La nostra storia

Primavera del 1761. Gli albanesi hanno appena lasciato Poggio Imperiale ed il principe Placido Imperiale, fondatore e proprietario di Poggio Imperiale, fa leggere un editto nelle chiese della Diocesi di Benevento con cui invita la gente a popolare il nascente villaggio, edificato nei territori appartenenti alla decaduta Lesina. Il nobile genovese garantisce e concede gratuitamente ai coloni: case, terreni ed animali. La proposta viene accolta da parecchie persone e nei primi mesi dell’anno 1764, un numero consistente di «campagnoli» del Principato Ultra del Regno di Napoli, si trasferisce con le proprie famiglie a Poggio Imperiale per realizzare il progetto di don Placido: colonizzare i boscosi terreni circostanti il nuovo borgo.

Tra questi vi è un giovane venticinquenne, Carmine Antonio Saitto, figlio di Giuseppe e Lorita Lanzalotta, che da San Marco dei Cavoti raggiunge il casale dauno con la giovane moglie, Grazia Cotturiello.

La famiglia Saitto prende alloggio in una angusta e piccola abitazione, di proprietà del Principe, nella strada denominata «dello Stallone», così detta perché conduce al grosso magazzino dove i primi terranovesi ripongono i comuni attrezzi agricoli e gli animali, che il Principe concesse loro.

Nonostante le garanzie offerte da don Placido, la vita nei primi mesi è molto difficile tant’è che nel novembre di quello stesso anno, Grazia muore, forse per una carestia che imperversa nell’intera provincia, lasciando nello sconforto il giovane marito. Ma i tempi sono duri: l’uomo ha bisogno della donna non solo per il disbrigo delle faccende domestiche o per proseguire il Casato, bensì per l’aiuto che ella fornisce nel lavoro campestre.

E così, passato il periodo di dolore per la prematura scomparsa della moglie, Carmine conosce una ragazza originaria di Reino, trasferitasi anche lei con i suoi a Poggio Imperiale, Antonia Caggiano, figlia di Giovanni e Margherita Calzone.

Anche se la giovane è di poco più grande, i due si sposano l’8 giugno dell’anno seguente e il 15 maggio del 1767 l’arrivo di Primiano Maria rallegra la nuova coppia. Il piccolo Primiano viene battezzato a Lesina nel pomeriggio di quello stesso giorno, seppur fosse un venerdì; il Padrino è Cristofano Smiraglia di Reino, mentre la lesinese Aurelia D’Apote la Madrina; don Felice di Lullo, arciprete della chiesa della Santissima Annunziata di Lesina, il battezzante.

Dopo Primiano nascono: Rosa nel 1769, Marta nel 1773 e Giuseppe nel 1778, che muore giovanissimo, all’età di tredici anni, il 7 ottobre 1791.

Rosa contrae matrimonio con Giacomo di Rito, da Cagnano Varano, nel 1789 e, morto questi, con Leonardo Cristino nel 1800; la sorella Marta sposa, nel 1793, Giovanni Barone. Entrambe hanno avuto prole.

Primiano, rimasto l’unico maschio dopo la morte del fratello Giuseppe, assume l’onere del prosieguo del Casato.

E non tradisce le attese.

Il nostro avo, «campagnolo» di mestiere, pochi mesi dopo la morte del padre, avvenuta nel marzo del 1788, convola a nozze con Maria Primiana Lentinio, figlia di Amato, irpino di Lioni, dalla quale genera otto figli: cinque maschi e tre femmine: Gerardo nel 1790; Carmine nel 1792 morto mezz’ora dopo la nascita; Michele nel 1794; Rosaria tre anni dopo; Giuseppe nel 1804; Fortunata nel 1806; Maria Concetta nel 1809 ed infine Francesco Antonio nel 1811, al quale è stato aggiunto il nome Silvestro in quanto nato l’ultimo dell’anno, giorno onomastico, appunto, di San Silvestro. La discendenza è assicurata! Ed essa è garantita dal primo nato, Gerardo, e dall’ultimo, Antonio, poiché i loro germani Michele e Giuseppe, seppur coniugati rispettivamente con Elisabetta Mazzarella ed Angela Michela Capozzi, non hanno avuto figli maschi ammogliati: la maggior parte di loro sono morti in età adolescente.

Torniamo ai primi due e seguiamo la duplice discendenza partendo dal primogenito.

Gerardo, che segue il genitore nei lavori agricoli, sposa nel 1807 

Maria Concetta Simeone, la quale gli regala la bellezza di undici pargoli, tra cui tre maschi, Benedetto, Amaddio ed Innocenzo. Tra essi spicca Benedetto, più volte sindaco di Poggio Imperiale, il cui ramo si estingue in altro Benedetto, figlio di Gerardo e Concetta Braccia, nel 1947.

Da segnalare Giovanni, figlio del primo Benedetto e di Alessandrina Leone, divenuto avvocato dopo gli studi napoletani ed anch’egli, come il padre, sindaco di Poggio Imperiale per due amministrazioni consecutive, precisamente dal 1882 al 1888.

Potrebbe essere definita «strana» la morte di Giovanni, suicidatosi in seguito ad una «alienazione di mente», come recita l’atto di morte redatto dal parroco; un giallo non chiarito dai documenti dell’epoca: potrebbero esserci stati diverbi per questioni d’interesse con i familiari, ed in particolare con il cognato Giovanni Caputi, alla base del folle gesto dell’avvocato?

Non si sa e mai lo sapremo!

Il ramo di Innocenzo ricalca per grandi linee quelle del fratello maggiore: si estingue infatti, nel 1922 con Gerardo il quale, sfortunatamente, ha avuto quattro figli, tutti maschi, che non sono riusciti a superare la soglia dei tre anni.

Amaddio, agricoltore anche lui e possessore di terreni in contrada Sant’Agata nei territori di Serracapriola, sposa la lesinese Lucia Augelli dalla quale genera sette figli, due dei quali, Gerardo nato nel 1848 e Luigi nove anni dopo, assicurano la discendenza, fiorente ancora oggi.

Diviso in due linee - Gerardo e Luigi - il ramo di Amaddio è presente tutt’oggi in Italia a Torino, Milano, Termoli, San Severo e Vasto.

Risiede nel capoluogo piemontese Amedeo, ex dirigente della Fiat, nato nel 1938, unico rappresentante della linea di Gerardo.

Seguiamo, ora, la seconda linea di Amaddio e cioè quella di Luigi.

Risiedono a Milano, Luigi (1926), figlio di Benedetto, carabiniere in congedo, con i figli Stefano e Paolo; i nipoti, Benedetto e Giovanni, figli di Nazzareno Antonio (1923-1998); ed Antonio (1950) figlio di altro Luigi (1920-2001).

A Termoli, bella e ridente cittadina marittima molisana, ha preso dimora Giuseppe (1925) il cui genitore, Gerardo (1897-1943) dopo aver trascorso gli ultimi anni della propria vita in maniera non del tutto ortodossa, ha trovato la morte in quel di Foggia, durante un bombardamento inglese sulla città nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

Ad essi si aggregano Antonio (1960) e suo fratello Mauro (1963), figli di Michele (1931-1997), residenti rispettivamente a San Severo e a Vasto.

Molto più ampio invece, il ramo cadetto di Primiano e cioè dei discendenti di Francesco Antonio (1811-1856).

Ugualmente a quello del fratello maggiore Gerardo, anche il ramo di Antonio si suddivide in due linee: una prima «americana» e una seconda italiana.

Appartengono alla prima linea i discendenti di Giuseppe (1853-1914); alla seconda, invece, quelli di Primiano (1855-1926).

Dall’unione di Giuseppe con Carmela Nista, nel 1882 nasce Antonio che, dopo aver sposato Maria Michela Pettograsso nel 1903, decide di cambiare continente e lavoro emigrando negli Stati Uniti d’America. L’8 marzo del 1907, insieme ad altri compaesani, si imbarca a Napoli sulla nave The Konigen Luise e il 22 marzo sbarca al porto di New York.

Si stabilì nei primi anni a Boston, dove trovò lavoro prima in una fabbrica di biscotti e successivamente come manovale nel settore delle costruzioni. Qui, tre anni dopo il suo arrivo, lo raggiunge la moglie ed il figlio Giuseppe che muore, a causa di una poliomielite, nel 1915. Sempre a Boston nascono altri tre figli: Carmela, Michele e Margherita.

In seguito si trasferì con la famiglia ad Everett, sobborgo a nord di Boston, dove abbandonò la vita terrena nel 1931.

Ad Everett vivono la figlia Margherita e tutti i nipoti.

Più estesa, invece, la linea di Primiano.

A Foggia troviamo Giuseppe (1922), figlio di Michele (1894-1961), e il suo ultimogenito Alfonso (1958); il figlio Michele (1954), invece, vive ed opera a Roma. Bologna ospita Damiano (1929) e famiglia.

Risiedono a Poggio Imperiale i discendenti di Nazario (1910-2002), figlio di Primiano (1855-1926), il quale ha toccato la veneranda età di novantuno anni, traguardo mai raggiunto da altri esponenti del Casato.

Essi proseguono il ceppo di Carmine Antonio, nel paese alle falde del Gargano, con Primiano (1936), i figli e i suoi nipoti: Giovanni (1960), autore del presente lavoro e dell’apprezzato libro che rivive le vicende storiche di Poggio Imperiale che, con Primiana Malerba, ha generato Primiano (1990) e Carmine (1994); Nazario (1966), conduttore dell’avviatissimo negozio di generi alimentari aperto dallo zio Giovanni (1908-1991) nella piazza principale del paese garganico, padre di Fabio (1999); Nicola (1971), impiegato nella FIAT.

Sono trascorsi duecento trentotto anni dall’arrivo di Carmine Antonio a Poggio Imperiale e ... la saga dei Saitto continua!

 

 

L'impegno nel sociale

 

Fin dalla sua fondazione, Poggio Imperiale è un paese che basa la propria economia prevalentemente sull’agricoltura.

E trasformare il selvoso territorio circostante la masseria e le case nuove dette di Poggio Imperiale fu lo scopo essenziale che mosse il principe Placido Imperiale, a richiedere manovalanza dalle regioni limitrofe la Capitanata per poter attuare il suo illuminato progetto: ottenere ubertosi terreni agricoli. Era il periodo in cui i riformisti del governo di sua maestà Ferdinando IV di Borbone esortavano il re di Napoli a trasformare le desolate lande del Tavoliere, fino ad allora preposte alla pastorizia, in produttive terre da destinare alla coltivazione.

Placido Imperiale fu l’antesignano di queste nuove proposte e nel 1759 pose le basi per il decollo del suo progetto.

Dopo un avvio stentato, causato dello scarno zelo mostrato da una colonia albanese, ai primi del 1764 a Poggio Imperiale giunse una nutrita schiera di coloni, perlopiù campani, in cerca di un lavoro e di una casa stabile, invitati dal principe che offrì loro garanzie e sussistenza. Tra di essi figura Carmine Antonio, iniziatore del ramo «terranovese» dei Saitto, di professione contadino o, come si diceva in quei tempi, campagnolo.

Questa stessa attività intraprese il figlio Primiano, che poi, col passare degli anni e con la crescita dei figli Gerardo, Michele e Giuseppe, diverrà massaro di campo.

Oltre ad amministrare aziende agrarie di terzi con la mansione di massaro di campo, Primiano prendeva in fitto terreni messi all’asta dagli amministratori comunali per integrare le entrate e quindi sostenere agevolmente la propria famiglia, formata nel 1827 da nove componenti, come risulta dal registro delle tasse del «Dazio Fiscale sul macinato» di quell’anno.

Infatti, il 12 aprile del 1822, con un’offerta pari a tre ducati annui, si aggiudicò l’asta per l’affitto del fondo denominato Borgo regnato, dell’estensione di versure uno e passi trenta, facente parte di quattordici pezzi di coltura situati nella Difesa di Lesina, ma spettanti al Comune di Poggio Imperiale.

Dall’atto definitivo di aggiudicazione leggiamo le condizioni:

1 - L’affitto sarà a corpo, e non a misura, e per la durata di un seiennio da 8 settembre 1822 a 7 settembre 1828 senza interruzione;

2 - L’estaglio in danaro sarà pagato in Poggio Imperiale nelle mani del Cassiere Comunale in ogni dì 22 luglio di ciascheduno anno, in moneta effettiva del regno;

3 - L’affitto sarà a corpo chiuso, restando il Conduttore nel pieno dominio dell’erba in tutto l’anno nella parte inseminata;

4 - Il Conduttore deve rimanere a qualunque scomputo per casi opinati ed inopinati, ed in mancanza di pagamento si sottopone all’arresto personale a norma dell’art. 1932 del Codice Civile;

5 - Che le subaste si sottopongono all’approvazione del Signor Intendente e le spese di scrittura andar debbono a carico del Conduttore.

Il 23 maggio di quell’anno, l’Intendente di Capitanata, Biase Zurlo, concedeva il visto per l’approvazione.

Una conseguenza relativa all’incremento dei fondi, seppur presi in affitto, fu quella di dover aumentare anche i capi di animali da poter utilizzare per i lavori agricoli: ed infatti dai cinque capi bovini e del solo ciavarro del 1822 Primiano passò a possedere, nel 1826, cinque mucche, una annecchia, due vitelli e tre giumente.

Anche Gerardo accrebbe il proprio bestiame, infatti dalle nove mucche del 1822, passò a possedere undici capi di bovini, un vitello e due giumente.

Potremmo dire che Gerardo, forse con una mentalità più aperta, moderna ed «imprenditoriale», dovuta probabilmente alla ventata di novità apportata dal nuovo secolo, superò il genitore negli affari e, con una parsimonia che contraddistingue la famiglia, riuscì a crearsi una cospicua proprietà, non solo costituita da terreni, che trasmise ai figli Benedetto, Amaddio ed Innocenzo.

Significativa la scelta di Benedetto il quale, nel 1871, rassegnava le dimissioni da sindaco di Poggio Imperiale motivando il rifiuto sul fatto che, essendo stato lasciato solo nella conduzione della propria azienda, non era in grado di occuparsi anche della gestione della cosa pubblica.

L’agricoltura, quindi, è stato il settore che, fino al secondo dopoguerra, ha impegnato la maggior parte degli uomini della famiglia, prima come massari di campo ed poi, quando i fondi sono passati alla parte femminile dei Saitto - e, di conseguenza, ad altri Casati, vedi i Nista, i Chiaromonte, i Gramigna i Caputi ecc. - come umili contadini o giornalieri di campagna.

Il nuovo secolo, il Novecento, apporta però nuovi lavori e nuove occupazioni. La ferrovia, impiantata nel ventennio successivo l’unità d’Italia, annovera tra i suoi addetti: Primiano, il mio bisavolo, i suoi figli Nicola, Michele e Nazario. I nipoti Giuseppe, Damiano, Primiano, mio padre; e i pronipoti: Anna, Michele ed Alfonso.

Altra branchia occupazionale è il Commercio dove trovano, o hanno trovato, impiego: Giovanni di Primiano che, dopo un incidente nelle cave, ha aperto la nota salumeria Saitto, gestita oggi da Nazario; l'autore di queste pagine, agente librario della De Agostini, nota Casa Editrice italiana, ancora un Giovanni, proprietario di un bar a Milano.

L’arte orafa dà impiego ad Antonio, che opera nel proprio laboratorio di San Severo e che, in questi ultimi anni, si interessa anche di antiquariato.

Nel settore ortofrutticolo bolognese troviamo Michele, figlio di Damiano.

Nella Sanità, e propriamente nell’ospedale civile San Timoteo di Termoli, svolgono la propria missione Rita e Grazia Anna, figlie di Giuseppe; Rosaria di Primiano a Bologna, mentre nella Sanità americana lavora Pamela.

Antonietta di Giuseppe la si trova impiegata a Foggia presso l’aeroporto civile «Gino Lisa»; suo cugino Nicola, figlio di Primiano, è alle dipendenze della FIAT a Brescia, come lo fu Amedeo di Gerardo. Luigi di Antonio, invece, fu un operaio della Pirelli, mentre il figlio Antonio è Consulente del Lavoro.

Anche l’Artigianato si è avvalso dell’apporto dei Saitto: Amaddio e suo figlio Gerardo, prima che si trasferisse a Torino, hanno operato nella loro bottega di falegname; stessa attività che intraprese Luigi di Benedetto prima di far parte dell’Arma dei Carabinieri. Al servizio dello Stato nei carabinieri troviamo pure Alessandro, figlio di Amedeo. Nel settore dell’edilizia hanno prestato la propria opera Primiano di Michele e, in quel di Boston, Antonio, dopo aver lavorato in un biscottificio.

Sempre negli States troviamo Michele pittore e proprietario di una galleria dove commercializzava i suoi dipinti; mentre sua figlia Sandra, anche lei nota e brava pittrice, molto conosciuta in America, ha insegnato in un istituto d’arte.

La componente femminile, tra le quali alcune sono definite gentildonne dalle carte di archivio (Anna Maria, Giulia e Maria Grazia, tutte figlie del primo Benedetto), hanno svolto, o svolgono ancora oggi, un lavoro «oscuro», ma utile e necessario: la casalinga.

 

 

 

 

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