete Zacconi, Ruggero Ruggeri, Renzo Ricci, quei grandi attori di allora, la passione m'era nata già d'allora, soprattutto vedendo Zacconi nei Dialoghi di Platone e nel suo repertorio, parte del suo repertorio poi l'ho fatto anch'io: una celebre interpretazione di Zacconi era Il Cardinale Lambertini ed io Il Cardinale Lambertini l'ho fatto poi, messo in scena da Squarzina regista, come una specie di provocazione, certo era un testo un po' pacioccone, non i testi che siamo abituati a fare dal dopo guerra in poi.
Ha visto recitare Ruggero Ruggeri?
Sì, ho recitato anche insieme a lui; il mio è stato un debutto strano, perché uscivo dall'Accademia e il regista Guido Salvini metteva in scena l'Edipo re di Sofocle all'Olimpico di Vicenza; allora quegli spettacoli li facevano riunendo i più importanti attori del momento: Ricci era Edipo, Ruggeri era Tiresia, Andreina Pagnani era Giocasta, Carlo Ninchi Creonte, io un servo, per cui per quello spettacolo io ero presente in scena con Ruggero Ruggeri, spettacolo che poi abbiamo fatto a Parigi e a Londra, perché era stato uno spettacolo che voleva dimostrare nell'immediato dopoguerra una presenza culturale italiana sia in Francia che in Inghilterra.

Com'era il tipo di recitazione di attori come Ruggeri, Zacconi?
Nel passato probabilmente ci sono dei grandi valori negli attori che sono legati anche al momento e alla moda di allora, al momento che loro vivevano, quindi soprattutto anche al repertorio che facevano, se lei pensa che i più grandi attori dell'800 e del primo '900 interpretavano La morte civile come se fosse chissà quale testo. Lo stesso Il cardinale Lambertini di Testori, un autore abilissimo, ma che non è né MoliereGoldoni, né Strinberg, ha scarsa importanza artistica.

Nella sua carriera ha assistito alla nascita del teatro di regia, come è stato questo passaggio?
L'esempio di passaggio dal teatro del grande attore a quello di regia è quello di Squarzina che per provocare ha fatto proprio Il Cardinale Lambertini, cavallo di battaglia dei grandi attori, in maniera completamente diversa. Io ho cominciato proprio col teatro di regia, quindi non conosco il teatro precedente se non come spettatore, quel teatro che poi mi ha portato a fare l'attore.
Questo passaggio che lei dice, io personalmente non l'ho vissuto, ho vissuto il teatro di regia e l'ho vissuto tanto per capire che da allora al dopoguerra è nata una rivoluzione sotto tutti i punti di vista, estetico e culturale, persino organizzativo e sociale, con due uomini importantissimi che sono stati Paolo Grassi e Giorgio Strehler che, avendo dato inizio qui a Milano al primo teatro a funzione pubblica, hanno fatto una rivoluzione che poi ha dato i frutti che sappiamo di tutti gli stabili che ci sono in Italia coi loro problemi, questa è un'altra questione, però un altro teatro, un teatro di grande qualità. Quello che succedeva con Ermete Novelli che ne Il Mercante di Venezia eliminava l'ultimo atto perché non era presente lui, questo col nostro teatro di regia non è più successo, abbiamo raggiunto un'altra civiltà, un altro livello culturale e artistico.

Come è stato il suo rapporto con i registi Guido Salvini, Luchino Visconti, Giorgio Strehler?
Con Guido Salvini ho avuto un incontro brevissimo, perché poi è morto presto, invece gli incontri che hanno lasciato un segno importante, proprio da maestri sono stati Visconti e Strehler, due grandissimi, ma anche altri, Luigi Squarzina, Ettore Giannini che si è ritirato presto. Quelli sono incontri indimenticabili, ho fatto gli spettacoli più importanti in quel periodo con Visconti La locandiera, Le tre sorelle, anche lì con distribuzioni eccezionali che oggi o non usano più o non è più possibile fare, perché riunivano tutti gli attori più importanti del momento, non so nemmeno come facessero, forse Visconti se lo poteva permettere, perché probabilmente pagava questi spettacoli coi mezzi suoi. Invece con Strehler il teatro diventa un servizio pubblico e allora è più facile riunire gli attori perché i teatri stabili sono strutture che non hanno uno scopo di lucro, hanno soltanto la loro funzione di fare un servizio pubblico.

Nella sua attuale compagnia come sono i ruoli, c'è ancora una differenza d'importanza tra i vari attori, per esempio durante le prove in assenza del regista, assume Lei la direzione?
Io dopo che lo spettacolo è montato dal regista e va in giro in tournée, prendo la direzione artistica, ma questo fa parte dei regolamenti di palcoscenico; l'attore più anziano deve controllare che lo spettacolo sia lo stesso, che continui con tutte le cose in regola dal punto di vista tecnico ed anche artistico con gli attori.

Quindi Lei sovrintende all'organizzazione?
Sì, questa è la prima volta che io ho una compagnia, io sono sempre stato scritturato, faccio teatro dal '48, quindi adesso sono più di cinquant'anni che faccio teatro ed è la prima volta che ho una compagnia che è una associazione culturale e non ha scopo di lucro, ed è riconosciuta dal dipartimento dello spettacolo con un contributo modesto, ma essendo la prima volta che faccio compagnia è una cosa giustissima. Ci vuole anche un po' di coraggio, perché è molto più comodo farsi scritturare, ma così si è più autonomi e più liberi.

Com'è il suo rapporto con gli attori giovani, offre loro consigli, dà suggerimenti riguardo alla recitazione?
Quello che posso fare, sì, sì certo; io ho grande stima degli attori in genere, sono certo che i valori, le qualità ci sono e se non ci sono, verranno più tardi, comunque con gli attori che oggi escono da Accademie il livello è sempre di primissimo ordine

Lei proviene dall'Accademia d'Arte drammatica di Roma che era sorta per proporre una preparazione agli attori che fino ad allora erano prevalentemente figli d'arte. Oggi molti si improvvisano attori di teatro provenendo da tutt'altra formazione, come valuta l'importanza delle scuole di recitazione?
Qui io non vorrei dire cose vaghe, perché confesso che non conosco bene la situazione; posso dire alcune impressioni, certamente mi rendo conto che le scuole sono troppe, sono moltissime e si trovano in tutti i posti d'Italia e ho l'impressione che producano anche attori giovani che poi non trovano occupazione e per me questa è una cosa gravissima, un difetto grave; non si può fare tante scuole e creare degli attori che poi non avranno sbocco nel loro lavoro; come si possa risolvere questo problema non lo so, però ci sono anche delle scuole prestigiose. Mia figlia sta facendo l'Accademia d'Arte drammatica dove dalla mattina alla sera si occupano di attività che riguardano il teatro, sotto tutti gli aspetti, in tutti i modi, compreso le carenze, le difficoltà o magari anche i difetti, attraverso i difetti s'impara, attraverso le cose sbagliate s'impara quello che si deve fare, ma il fatto importante è che dalla mattina alla sera, nelle accademie importanti, in cui la frequenza è obbligatoria, se no gli studenti vengono espulsi, stanno otto ore; mia figlia sta lavorando dieci ore al giorno, lavorerà bene? lavorerà male? Questo dipende anche da lei da quello che ricaverà da quello che sta facendo, però lavora, lavorano e il tema è il teatro in tutti gli aspetti.

Vuole raccontarci com'erano le riviste di una volta e come si è svolto il passaggio dalla rivista alla commedia musicale all'italiana proposta da Garinei e Giovannini?
Io ho lavorato proprio nel momento del passaggio dalla rivista alla commedia musicale per cui poiché in teatro ho cominciato con Gino Cervi a fare commedie molto divertenti e la rivista non si basava più sulla soubrette, il comico, la spalla, ma diventava commedia musicale Garinei e Giovannini, tra gli attori più brillanti di quella generazione, di quel momento, hanno scoperto me e mi hanno proposto diverse cose e io le ho fatte molto volentieri. La rivista vera e propria non l'ho mai fatta; ho fatta la rivista con Anna Magnani, ma anche quella era già una cosa diversa, non era più la rivista, poi ho fatto una commedia musicale con Tognazzi e con Rascel, perché in questo genere ormai c'era bisogno dell'attore di prosa, diciamo, brillante.

 

 


 
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