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Giulio
Bosetti, attore che ha più volte frequentato
i testi pirandelliani nel corso della propria carriera,
ha deciso di mettere in scena, assumendo su di sé
anche il compito della regia, un edizione rigorosamente
italiana de Il berretto a sonagli: si è
allontanto quindi sia dalla versione originale siciliana,
ovvero A birritta cu i ciancianeddi
del 1917, sia dalla napoletanizzazione operata da
Eduardo De Filippo dopo la morte del drammaturgo
agrigentino, avvenuta nel 1936.
E
particolarmente significativo che, se le due edizioni
dialettali permettevano delle notevoli performances
sceniche di due protagonisti del teatro grandattorale,
rispettivamente Angelo Musco ed Eduardo stesso, quella
in italiano, di Bosetti, appare molto più sussurrata,
colloquiale, asciutta, quasi in punta di piedi. Lo spettacolo,
già di per sé molto breve, risulta privo
di un vero centro di gravità emozionale, il protagonista
stesso non ingombra la scena con la propria preponderanza
e la singolarità dei personaggi cosiddetti minori
può emergere più liberamente. Lo spettatore,
a questo punto, ha facoltà di decidere come porsi:
rimpiangere il Grande Attore e la sua eclatante esibizione
di bravura o concentrarsi sul delicato rapporto testo
- messa in scena che, grazie al lavoro di Bosetti, appare
scarno ed essenziale eppure pregnante?
La
recitazione di Bosetti (Ciampa) e di Elena Ghiaurov
( la signora Beatrice) è quindi molto pacata,
ma non per questo non bella, sempre molto attenta a
non turbare il cerebrale incedere della narrazione,
tipico del teatro pirandelliano. La compagnia, forse,
ha ecceduto in parte con tale atteggiamento schivo,
che, pur adattissimo a quasi tutto il play, degrada
a scialba e priva di pathos linquietante passaggio
finale della follia di Beatrice, che avrebbe meritato
una resa scenica molto più noir.
La
semplice scenografia di interno vanta però una
bella intuizione di Bosetti regista e contribuisce al
giudizio globalmente più che positivo sulla rappresentazione:
molto più importante della storia di adulterio
e maldicenza, che costituisce lossatura della
vicenda, è, infatti, il nascere della riflessione
pirandelliana sulla follia come unica via di uscita
per sfuggire allo stridente contrasto tra vita-istinto-materia
e pensiero-società-forma e il regista ha, a tale
scopo, voluto sullo sfondo la presenza di altrimenti
improbabili specchi de-formanti. La trovata,
che esemplifica con efficace eleganza lo sfigurarsi
di ogni possibile sistematizzazione normativa (lo specchio)
di fronte alla frammentaria ineffabilità delluomo
e dei sui rapporti interpersonali, è il corollario
scenografico ideale alla proposta recitativa di Bosetti.
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