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Il berretto a sonagli
In scena dal 16 al 18 febbraio al Teatro Coccia di Novara.

di Mario Macchitella

 
12/04/2001
 

Giulio Bosetti, attore che ha più volte frequentato i testi pirandelliani nel corso della propria carriera, ha deciso di mettere in scena, assumendo su di sé anche il compito della regia, un’ edizione rigorosamente italiana de “Il berretto a sonagli”: si è allontanto quindi sia dalla versione originale siciliana, ovvero “‘A birritta cu ‘i ciancianeddi” del 1917, sia dalla napoletanizzazione operata da Eduardo De Filippo dopo la morte del drammaturgo agrigentino, avvenuta nel 1936.

E’ particolarmente significativo che, se le due edizioni dialettali permettevano delle notevoli performances sceniche di due protagonisti del teatro grandattorale, rispettivamente Angelo Musco ed Eduardo stesso, quella in italiano, di Bosetti, appare molto più sussurrata, colloquiale, asciutta, quasi in punta di piedi. Lo spettacolo, già di per sé molto breve, risulta privo di un vero centro di gravità emozionale, il protagonista stesso non ingombra la scena con la propria preponderanza e la singolarità dei personaggi cosiddetti minori può emergere più liberamente. Lo spettatore, a questo punto, ha facoltà di decidere come porsi: rimpiangere il Grande Attore e la sua eclatante esibizione di bravura o concentrarsi sul delicato rapporto testo - messa in scena che, grazie al lavoro di Bosetti, appare scarno ed essenziale eppure pregnante?

La recitazione di Bosetti (Ciampa) e di Elena Ghiaurov ( la signora Beatrice) è quindi molto pacata, ma non per questo non bella, sempre molto attenta a non turbare il cerebrale incedere della narrazione, tipico del teatro pirandelliano. La compagnia, forse, ha ecceduto in parte con tale atteggiamento schivo, che, pur adattissimo a quasi tutto il play, degrada a scialba e priva di pathos l’inquietante passaggio finale della follia di Beatrice, che avrebbe meritato una resa scenica molto più noir.

La semplice scenografia di interno vanta però una bella intuizione di Bosetti regista e contribuisce al giudizio globalmente più che positivo sulla rappresentazione: molto più importante della storia di adulterio e maldicenza, che costituisce l’ossatura della vicenda, è, infatti, il nascere della riflessione pirandelliana sulla follia come unica via di uscita per sfuggire allo stridente contrasto tra vita-istinto-materia e pensiero-società-forma e il regista ha, a tale scopo, voluto sullo sfondo la presenza di altrimenti improbabili specchi “de-formanti”. La trovata, che esemplifica con efficace eleganza lo sfigurarsi di ogni possibile sistematizzazione normativa (lo specchio) di fronte alla frammentaria ineffabilità dell’uomo e dei sui rapporti interpersonali, è il corollario scenografico ideale alla proposta recitativa di Bosetti.

 

 


 
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