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Parte
I
Una
rilettura del
perturbante freudiano
|
(...)
Quindi il sublime non si può unire ad
attrattive; e poiché l'animo non
è semplicemente
attratto dall'oggetto, ma alternativamente attratto e respinto, il
piacere del sublime non è tanto una gioia positiva, ma piuttosto
contiene meraviglia
, cioè merita di essere chiamato
un piacere
negativo.” (I.
Kant, Critica del giudizio)
In
questa rilettura
di Das
Unheimliche (Il
Perturbante) - saggio che Freud scrive nel ‘19 e anticipa, come
mostra bene Derrida, la crucialità della questione
del piacere negativo che si verrà a porre nel ‘21, in tutta la sua
forza, con Al di là
del principio di piacere -
seguo un’episteme di confine secondo
cui passione e rappresentazione sono un unicum indisgiungibile. La
suggestione (in parte heideggeriana) di un ordine
simbolico dove l’origine
si lascia ‘sentire’ prima
ancora che pensare nel senso presentativo del termine e il sentimento
essenziale dell’originario è dunque l’angoscia, mi
è parsa sorprendentemente
in linea con la ‘grana’
emotiva di cui consiste la scrittura di questo
saggio: di questa ‘grana’ perciò intendo qui specificamente
occuparmi.
Insieme però
sollevo la seguente questione, che procede di pari passo: della tramatura
semantica che, in questo saggio, allinea il
materno e le sue figure sull’asse dell’angoscia e del perturbante, Freud
sembra essere del tutto inconsapevole. La
‘grana’ del saggio sembra dunque sfuggirgli
per così dire dalla penna proprio
nel momento in cui mette
in sequenza, nel testo, il sentimento del perturbante e il corpo
femminile. Questo
corpo, nella
relazione passionale
che Freud istituisce
con esso (e
non solo Freud:
ritroviamo questa metonimia in
tutto il pensiero psicoanalitico)
si dispone, nella catena simbolica, accanto
all’origine, come
esemplarmente mostra il saggio in questione. Questa
particolare posizione che il corpo femminile occupa in ogni punto
della costruzione psicoanalitica, freudiana e non, lo carica di
tutte le aporie e impensabilità che
in verità pertengono all’origine: pertanto queste aporie finiscono
con il ricadere di fatto sul primo significante che permette di
rappresentare l’origine nella catena simbolica: la madre, sorta di
“spazio figurale” dell’inconscio.
Lo sappiamo,
la psicoanalisi non si occupa del
sesso come tale, ma del desiderio. Questo desiderio, per quanto
riguarda il femminile (inteso qui non come ‘genere’ come
vorrebbero alcune recenti scuole del pensiero femminista americano,
ma come specifico sessuale), si coglie, nell’intero percorso
dell’elaborazione freudiana, solo attraverso faticose operazioni di
rovesciamento e “decostruzione” delle stesse
costruzioni testuali. Prendendo a prestito, ma non con gli stessi
fini, il
dispositivo con cui Lacan centra la questione del desiderio femminile
nel suo seminario su La
lettera rubata, potremmo individuare il seguente paradosso: questo
corpo di desiderio è talmente presente nell’opera di Freud da
risultare invisibile.
Per
inoltrarmi sulla traccia di quelle che sono, a mio avviso, le
condizioni di possibilità in grado di permetterci di restituire una
prima figurabilità a ciò che nell’opera di Freud è invisibile -
il desiderio femminile - partirò da ciò che in quest’opera e in
particolare nel saggio in questione, è assolutamente visibile, vale a
dire il sentimento
del perturbante.
In
prima battuta mi servirò
però di alcune
notazioni che sembreranno
forse accessorie o addirittura ’fuori tema’, periferiche rispetto
al nucleo centrale della questione, che comunque esse contornano e,
come margini, definiscono.
Il
Perturbante
freudiano si spinge, all’insaputa del suo autore, oltre una
riflessione pura e semplice sull'oggetto artistico: infatti, riletto
oggi, alla luce di considerazioni che pongono alla base del linguaggio
in generale - come
di quel particolare linguaggio rappresentato dall'arte
- un
corpo pulsionale, un territorio materno da cui entrambi trarrebbero sia
l'impasto semiotico che la forma, Il
Perturbante esibisce una sorprendente consonanza con alcune recenti
formulazioni che indagano nel testo come corpo, e giungono a
rintracciare nel femminile (inteso
nella sua
accezione più allargata di area
semantica) il luogo originario da cui trae matrice il senso. Esemplare
in questo senso l’analisi di André
secondo cui la figura femminile é "generatrice potenziale
dell’opera, maelstrom selvaggio che precede la distribuzione delle
rappresentazioni e nello stesso tempo ne minaccia la dimensione
figurativa"
Da
questo vertice, la
regressione, nel
suo senso letterale di ‘spinta all’indietro’, connessa
alla creatività artistica, non può
essere – come vuole
Kris –
«al servizio dell'io», ma è soprattutto
un movimento che sconvolge questo «io», lo ingorga, e lo costringe a
una sortita obbligata nel territorio del simbolico, dove prende a
prestito i segni come un limite da superare ed eccedere.
Inoltre, uno
degli spunti più interessanti offerti dallo scritto freudiano del '19
(là dove esso impiega il termine «estetica» inteso nella sua
accezione più ampia riconducibile al senso greco
di aisthesis) è quello
che ci riconsegna il «sentimento”, come momento
che, fondando
l’umano come tale, lo consegna perciò
stesso alla
finitezza e al tempo.
In questo contesto il sentimento
del sublime è un ‘negativo’ di
marca particolare, dove
l’esistenza spinta
e risospinta
contro lo scoglio dell'origine è costretta
ad articolare percorsi ai
bordi di
un io che si
perde ugualmente nel fascino dell’origine
come nel suo orrore. Chi come
Freud è “costruttore
di territori,
di lingue, di opere, esule
dal territorio materno” come
dice Kristeva per
Artaud e per Céline, scrive,
lo vedremo, a
ridosso del pericolo e della perdita, nello spavento del sublime e
nello spaesamento del perturbante.
Per
Freud però, che
lo scriveva nel '19, comunque Il
Perturbante doveva
essere una
ricerca «su una
determinata sfera dell'estetica...negletta dalla letteratura
specialistica», uno studio su quel «nucleo periferico» che il
perturbante sta a rappresentare nella più vasta area dello
spaventoso, niente di più.
Vedremo
come, rispetto
agli intenti esplicitamente dichiarati, il saggio freudiano
certamente contiene ‘un di più’:
esso infatti esplora
la deriva del senso implicita nella lingua,
la "part maudite" del
testo, il suo fondo di indicibile che lo rende in
definitiva «spaventoso» per il grumo libidico`che esso sottende. Tallona,
se così si può dire, l’enigma
di ciò che è originariamente
spaventoso, sfiorandolo e in definitiva mancandolo per via
dell’innesco, nel
corpo stesso del testo, della logica passionale negativa che, sempre
questo stesso testo, nelle
sue aporie, svela.
Tutta
la scrittura de Il Perturbante è
segnata di
fatto da una intima
necessità di
rendere conto, alla luce dell'analisi linguistica, della
singolare posizione
che il termine Unheimliche occupa
sia nel contesto della lingua tedesca
che in quello delle altre lingue. Se
sotto questo profilo questo scritto
freudiano diventa, quindi, un prezioso attestato di come il
lavoro psicoanalitico
possa essere, rispetto alle pieghe
e alla profondità della lingua, “anche” un'ermeneutica,
uno svelamento del senso, quello che
interessa sottolineare qui di questa caccia al senso é soprattutto la
puntigliosità con cui é portata avanti e i suoi contraddittori
risultati: il ‘carniere’ di Freud risulterà
infatti, alla fine del lavoro, pieno a metà e a metà vuoto.
Unheimliche (pericoloso,
nascosto), è – come
mostra Freud –
lo sviluppo
semantico di un termine che indica
il suo esatto contrario, heimlich (domestico,
fidato) e ne mantiene, nonostante la negazione ‘un‘
e insieme
grazie a questa, parzialmente il senso
quando è usato per indicare
una sfumatura particolare del sentimento della paura, quella
che i traduttori
italiani di Freud hanno scelto di rendere,
appunto, con l'aggettivo
"perturbante".
Inoltre
– nota
ancora Freud – nessuna lingua permette
una traduzione che riesca a
rendere pienamente la doppia cerchia
di rappresentazioni che l'aggettivo tedesco implica, come pure
alla traduzione
sfugge il senso negativo del prefisso 'un': pertanto
una piena comprensione
del nodo semantico contenuto in Unheimliche rende
necessario
accettare la trasposizione concettuale del termine data da
Schelling che
sembra pienamente esplicitarne la condensazione e insieme rendere ragione
della particolare paura che il termine è chiamato a denominare.
Unheimliche,
per Schelling, «è tutto ciò che avrebbe
dovuto rimanere
nascosto e invece
è affiorato».
Quanto
il saggio, nella sua tramatura emotiva, riproponga lo
statuto stesso dell’Unheimliche in
Freud stesso che lo scriveva, traspare a patto che si metta in
atto nei suoi confronti quella «tecnica del sospetto» a cui
il metodo psicoanalitico stesso ci
ha avvezzato. Così sembra
sorprendente, ma
non incredibile, rilevare
che il discorso
di Freud, nel suo
farsi, si
scontri, in questo testo più che altrove, internamente con quella
stessa negazione di cui veniva saggiando
le implicazioni strette con la
rimozione e il suo processo. E
ciò accade nonostante la teoria del sogno come quella del lavoro
nella stanza d'analisi, costruite da Freud, avessero
messo in evidenza - per
la decifrazione sia dell'uno che dell’altro - il
potere decisivo della negazione (intesa
secondo i canoni della logica classica, ma usata di
fatto per sovvertirli secondo
lo specifico che Lacan chiama dialettica
analitica).
Il
nevrotico – dice
Freud – nega ciò
che vuole tenere celato e, mentre nega, introduce
nel suo discorso un «fattore» di verità, quello che Derrida ha
chiamato "il velo dell'aleteia".
La
negazione, così ‘trattata’,
ha un alto potere detonatore: essa
smaschera le difese attraverso cui il
rimosso sbarra il
senso all'interno stesso del
discorso e mostra l'inevitabile ‘resto’ di
cui l'operazione puramente logica
non riesce a dare conto, e
per questo ci si
sente spinti e incoraggiati a
usare di questa chiave -
il dispositivo di negazione - per
entrare più a
fondo nel saggio e cercarvi
ciò che la sua
«lettera», vedremo, palesemente
vi nega!
Il
femminile - vedremo ancora - come ‘corpo di senso’ o, per usare
un’espressione spettralmente scherzosa ‘ corpo che fa senso’, sta
a questa ‘lettera’ come l'irrappresentabile sta al linguaggio:
limite, «corpo semiotico» contro cui prende forma il segno.
Così
inteso il ‘femminile’
rappresenta di fatto
il luogo più controverso e ambiguo dell'intero discorso freudiano. Il
corpo della madre sembra avere in questo discorso – che
però
non lo denuncia mai – la
stessa polivalenza del nome
del padre, ma una assai diversa e molto più frammentaria elaborazione
teorica. Lo ritroviamo infatti,
questo corpo di desiderio, in
ogni ‘punto critico’ della teoria nel suo farsi: momento decisivo
– come ha chiarito
Lacan – dove si
gioca la questione della differenza (la "fase dello specchio")
e quindi del nome, condizione della simbolizzazione (come mostra il
gioco del "fort-da"), 'figura’ da
cui prendono i contorni la Verleugnung (diniego)
e la Verneinung (negazione),
seppure in due registri diversi, il simbolico e l’immaginario.
Latenza continua, costante allusione – ma
non più che una
latenza, non più che un'allusione
– un femminile
nascosto che tuttavia riemerge e riaffiora, segna
di sé il farsi del pensiero psicoanalitico alle sue origini, e
la mente di Freud che lo andava
pensando.
Freud, sappiamo
da Irigaray, non poté articolare il suo pensiero fino a rendere
‘concepibile’ la differenza. Se
avesse riconosciuto il potere
formidabile del
femminile nella costituzione del senso della
sua teoria, se non lo avesse ritenuto impenetrabile
per il discorso analitico nel '32, pochi anni prima della
morte, rispetto alla femminilità che continuava per lui a rimanere un «enigma», non
avrebbe rilasciato la seguente e ormai celebre dichiarazione:
«...Se
volete saperne di più sulla femminilità,
interrogate la vostra esperienza o rivolgetevi ai poeti, oppure
attendete che la scienza possa darvi in proposito ragguagli meglio
approfonditi e più coerenti».
Con
questa resa d'armi Freud
dimenticava la doppia operazione che, a sua propria insaputa, aveva
condotto scrivendo il saggio del ‘19. Dimenticava di
essersi avventurato, proprio
con Il Perturbante, nel
territorio dei poeti, e di avere
detto insieme, rispetto alla "scienza", una
‘verità’ scientifica. Una verità specifica
e valida per
quella nuova paradossale scienza, la psicoanalisi, ‘
scienza del soggetto’ o ‘scienza del sentire’, rintracciata con strumenti assolutamente anodini
per la scienza classica: quelli del sentimento.
Quella
stessa verità, in definitiva, di fronte alla quale egli aveva
rimproverato a
Breuer di essersi arrestato.
Verità
‘singolare’, dunque, colta
con una ‘procedura’ altrettanto ‘singolare’, negata
nella sua specificità non solo da Freud, ma dal pensiero
psicoanalitico a lui successivo, il
cui farsi, nel testo del ‘19, tenterò
di ripercorrere qui
passo
passo.
Non
è un caso innanzitutto che proprio
in una qualità particolare di negazione ci
imbattiamo in apertura del saggio.
Così
Freud scrive:
«...La
difficoltà che emerge nello studio del perturbante...
è che la sensibilità verso questa qualità del sentire è
sollecitata in maniera diversissima da individuo ad individuo. Anzi,
l'autore del presente saggio deve accusare una particolare sordità in
proposito, laddove occorrerebbe una ricettività particolarmente
acuta. Da parecchio tempo non ha vissuto
direttamente e non è venuto
a conoscenza di
nulla che potesse suscitare in lui il sentimento del perturbante».
Ma leggiamo
più avanti:
«Una
volta, mentre percorrevo in un assolato pomeriggio estivo le strade
sconosciute e deserte di una cittadina italiana, capitai in
un quartiere sul cui carattere non potevano esserci dubbi. Alle
finestre non si vedevano che donne imbellettate e mi affrettai a
svoltare appena possibile abbandonando la stradina. Ma, dopo avere
vagato senza meta per un bel po', improvvisamente mi ritrovai nella
medesima strada ove la mia presenza incominciò ad attirare
l'attenzione e la mia rapida ritirata ebbe un'unica conseguenza: dopo
qualche giro vizioso mi ritrovai per
la terza volta nel medesimo luogo. A questo punto mi colse un
sentimento che non posso definire
altro che perturbante...»
E in
una delle pagine conclusive del saggio leggiamo:
«A
conclusione di
questa serie certo incompleta di
esempi, dobbiamo citare un'esperienza che traiamo dal lavoro
psicoanalitico e, che se non dipende da una coincidenza casuale,
fornisce il più valido esempio alla nostra concezione del
perturbante. Questo perturbante (Unheimliche) è
però l'accesso
all'antica patria (Heimat) dell'uomo, al luogo in cui ognuno ha
dimorato un tempo e che è anzi la sua prima dimora.– Amore è
nostalgia–dice un'espressione scherzosa, e quando colui che sogna
una località o un paesaggio pensa, sempre sognando:–Questo luogo mi
è noto, qui ci sono già stato–è lecita l'interpretazione che
inserisce al posto del paesaggio l'organo genitale o il corpo della
madre. Anche in
questo caso, quindi, Unheimlich è ciò che un tempo fu heimisch
(patrio), familiare. E il
prefisso negativo 'un' è
il segno della rimozione».
Gli
scritti sul diniego (Verleugnung) (I1
feticismo, 1927, Compendio
di psicoanalisi,
1938, La
scissione dell'Io nel processo di difesa, 1938), sono
tutti posteriori a Il
Perturbante.
Ma già nel
‘18 , con L’uomo
dei lupi, si profila
quel modello particolare di negazione, la Verleugnung, che
sarà successivamente assunto da Freud come prototipo di qualsiasi
altro diniego della realtà. Tale prototipo, come ben chiarisce
Mannoni, ha bisogno per effettuarsi di
un gioco immaginario in cui operino contemporaneamente una
affermazione e una negazione (Verleugnung) logica,
secondo la struttura
«sì, lo so che non è vero, ma ci credo».
Alla
luce di quanto viene via via
emergendo nello scritto freudiano del ‘19, la negazione iniziale
di una personale e soggettiva esperienza
di «perturbante», in seguito rettificata con
un'affermazione – in realtà Freud
ha provato questo sentimento, vedremo, in
circostanze perlomeno singolari – induce,
quasi giocoforza a considerare il diniego rispetto al sessuale femminile
il nucleo profondo del sentimento
del perturbante.
Già
altrove definito «continente nero», il corpo
femminile, o se vogliamo il corpo della madre ’lasciva’, emerge
gradatamente in questo luogo dell'analisi freudiana come
la condizione stessa del perturbante, il
suo luogo di nascita, e, se così
si può dire, parafrasando
il testo, la sua patria (Heimat).
Chi
potrebbe dire:”Scrivo per non aver
paura”? si chiede
Barthes ne Il Piacere
del testo. Forse, nel 1919 Freud avrebbe potuto a ragione dirlo,
quando si spinge nella ricerca del termine «perturbante», «quella
sorta di spaventoso che risale a quanto ci
è noto da
lungo tempo, a ciò che ci è familiare», tanto avanti. L'equazione
corpo materno= perturbante, ‘scoperta
scientifica’ di cui però, dicevo,
proprio in forza del diniego vivamente operante in tutto il suo testo,
egli non riesce a tenere conto (se non confinandola ai
bordi della sua teoria), Freud la incontra grazie all'intuito
di chi ha istituito
con la parola un rapporto
particolare e segreto –
l’intuito dello
scrittore.
Freud
intravede infatti con
molto anticipo, rispetto alle ricerche sulla semiosi che oggi si
vanno svolgendo, che
solo la lingua madre contiene
il senso della madre,
e può restituire con un solo aggettivo
(nel caso specifico unheimlich)
un’ intera
storia di tracce:
storia, che, nella
lingua lega il soggetto, alla sua origine. Storia che il soggetto,
per esistere come tale, deve dimenticare, ma
di cui la lingua reca la traccia. E “...il
prefisso negativo “un” é
il segno della
rimozione”.
Diciamo
di più: “un” non è solo il segno
della rimozione o, meglio, è anche
il segno della rimozione, ma porta in luce innanzitutto la marca del divieto
di cui la rimozione è solo il prezzo. E’ un
contrassegno di
divieto di accesso, traccia
del tabù arcaico che il
corpo della donna/madre sessuale da sempre nella
nostra cultura sta a rappresentare per l'uomo e per se stessa: il segno
dunque che marca tragicamente la condizione dell'esistenza del desiderio femminile
nel tessuto immaginario, da una parte vittoriosamente legato al sacer e
dall'altra (proprio per questo) inevitabilmente tabù, perenne rimosso.
Luogo delle origini e luogo di non ritorno.
«Il
femminile è il rimosso della storia»: a questa secca e precisa
costatazione di Juliet
Mitchell, in Psicoanalisi
e femminismo , il
luogo che esso occupa,
perlomeno all'interno del discorso freudiano, sembra in tutto dare
ragione.
Ma
perché questa inesorabile
rimozione?
Qualche
congettura in proposito si può fare spingendosi oltre nella lettura
de Il Perturbante,
questo testo in cui si
dovrebbe parlare della paura o per lo meno di una qualità particolare della
paura, e che gioco forza, per l'equazione
che esso stesso al suo interno stabilisce tra perturbante e femminile, diventa
una certificazione (magari cifrata) dell'evidenza che il femminile, a
dispetto della rimozione che l'ha collocato nel discorso freudiano come «enigma»
e “continente nero»,
gioca, nella costruzione di questo discorso
un ruolo particolare. Il
desiderio femminile, la sua presenza, anche se espressa mediante la
sua negazione, é il margine di
un pensiero che, sotto i dinieghi e le coperture, ne
fa la propria sponda: sponda senza la quale (come
del resto mostrano gli
studi sull'isteria) non
sarebbe stata possibile l’edificazione dell’edificio freudiano così
come é arrivato fino a noi. In questo edificio
tutto costruito sotto il titolo di un "Ur" centrato
sull’ Edipo, il corpo femminile sotteso e velato, fa segno all’
‘originario’ e proprio per questo, ponendosi ai confini del
rappresentabile, é per
certi versi come se fosse il luogo d’origine della dialettica del
“sentire psicoanalitico”. A questa dialettica il sentimento del
perturbante infatti ci fornisce una prima chiave di accesso. C’è da
chiedersi, ancora
una volta dunque, se questo difetto
di rappresentazione, che per quanto riguarda il desiderio femminile sembrerebbe
strutturale al
“sentire” stesso della psicoanalisi, non
sia da ascrivere, almeno in parte, alla difficoltà per il pensiero
come tale di lavorare dall’ interno la metonimia origine-madre,
separandone e scindendone i termini.
Il
sentimento del perturbante, infatti, nasce
nel momento in cui il soggetto recupera, d'un colpo, l'evidenza di
appartenere a un nucleo originario (il corpo della madre) di cui
rappresenta una sorta di doppio vivente e a cui non può ritornare.
Ma il
testo lì lo afferma, come abbiamo visto, e
lì lo nega: per questo trovo necessario un lavoro che,
rovesciandone
la semantica, ne metta in rilievo la semiosi profonda e la sua
organizzazione.
Esemplare
in questo senso è l'analisi del
doppio contenuta nel
saggio, che viene a comprovare il sospetto che in
Freud ci fosse una profonda intuizione
della vastissima portata semantica del femminile e un'altrettanto
forte tendenza a seppellirla, o, per lo meno,
a confinarla ai bordi del discorso
analitico. Il sosia, infatti, a ben leggere il
saggio, è la figura a cui più di ogni
altra compete
l'evocazione del perturbante. Questa figura, come rappresentazione
interna, sorge «sul terreno dell'amore illimitato per se stessi, del
narcisismo primario
che domina la vita del bambino”.
Lo
stadio del narcisismo primario – se
il saggio non lo dice a chiare lettere possiamo ricavarlo
da uno scritto precedente, Introduzione al narcisismo (1914) che
lascia pochi dubbi in proposito –
può considerarsi come
la matrice semiotica della storia soggettiva nel momento in cui le imprime
il contrassegno, per quanto concerne il godimento, dell’'unità del
corpo del figlio e di quello della madre. Il
senso si erge contro questa barriera di indistinto,
come scacco del desiderio rimosso che ritorna sui suoi passi,
all'origine di una
soddisfazione antica e di una pienezza perduta. E sarà questo il
nucleo centrale di Al di la
del principio di piacere.
Quanto
tutta questa vicenda
fosse, per Freud che
se ne andava occupando
(non guasta qui dire «inconsciamente»), fonte di inquietudini che
andavano respinte nel non-pensato, sia per salvaguardare l’edificio
teorico che la direzione della cura, come
per lui il segno del
sesso femminile fosse legato indissolubilmente
a un piacere temuto
perché connesso alla
morte, lo
mostra un altro esempio di
perturbante che egli ci
fornisce, rintracciato questo nel
più generale patrimonio fantastico dei suoi pazienti:
«...Alcuni
vorrebbero attribuire la palma
del perturbante all'idea di venir seppelliti in stato di morte
apparente. Sennonché la psicoanalisi ci ha insegnato che questa
fantasia terrificante non
è che la
trasformazione di un'altra fantasia, che non aveva in origine nulla di
spaventevole, ma che anzi era il portato di una certa lascivia: mi
riferisco alla fantasia della vita intrauterina...».
La
traccia dell'equazione perturbante/sesso femminile che
unisce in un unico sentimento il perturbante e l’amore - nostalgia
per il corpo vietato
(per entrambi i sessi) della madre-, comunque non viene seguita e svolta
sistematicamente nel corso del
saggio: è piuttosto un'intuizione, uno spunto improvviso, subito
abbandonato dal discorso critico che si
dedica invece diffusamente
a una seconda apparentemente più proficua
equazione: perturbante=angoscia di castrazione. Così,
l'analisi del racconto di
Hoffmann Il mago
sabbiolino, che Freud a
un certo punto del suo percorso di scrittura intraprende,
è tutta segnata dallo sforzo di rintracciare nella
vicenda di Nathaniel, il protagonista, esclusivamente l'angoscia di
castrazione e di far
scaturire da questa il sentimento perturbante che il racconto dovrebbe
comunicare al lettore.
Ma
l'amore e la nostalgia per l'antica patria, per il corpo della donna - e
la loro rimozione – continuano
a segnare ciononostante la struttura del
saggio, a impastarne
la ‘grana’. Per questo il vero oggetto perturbante del racconto
hoffmanniano, la bambola meccanica Olimpia, – concretizzazione
materiale del fantasma del doppio - di cui
Nathaniel è disperatamente innamorato, viene
quasi passato sotto
silenzio. Gli viene comunque
dedicato un breve spazio
all'interno di una lunga nota.
«Olimpia
è per così dire un complesso distaccatosi da Nathaniel
che gli si fa incontro
come persona: quanto egli sia dominato da questo complesso, è
espresso dall'insensato e ossessivo amore che egli
nutre per Olimpia. Possiamo ben definirlo un amore narcisistico, e
comprendiamo che colui
che ne è preda
si estranei dall'oggetto d'amore reale...”
Questo
reticente commento in
nota, quasi sfuggito a un discorso che porta altrove (al padre), rilancia
ancora una volta l’invito a cherchez
la femme che
attraversa come
un filo rosso di latenza il pensiero di Freud e
ancora oggi ci sfida.
|