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E alla fine giunse anche Godot
Riflessioni sul "Festival del teatro d'Europa", omaggio di Milano a Giorgio Strehler

di Mascia Nassivera

 
18/02/2000
 

Uno spettro si aggira per l'Europa. E' lo spettro del teatro. Questo, in sintesi, il giudizio sulla rassegna europea svoltasi a Milano, dal 10 novembre al 23 dicembre 1999, presso i teatri Strehler, Grassi e Studio.

Lituania, Svezia, Spagna, sono solo alcuni dei 12 paesi che vi hanno partecipato. I 21 spettacoli presentati, sia classici che contemporanei, tutti in lingua originale con sopratitoli in italiano, hanno coinvolto 1.300 attori, 16 compagnie. Un evento importante, che ha spinto lo spettatore, entrato (virtualmente) nelle sale di mezza Europa, ad alcune considerazioni sulla qualità del teatro europeo. Poche le novità, almeno per quanto concerne la regia.

Delude molto, su questo versante, soprattutto la Francia, presente al "Festival" con ben quattro spettacoli. Si pensi solo alla lettura che il regista francese Lavaudant offre dell'"Orestea" di Eschilo: l'oracolo di Delfi è simile ad un ristorante greco con tanto di insegna luminosa, le tre Parche sono vecchi dalla lunga barba. Lo spettatore ne rimane mortificato. Nel "Misantropo" diretto da Lassalle, invece, gli attori paiono recitare "alla Brecht", in modo straniante. Lo spettatore, stupito, se ne domanda la ragione. Bello, ma senza particolari novità, l'"Avaro" di Planchon. Entusiasmano il pubblico, meritandone l'applauso più convinto, due registi dell'Europa dell'Est, Nekrosius (lituano) e Dodin (russo). Il primo mette in scena un "Macbeth" geniale, tutto giocato sui movimenti simmetrici degli attori, sul contrasto luce-ombra.

Straordinario anche il "Chevengur" diretto da Dodin. E' la storia di un paese i cui abitanti vogliono realizzare un comunismo un po' particolare. Interessante è la simbologia presente nel racconto, molto espressivi gli attori.

 

 


 
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