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Dopo
il buon successo ottenuto con Romeo e Giulietta,
Antonio Latella torna a firmare una regia prestigiosa,
presentando il testo teatrale per eccellenza: Amleto
di William Shakespeare. Prodotto dalla ELSINOR,
una nuova società di teatri con sedi a Milano,
Firenze e Forlì che ha come obiettivo quello
di raccogliere e sviluppare idee, poetiche e talenti,
questo Amleto si distingue fra gli innumerevoli
altri per una serie di originalità registiche.
In anteprima a Firenze il 3 aprile e debutto nazionale
il 5 aprile a Milano, lo spettacolo rimarrà al
Sala Fontana fino alla fine del mese per poi spostarsi
nella sede di Forlì. Successivamente partirà
un tour in città ancora da definire.
E
un Amleto particolarissimo quello di Latella, molto
diverso dalleroe triste e melanconico dellimmaginario
collettivo. E un Amleto che, dal suo primo apparire
in scena, ci mostra un carattere differente dal quello
tradizionale.
Danilo Nigrelli, nel ruolo del principe danese,
esordisce con una recitazione quasi da fool,
dipingendo un Amleto, ancora a lutto per la morte del
padre, in atteggiamento di scherno, di sfida, con forzata
giocosità nel tono di voce per evidenziare lirriverenza
nutrita nei confronti dello Zio divenuto re e patrigno
(atto I, scena II, A little more than kin, and
less than kind [Molto più che un
parente, meno che un figlio]. Ma Amleto era così?
Ognuno ha sempre visto lAmleto che voleva vedere;
ogni regista, ogni attore, ha dato al proprio personale
Amleto forma e personalità plasmate secondo i
propri criteri.
Questo
Amleto, quello interpretato da Nigrelli, nel dipanarsi
negli atti e delle scene, mostra il suo essere poliedrico
e la grande forza interiore; anche nel To be or
not to be ci devia, ancora una volta: il celebre
dubbio amletico è appena sfiorato,
appare quasi sfumato. Speculare ad Amleto, è
Laerte, suo alter-ego, altro vendicatore: il duello
finale non è una lotta (non a caso mancano le
spade), ma è una danza, una danza mortale eppure
armoniosa, danza che trascina inesorabilmente con sé
tutti gli altri personaggi, vivi e morti: la regina,
il re, Polonio, Orazio, Ofelia e la sua pazzia.
Proprio Ofelia (Silvia Ajelli) e la sua pazzia
restano sullo sfondo: nello svolgersi degli eventi,
Ofelia è lì, con la sua lamentosa ricerca
del padre ed è lì anche nelle ultime scene,
vagante come gli altri personaggi nella danza mortale.
Di grande spessore la regina, interpretata da Cristina
Cavalli, la quale si mantiene sostanzialmente aderente
allimmagine tradizionale della madre di Amleto.
Ottima presenza scenica, la Cavalli ci mostra Gertrude
nella sua drammaticità, colpevole ma allo stesso
tempo vittima, madre e moglie, regina e donna.
Latella
gioca, come Shakespeare, sullinterscambiabilità
di Rosencrantz e Guildestern, personaggi indefiniti
proprio perché vuoti e meschini, mostrandoceli
uniti da un lungo ed unico berretto, siamesi che agiscono
in simbiosi. A Latella si può forse solo rimproverare
la scelta di aver completamente manomesso la prima scena
dellatto V, rendendola, a mio parere, scollata
dal resto. I due becchini vengono tramutati in due toscanacci
alla Benigni e lo stesso Amleto è più
simile ad uno scanzonato Panariello che non al principe
danese che riflette sullineludibilità della
morte. Addirittura i tre si mettono a giocare a bowling
con le ossa del camposanto e a pallone con il teschio
del povero Yorick. La dissacrante scena
in sé è anche divertente, ma è
poco legata sia allatmosfera, sia al testo.
Sobrie
le scenografie; suggestivo ed interessate è luso
di innumerevoli carriole, strumenti di scena veri e
propri: ora troni, ora tombe o, più semplicemente,
mezzi di trasporto. Anche i costumi (come le scene,
a cura di Emanuele Pischedda), sono degni di
attenzione: rigorosamente dressed in black
Amleto, gli altri con una parvenza di medievale; ma
la particolarità è senza dubbio la scelta
di rappresentare alcuni personaggi chiusi in una specie
di gabbia che avvolge testa o corpo, simbolo di chiusura
e di inazione.
Nel
complesso lo spettacolo, della durata di 3 ore, è
molto piacevole ed interessante; gli attori sono tutti
interpreti straordinariamente efficaci, tra i quali
merita una menzione donore Danilo Nigrelli,
davvero un Amleto vivissimo e affascinante. Una menzione
di perplessità circa laggiunta di unappendice
al finale: una divagazione in tema di riflessioni sullumana
sorte, proposta in termini soggettivamente discutibili.
The rest is silence. Il resto è silenzio.
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