Volete
vivere con prudenza?
Che
cosa credete possa derivare dalla prudenza?
Solo
altra prudenza.
Siete
schiavi della vostra prudenza. Dove credete che
vi
porti - essa elude le strade pericolose (non avete visto che sono
queste a portare più in alto?) Ogni genere di profondità è
pericolosa. La prudenza rende piatta la vostra vita.
E
rende piatti anche voi"
Questa citazione, tratta da uno dei suoi scritti giovanili,
racchiude forse il principio essenziale che ha ispirato la vita
irregolare e brevissima di Annemarie Schwarzenbach, una delle più
controverse e affascinanti protagoniste della letteratura in lingua
tedesca di inizio secolo. Votata alla sperimentazione, alla
conoscenza, alla ricerca di libertà sul piano personale e su quello
dell'espressione artistica, Annemarie privilegia strade nuove,
percorsi non ancora battuti, disegnando, nei continui spostamenti,
negli innumerevoli viaggi che ha compiuto fino "ai confini del
mondo", una geografia intellettuale di rara intensità e
fascino. Personaggio sofferente, appassionato e autodistruttivo che
interpreterà il tema del viaggio non solo come esperienza
testimoniale di luoghi "altri" (la Persia, l'India, Il
Congo) ma anche come etica del displacement nel viaggio dentro la
droga e la malattia mentale, alimenterà in soli 34 anni di vita il
mito di sé presso i suoi contemporanei, incarnando, per uomini e
donne, un modello ambiguo ed enigmatico di incanto e
seduzione.
"Vedendola
rimasi semplicemente esterrefatta…
non
avevo mai visto nessuno come lei, se
mi
avessero detto che era l'arcangelo Gabriele
e
che mi trovavo davanti al paradiso, ci avrei creduto. Non sembrava né
una donna né un
uomo,
ma un angelo, un arcangelo".
Così la descrive una fotografa amica, che ritrae con queste parole
"il volto di sogno" e il fascino androgino di Annemarie, e
che ritorna nelle descrizioni, nelle testimonianze, nelle
trasfigurazioni liriche di amici e di scrittori suoi contemporanei.
L'ideale dell'angelo, della creatura efebica da lei ispirato, abita
nei libri degli altri - da quelli di Ella Maillart, di Carson
McCullers, o di Albrecht Haushofer- incarnandosi di volta in volta
in tante maschere e in tante identità, ma restando sempre una
creatura diversa e minacciata, una figura aliena e smarrita, preda
di quel senso di scontento che la spinge continuamente verso il
nuovo e il diverso. Verso l'inafferrabile. Di volta in volta angelo
decaduto, angelo inconsolabile, angelo devastato, incarnazione ed
espressione di un ritorno alla purezza e all'origine, a un'idea
"originale" di libertà. Sempre - appassionatamente -
amato.
Ma chi è Annemarie Schwarzenbach?
A ricostruire le tappe - biografiche e artistiche - di questa donna
spinta da un costante desiderio di ricerca (di sé, degli altri, di
un mondo diverso) e di fuga (da ogni ruolo definito, dalle
convenzioni sociali e sessuali, da un'Europa ormai consegnata al
nazismo) ci aiuta Melania Mazzucco che in un romanzo di rara
intensità poetica e felicità narrativa (Lei così amata, Rizzoli)
ci offre della Schwarzenbach uno dei ritratti più appassionati e
commoventi che una scrittrice (di 34 anni, quanti sono stati gli
anni di vita di Annemarie) dedica ad un'altra scrittrice.
Annemarie nasce a Zurigo nel 1908, da una ricca famiglia di
industriali, vicina per tradizione agli alti comandi dell'esercito
svizzero, e ideologicamente affine agli ambienti conservatori e alla
nuova classe politica che si impone con l'avvento del nazismo. Il
milieu familiare in cui cresce, ispirato ad un illuminato e moderato
mecenatismo, e visitato da artisti, letterati e musicisti è parte
integrante della società letteraria cosmopolita del tempo, e la
incoraggia a una prima ricerca di espressione artistica attraverso
la scrittura. Ma gli incontri cruciali della sua vita, fatta
eccezione per il ruolo centrale della figura materna, avverranno in
altri contesti, all'università, alle conferenze di Berlino, durante
i primi viaggi, che le faranno incontrare in particolare i fratelli
Erika e Klaus Mann, da allora in poi presenze costanti e
determinanti nella sua esistenza. La presa di distanza dalla cultura
e dai canoni sociali convenzionali contiene elementi eversivi
soprattutto nella ridefinizione del rapporto tra i sessi che
Annemarie tratta implicitamente in letteratura e che interpreta in
prima persona in una consapevole, dichiarata e praticata attrazione
per le donne ("Sempre e solo verso una donna ho provato
una
calda, profonda inclinazione, un intenso
senso
di amicizia, tutto il mio giovane e ardente desiderio e posso amare
con vera passione solo delle donne".) Nella sua ricerca
irrequieta di un rapporto e di un sentimento che - fino alla fine, e
nelle sue varie declinazioni - non riuscirà mai a strapparla da un
profondo senso di isolamento, di solitudine e di carica
autodistruttiva, forse scaturito dal suo fatale rapporto con la
madre, Annemarie si legherà - amatissima - a molte donne (Carson
McCullers, figura tormentata e sradicata quanto quella di Annemarie
e follemente innamorata di lei, troverà nell'"angelo di Sils"
una fonte di ispirazione, e le dedicherà "Riflessi in un
occhio d'oro"). Ma sarà sempre Erika, incarnazione della
donna nuova di quegli anni, determinata e sicura di sè, votata
all'autoaffermazione, sessualmente libera e incline all'amore per le
donne, a rappresentare per Annemarie l'irraggiungibilità e il
mancato compimento del "sogno d'amore": la donna che lei
stessa sarebbe voluta diventare, quella che amerà sempre senza mai
essere corrisposta.
Il
nutrimento costante di un'estetica del dolore, la sofferenza, la
solitudine, che nonostante le innumerevoli frequentazioni, gli
amori, le amicizie, contraddistinguono la vita e l'opera di
Annemarie, la condurranno sempre "altrove" (in un altrove
geografico, che nella percezione comune dell'epoca è per eccellenza
l'Oriente, o nell'"altrove" artificiale della morfina, o
ancora nel viaggio ai limiti della propria identità che la
precipita nella notte della follia); altrove per cercare un centro,
da cui si deve irradiare la vita e il senso. In Persia, in
Afghanistan, in Russia, in India, cercherà quella vita e quel senso
scrivendo opere di letteratura ispirate a quei viaggi, ma dando
sfogo alla sua tensione e forza creativa anche attraverso
l'archeologia, la fotografia, il reportage. Dolorosamente,
Annemarie. emblematica figura di transizione in un'epoca in cui il
genere femminile è alla ricerca di nuove forme di identità e di
nuove realizzazioni, assume su di sé l'impegno e la tensione di una
dirompente vocazione: l'angelo irraggiungibile e misterioso che non
troverà mai la strada dell'integrazione sociale e quella di una
vita materiale ordinata ma che, al contrario, vivrà cadute rovinose
fino alla perdita totale di sé, sperimenterà nella lontananza,
nella fuga e nell'infelicità il prezzo di una scommessa. Quella di
un'immaginazione nuova, altra, che indaga nuove possibilità, e
infinite forme di alterità. Qui, alla fine di un processo catartico
che coincide con la morte di Annemarie - a soli 34 anni - per una
banale caduta dalla bicicletta, si posa e si ferma lo sguardo di
Melania Mazzucco, che dell'angelo ha deciso di custodire e
trasmettere i doni. Lo sguardo si arresta sugli ultimi istanti di
una sequenza filmata che ritrae Annemarie alla fine di un viaggio,
mentre accovacciata in un campo di grano intreccia due spighe e fuma
una sigaretta. ("se solo si potesse riavvolgere la sua vita
- ogni vita - deviare le traiettorie, ingannare le sequenza,
rallentare il ritmo e fermare quest'attimo prima
che
sia già finita - non lasciare cadere le spighe, non sgrullare la
cenere, non chiudere gli occhi,
non
andar via, resta - così"). Da qui, al termine di un
viaggio, di un libro, di una vita, inizia forse per chi legge - per
chi vuole coglierne l'invito - un nuovo viaggio verso la propria
libertà interiore.
15
Novembre 2000