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Uno spettro
si aggira per l'Europa. E' lo spettro del teatro. Questo,
in sintesi, il giudizio sulla rassegna europea svoltasi
a Milano, dal 10 novembre al 23 dicembre 1999, presso
i teatri Strehler, Grassi e Studio.
Lituania, Svezia, Spagna, sono solo alcuni dei 12 paesi
che vi hanno partecipato. I 21 spettacoli presentati,
sia classici che contemporanei, tutti in lingua originale
con sopratitoli in italiano, hanno coinvolto 1.300 attori,
16 compagnie. Un
evento importante, che ha spinto lo spettatore, entrato
(virtualmente) nelle sale di mezza Europa, ad alcune
considerazioni sulla qualità del teatro europeo. Poche
le novità, almeno per quanto concerne la regia.
Delude
molto, su questo versante, soprattutto la Francia, presente
al "Festival" con ben quattro spettacoli. Si pensi solo
alla lettura che il regista francese Lavaudant
offre dell'"Orestea" di Eschilo: l'oracolo di
Delfi è simile ad un ristorante greco con tanto di insegna
luminosa, le tre Parche sono vecchi dalla lunga barba.
Lo spettatore ne rimane mortificato. Nel "Misantropo"
diretto da Lassalle, invece, gli attori paiono
recitare "alla Brecht", in modo straniante. Lo spettatore,
stupito, se ne domanda la ragione. Bello, ma senza particolari
novità, l'"Avaro" di Planchon. Entusiasmano
il pubblico, meritandone l'applauso più convinto, due
registi dell'Europa dell'Est, Nekrosius (lituano)
e Dodin (russo). Il primo mette in scena un "Macbeth"
geniale, tutto giocato sui movimenti simmetrici degli
attori, sul contrasto luce-ombra.
Straordinario
anche il "Chevengur" diretto da Dodin.
E' la storia di un paese i cui abitanti vogliono realizzare
un comunismo un po' particolare. Interessante è la simbologia
presente nel racconto, molto espressivi gli attori.
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