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L'identità e il genere
 a cura di Mary Nicotra


4 aprile 2001

Annamarie Schwarzenbach: un angelo irraGgiungibiLe

 

 

Volete vivere con prudenza? 

Che cosa credete possa derivare dalla prudenza? 

Solo altra prudenza. 

Siete schiavi della vostra prudenza. Dove credete che 

vi porti - essa elude le strade pericolose (non avete visto che sono queste a portare più in alto?) Ogni genere di profondità è pericolosa. La prudenza rende piatta la vostra vita. 

E rende piatti anche voi" 
Questa citazione, tratta da uno dei suoi scritti giovanili, racchiude forse il principio essenziale che ha ispirato la vita irregolare e brevissima di Annemarie Schwarzenbach, una delle più controverse e affascinanti protagoniste della letteratura in lingua tedesca di inizio secolo. Votata alla sperimentazione, alla conoscenza, alla ricerca di libertà sul piano personale e su quello dell'espressione artistica, Annemarie privilegia strade nuove, percorsi non ancora battuti, disegnando, nei continui spostamenti, negli innumerevoli viaggi che ha compiuto fino "ai confini del mondo", una geografia intellettuale di rara intensità e fascino. Personaggio sofferente, appassionato e autodistruttivo che interpreterà il tema del viaggio non solo come esperienza testimoniale di luoghi "altri" (la Persia, l'India, Il Congo) ma anche come etica del displacement nel viaggio dentro la droga e la malattia mentale, alimenterà in soli 34 anni di vita il mito di sé presso i suoi contemporanei, incarnando, per uomini e donne, un modello ambiguo ed enigmatico  di incanto e seduzione.

"Vedendola rimasi semplicemente esterrefatta…

non avevo mai visto nessuno come lei, se 

mi avessero detto che era l'arcangelo Gabriele

e che mi trovavo davanti al paradiso, ci avrei creduto. Non sembrava né una donna né un 

uomo, ma un angelo, un arcangelo"
Così la descrive una fotografa amica, che ritrae con queste parole "il volto di sogno" e il fascino androgino di Annemarie, e che ritorna nelle descrizioni, nelle testimonianze, nelle trasfigurazioni liriche di amici e di scrittori suoi contemporanei. L'ideale dell'angelo, della creatura efebica da lei ispirato, abita nei libri degli altri - da quelli di Ella Maillart, di Carson McCullers, o di Albrecht Haushofer- incarnandosi di volta in volta in tante maschere e in tante identità, ma restando sempre una creatura diversa e minacciata, una figura aliena e smarrita, preda di quel senso di scontento che la spinge continuamente verso il nuovo e il diverso. Verso l'inafferrabile. Di volta in volta angelo decaduto, angelo inconsolabile, angelo devastato, incarnazione ed espressione di un ritorno alla purezza e all'origine, a un'idea "originale" di libertà. Sempre - appassionatamente - amato. 

Ma chi è Annemarie Schwarzenbach?
A ricostruire le tappe - biografiche e artistiche - di questa donna spinta da un costante desiderio di ricerca (di sé, degli altri, di un mondo diverso) e di fuga (da ogni ruolo definito, dalle convenzioni sociali e sessuali, da un'Europa ormai consegnata al nazismo) ci aiuta Melania Mazzucco che in un romanzo di rara intensità poetica e felicità narrativa (Lei così amata, Rizzoli) ci offre della Schwarzenbach uno dei ritratti più appassionati e commoventi che una scrittrice (di 34 anni, quanti sono stati gli anni di vita di Annemarie) dedica ad un'altra scrittrice. 
Annemarie nasce a Zurigo nel 1908, da una ricca famiglia di industriali, vicina per tradizione agli alti comandi dell'esercito svizzero, e ideologicamente affine agli ambienti conservatori e alla nuova classe politica che si impone con l'avvento del nazismo. Il milieu familiare in cui cresce, ispirato ad un illuminato e moderato mecenatismo, e visitato da artisti, letterati e musicisti è parte integrante della società letteraria cosmopolita del tempo, e la incoraggia a una prima ricerca di espressione artistica attraverso la scrittura. Ma gli incontri cruciali della sua vita, fatta eccezione per il ruolo centrale della figura materna, avverranno in altri contesti, all'università, alle conferenze di Berlino, durante i primi viaggi, che le faranno incontrare in particolare i fratelli Erika e Klaus Mann, da allora in poi presenze costanti e determinanti nella sua esistenza. La presa di distanza dalla cultura e dai canoni sociali convenzionali contiene elementi eversivi soprattutto nella ridefinizione del rapporto tra i sessi che Annemarie tratta implicitamente in letteratura e che interpreta in prima persona in una consapevole, dichiarata e praticata attrazione per le donne ("Sempre e solo verso una donna ho provato 

una calda, profonda inclinazione, un intenso

senso di amicizia, tutto il mio giovane e ardente desiderio e posso amare con vera passione solo delle donne".) Nella sua ricerca irrequieta di un rapporto e di un sentimento che - fino alla fine, e nelle sue varie declinazioni - non riuscirà mai a strapparla da un profondo senso di isolamento, di solitudine e di carica autodistruttiva, forse scaturito dal suo fatale rapporto con la madre, Annemarie si legherà - amatissima - a molte donne (Carson McCullers, figura tormentata e sradicata quanto quella di Annemarie e follemente innamorata di lei, troverà nell'"angelo di Sils" una fonte di ispirazione, e le dedicherà "Riflessi in un occhio d'oro"). Ma sarà sempre Erika, incarnazione della donna nuova di quegli anni, determinata e sicura di sè, votata all'autoaffermazione, sessualmente libera e incline all'amore per le donne, a rappresentare per Annemarie l'irraggiungibilità e il mancato compimento del "sogno d'amore": la donna che lei stessa sarebbe voluta diventare, quella che amerà sempre senza mai essere corrisposta.

 

Il nutrimento costante di un'estetica del dolore, la sofferenza, la solitudine, che nonostante le innumerevoli frequentazioni, gli amori, le amicizie, contraddistinguono la vita e l'opera di Annemarie, la condurranno sempre "altrove" (in un altrove geografico, che nella percezione comune dell'epoca è per eccellenza l'Oriente, o nell'"altrove" artificiale della morfina, o ancora nel viaggio ai limiti della propria identità che la precipita nella notte della follia); altrove per cercare un centro, da cui si deve irradiare la vita e il senso. In Persia, in Afghanistan, in Russia, in India, cercherà quella vita e quel senso scrivendo opere di letteratura ispirate a quei viaggi, ma dando sfogo alla sua tensione e forza creativa anche attraverso l'archeologia, la fotografia, il reportage. Dolorosamente, Annemarie. emblematica figura di transizione in un'epoca in cui il genere femminile è alla ricerca di nuove forme di identità e di nuove realizzazioni, assume su di sé l'impegno e la tensione di una dirompente vocazione: l'angelo irraggiungibile e misterioso che non troverà mai la strada dell'integrazione sociale e quella di una vita materiale ordinata ma che, al contrario, vivrà cadute rovinose fino alla perdita totale di sé, sperimenterà nella lontananza, nella fuga e nell'infelicità il prezzo di una scommessa. Quella di un'immaginazione nuova, altra, che indaga nuove possibilità, e infinite forme di alterità. Qui, alla fine di un processo catartico che coincide con la morte di Annemarie - a soli 34 anni - per una banale caduta dalla bicicletta, si posa e si ferma lo sguardo di Melania Mazzucco, che dell'angelo ha deciso di custodire e trasmettere i doni. Lo sguardo si arresta sugli ultimi istanti di una sequenza filmata che ritrae Annemarie alla fine di un viaggio, mentre accovacciata in un campo di grano intreccia due spighe e fuma una sigaretta. ("se solo si potesse riavvolgere la sua vita - ogni vita - deviare le traiettorie, ingannare le sequenza, rallentare il ritmo e fermare quest'attimo prima

 che sia già finita - non lasciare cadere le spighe, non sgrullare la cenere, non chiudere gli occhi, 

non andar via, resta - così"). Da qui, al termine di un viaggio, di un libro, di una vita, inizia forse per chi legge - per chi vuole coglierne l'invito - un nuovo viaggio verso la propria libertà interiore. 

 

15 Novembre 2000

Anna Sperelli

 


 

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