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Tonino e il suo doppio
Il regista Luca Ronconi dopo 38 anni incrocia ancora Goldoni e porta in scena i suoi "Due gemelli veneziani". In scena al Teatro Grassi dal 13 marzo al 2 maggio.

di Mascia Nassivera

01/04/2001
 

Carlo Goldoni, ovvero la piccola peste: così lo avranno certamente chiamato i suoi genitori durante l'infanzia, mentre cercavano di metterne a freno il carattere un po' troppo esuberante. Forse pochi lo sanno, ma il giovane Goldoni rivelò subito una personalità espansiva e curiosa, un gusto precoce per la vita sociale e il teatro: inclinazione quest'ultima, ereditata soprattutto dal padre medico che, durante le vacanze, era solito organizzare alcuni spettacoli filodrammatici. Meno brillante fu la sua carriera scolastica, che subì anche numerose interruzioni: la prima a Rimini, quando, nel 1721, invece di seguire le lezioni di filosofia presso i padri domenicani -che egli non esitava a definire "noiosi"- si imbarcò di nascosto insieme a una compagnia di comici; nel 1725 fu perfino espulso dal collegio di Pavia a causa di una satira contro le donne della città. Finalmente, nel 1731, la signora Goldoni poté tirare un sospiro di sollievo: il figlio si laureava in legge all'università di Padova. Chissà che cosa avrebbe pensato la donna, se già allora avesse saputo che al giovane Carlo quel "pezzo di carta" non sarebbe mai servito, che sarebbero stati ben altri i "fogli" e i libri importanti nella sua vita?

I "Due gemelli veneziani", lavoro che abbina commedia dell'arte a noir psicologico, fu composto nel 1747 alla vigilia di quello che è stato definito il "decennio fortunato" di Goldoni, ovvero gli anni compresi fra il 1750 e il 1760. L'opera, basata sull'analisi della psicologia umana, ritrae non solo l'uomo nei suoi rapporti interpersonali, ma anche la dinamica delle classi sociali all'interno di un concreto scenario cittadino, la Verona del '700. La storia è quella di Tonino (il brillante) e Zanetto (il rustico), due fratelli separati alla nascita, e delle loro promesse spose, Beatrice e Isaura: ignare di trovarsi di fronte a due gemelli, le fidanzate danno vita a una girandola di equivoci e di esilaranti situazioni…

Dopo "La serva amorosa", spettacolo tutto centrato sul realismo sgraziato dell'interpretazione e lontano dai cliché della tradizione scenica goldoniana, Luca Ronconi torna ancora una volta al commediografo veneziano cambiando però decisamente strada. Gli attori recitano in modo naturalistico, abbandonando la consuetudine alle frasi spezzate e alle lunghe pause che di solito caratterizzano gli allestimenti del regista, e indossano costumi d'epoca (fra cui spiccano lo splendido abito verde di Beatrice e quello rosso di Tonino e Zanetto); la scenografia - unica per tutto il corso dello spettacolo - è costituita da una serie di giganteschi specchi sovrapposti che, non solo sottolineano l'idea del riflesso e quindi del "doppio fratello", ma evocano contemporaneamente le vie di Verona e le stanze di un palazzo: il regista sceglie lo stesso scenario per interno ed esterno, quindi. Durante il primo tempo, contrariamente all'abitudine di Ronconi, le trovate sceniche sono quasi del tutto assenti a favore di un ritmo lineare e un po' monotono, anche se gli spunti - interessanti - ci sarebbero tutti: gli attori potrebbero sfruttare di più il loro riflettersi nei grandi specchi, l'idea dei due personaggi identici, le finestre che si aprono in cima agli alti palazzi; persino la musica, ispirata al Settecento, ha un ruolo poco importante. Meglio il secondo tempo, che ha un ritmo più mosso e fantasioso: bello l'effetto degli ombrelli neri aperti in scena (con buona pace dei superstiziosi), del lampadario che si illumina, dei due gemelli che vagano per la città ignari l'uno dell'altro; si usano di più anche porte e finestre per l'entrata e l'uscita dei personaggi.

Ottimo è il lavoro degli attori: Massimo Popolizio - mai così bravo - riesce a sdoppiarsi mirabilmente nei due gemelli; Laura Marinoni, dopo l'eccelsa prova offerta in "Lolita" (in cui interpretava la mamma della ragazza), mantiene le promesse e dà vita a una Beatrice enfatica e appassionata; Manuela Mandracchia è una sensuale Rosaura e Riccardo Bini un convincente Pancrazio. Un po' meno riuscito il personaggio di Arlecchino (Giovanni Crippa), forse per quell'aria un po' punk che gli danno i capelli biondissimi e il vestito moderno.


 

 


 
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