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Lo scricchiolìo
delle carrozze, il fruscìo della crinolina, le strade
deserte… Queste le immagini più suggestive de "I milanés",
l'ultimo spettacolo presentato dalla compagnia del teatro
Filodrammatici. Il regista Franco Brevini ha
scelto 19 testi, quasi tutti in dialetto, per raccontare
come è cambiata Milano negli ultimi 400 anni.
Un
viaggio attraverso i brani più famosi di nove scrittori,
tutti milanesi doc (o quasi). Si va da Delio Tessa a
Emilio De Marchi, da Giuseppe Parini a Carlo Porta.
Il dialetto, con la sua musicalità e la sua pregnanza,
avvicina fra loro autori molto diversi, lega testi differenti
in un unico discorso. Con "Milanìn Milanòn" De Marchi
rievoca la sua città "da piccola" (Milanìn), quando
le strade avevano nomi familiari e le persone giocavano
ancora a carte insieme. Poi Milano è "cresciuta", diventando
una Milanòn estranea e fredda. Carlo Porta ci offre
le avventure di singolari personaggi. Nella "Preghiera"
una ricca signora, schernita da un gruppo di popolani,
ringrazia Gesù per averle concesso nobili origini. Ed
ecco che il dialetto milanese lascia un po' di spazio
anche a Manzoni, padre della "vera" lingua italiana.
Il suo Renzo, nel 34° capitolo dei "Promessi sposi",
ci fa sentire tutto l'orrore della peste che sconvolge
Milano.
Uno
spettacolo intenso, costruito in modo intelligente.
Bella l'idea di ripercorrere la storia della città con
una sequenza di testi in dialetto. L'attore, un emozionante
Marco Balbi, riesce a passare con facilità da
un ruolo all'altro, anche quando i personaggi sono molto
diversi fra loro. La scena, povera ed essenziale, carica
i suoi pochi oggetti di valenze tutte particolari. Indimenticabile
il manichino adorno di piume rosa. Un po' di stanchezza
nel finale.
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