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L'importanza di chiamarsi Ernesto
Al teatro Francoparenti dal 21 febbraio al 4 marzo.

di Albarosa Camaldo

 
20/03/2001
 

Il pubblico del Franco Parenti ride entusiasta delle schermaglie amorose e delle fantasie di John Worthing (Geppy Gleijeses) e la sua amata Gwendolen (Debora Caprioglio) e fra Algernon (Andrea Cavatorta) e Cecily (Viviana Lombardo). Oscar Wilde nell’Inghilterra di fine Ottocento propone commedie che sono accolte positivamente dal pubblico che si compiace di assistere alla rappresentazione di vicende frivole e mondane espresse negli schemi compositivi della pièce bien faite alla francese da cui derivano le situazioni principali: la paura di uno scandalo che possa compromettere la rispettabilità sociale, il ritorno di personaggi dimenticati, la scoperta di essere figli di genitori che non si conoscono, il lieto fine che ristabilisce l’ordine e favorisce la morale tradizionale.

Ma L’importanza di chiamarsi Ernesto, pur essendo “Society drama”, scritto per il divertimento della società dell’epoca, ha una forma rivoluzionaria poiché l’intreccio è basato sullo sviluppo della conversazione più che sull’azione. Nella prima parte della commedia si assiste alla conversazione fra John e Algernon che sembra tutta improntata sull’interesse per il sandwiches ai cetrioli e su altri futili discorsi, a cui i personaggi attribuiscono importanza come se si trattasse di questioni fondamentali. La commedia può quindi considerarsi l’antesignana del teatro dell’assurdo che si svilupperà a Parigi a partire dagli anni Cinquanta del Novecento con Samuel Beckett e Eugène Ionesco e che prevede il rifiuto della struttura tradizionale della drammaturgia e la dissoluzione del linguaggio, per cui il dialogo diventa fine a se stesso e non funzionale all’azione. La vicenda racconta due amori intrecciati: quello di John per Gwendolen, osteggiato dalla madre di lei, Lady Bracknell (Lucia Poli), poiché lui non è di estrazione sociale elevata, e quello fra Algernon, amico di John e Cecily, una giovane protetta da John che ha sempre sentito parlare di lui e se ne è innamorata costruendosi un suo ideale fidanzato e scrivendo sul suo diario i loro immaginari incontri e le separazioni.

La parodia dei drammi amorosi si vede nel desiderio impellente di entrambe le ragazze che i loro innamorati si chiamino Ernest poiché tale nome ispira loro maggior fiducia per motivi fonici tanto che cercano di indurli a ribattezzarsi; infatti solo se avranno questo nome esse potranno amarli. I personaggi sono tutti ben caratterizzati e si esprimono con l’umorismo finissimo che contraddistingue le opere di Wilde. La vicenda si conclude in un climax con l’agnizione di John che si scopre di nobile famiglia, abbandonato bambino da una governante distratta, Miss Prism (Margherita Fumero), con la scoperta che il suo vero nome è Ernest, con gioia di Gwendolen e con la constatazione che il bugiardo John aveva sempre detto la verità.

La regia di Mario Missiroli attribuisce eleganza e classe all’allestimento. Il regista decide di metterlo in scena nel centenario della morte dell’autore perché “questa commedia è la fondazione ottocentesca del fenomeno drammaturgico centrale del ‘900, quel Teatro dell’Assurdo […].” Egli afferma: “in questa messa in scena abbiamo provato a proporre la commedia sotto la gelida luce del secolo che ha inaugurato, senza vezzi pseudo britannici e senza il tradizionale birignao della maniera brillante.” Particolare importanza ha anche la scenografia di Lorenzo Ghiglia, collaboratore da anni di Missiroli che così ne spiega le scelte: “Intorno ai salotti più salottieri e al giardino più stereotipato abbiamo costruito la più ferrea e implacabile struttura industriale del 900 nascente: questa volta la Victoria Station (visto che la commedia è “ferroviaria”)…ma potrebbe anche essere la galera della Ballata…E sullo sfondo del melenso giardino fioriscono le ciminiere della tragica letteratura industriale inglese, in versione puerile, senza fare dell’arcigno moralismo.”

 

 


 
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