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Diario, Aprile 1918-Agosto 1919
Note al testo

Celso Trighiera


Diario
Aprile 1918 - Agosto 1919


(Schieramento di reparto di fanteria italiano in una delle tante battaglie dell'Isonzo)



5.- Dopo un viaggio noiosissimo (basti dire che ho dovuto cambiar tradotta in tutte le stazioni principali: Verona, Vicenza, Padova, Mestre) ho raggiunto la mia posizione, qualche trecento metri ad ovest di Fossalta di Piave. Mi è stato compagno per gran parte del viaggio, un mantovano, certo Tabella, giovanotto d’ottimo cuore.
La sofferenza che gli procurava questa partenza dalla famiglia ove lasciava 4 figlioli, è incredibile. E si può capire facilmente come lo potessi consolare io, povero giovane, coll’amaro che masticavo pensando: perché? perché poi tutto questo?
Giunsi all’una dopo mezzanotte, stanchissimo. Stamattina sono andato in batteria: il comandante m’accolse benignamente. Gli altri ufficiali ed i vecchi compagni con confidenziale simpatia.
Tornato al mio pezzo, anche gli austriaci vollero accogliermi con modi però francamente poco garbati.
Riparai sotto un ponticello finché non parve loro di smettere. I colpi arrivavano vicinissimi, uno a cinque o sei metri dalla baracca dove io mi trovavo quand’è arrivato. La conseguente pioggia di terra mi aveva fatto credere per un momento che la baracca non fosse per schiantarmi.
Erano colpi da 105. Hanno tirato ancora, molto più formidabilmente il giorno delle Palme (24) con caramelle da 152. Ma quella batteria deve essere stata distrutta. Ci sono in giro buchi profondi un metro e mezzo e larghissimi.

7.- Il cielo era nebbioso stamane e pareva prestarsi poco alla cerimonia che doveva aver luogo più tardi vicino al mio pezzo: la S. Messa. Ma poi il sole vinse il diafano strato di nubi e ci rallegrò. Per quanto semplice la S. Messa celebrata all’aperto non perdeva niente della gravità del suo simbolico significato: aveva anzi qualcosa di più augusto che non se fosse stata celebrata in un tempio sontuoso. Il pensiero correva senza sforzo ai primi cristiani, sempre minacciati dalle trame insidiose di un nemico mortale: oggi non succede forse la stessa cosa anche a noi?

14.- Solo la voglia d’ammazzare il tempo mi fa prendere la penna in mano. Con queste giornatacce di nubi, di pioggia, di vento, l’animo resta schiacciato. Io ne sono tanto ristucco (ristucco = stufo, infastidito) che stamane mi sento arrabbiato contro tutti e contro tutto: e sto male, naturalmente. Ma sono oramai quindici giorni che il sole non si fa vedere che per qualche istante; vi pare una bagattella? La baracca nella quale dovete star rinchiusi non c’ha più niente di nuovo per noi, niente per distrarsi qualche istante e si continua a mescere una saporosa noia che v’intossica tutto, anima e corpo. Prenderei a pugni perfino l’usignolo che sento cantar qui vicino: la sua voce stridula mi squarcia i timpani. L’urlo continuo del vento è una vera tortura; e quell’asino che raglia in lontananza? Te possi murì scorticato!

15. - Da oggi è in vigore la celebre società antisigarettistica, i cui soci si propongono di non fumare sigarette ed hanno delle multe qualora le fumassero. Fu proposta da me che ne ho scritte e pubblicate le leggi in una specie di manifesto; ma ahimè non ho avuto gran fortuna perché di soci finora non ci siamo che in due!
Stamattina sono andato al gruppo per sostenere la prima puntura antitifica e nel tornarmene al pezzo ho osservato che un bel cane di medie proporzioni mi teneva dietro. Lo chiamai, l’accarezzai e lo condussi meco fin alla cucina dove ha mangiato
E’ un graziosissimo cagnolino dal colore bianco con grandi macchie bionde; il musetto acuto, zampe ben proporzionate, snello e con una bella coda a pennacchio. Mi segue ovunque io vada ed io gli sono già grandemente affezionato.
Ora è sorto il problema di dargli un nome conveniente: gran problema per tutti i miei compagni del pezzo che spero vorrà approdar ben presto a qualche cosa.

16.- E’ stato notato che il cane al nome “Fido” risponde meglio che non a qualunque altro e perciò abbiamo deciso di chiamarlo così.
Stasera finalmente s’è fatto veder un po’ di sole, ma temo che vorrà rallegrarci per poco.

19.- Tutt’ieri e tutta la notte scorsa è continuata una pioggia fitta. Stamattina trovammo tutte le adiacenze del pezzo allagate: il canale che passa poco lontano e che prima era quasi fondo d’acqua, ora è riboccante ed in parecchi punti si scarica anche nella campagna. Di un’occasione che parrebbe così contraria ad ogni buona riuscita, ne cavammo la voglia di pescare. Detto fatto. Si prende la rete e ci si avventura lungo il canale: per tre buone ore continuammo in tre a manomettere del nostro meglio l’asta del pescatore e non pretendo d’affermare d’aver ottenuto ottimi risultati. Ma qualche pesce fu preso: il bastante per mangiare stasera il risotto.
Friso dal canto suo si è ingegnato di costruire una zattera che doveva condurlo naturalmente a cader in acqua ed a bagnarsi fino all’anche.
Jannotti ha dato pure cattiva prova con questo arnese: l’ ho visto stasera visitarsi da capo a piedi. Per parte mia (anch’ io sono stato tentato) posso dir d’aver passato un bel rischio, ma niente più.
Stasera l’acqua comincia ad entrare nella baracca: fortunato io, che dormo al ...secondo piano!
Quel cane del mio cane oggi ha tagliato la corda.

26.- Da alcuni giorni ho trovato una nuova …come ho a chiamarla? …occupazione? distrazione? divertimento? …per ora chiamiamola distrazione: quella della caccia; è detta: però resta a sapersi cosa ho intenzione di uccidere. Quello che posso dire finora, (bisogna ben ch’io cerchi una scusa alla mia inabilità) si è che cerco in tutti i modi d’ammazzare il tempo. Sicuro; e ci riesco magnificamente perché tra il preparar le… pillole, che non sono che frantumi di fil di ferro, e scaricar i colpi a pallottola, misurar la carica, adattar il bossolo, preparar di nuovo i colpi a pallina con una precisione cavillosa; poi, fatto tutto questo, girar col moschetto su e giù per la campagna per finir con lo sparar all’aria credendo di sparar a degli uccelli, del tempo ne passa più di quanto non si possa credere. L’unica cosa deplorevole in tanto ingegnosa trovata per perder tempo vi è la malaugurata apparizione di un cotal personaggio soprannominato Bombarda nonché Drago il quale cerca valersi a modo suo dell’influenza che gli fu necessaria in quest’ambiente.



1918
MAGGIO


9.- Ecco finalment rivà ‘l bel moment… di sparare un po’ di colpi. E’ nata, però, troppa confusione al pezzo. L’ordine era di mandar via cinque colpi, a fuoco accelerato, ogni dieci minuti. Alla seconda ripresa un malaugurato scatto a vuoto e la fretta aggiunta alla confusione, ce ne fecero sparare sei invece di cinque. Appena accortomi dello sbaglio ne avvisai il sergente capopezzo che stava a pochi metri con l’apparecchio telefonico e che non si prendeva nemmeno la briga di contare i colpi che partivano. Egli venne verso di noi rosso di collera lanciando al nostro indirizzo un’offesa triviale che in quel punto mi ruppe proprio le tasche, tanto più che sembrava rivolta particolarmente a me. Cosa importa se non ho la parola facile per natura? Quelle rare volte che mi salta il grillo le parole mi scaturiscono meravigliosamente. Forse sono stato anche poco cortese, ma l’offesa l’ho ricacciata in gola a chi l’aveva pronunciata, che certo non s’aspettava una protesta da me e che rimase sulle prime mortificato; stasera poi mi gira attorno tutto sorridente, come chi cerca di rappacificarsi. Se io avessi taciuto chissà quando sarebbero terminate le querele! Ecco cosa vuol dire, qualche volta, non lasciarsi prender per il naso.

10.- “O giudicio uman, come spesso erra!”
Mentre più che mai si riteneva di rimanere ancora per chissà quanto in questa posizione (se non foss’altro perché iersera abbiamo sparato) oggi è arrivata fulminea la notizia che si sarebbe tornati in batteria. Per quanto si torni volentieri tra vecchi ed amati compagni, pur non s’abbandona mai senza dolore un luogo che per un certo periodo di tempo è stato testimone di ogni nostro moto. In conclusione noi uomini abbiamo due tendenze ugualmente forti e talvolta opposte; quella del cane e quella del gatto. Così se inseguendo di corsa, tra l’accidentata capezzagna (capezzagna = striscia di terreno in testa ad un terreno coltivato, che non viene arata per permettere il transito dei carri agricoli.) che mena alla strada, il mio pezzo traballante e saltellante nella corsa sotto le nerborute strette dei cavalli sbuffanti, provavo una certa alterezza, mi volgevo tuttavia di tanto in tanto a guardar la nostra baracca, il ricovero, la piazzuola, i sentieri.

11.- Non potrei certamente descrivere tutta la trepidazione, l’amarezza, l’avvilimento che mi invasero l’animo stamane leggendo i giornali. Ho dubitato della compattezza dell’Inghilterra in questo momento terribile della guerra. Si risolleva gigante la questione Irlandese; sembra vicino a cadere Lord George
(nota 1). Di più m’è giunta la voce, non so se attendibile o meno, che dovremo cambiare posizione e che il capitano ha pronunciato parole di sfiducia. Siamo alla vigilia di una rovina completa? Il dubbio m’ha torturato tutt’oggi. Oh, che gran male fanno i superiori, che il soldato ritiene sempre bene informati, nel mostrarsi sfiduciati! Quale senso di demoralizzazione spargono tra i dipendenti!

15.- Presto, maschera ed asciugatoio che si va a Meolo
(nota 2) a far il bagno. L’ordine è stato accolto con entusiasmo da tutti noi del III° e IV° pezzo: e si partì. I cavalli trotterellavano ed io un po’ pensavo, guardando la campagna verdeggiante. Pensavo: ecco la vita. Passa veloce e beato colui che sonnecchia, che è estraneo completamente a tutte le questioni dell’umanità. Colui che vuole o deve tuffarcisi dentro (per la sua formazione psichica) somiglia a quel tale che, viaggiando, vorrebbe ammirare e fa in tempo solo a vedere a malapena e nemmeno sempre.

16.- Friso, tra le infinite sciocchezze ch’è abituato a dire, stamattina ha annunciato, purtroppo, una cosa vera: “in questa batteria ormai comandiamo tutti”. E’ un fatto. Dove pescar le principali cause di questa anarchia? Perché, checché se ne dica, la disciplina è la cosa più importante, il primo fattore del soldato.
C’è stato un cambiamento in batteria che forse non è del tutto estraneo al fatto che oggi dà da pensare. Si era abituati col Ten. Taragoni ad una disciplina, per dir così, d’affetto. L’ubbidienza con lui era sempre stata grandissima, perché egli aveva l’arte di farsi amare da tutti. Ma ecco che la venuta di un comandante, che non possiede quest’arte e che, in fatto di disciplina ha preteso troppo, forse, e troppo rapidamente, ha compromesso e compromette il buon funzionamento della batteria.
Tra i graduati poi, regna un timore continuo del comandante, ciò che toglie loro ogni energia d’azione; tanto più che i soldati conoscono questo timore e non lasciano di sfruttar la situazione. Per conto mio, questo timore non ce l’ho proprio, ma credo necessario, nella mia meschinità, di seguir la corrente, per non crear peggiori imbrogli.

20.- Iersera sono tornato nella vecchia posizione donde ero partito con tutta la batteria, o meglio con tutto il gruppo (si diceva, per andar nel Grappa). E’ stata una breve passeggiata fino a Treviso, durante la quale ho potuto veder da vicino quanto facilmente si danno alla maggior spensieratezza quasi tutti i miei compagni, appena vedono una gonnella. Per conto mio ci tengo a dichiarare di non esser punto adatto per questi amori di strada e peggio, per due semplici ragioni: la prima ha sodo fondamento alla mia educazione d’animo che mi mostra sotto colori troppo spregevoli tutta la categoria interminabile delle donne disonorate. E quest’educazione mi ha formato un tale abito che difficilmente potrà esser cancellato finora. La seconda ragione è una mia timidezza personale grandissima con tutte le donne che non conosco: e che deriva dal rispetto naturale in me per tutte le sconosciute che io non posso a meno di stimar, a priori, ricolme di tutte le virtù che abbelliscono la Donna.

24.- Tu ventiquattro maggio! Il primo mi trovò di notte nella lunga camerata di un collegio. Da vari giorni l’ansia agitava tutti. I telegrammi, che noi attendevamo agitatissimi, si succedevano senza posa addensando sempre le minacce. Era da poco trascorsa la mezzanotte ed io ero sveglio. A che cosa pensavo? Chi lo potrebbe dire? Ricordo solamente che sentii cigolare un uscio e vidi entrare un’ombra: era il rettore. Un breve pispiglio tra lui ed il prefetto, poi la sua voce profonda pronunciò distintamente: “Tuona già il cannone.” L’alba di quel ventiquattro maggio mi trovò ancor desto.
Il secondo mi colse imprevedutamente quasi, nella caserma nuova di Modena, sentinella alle prigioni tra le ore ventuna e le ventitre. Ero sfinito dalla stanchezza quella sera, mi dolevano i piedi e mi reggevo a stento camminando su e giù per lo spazioso corridoio. Dalla finestra in fondo vedevo una pezza di cielo stellato....e pensavo. Pensavo a tanto sangue sparso in due anni di guerra, alle splendide vittorie nostre, alla mia famiglia lontana. Ero contento di far anch’io qualche cosa, mi piacevano le sofferenze della stanchezza in quel momento, mi rallegravo di esser così solo e giovane lontano dalla famiglia per una nobilissima causa. Il terzo ventiquattro maggio, oggi, ho avuto l’ambito onore d’esser stato tra coloro che sono andati a rappresentare la batteria alla commemorazione patriottica del 23° corpo d’armata a Casale sul Sile.
Parlò vibranti parole, quale rappresentante del Paese, un deputato, indi con calda effusione, un avvocato che veste la divisa, dopo il fatto di Caporetto. Ringraziò il Gen. Petitti, comandante del corpo. Furono suonati i vari inni nazionali degli alleati e cantato l’inno divino dei crociati: “O Signore dal tetto natio”, splendida creazione del grande Verdi.

26.- Si agita più che mai la questione della scuola. La proposta dell’assessore Di Benedetto per un libro che educhi, mi fa l’effetto d’un secchio d’acqua che voglia spegner un incendio grandissimo; se non anche di un po’ di fumo gettato a bella posta negli occhi a tutti coloro che si occupano della questione, affinché abbiano a cessar le recriminazioni importune. Così è il nostro governo: parole, sempre parole; ma fatti pochi.
Mi piacque la bella protesta della Sig.ra Battistelli, sul giornale d’Italia. Infatti la colpa non è degli insegnanti che in minima parte. Date a loro i mezzi per vivere e date alla scuola sussidi didattici convenienti e sufficienti e vedrete che la scuola darà i suoi frutti. Qui c’è tutta la questione. Il Farmacista propone che il maestro non abbia più di 20 alunni per poterli conoscere ed educare di conseguenza. Buona cosa. Lorenzo Sferra Carini vuole tra l’altro una vigile assistenza sanitaria.
Un profondo in materia pedagogica forse vedrà anche meglio di me quanto siano convenienti queste proposte; se pur elementarissime. Una cosa non è stata toccata sufficientemente, mi pare, o, per dir meglio non è stata compresa. Il nostro governo propone una riforma della scuola normale che mi sembra diametralmente opposta a quella che sarebbe necessaria. Il maestro, secondo me, deve saper moltissimo per saper insegnar bene e chiaramente il poco. E oggi vi sono maestri e maestrine, non lo dico senza rossore, che non sanno neppure parlare un italiano, non dico puro, ma nemmeno corretto. Non è mai capitato a nessuno di leggere una lettera di qualche maestrina? Mi dica quel tale se non ci ha trovato delle vere e proprie sgrammaticature. E poi si diminuisca ancora la cultura del maestro!

30.- Ho cambiato posizione al mio pezzo: ora ci tocca dormir sotto la tenda. Sotto un’invasione di formiche e di zanzare che mi costrinsero a scappare sotto il pezzo per dormire, iersera ero angosciato da mille pensieri tristissimi. Si vocifera di sfondamento in Francia
(nota 3) e qui in Italia, sul nostro Piave, parlano tutti apertamente dell’offensiva austriaca, come se fosse già divenuto un disastro per noi: e ci si va preparando…



1918
GIUGNO


4.- Mi fa impressione il considerare fino a che punto possa arrivare l’egoismo di un uomo. C’è il mio capo-pezzo che quando riceve ordine di fare qualche cosa: “Trighiera”, chiama invariabilmente, fai questo. La cosa riesce ben fatta ed egli riceve una lode dal Comandante, vedetelo tutto ringalluzzito; il lavoro è fatto male o non va al Capitano: “E’ stato Trighiera l’incaricato del lavoro“, si salva il sergente. Scommetto che per sfuggir un rimprovero, egli ammazzerebbe a sangue freddo un uomo. Due sere fa del resto se ne parlava e mi lasciò capire perfettamente ch’egli la pensa così.
Iersera ho domandato d’andar sotto un’altra tenda a dormire, visto ch’erano solamente in tre perché Martini è passato al I° pezzo. L’ho domandato ai tre soldati perché la mia, come ho notato altronde, è un formicaio e non posso dormirvi.
Due, Merlini e Pozzi, non avevano nulla in contrario, ma il terzo cominciò: “Guarda, si poteva star così bene in tre.“ Poi, non vedendomi disposto a cedere: “La tenda è stretta, in quattro ci si sta malissino.“ Me ne fuggii nauseato. “Ma no, non intendevo dire…“ Mi raggiunse la voce soddisfatta del soldato che da mesi è con me, allo stesso pezzo e che qualche favoruccio da me l’ ha avuto… Ho dormito sotto il ricovero in costruzione.

7.- Non so chi per primo si sia sognato di chiamare il dolore “crogiuolo dell’anima”. Per conto mio ci tengo a dichiarare che lo chiamerei volentieri e forse con più proprietà “tossico dell’anima”. E basti a dimostrarlo il fatto che mi sta accadendo da parecchi giorni (non vi sembri strana l’espressione così… prolungata): non ricevo posta. Eh, cosa semplicissima non ricever posta! Che dolore dev’esser poi, per voialtri che sapete esser tutti i vostri cari al sicuro, nell’interno! Tanto, giorno prima, giorno poi, le loro notizie non vi mancano. Voialtri piuttosto che versate nel pericolo, non dovreste lasciar passar giorno senza mandar almeno un saluto ai vostri che da lontano, trepidano per voi.
Se non trovo niente da ribattere per quest’ultimo, affettuoso invito di tutti i genitori ai figlioli combattenti, al quale del resto nessuno declina, mi par un po’ strano il resto del ragionamento. Ma come, vorrei ribattere, voi credete che la posta non giunga a noialtri che per darci per l’ennesima volta le aride vostre nuove? Oh, per questo, riposiamo tranquilli! Noi abbiamo bisogno di sentir che ci pensate, di veder un lembo della vostra vita, di intenerirci delle vostre parole e di vedervi in esse sotto mille aspetti diversi, tutti carissimi. Voi trovate di che distrarvi in tutte le faccende, gli affari, la convivenza con gran numero di persone; trovate da distrarvi anche senza i nostri scritti. Ma noi qui s’aspetta la vostra posta con più ardore che non la luce del giorno e quando passano due, tre, quattro sere senza una vostra parola, voi arrivate a condur il nostro dolore, e la nostra bile, fino al punto di dir degli sfondoni.
Io, per esempio, non mai ho osato dubitare della potenza benefica del dolore, come stasera.

11.- Giornata piovosa, pensieri tristi.
Tre anni di guerra! Quanta gente in questo lungo, affannoso periodo ha compromesso la propria posizione sociale o si è fermata nel suo speranzoso cammino verso un sogno luminoso! Ora questa gente che non ha avuto la fortuna d’un diversivo vantaggioso dal lato intellettuale, si vede sorpassata in privilegi, che forse solo per essa eran stati istituiti, da persone di mediocrissimo ingegno. Intendo parlare delle illimitate concessioni e facilitazioni in fatto di studi per cui un ragazzo può intraprendere serenamente gli esami di licenza liceale con la sicurezza della riuscita, senza nessuna preparazione fondamentale. E’ triste che vada in tal modo scombussolato il succo migliore dell’anima italiana. Perché domani saranno questi pigmei della scienza che reclameranno un diritto giusto, apparentemente, perché comprovato da titoli, sugli altri che non poterono in nessun modo procurarsi questi titoli e non tanto per scarsezza d’intelligenza, ma per quella necessità di cose che vincola il cittadino adulto a combattere. Insomma, per spiegar chiaro il mio pensiero, mi pare che ci sia la parte migliore dei cittadini che prepara la pappa, come si suol dire, perché gli altri la mangino.
Qui si combatte per liberare la patria e intanto all’interno del paese c’ è chi si prepara a goder tranquillamente i frutti di questa liberazione.
Qualche volta succede anche che una legge ingiusta vi lascia legati al giunzaglio di un uomo che non si cura certo delle vostre convenienze. Perché, per esempio, dal fronte uno non può far domanda per andare ad un corso d’allievi ufficiali con titoli sufficienti, mentre quelli dell’interno lo possono fare? No, bisogna aspettare la proposta del comandante la batteria, il quale, il più delle volte se ne infischia altamente di noi. Almeno, così mi han voluto far credere. Se fosse vero, non verrebbe la tentazione di far male per farsi mandar via dal corpo e tentare con altri comandanti la sorte?

23.- Questi ultimi otto giorni sono stati troppo densi d’avvenimenti perché io abbia potuto anche solo registrarli per ordine cronologico; e gli avvenimenti d’altra parte sono stati così particolarmente notevoli che non posso passarli sotto silenzio. Perciò comincio a menzionarli, come l’avrei fatto di giorno in giorno.

15.- Iersera è arrivato l’ordine di sparare con la bella nuova che gli austriaci erano in ritirata sul Tagliamento. Dopo gli avvenimenti d’oggi ho voluto chieder spiegazione ad un mio ufficiale della provenienza di questa voce. Mi è stato risposto che i nostri comandi credevano veramente una tal cosa: sicché io ho creduto di concludere con l’ascrivere a questa falsa supposizione la prima causa del nostro ripiegamento odierno
(nota 4).
Stanotte non ho dunque chiuso occhio perché ho avuto da sparare continuamente benché con una certa intermittenza tra un colpo e l’altro. Verso le tre di stamane venne l’ordine di “cessate il fuoco”; andai a buttarmi in branda. Non avevo ancora finito di gettarmi addosso la coperta che cominciano a passare sopra di noi, con un fischio continuo, i proiettili nemici. Io noto che non si sentono scoppiare e suppongo naturalmente che siano granate a gas. Comunico il mio sospetto a Ricci e finiamo col prenderci le maschere e posarcele sul petto. Il lancio dei proiettili continua.
Stiamo per appisolarci quando sentiamo la voce sonora del Ten. Taragoni, che grida: “Pezzo fuoco! Via, via! Fuoco! Presto! ”
In men che non si dica siamo ai pezzi e si ricomincia a sparare con le maschere in posizione d’allarmi. Il primo che sentì il gas fu Pagnoni, che si mise tosto la maschera: tutti pian piano l’imitarono. Il gas era lacrimogeno, fitto in certi momenti da non vederci alla distanza di cinque metri. Però aveva una potenzialità molto limitata giacché vi fu qualcuno che gli resistette senza punto mettersi la maschera, nessuno che l’abbia tenuta per tutto il tempo che durò il gas, che fu un tre ore e mezzo.
Il nostro pezzo aveva cominciato col rompere due molle del percussore, ma poi ha funzionato sempre con una rapidità e precisione unica in batteria: tanto che è stato l’ultimo a smetter di sparare ed ha mandati via la bellezza di 205 in poche ore. Era rovente.
Verso le nove fu fermato dal nostro comandante un soldato di fanteria i cui gesti desolati ci fecero capire ciò che non avremmo mai voluto ammettere. E venne l’ordine di armarci col fucile e di star pronti. Le facce erano bianche, a molti certamente tremava il cuore. Tanto vale! Io credo che il fucile non potrà mai esser un’arma molto valida in mano ad un artigliere che non sia mai stato provato in linea di fuoco, all’assalto. Troppo l’artigliere crede disastrosa in suo confronto la posizione del fante per assumersela senza preoccupazioni, tanto più che sa che il fucile oggi non è oramai più un’arma.
Passarono quindi due… tre ore angosciose. Il pensiero della probabile prigionia m’incuteva terrore, ad ogni colpo di granata che scoppiava vicino, m’auguravo di prender una scheggia. Poi venne l’ordine di ritirarsi, vennero i cavalli e si partì.
E allora l’angoscia si sciolse in lagrime rabbiose, in morsi ai pugni stretti, in minacce dannate e gorgoglianti.

16.- Il breve ripiegamento sul Sile
(ved. nota 4) era stato fatto in perfettissimo ordine invero. Era truppa che si ritirava combattendo. Ci aveva corroborato la vista dei nostri arditi dalle fiamme rosse che andavano baldanzosi ad incontrare il nemico. Immaginare poi la nostra gioia quando iersera venne l’ordine di levar di posizione i pezzi per tornare indietro, è impossibile. Eravamo tutti stanchi ma ci disponevamo a passar un’altra notte insonne con un’allegria pazzesca. E n’avevam ben donde!
Il lungo giro che dovemmo fare, non fu caratterizzato che dai soliti incidenti di viaggio. Verso mattina arrivammo in posizione nel bel mezzo della campagna tra Meolo ed il ponte della Fossetta sulla strada di quel paese chiamato, appunto per questo, ponte di Meolo. In questo stesso giorno sostenemmo un contrattacco.
Il trasporto delle munizioni ed il servizio al pezzo c’impedì di riposarci alcun poco, stanotte sembra che si debba sparare ancora parecchio.

17.- Infatti hanno sparato tutta la notte il primo e secondo pezzo. Il terzo ed il quarto no. Hanno rimesso l’avantreno e si sono preparati nella strada, attendendo da un momento all’altro l’ordine di partire, forse per un nuovo ripiegamento. Verso mattina invece venne l’ordine al mio pezzo di mettersi in posizione, il terzo stette sulla strada fino al tardo pomeriggio. La nostra posizione è la più avanzata d’artiglieria. Oggi nuova azione nostra: si tenta di ricacciar decisamente gli austriaci oltre il Piave; ma la pioggia rende difficile il nostro sforzo. Ad un certo punto pare che i nostri siano costretti a ripiegare. Che momenti d’angoscia! Si pensa che il minor male che possa succederci sarà quello di perder i pezzi. Noi siamo il gruppo più avanzato d’artiglieria e siamo chiusi inoltre in una specie di trappola senza uscite, con i pezzi troppo pesanti per poter essere manovrati rapidamente. Qualche pallottola di mitragliatrice nemica, unica arma che usano gli austriaci da due giorni, ci fischia intorno.
Ma finalmente i nostri hanno il sopravvento sui nemici, che però non si riesce a ricacciare oltre il Piave. Perché? Me lo disse un mio paesano, bersagliere ciclista, tre giorni dopo quando lo trovai vicino al ponte di Meolo: “Una troppo lieve coadiuvazione della brigata Sassari e la mancanza di pronti rincalzi.”

18.- Continuano i consueti tiri nelle retrovie nemiche. Ieri il nostro capitano ci radunò e ci espresse la sua riconoscenza con parole di commozione per averci visto compiere tanto brillantemente il nostro dovere, malgrado le abnegazioni ed i sacrifici: e terminò con l’augurio che nessuno di noi sia colpito dalla disgrazia. Ci lesse due fonogrammi, uno del colonnello comandante il nostro raggruppamento; l’altro del comandante l’artiglieria dell’armata: ambedue esaltavano con alte parole l’opera nostra.

20.- Il terzo pezzo è partito oggi dopo il rancio per accostarsi meglio al ponte di Meolo. Noi un po’ più tardi per andar di riserva, visto che il nostro pezzo è stato quello ch’ha sparato più degli altri. Ho trovato parecchi mantovani tra i bersaglieri ciclisti, tra cui un Guareschi, primo cugino di Bacchi. Stanotte, sotto una pioggia dirotta, andarono in linea. Erano tre battaglioni, ora ne formano uno solo ed anche scarso. Pochi sono stati però i morti ed i prigionieri, tanti i feriti.

21 - 22 - 23 - Anche noi siamo andati a piazzarci di fianco al 3° pezzo e spariamo a intermittenze abbastanza lunghe. Oggi e la notte scorsa gli austriaci tirano su di noi a shrapnel e a granata. Ci giunge notizia che sono stati feriti cinque cavalli, uno dei quali è già morto nella posizione degli altri due pezzi. Brancaleon, il conducente della triglia, ha riportato la frantumazione d’un braccio dallo scoppio di una granata.

27.- Bisogna ch’io continui a tornar indietro con l’enumerazione dei fatti che accaddero in questi giorni, perché non l’ho potuto far prima.

24.- Ieri, nel tardo pomeriggio, scoppiò un furiosissimo temporale. Mentre mi riparavo alla meglio dalla grandine che cadeva fitta e che finì per coprir il terreno come una nevicata, verso Losson si scorgeva un bombardamento intensissimo, la qual cosa ci fece supporre un attacco nemico, solito a giovarsi delle condizioni meteorologiche.
Più tardi invece giunse la voce che il nemico era in rotta, Descrivere la nostra gioia e le pazze manifestazioni d’allegria, sarebbe impossibile. Tanto più che le voci che correvano, facevano credere ad una disfatta completa. “I nostri hanno già raggiunto il Piave
(ved. nota 4), - l’hanno passato, - la cavalleria insegue i nemici al di là del Piave, - sul Montello abbiamo fatto venticinquemila prigionieri, - in Austria è scoppiata la rivoluzione.”
Queste le voci che s’incrociavano in una ridda fantastica. Ma ecco sul calar della sera arrivare il nostro comandante, ch’era andato col camion più vicino al fervore della battaglia. Lo scorgemmo da lontano. Portava in mano e ci mostrava, sorridendo, le varie tabelle ch’avevamo abbandonate nella fretta del ripiegamento, alcuni giorni prima. Una fra le altre protendeva verso di noi: ‘’84 batteria cannoni da 105 - Comando‘’. Ma dunque la nostra vecchia posizione era libera. Un evviva, accolto da un applauso generale, scoppiò. Il capitano poi, smessa la sua abituale sostenutezza, si lasciò interrogare da tutti e rispondeva amabilmente. A me annunciò ch’aveva portata una mia lapidetta di marmo, che però era stata mutilata da una scheggia.
Questa è stata la sua ultima avventura perché ci furono di quelli che si divertirono a finir di romperla. Calmò alquanto il nostro furore, il sig. Capitano, coll’annuncio che però il Piave non l’avevano ancora passato gli austriaci. Erano arrivati al casello di Fossetta.
Stamattina verso le dieci giunse l’ordine di rimettere gli avantreni: si sarebbe andati innanzi, alla vecchia posizione. Infatti si partì. Andando innanzi si cominciarono a scorger tutte le case diroccate, sventrate, ridotte in macerie. Più avanti si videro dei morti in Fossetta, rigonfi e in putrefazione. Più su, verso la nostra posizione, il tanfo era insopportabile ed il numero dei morti sparsi per terra, grande. Nostri ed austriaci, qualche volta ancora avvinghiati insieme in un supremo atto di furore. Due ce n’erano di nostri mitraglieri, nella trincea del 4° pezzo: uno, pure nostro, ad una ventina di metri dal terzo pezzo. Ai primi due abbiamo fatta una croce ed io c’ho scritto su il numero del reggimento (210) con la commemorazione: “cadde difendendo la sua trincea”.
Tutti questi cadaveri fanno proprio pietà e mettono addosso anche un senso di sgomento, per lo stato in cui sono ridotti. Molti ve ne sono in putrefazione avanzata. Li vedete neri in volto, ingrossati e rigonfi, con la carne che si stacca a brani, tormentati dalle mosche e da altri luridi insetti.
E’ facile parlar di morte e forse è anche bello morir per la Patria; ma perciò non fa meno orrore veder questi corpi giovanili ridotti in un informe mucchio di marciume. Nessuno stoico resterebbe insensibile a vederli. Perché la guerra non ha una legge che permetta di seppellire pietosamente i morti? Perché dev’essere considerato un nemico anche chi si assume l’ufficio pietoso?

25.- Il giorno è passato tranquillamente: dicono che stanotte hanno tirato come diavoli, ma io dormivo e non ho sentito niente. Verso sera sono stato comandato, con una ventina di uomini, di andare sotto l’argine della ferrovia, vicino a Musile, perché ci sono da sgomberare delle piazzole a galleria pei nostri pezzi.

26.- 27.- Abbiamo perduta tutta la notte per liberar le piazzuole e per metter a posto i pezzi. Le due sezioni rimangono alquanto staccate. Non spareremo che durante l’azione che faremo molto presto. Qui intorno sparano ininterrottamente, ma noi siamo ricoverati bene.



1918
LUGLIO


1. - E’ meravigliosa l’adattabilità di ogni soldato in guerra; ma l’artiglieria, a parer mio, va innanzi a tutti, perché, a differenza di soldati d’altre armi, sa crearsi, con una rapidità che talvolta pare fantastica, le sue piccole comodità. Così io non ho mai dormito male due notti a fila; se non nel caso di movimenti continui. Ma quando si è giunti in posizione stabile, il secondo giorno tutti lavorano a farsi delle comodità. E così si vedono sorgere le brande, i tavolini, gli sgabelli, gli attaccapanni, tutte suppellettili sui generis, se si vuole, ma che servono al loro scopo. Quando la fermata in una posizione è un po’ lunga, vedete perfino questi soldati giocar a dama, alle bocce, agli scacchi… come dei viveurs in piena regola. Tutto questo a tempo perduto, però. Ché non si creda che sia l’ozio che insegna certe abilità all’artiglieria.

5.- Il giorno due è cominciata la nostra azione controffensiva. Alle tre del mattino è stata passata rapidamente la sveglia; alle quattro partivano i primi colpi dalla batteria. Tutta la giornata ha avuto il tormento di un tamburellare continuo della nostra artiglieria, che non è stata quasi mai controbattuta. Il mio pezzo dal mattino alle ore tredici circa ha vomitato più di quattrocento colpi; ma poi si era riscaldato talmente che aveva bruciate le guarnizioni del freno ed ha cessato di funzionare. Abbiamo ripreso il fuoco all’ore una e mezzo del giorno tre ed abbiamo raggiunto nella giornata la bellezza di ottocento colpi. Durante la notte successiva il pezzo è tornato fuori d’uso. Nessun altro ha sparato come lui e tutti gli altri sono in condizioni peggiori del nostro
(nota 5).
Però non pare raggiunto lo scopo dell’azione che era quello di giunger fino al Piave nuovo. Forse le cause si devono ricercare nei pochi passaggi obbligati di questi terreni paludosi, che il nemico sbarra con le mitragliatrici. Lo slancio dei nostri soldati è sempre stato furibondo.
Il giorno quattro a mattina sono partiti dalla posizione gli altri tre pezzi per andare al cambio: il mio è nella piazzuola per tutto il giorno ed è partito a sera, all’arrivo del terzo.
Strana cosa: noi abbiamo fatto dieci mesi di fronte e abbastanza duro anche, senza mai mancar un’ora dai pezzi, che abbiamo salvato, quasi per miracolo, in due occasioni; siamo mancanti di corredo e di ogni genere di materiale; siamo stanchi e mezzo malati; e quando finalmente sembra che ci abbiano a concedere quel po’ di riposo che ci verrebbe di diritto, dopo aver messi fuori d’uso i pezzi, che cosa fanno? Tolgono i cannoni ad una batteria che ha due mesi di fronte e li danno a noi! Gli altri naturalmente sono andati a godersi loro il riposo. In batteria c’è molto malcontento, e non lo nascondono nemmeno i nostri ufficiali. Gli alti comandi non fanno di queste cose, io credo, per farci un torto: solamente sono troppo alti per veder chiaro fino al basso. Un mantovano iersera espresse lo stato delle cose, come questo proverbio dialettale: ‘chi ga la paura prima al cred mia a cla uda’.

8.- Ieri mattina, verso le otto, ero al gruppo e ricevevo l’ordine di recarmi a Mira, un paesetto presso Mestre, a condurre tre uomini al tribunale di guerra della 3a armata.
Il viaggio è cominciato pessimamente a causa di una pioveruggiola fine e penetrante quanto tormentosa. Più tardi venne un po’ di sole e un po’ d’allegria. Per quanto i tre uomini che andavano sotto processo (Argento, Perrone, Granaiola) fossero preoccupati del loro caso non potevano a meno di considerar la fatuità della loro accusa. Devono rispondere dell’imputazione di diserzione e, poveretti, si sono adoperati con ogni loro mezzo, per raggiunger la batteria quando siamo andati a Treviso.
Per buona ventura hanno dei buoni documenti che giustificano la loro lontananza dalla batteria. Il viaggio è stato fatto attraverso a Meolo - S. Michele del Quarto - Mestre - Mira; un po’ a piedi, un po’ in tram, un po’ in camion, un po’ in carretta. A Mira abbiamo mangiato all’albergo con un appetito invidiabile.
Più tardi passai a consegnarli, i tre soldati, al tribunale. Cercai d’incoraggiarli, ma, poveri ragazzi, quando i carabinieri cominciarono a perlustrarli ed a toglier loro ogni cosa, li vidi piangere. Argento in modo speciale, faceva veramente compassione. Lui, volontario di guerra, promosso ardito, già con una medaglia al valore, dover sedere sul banco dei delinquenti! Non la può mandar giù, povero figliolo! Io me ne tornai via pensoso e intenerito, in compagnia, questa volta, con un caporale del genio che aveva condotto al tribunale uno della mia compagnia.
Stemmo insieme tutta la sera e a notte cercammo da dormire in un fienile giunti a Mestre. La notte l’abbiamo passata assai bene. Il buon colono che c’aveva concessa così benignamente ospitalità ci confidò le sue pene, stamattina. Da quasi un mese non riceve più notizie di un suo figliuolo che s’è battuto vicino a S. Donà ....
Verso le otto prendemmo la via di S. Michele del Quarto. Oggi è Domenica e me ne sono accorto stamattina vedendo tutti questi buoni paesani, vestiti a festa. Giunti a S. Michele il caporale si fermò, io continuai la via del ritorno…
Giunto alla batteria mi chiamò il mio Capitano e mi consegnò il distintivo della croce di guerra, raccomandandomi di portarlo e facendomi noto che non per anzianità mi è stata concessa la croce, ma per l’affare di Musile.

16. - Il giorno tredici settembre dell’anno scorso ero a Modena, in partenza per il fronte: il tredici luglio di quest’anno, dopo dieci mesi precisi di guerra, siamo tornati indietro dalla linea per gustar un po’ di riposo. Io sono rimasto a consegnar le munizioni, poi ho infilato un camion che per caso passava, ed ho raggiunto il terzo pezzo che era in testa alla batteria.
L’allegria era grande. Gaeli strombazzava una specie di chitarra, formata da una cassetta con l’aggiunta d’un’asta di legno e tre fili tirati alla meglio; Pellacani cantava con Pilingardi; io completavo la melodia che, almeno almeno, poteva paragonarsi al muggito d’un buon branco di buoi. Poi venne la proibizione di far chiasso. Giungemmo verso le tre del mattino al nostro distaccamento di Canton sul Sile, senz’altri incidenti che il rischio corso dal carro bagaglio della cucina di precipitare nella Fossetta.
Ier l’altro è passato tranquillamente. Non così ieri. Noialtri capo-pezzi (il mio, per disgrazia mia e per fortuna sua, si trova ora in licenza) dovemmo subire tutti un buon rabbuffo dal Sig. Ten. Ringardi: perché non avevamo mandati i serventi al governo dei cavalli. Avremmo potuto obiettare che nessuno ci aveva avvertiti e anche che il nostro riposo, se ce l’avevamo meritato, non doveva mutarsi in un servizio ai conducenti, che certo di lavoro e di pericolo ne hanno sempre condiviso poco con noi. Tutto questo avremmo potuto dire in nostra difesa, ma preferimmo tacere per ragioni facili a capirsi: e mandammo i serventi al governo.
Più tardi venne il Ten. Muttoni che mi comandò di seguirlo. E movendo qualche chiacchiera mi spiattella un bel: “Guardate, voialtri graduati, che non dovete far gli sfessati.” Io non ho potuto capir a che cosa si volesse riferire il Tenente; ma rimasi male. Le spiegazioni che domandavo non vennero; e così sono stato costretto a pensar che il movente di quella frase potesse venir da fonti diverse: o una pecoraggine veramente eccessiva dei nostri ufficiali, o una distrazione qualunque, oppure anche il timore d’un’opposizione nostra a lasciar i serventi al governo.
Ma pensando bene mi parve poi che nessuna di quelle tre potesse aver spinto il Tenente a dirmi quelle parole: le prime due pel carattere di chi me le ha rivolte, la terza perché credo che il Sig. Tenente conosca il nostro buon senso. Infine mi rimane ancora l’incertezza.
Oggi c’è stata la rivista del Colonnello Cavone, comandante il Raggruppamento, ai cavalli. Nel pomeriggio abbiamo fatto il caricamento ai cassoni: siamo sulle mosse di partenza. Stasera ho mangiato un po’ di carne… di cavallo (un cavallo nostro morto per dolori) e l’ho trovata discreta.

19. - Iersera finalmente, dopo tanti annunci, è venuta la partenza da questa località, più che paese di Canton del Sile, ove tutto si sazia dopo pochi giorni di permanenza. La sporcizia, con rispetto parlando, e i piedi lunghi e larghi come piattaforme, sempre scalzi e neri, delle donne, mettono nausea. La partenza è stata allegra. Tutta la notte abbiamo viaggiato alla volta di Marano, ove ci fermeremo, piccola stazione intermediia tra Mira e Mirano. Appisolati nel cassone il viaggio non è stato nè vario, nè divertente; solo mi avvenne di svegliarmi dopo un piccolo tempo di trotto e di non trovare più il berretto, che mi era caduto certamente nel sonno. E’ il secondo che mi fa questa fine. Ora porto un’elmetto.
Stamane coi cavalli alla mano, i serventi “a posto‘’ dietro il cassone, siamo entrati in paese. Qualche raro borghese e qualche donna assistevano alla nostra sfilata. Finimmo per metterci in un gran fabbricato, ora abbandonato, ma che in tempi normali era una fabbrica di concimi chimici. Il luogo ove andiamo a dormire noi, è alquanto discosto e ha l’aria d’un convento. Sembra che ci metteremo abbastanza bene se pur staremo molto in questo posto.
Nel pomeriggio sono andato a prendermi un bagno in un canale poco discosto dalla ferrovia.

21. - La popolazione di Marano vede di buon occhio il soldato e non gli nega un cortese saluto quando l’incontra per la strada, al contrario degli abitanti di Canton che spesso rispondevano in modo incivile addirittura. Anche la pulizia è più in onore da queste parti.

25. - Stamane ho avuto l’ordine di partire con due conducenti a cavallo (Grilli e Eliseo), per Noale, dove sta il primo magazzino avanzato Ansaldo, per prender il mio pezzo.
Nell’aria ancor fresca della mattinata era bella la cavalcata sulle strade polverose ed interminabili. Il cane della batteria “Trovato” (perché ci ha seguito nella nostra andata a Treviso) ci seguiva trotterellando e scorazzando la campagna. Trovato il magazzino ad un paio di Km. da Noale fummo indirizzati all’officina pur questa fuori di paese e dalla parte opposta. Il pezzo non era pronto non solo; ma mi fu espresso il dubbio che nella giornata venissero terminate le riparazioni..
Aspettando una decisione andammo coi cavalli in un viale vestito da due colonne di alti pioppi e rallegrato da belle ombre fresche. Eliseo andò al paese e dopo una buona ora, sotto quel bel fresco, noi si faccia una parca colazione.
A mezzogiorno dovetti andar ancora al magazzino, a cavallo, per sapere se per quella sera il pezzo fosse pronto: risposte vaghe furono il frutto di questo mio pellegrinaggio sotto un sole d’inferno. Nel tardo pomeriggio mi venne annunciato che si lavorava intorno al pezzo. Era vero; e a sera, verso le sette, attaccati i cavalli, si prendeva la via del ritorno finalmente. Senonché a mezza via tra la cascina di partenza e Noale, ecco il Tenente del magazzino in automobile che mi ferma e mi dice che devo recarmi al magazzino stesso per prender un documento. Poi finalmente, per l’ultima volta, ritornammo in batteria senz’altri interventi. La stanchezza delle mie povere gambe, non abituate da molto tempo alla sella, mi dice che non ho il diritto di reggermi in piedi. Perciò termino e mi metto a riposo.

29. - Iersera son uscito a far due passi con Trottoli ed abbiamo chiacchierato, secondo il nostro solito, di mille cose diverse: la fine della chiacchierata fu interessante e mi piace riportar l’argomento sul quale ambedue si era perfettamente d’accordo. Si parlava della condizione di un uomo che prenda moglie al giorno d’oggi: il poveretto non potrebbe esser sicuro che il figlio della propria moglie fosse il proprio figlio: e ciò in grazia dei grandi lumi del ventesimo secolo che hanno condotto ad una corruzione fetida. Ne traemmo la conclusione che un uomo per esser il meno infelice possibile, dovrebbe rimanere celibe. L’attrattiva del matrimonio per molte ragioni, è grande per la massima parte degli uomini sentimentali, ma non pei riflessivi. E ciò prova che la nostra razza corre alla decadenza. Se questa guerra ottenesse lo scopo di moralizzare i popoli, sarebbe veramente santa per noi.

31. - Il migliore dei miei ufficiali.
Sicuro, è tempo ch’io ne parli brevemente su queste mie memorie, giacché dopo tanti mesi di stretto contatto, credo di poter riuscir a darne un giudizio sicuro e imparziale. Il Ten. Muttoni, partito da Modena Aspirante ufficiale con noi è quello che si chiama un uomo di carattere e d’intelligenza. Ha un coraggio a tutta prova, conosce perfettamente il funzionamento di una batteria, ha cognizioni, almeno superficiali, su tutto lo scibile umano; poi è democratico. Questo è in lui il più gran merito, perché egli è nobile di famiglia. Tratta famigliarmente con tutti, è rispettato e amato.
Un difetto: gli manca la facilità di parola. Per quanto sia naturale questo difetto, del quale ho la mia parte anch’io, non è meno doloroso; succede facilmente d’esser giudicati molto male, quando si deve star alle prese con una frase, alla pesca d’una parola.
Questo il migliore; ma ho avuto e ho ancora ottimi ufficiali: quali il Ten. Taragoni di grande capacità; il Sottoten. Granelli e il Ten. Focarazzo; più o meno inetti pel loro ufficio; ma ottimi in tutto il resto. Il Sottoten. Maccari, una vera macchietta: ora prigioniero di guerra.



1918
AGOSTO


4. - E’ strana l’insensibilità alla quale abitua la guerra. Dal fronte si torna indietro e si va a riposo: è un gran passo; ma la si considera la cosa più indifferente di questo mondo, malgrado l’allegria che parrebbe star lì apposta per dimostrare il contrario. Se prima della guerra mi fosse capitato un fatterello mille volte più piccolo di quelli che mi capitano ogni giorno, c’avrei fatto su un turbine di considerazioni e certo non l’avrei dimenticato così presto. Ora invece, m’accorgo che mi vado abituando a prender tutto come viene, con la massima filosofia, tanto che quando vado in licenza, mi sembra che la guerra sia una cosa irreale, una specie di sogno di una mente malata; e quando torno in linea mi par di aver sempre fatto la guerra e mi sembra un sogno la licenza.

12. - Il capitano Rizzardi, comandante la batteria, è in licenza e pare che tornerà solo per dar le consegne al Ten. Taragoni per andarsene poi a comandar un gruppo di auto-cannoni. Queste sono le voci che corrono, ma non so se abbiano il benché minimo fondamento. Ad ogni modo giacché mi capita l’occasione di dar un giudizio dell’uomo in parola, non voglio lasciarla sfuggire, per non dimenticarmene e pentirmene più tardi, se per caso quanto si dice fosse vero. Il giudizio è duro ma mi par imparziale.
L’uomo di cui parlo (e lo chiamo così perché egli si stima diverso dagli altri, forse perché nobile) si può definire in queste parole: non sa far niente. Infatti non sa comandar bene la batteria, non se n’intende di lavori, non sa aggiustar bene i tiri, non sa farsi amare, non sa farsi odiare, non ha la minima conoscenza della psicologia umana; credo che non saprà neanche studiare perché credo che abbia una trentina d’anni ed è ancora studente d’ingegneria: certo non sa parlar correttamente in italiano.
E il suo più grande difetto, quello che mette in evidenza tutte queste sue doti negative è quello di voler ficcare il naso dappertutto. Non c’è il minimo lavoro in batteria, ch’egli non sia là, peggio di un caporale di giornata, a toglier a chiunque qualsiasi iniziativa. Se se ne andrà lui pax nobis manebit.

16. - Stasera all’appello serale, repentino quanto inaspettato, venne l’ordine di tenersi pronti a partire. Per dove non so e dubito molto anche del quando .......

19. - Stamattina la partenza è avvenuta per tempissimo. Col nostro nuovo attacco, fatto dal Ten Taragoni, la batteria ha sfilato con un ordine sconosciuto da parecchio tempo. La mattinata è stata tiepida ed un po’ fosca. Nessun rimpianto mi ha turbato nell’abbandonare questo povero paese di Marano, forse perché con troppa indifferenza ho vissuto questo ultimo mese.
Il paese che abbiamo raggiunto nella giornata è Camposampiero, sotto un solleone, verso mezzogiorno, che bruciava letteralmente il cranio. Il rancio è stato distribuito tardi e, siccome era riso, era tristo, come il solito. Di riso ce ne siamo rimpinzati troppo quand’eravamo sotto le gallerie, per poterlo gustare, anche se fosse buono.
Per cercar un riparo dal sole, mi ficcai sotto un carro bagaglio, mi sdraiai alla meglio sull’erba e m’addormentai. Mi svegliai tardi con in corpo un malessere tormentoso; ma dopo una bella lavata alla faccia con l’acqua fresca ritrovai il mio solito buon umore. Era sera quando uscii con Ricci e Tottola in giro per Camposampiero mi divertii. Camposampiero è un bel paese con piazze spaziose, fabbricati discreti, lunghi viali verdi, fiancheggianti le vie spaziose.

20. - Stamane il viaggio è continuato. Abbiamo attraversato vari paesetti. Cittadella di Padova, con quel miscuglio di moderno e d’antico, con quel suo muraglione diroccato e incombente, m’ha fatto l’impressione del vestito d’un povero Arlecchino. Passammo sulla Brenta, in secca. Il letto del fiume è una immensa secca ghiaiosa, attraversata qua e là da un rigagnolo d’acqua limpida. Non offrirebbe, in questa condizione, nessun ostacolo contro un’avanzata nemica. Dal ponte della Brenta si scorge un bel panorama montano. L’intrecciarsi, il convergere, delle strade sembra la trama d’un ragno capriccioso…
Il paesetto presso il quale sosteremo per stanotte mi dicono si chiami Carmignano; però ne siamo alquanto fuori, in una fattoria.

21. - La giornata intera è stata spesa in viaggio. Stamattina prestissimo abbiamo lasciato Carmignano e, attraversati vari paesetti, verso le nove siamo giunti a Bregonze
(nota 6). Tutto il gruppo fu riunito in un largo piazzale: i cavalli furono staccati e coperti da una lieve mascheratura i pezzi. Prima di mezzogiorno eravamo pronti a partir per la posizione coi camion. Fino a sera tarda avemmo a correre per quelle ripide strade di montagna, serpeggianti, interminabili. Tratto tratto ci si offrivano alla vista panorami stupendi che ci facevan rimaner muti davanti alla loro bellezza meravigliosa.
Infatti questa è la prima impressione che ho riportata dalla vista di queste montagne: un’impressione che non vuol esser minimata da nessuna descrizione. Si vede e s’ammira incantati questa bellezza grandiosa, inafferrabile; ma usciti dall’estasi si tace, persuasi che la nostra piccolezza non potrebbe altro che ingiuriare con le sue aride frasi questi magnifici quadri della Natura.

31. - Oggi è un bel giorno per me: sto preparandomi per partir per la licenza. Ma lasciamo le gioie intime da parte per un momento, quando ci tornerò su le troverò ancora più grate. Ora parlerò un poco degli avvenimenti più considerevoli di questi ultimi giorni.
Ora la mia batteria è piazzata a Magnaboschi sulla groppa di un’altura
(nota 7). Lo sguardo non può spaziare di molto; ma è però sempre rallegrato da un’immensa boscaglia di pini d’ogni dimensione, che ricopre del suo verde eterno tutte queste montagne.
Debbo dire però che per trainar dalla strada sin qui i pezzi, attraverso ad una mulattiera strettissima, la nostra fatica l’abbiamo fatta. Dormendo di notte così allo scoperto mi son preso un raffreddore potente e un po’ di tosse. E siccome quando si sta poco bene vengono facilmente dei pensieri tristi, così in questi giorni ho pensato spesso in un modo assai stravagante. Mi dicevo: ‘Chi ha dato la vita per la patria, ha fatto il più grande sacrificio possibile, perché la vita è un gran tesoro, anche se è cattiva. Ma però anche il mio sacrificio è discreto: l’intelligenza, se n’ho avuta alcun poco, posso dirla sacrificata, perché ogni giorno divento più ottuso di cervello; e questo è il più gran dono della vita. Ora sto logorandomi la salute; e cosa è la vita senza l’intelligenza e la salute? Perché l’intelligenza, checché se ne dica, vuol coltivata a suo tempo per dar i suoi frutti. E questo bel tempo della mia vita è perduto per essa. Non farò mai più quel che avrei potuto fare i condizioni diverse.’



1918
SETTEMBRE

23. - Partito da Mantova alla fine della licenza estiva il giorno tredici, ebbi a esser in continuo movimento fino ad oggi. Dal comando di tappa di Bregonze fui indirizzato a Magnaboschi dove avevo lasciata la batteria. Giuntovi, andando un po’ in camion e molto pedibus calcantibus, trovai una batteria da fortezza sulle piazzuole dei nostri pezzi; quivi mi fu detto che la mia batteria era poco lontano, a Pra Pelucco. Andata vana, ritorno rabbioso. Un carabiniere ad un bivio, dopo avermi assicurato non esservi in quei dintorni nessun comando nostro, mi disse d’aver visto passare, pochi giorni avanti, il 20° gruppo, diretto a Lavarezze. A Lavarezze neanche l’ombra di artiglieria campale. Un artigliere di fortezze mi disse di saper di sicuro dov’era l’ottavo raggruppamento P. C. e s’offerse d’accompagnarmi... Ero a cavallo, ... ovvero mi sembrava d’essere a cavallo. Trovato il nostro colonnello Gavone, mi offerse di passar la notte presso al raggruppamento, perché la mia batteria dipendeva ora dal 67° raggruppamento d’assedio ed era molto lontana, a Granezza. Ringraziai dell’offerta e, fidando in qualche camion che per caso avessi incontrato, partii. Invece anche tutta questa strada interminabile dovetti digerirmela col cavallo di S. Francesco. Giunsi a Granezza stanco morto; ma non erano ancora finite le mie peregrinazioni. Un carabiniere aveva visto passare il mio gruppo e la mia batteria: e ne aveva preso nota. M’indirizzò a Pria dell’Acqua e per fortuna v’andai in camion. Qui andai innanzi e indietro per una buona oretta, finché mi ridussi presso una batteria da 305 ch’era in comunicazione telefonica col 67° raggruppamento. Il raggruppamento aveva cambiato posizione da poco e non si sapeva dove fosse andato. Ero stanco e nell’impossibilità di proseguir le mie ricerche e perché non avevo alcun indirizzo e perché calava repentinamente la notte. Decisi di chieder alloggio per la notte presso la batteria da 305: un caporalmaggiore mi consigliò di rivolgermi al comandante, un ottimo uomo, che mi avrebbe certo ascoltato, e così feci. Lo trovai alla mensa mentre, finito di mangiare, s’intratteneva conversando con cinque o sei altri ufficiali. M’accolse con grande benignità. Cominciai a chiedergli se sapesse dove si trovava il mio gruppo e m’indicarono qualche batteria da 105 che però avevo già viste e che appartenevano al I° Reggimento.
Glielo dissi; poi continuai: “Senta, signor Tenente, io sono molto stanco, ho camminato tutt’oggi e se mi mettessi in giro senza alcuna indicazione sicura, arrischierei di passar la notte molto male. Se Lei volesse permettermi di passarla presso la sua batteria, in un posto qualunque...”
“Oh, sicuro, sicuro; ma donde vieni?”
“Da Magnaboschi, dove avevo lasciata la batteria, partendo per la licenza.”
“Da Magnaboschi?!... Tanta strada hai fatto! (io pensavo alle altre appendici che avrei potuto aggiungere; ma non lo feci perché forse non sarei stato creduto) Ma allora (proseguiva il Tenente) avrai fame, ti faccio subito portar da mangiare....”
“No, grazie signor Tenente, fame non ne ho; ho mangiato pochi momenti fa; poi tengo ancora qualche cosa qui nel tascapane.”
“Ma senza complimenti, non temer d’arrecarci disturbo, noi abbiamo qualche cosa qui alla mensa. Ora te la faccio portare. “
“No, no, grazie, signor Tenente, è già grandissimo il favore che mi fa tenendomi qui per la notte; fame non ne ho.”
Qui gli ufficiali cominciarono a brontolare ch’era un’indecenza lasciar in giro tanti poveri soldati per tanto tempo nel tornare dalla licenza e che il governo avrebbe dovuto provvedere.
Presi commiato e fui accompagnato nella baracca-magazzino, ove mi feci un giaciglio. Le gambe mi dolevano: non potevo chiuder occhio.
Più tardi i nostri cominciarono a cannoneggiar come fulmini; poi cominciarono gli austriaci e fui costretto a riparar in galleria. Stanco com’ero volli tornare alla baracca e questa volta m’addormentai e dormii tutto d’un fiato fino alle sei del mattino del 15.
Ho voluto riferir largamente l’episodio riguardante il comandante di quella batteria perché fa tanto piacere trovare dei superiori che trattano come fratelli, specialmente quando si è abituati in un modo ben diverso da superiori di batteria.
Ora riassumo. Partii da Pria dell’Acqua in camion verso bivio Boscon: non trovai nulla. Rifeci la strada a piedi; salii fino a Granezza in camion; poi scesi fino a Scusare dove mi presentai al comando di tappa.
Mi si voleva far rifare la strada. Uscii con l’intenzione di andar direttamente a Vicenza, nei cui pressi avevamo il reparto cavalli. E per fortuna trovai in paese Pelucelli, il sellaio che mi disse esser lì a cessare i cavalli dei pezzi. Rinacqui. Passai una giornata contento con Filippini che trovai cuciniere. Il giorno dopo, 16, a mezzodì partii col carro-bagaglio alla volta della batteria.
I pezzi non erano in posizione e gli uomini erano attendati sul dorso orientale dello Spremi
(nota 8). A est c’è il col d’Etele, tutto coperto di pini, a nord est si vede il monte Fiore, ancora degli Austriaci, fin dov’eravamo noi arrivavano le ultime propaggini della Val Mosca, dal sud.
Trovai una batteria di malati. L’influenza era in pieno vigore. I lavori delle piazzuole progredivano lentamente, perché da alcuni giorni correva la voce che si sarebbe andati via da quella posizione, per tornar forse a riposo. Tutti i movimenti di alcuni giorni indietro erano stati fatti per simular la preparazione d’un’offensiva e impedir alle forze austriache d’accorrer in Francia.
Il diciotto mattina infatti noi facemmo i nostri bagagli e lasciammo la posizione. Era una posizione assai battuta; Pagnoni mi diceva quando arrivai: “Mi son sempre abituato a tutte le posizioni, ma a questa non ci riesco.” Però era solamente la mia batteria che tornava indietro per esser trasportata a Parma a farvi un corso d’istruzione.
Con qualche altro soldato, per non seguir tutte le strade interminabili, in montagna, presi delle vie traverse.
Lasciata di fianco Campagna, giungemmo a Piazza, poi a Scessare, donde prendemmo un camion che ci condusse fino a Breganze. A sera, quando arrivò la batteria, salimmo sui pezzi e, al trotto, giungemmo al nostro reparto cavalii di Tagliaferro, presso Dueville, di Vicenza.
Il 21 mattina caricammo la batteria alla stazione di questa città; poi, percorrendo l’itinerario Verona - Mantova - Suzzara - Parma - Collecchio, arrivammo a questo paese ieri mattina e scaricammo il materiale.
A Mantova non ebbi a veder altri che Piccinini e Raffanini, impiegati della Banca Agricola, che potei salutare di lontano.
Ora siamo attendati in un prato, ove ci sono pezzi e cavalli, presso una filanda.

24. - Oggi noiosissima giornata di pioggia e di sole, alternati. Verso sera la pioggia prende il sopravvento e dà a questo giorno l’aspetto triste del novembre.
In questi dintorni infierisce la così detta febbre spagnuola, malattia contagiosa, pericolosissima.

28. - Si alternano le giornate di sole e di pioggia. Oggi è molto caldo e si guarda con vero entusiasmo il bel paesaggio che ci circonda. Una amenissima corona di colline, sparse di vigneti e coltivate con cura da ogni parte, ci si stende intorno. Le casette, sparse sul dolce pendio o torreggianti sulla sommità di un’altura, hanno un aspetto romantico.
Di tanto in tanto, un campanile esile che lancia la sua sfida perenne al cielo come una lama sanguigna. Poi, verso sud, cime più alte di monti che vanno man mano sfumando come fantasmi di nebbia; e l’allegro gorgheggio di cento uccelli, il frinire incessante di mille e mille grilli (che possino, con rispetto, murì ammazzati) completano il quadro. Ah, non i grilli sono proprio la stonatura di tutte queste bellezze naturali, perché sono troppi, troppi! C’è chi dice che melius abundare quam deficere. Ma per carità costui non si auguri tal abbondanza di questi innocenti e odiosissimi insetti, che lo costringa a perder un’ora ogni sera per scacciarli dal suo giaciglio, sotto la tenda, per finir poi col gettarsi a dormire su tante di quelle povere creature che gli schizzano miseramente la camicia di tanti punti umidi… Quando poi di notte non sia costretto a inseguir febbrilmente qualcuno, più imprudente degli altri in… luoghi più reconditi.

30. - Oggi sono andato a Parma a condurvi il soldato Del Corso (quello che sta a Marano di casa). Egli è ammalato d’influenza e dall’ospedale principale militare lo dovetti condurre all’ospedale Cucconi. La città di Parma si può dividere, o meglio, è divisa in due parti ben distinte dal fiume omonimo che l’attraversa. Da una parte rimane la città nuova, dall’altro la vecchia che sono inconciliabili in tutto e per tutto. L’una, moderna, linda, movimentata, spaziosa; l’altra fetida. Il tanfo è il re delle contrade dalle mura spelate e dalle botteghe nauseanti. Con questa sorta di pulizia non mi meraviglia più che Parma sia un covo della malattia infettiva indefinibile che oggi spaventa tutti.



1918
OTTOBRE

1. - Dalla filanda abbiamo sloggiato oggi, per andar con la batteria vicino a Ozzano o meglio nel paese stesso. La causa della nostra partenza è nella mancanza di locali per mettervi i cavalli. Ora la batteria è divisa in tre parti: qui ci sono i pezzi. Però ci tocca dormir sotto la tenda anche qui. Io me ne son fatta (e rifatta per il solito modo di fare del capitano) una con Ricci che ricorda con piacere il tempo passato pur insieme sotto un baracchino, sulla strada di Meola.

6. - Qui sul parmigiano, almeno secondo l’impressione che ho potuto riportar fin’ora, è assai diffusa la piccola proprietà. C’è una grande armonia tra le bellezze naturali di questi luoghi e i costumi gentili delle popolazioni. Io non esiterei a proclamare questi luoghi patria necessaria di poeti, di sognatori idealisti o di degenerati. Forse invece il sognatore nascerà nel lembo più brullo della provincia più sterile d’Italia, mentre la natura si compiacerà di popolar questi paesi di calcolatori industriali.

13. - Iersera ero di ronda. Finita l’ora di libera uscita entrai nelle due uniche osterie, per far uscir i soldati della batteria. Incontrai al Belvedere l’opposizione del nostro maresciallo, Barelli, che volle assumersi l’incarico di risponder pei sergenti che aveva con lui e che non lasciò uscire. Gli feci rapporto. Oggi è per lui un giorno di cicchetti, come si dice in gergo militare. Mi dispiace solo una cosa: tutti i soldati e graduati che sanno la cosa mi guardano come una bestia rara, perché ho osato tanto; e mi fanno mille congratulazioni, e mi mettono in guardia contro il maresciallo, che mi mangerebbe vivo, e che infatti è un cattivo soggetto. Io non ascolto nessuno e continuo per la mia strada con tutta la mia tranquillità, sicuro che ho fatto quel che dovevo, da una parte; e che ci vorrebbe ben altra persona per farla a me dall’altra. Dico questo non per orgoglio, ma perché credo d’aver sempre fatto il mio dovere e ho il proposito di continuar sulla vecchia strada.
Confesso però che un poco strana la trovo anch’io la cosa. Non ho mai fatto rapporto a nessuno: per primo ci capita un mio superiore!....

15. - Oggi la batteria è uscita ed ha eseguito due tiri, ottimamente riusciti.

20. - Ieri mattina chiesi un permesso giornaliero, più perché so che tentar non nuoce, che per la speranza d’ottenerlo. Invece l’ottenni. Iersera partii con Silingardi per Parma, nella speranza di trovar qualche corsa pronta a partir per Suzzara. Invece ebbimo un bel girare su e giù per la stazione; non un merci sarebbe partito per Suzzara fino alla mattina seguente. Decidemmo di passar la notte all’albergo e ne trovammo uno presso la porta della città, di fronte alla stazione. Trascorremmo la notte tranquillamente. La mattina alle cinque ci alzammo e ben presto fummo in stazione. Alle sette una corsa partiva per Suzzara e noi montammo. A Suzzara poi dovetti aspettare la tradotta che avrei potuto prender stamattina alle quattro e mezzo a Ozzano. Corri di qua, corri di là, spendi da una parte dall’altra e poi non ho guadagnato neppure un’ora di tempo. Questa volta il tentare m’ha nociuto almeno alle tasche. Pazienza, santo Dio! Almeno alle undici sono arivato a casa e ho potuto abbracciare mia madre che mi guardava trasognata quasi non credendo a sè stessa. Più tardi son andato alla Montata, poi all’osteria della cartiera dove potei stringer fra le braccia Dialma, che da tanto tempo non avevo visto.
Che commozione ci prese appena ci vedemmo! Non si sapeva cosa dire: solo si stava stretti stretti l’un l’altro e ci guardavamo come smemorati sorridendo. Dopo si sciolse lo scilinguagnuolo e chiacchierammo di tante cose diverse con un brio così vivace che lo zio Ottaviano rideva, rideva di cuore. Con una rapidità troppo forte passarono quei brevi istanti che potevo dedicar a mio cugino. Ci baciammo, ci abbracciammo e poi via di corsa a casa. Mia madre mi aveva preparato un bel piatto di sapa (sapa = mosto cotto, ridotto alla metà o alla terza parte, che serve per condimento) che dovetti divorarmi in fretta per correr alla stazione in tempo per prender il treno. Che consolazione grande è veder dopo tanto tempo persone amate. Il cuore mi palpita ancora per il piacere e mi par d’esser ringiovanito di quattro o cinque anni.

21. - Iersera, appena giunto a Ozzano
(nota 9), trovai la nuova della prossima partenza della batteria per la fronte. Stamane dappertutto una furia indiavolata; un preparar valige, un caricar coperti, inguarnir cavalli, vociare, chiamarsi, correre: tutto insomma quel che si può vedere di trambusto per una partenza inaspettata. Io avevo un libro d’una signorina del Belvedere, un libro imprestatomi per leggere e che feci a mala pena in tempo a sfogliare. La signorina Annita Cavatorta mi accolse gentilissimamente e volle offrirmi ad ogni costo un bicchierino di marsala; dopo di che salutai lei e la sorella e corsi verso la batteria, per far in tempo a scrivere a mia madre. Avevo il cuore commosso, mio malgrado, come chi lascia un amico intrinseco. E forse un’amicizia si spezzava veramente, perché mi ero così assuefatto a frequentare il Belvedere, con la solita comitiva di amici, ogni sera, per farvi la solita partita e bervi il solito bicchiere; ed era così bello in nostro accapigliarsi, discutere, oppure far due chiacchiere con la signorina, gentilissima, che ben volentieri se ne sarebbe conservata l’abitudine. Invece si esige da noi ciò che possiamo dare per la causa nostra e noi si lascia con un po’ di commozione tutto ciò che il tempo ci aveva reso abituale e si parte canticchiando a fior di labbra.
Alle sei siamo partiti da Collecchio per Parma, dopo aver fatto il carico della batteria, durante tutta una livida giornata di pioggia.

22. - Stanotte sono passato per la stazione di Mantova. Dormicchiavo nella vettura buia e fredda (un carro bestiame) quando il treno, fermandosi, mi diè l’avviso ch’era a Mantova. Discesi. Un’arietta tagliente mi ha flagellato il viso: ero di fronte ai giardini pubblici, illuminati da un bel chiaro di luna. Mi venne subito l’idea di scappare a casa ad abbracciare la mia vecchia e l’avrei potuto fare benissimo; ma fui trattenuto da un pensiero. Pensai che l’avevo vista appena due giorni prima, tutta contenta di vedermi partire non per la fronte; immagino quanta amarezza avrei potuto recarle e mi trattenni....
Per tutto il resto della giornata proseguii il viaggio, sperando di poter veder Dialma su una delle tante tradotte che sorpassarono la mia; ma non mi fu dato. A sera siamo a Castelfranco Veneto.

23. - La notte scorsa fu trascorsa in viaggio. Io ho dormito accoccolato sul cassone e non so neppure che strade abbiamo percorse; a mattina siamo giunti a cinque chilometri da Treviso
(nota 10).

24. - Stanotte abbiamo avuto la sveglia alle ventitre e siamo partiti per la posizione. La batteria è ora piazzata tra Nervesa e Arcade, a poche centinaia di metri da quest’ultimo paese. S’avvicina il giorno d’un triste anniversario e d’una promettente riscossa. Infatti parlano d’offensiva prossima, con una fiducia ammirabile.

26. - Ieri ho lavorato a far le brande nel ricovero del pezzo, per tutti i serventi. Siamo stretti come acciughe, ma ci si adatta e si ride per le pose comiche che ciascuno assume per poter entrare in branda, dopo lunghe meditazioni sul modo più adatto per entrarci.
Sembrava che iersera si dovesse cominciar l’offensiva, ma dicono sia stata sospesa in causa del maltempo.

27. - Stanotte è cominciato il bombardamento
(nota 11). Noi abbiamo sparato molto e verso mattina abbiamo cominciato ad esser controbattuti con pezzi di grosso calibro. L’ 82 ha avuto un avantreno della vettura cannone trasportato per aria da un colpo. Io l’ho visto all’altezza di una ventina di metri far una serie di evoluzioni e cadere; l’avevo preso per una bicicletta.
Un colpo è arrivato tra il primo ed il secondo pezzo, proprio sul sentiero sul quale si passava noi per prender le munizioni. Il buco che ha fatto è profondo un buon metro e mezzo. Un terzo colpo a shrapnel ha portato lo scompiglio al primo pezzo. La piazzuola si è riempita di una violenta pioggia di pallette e di schegge. Con tutto questo nessun ferito, se si toglie una piccola graffiatura in un braccio a Bertoia e una botta discreta d’un lato di terra lanciato in aria, nella schiena di Longhi.

29. - E’ continuato il bombardamento tutt’ieri e stanotte è culminato per intensità. Stamattina alle sei la fanteria ha sferrato l’assalto. Dev’esser avanzata molto perché qui intorno non si sente più neanche un colpo e i palloni frenati continuano a farsi avanti. A noi è arrivato l’ordine di rimettere gli avantreni e dalle tre del pomeriggio siamo in posizione all’argine del Piave.
Come facilmente si può immaginare tutti si è corsi a veder il fiume consacrato alla nostra lunga difesa e da due vittorie grandiose. Il fiume scorre a rigagnoli su di un largo letto ghiaioso. L’argine destro è rafforzato da un parapetto ripido, mentre l’altro si stende molto in largo, prestandosi assai bene ad un nostro attacco. Di fronte a Nervesa, ridotta in rovina, alla sinistra del fiume, comincia una lunga serie di colline col colle Tombola, che non sono altro che le propaggini delle prealpi bellunesi.
Da questo fiume, tormentato per un anno da tanto furore di odii, spira un’aura di pace e la rapida onda par che precipiti cantando un inno di letizia. Questo fiume, circondato di rovine e di desolazione fa l’effetto del sole che ride dopo la tempesta.
Stasera traemmo da un isolotto, un mulo che era caduto nell’acqua a uno di fanteria. Abbiamo avuto da sbellicarci dalle risa nel considerar le giravolte della barca salvatrice, fuorviata ad ogni istante da mani mal pratiche del remo.

30. - Oggi fa un anno ch’io passai il Tagliamento e oggi pare che gli austriaci stiano ripassandolo in rotta. Era tempo! E la vivissima soddisfazione che si prova è unita a un gran desiderio d’andar avanti, di veder di parlar coi nostri borghesi che ci devono portar tanta gratitudine. Forse stanotte o domani ci muoveremo .....

31. - Oggi, nel pomeriggio, lasciammo la posizione di Nervesa. Dopo una lunga serie di piccoli movimenti e di soste, come un anno fa ritirandosi, la batteria è passata sul ponte della Priula, alle ore 23 circa. In questo punto il Piave è molto largo e ha un corso rapidissimo.



1918
NOVEMBRE

1. - Stamattina abbiamo fatto la prima sosta a Conegliano, dopo una notte spesa interamente in viaggio. Cominciava a far chiaro. Il paese aveva un aspetto piuttosto tetro. In molti punti vi sono case diroccate e le vie fangose e mal tenute senza un borghese. Più tardi però si comincia a veder qualche gruppetto di donne e qualche uomo vestiti a festa. Quelle passano guardandoci con segni visibili di commozione e di gratitudine e parlano brevemente se interrogate; questi si fermano in mezzo a un crocchio di soldati e cominciano a raccontar cose incredibili della spaventosa dominazione austriaca e lasciano mille sospensioni dicendo: “Ma ‘l se inutile contar certe cose; chi no ga visto no ghe crede!”
Più tardi c’avviammo verso Vittorio Veneto. Mi commosse il gioioso saluto di due bimbi che dalle finestre della loro casetta ormai libera per sempre, agitavano le manine come all’incontro di amici a lungo aspettati e sospirati.
Ora sono in una piccola borgata presso Vittorio Veneto. Quando vi giunsi un borghese mi raccontava fatti raccapriccianti. Le rapine dei tedeschi, le violazioni di ogni legge divina e umana degli ungheresi. Questi ultimi si sono fatti odiare più di tutti dalle popolazioni. Hanno scacciato i proprietari dalle case per dormirvi loro, non badando magari a lasciar vecchi e bambini esposti ad ogni sorta d’intemperie per delle notti eterne; hanno fatto man bassa di ogni cosa, perfino della biancheria; hanno infine violentato le donne. “Pare impossibil che ai nostri tempi ghe possa essar ancora una genia così. Bisogna massacrarli tutti.” Mi diceva il borghese infervorandosi. Ma ecco passare da una strada vicina una compagnia del genio con in testa un po’ di banda: suonavano. Il mio uomo si scosse come da un letargo e cambiando tono di voce, esclamò: “Oh, Dio! Ma questo ze un’altro mondo!” E pareva non volesse creder ai propri occhi. “Putei cari”, ci disse ancora, ”lasseme andar a vedar!” e scappò via dietro la musica come avrebbe fatto un monello qualunque delle nostre città.
La fame era poi all’ordine del giorno con gli austriaci: basti dire che hanno avuto il coraggio di lasciar queste povere popolazioni con 50 grammi di farina di granoturco al giorno e nient’altro. Dei nostri prigionieri ne sono morti molti di fame. Ora molti ne vengono liberati e bisogna sentir con che accenti vi dicono che è cento volte meglio la morte che non la prigionia in Austria. E ci parlano di bastonate, di pena del palo, di lavori pesantissimi, di digiuni incredibili .....

3. - Ci sono sotto la cappa del cielo, delle persone dalle quali ci separa un’antipatia naturale, che ben difficilmente si riesce a vincere. La presunzione è quella che più facilmente mi rende antipatica una persona; e sotto qualunque aspetto la si prenda: dalla semplice vanteria alla superbia.
E infatti la genia di pigmei che oggi popola la terra (non parlo di tutti, ma di 99 e 3/4 su cento) nei quali non si riesce mai a scorgere una linea direttiva d’azione, di vita; una forza d’animo notevole; come può, dico, questa genia, farsi vanto di alcuna cosa? Si è detto che l’uomo è un eterno bambino ed io non l’ho mai creduto come oggi. Bambino e perfetto; con le sue bizze, con i suoi capricci senza freno, con i suoi bisogni, con i suoi istinti, che rimangono sempre istinti.
Da giovane l’uomo me l’ero figurato diverso ed ora mi contento di figurarmi diversi gli uomini del passato.
Chissà che la vita vissuta con più calma, le rare comunicazioni con gli altri popoli, le tradizioni semplici della famiglia e i costumi migliori, non abbiano dato tempo all’uomo del passato di formarsi un carattere?
Un pensiero però mi fa perdonare tutto anche ai degenerati, che non mancano. Questo: anche lui è un condannato a morte, poveretto! Oggi fa, dice, crede di essere chissà che cosa, ma domani dovrà morire, domani sarà pareggiato agli altri. Che gli giova essere superbo, trattar come esseri inferiori i suoi simili, se deve morire? E perché conservargli rancore per la sua cecità? Perdoniamo tutto, lasciamo l’acqua correre a seconda del pendio: ci soddisferà meglio il più umile perdono che la più truce vendetta.

4. -
Quattro novembre! Giorno che rimarrà per sempre memorabile nella storia d’Italia. Oggi alle ore 15 avranno fine le ostilità tra italiani e austriaci; oggi l’Italia ha realizzato il suo grande sogno, per cui tanto sangue giovane ha profuso; oggi l’Austria vinta, debellata per la prima volta, chiede e accetta qualunque condizione ci piaccia d’imporle. Trento e Trieste, le sacre nostre rivendicazioni nazionali, vedono brillare nel loro cuore la bandiera tricolore.
Oh, ineffabile gioia che riempie tutti i petti, che trasfigura tutti i volti, che fa palpitar tutti i cuori!
“E’ finita!”, dice l’anziano e pensa alla famiglia che l’aspetta piena di dolci promesse. “E’ finita!”, dice il soldatino giovane e lo rallegra la visione di una casupola dimenticata da tutti, d’una vecchia sulla cui faccia le lunghe ansie, i pianti, i patimenti, hanno scavato rughe profonde. Vede il soldatino quelle rughe scomparire, quel volto rasserenarsi ed affacciarsi alla gioia. “ Non più così, mamma, non più, ora ci sono io!”, pensa. E, tornato colla fantasia nella pace della famiglia, all’industre suo lavoro, un sogno idillico corona la sua felicità.
“ E’ finita! hai visto? “, grida l’ottimista. “Io che l’ho sempre detto!” E traccia i poteri sull’avvenire. “E’ finita! e bene!” pensa anche il pessimista di professione e internamente si fa un rimprovero d’aver tante volte disperato.
Oggi è giorno d’esultanza per l’Italia, un giorno che sarà gran vanto aver vissuto e dolcissimo ricordo. Ma il felicissimo evento non tolga ogni misura al nostro giustificato entusiasmo: anche oggi c’è gente che soffre e che piange. Le nostre care popolazioni liberate hanno la fame che le stringe alla gola. Anche oggi tante madri piangeranno i figli caduti sul campo in questo truce periodo di guerra; e anche ai vinti il nostro pensiero si rivolga con un senso di commiserazione. Io li ho visti passare a mandrie interminabili, affondati nel loro cappotto sgualcito, sporchi, le teste basse, affamati: e m’hanno fatto compassione. Povera gente, chissà che anche loro non abbiano combattuto per un ideale giusto ai loro occhi; o chissà se non spinti dalla forza brutale o da bieco destino solamente abbiano combattuto sotto le insegne nemiche. Tanto si parla oggi, specialmente in questi paesi, della loro efferata crudeltà; tanti oggi definiscono categoricamente opera incivile ogni aiuto a loro portato, che sembra impossibile sorgere in loro difesa. E io non voglio difenderli, solo li addito a tutti: guardate! E possa il sentimento che v’ispira la loro vista esser simile a quello che ispirano a me.
Oggi, dopo il primo rancio c’è stata adunata di batteria. Il capitano ha tenuto un discorso d’occasione ed ha indi dispensato i diplomi delle croci al merito di guerra. Io ho avuto il mio; mi dispiace ma non è inserita nessuna motivazione.

5. - Stamattina, prima del rancio, c’è stata l’adunata di tutto il gruppo, in un prato situato dietro una cartiera rovinata. Il comandante di gruppo, magg. Zaccaria, ci tenne un discorso d’occasione.
E l’occasione era tale quale non se ne presentano due nella vita d’un uomo che ben difficilmente. Un oratore avrebbe potuto suscitare qualsiasi affetto, commuovere ogni sentimento. Ciò non seppe fare il nostro maggiore.
Dopo il rancio sono andato a far una passeggiata a cavallo, ma è stata brevissima.
Gl’incidenti non mancarono. Costeggiavamo un canale, cercando un punto ove fosse possibile attraversarlo e, non avendolo trovato, si continuava la strada per passarlo su di un ponte. Ma Ricci e Bertoia vollero tentare il guado con il Ten. Taragoni e qualche altro: e vi riuscirono. Ma siccome tutti i cavalli non avrebbero potuto passare, così Ricci e gli altri dovettero pensar a tornar indietro. Nel discender nel canale Bertoia cadde da cavallo e s’inzuppò d’acqua fino alle anche. Ricci, nonostante la cattiva prova data dal compagno, volle passare e ..... cadde naturalmente in acqua ....fino al collo. Io di sulla sella del mio brocco me la ridevo a crepapelle.

6. - Felice l’uomo che ha una fede! Colui che crede di essere al mondo per raggiunger un fine qualunque, non ha altro pensiero che tenda a quel fine e quando non faccia niente di contrario alle leggi che ve lo conducano, ha raggiunto il massimo della felicità. Felice l’uomo-bestia, che non ha altri pensieri che materiali e non chi culla il soddisfare i suoi appetiti più bassi. Disgraziato colui che è alla ricerca dello scopo della sua vita e non riesce a trovarlo. Quest’uomo finirà col maledire il momento nel quale è nato o guarderà con invidia le bestie, e finirà col creder che l’ignoranza è il massimo bene dell’uomo.

13. - Da alcuni giorni abbiamo lasciato S. Giacomo di Vittorio Veneto, per iniziar una marcia che ci dovrebbe condurre a Trieste, secondo quanto si dice. La prima tappa l’abbiamo fatta a Volpago, dove siamo giunti a tarda sera.
Il giorno dopo siamo partiti per Treviso, ove siamo ancora, sempre in pendenza per partire.
Treviso acquisterà ben presto tutto il suo movimento, la sua animazione, in pochi giorni ha già fatto un bel passo.

16. - Iersera, poco prima delle venti, è venuto l’ordine di sgombrar subito subito le camerate per ceder il posto a parecchie migliaia di prigionieri nostri liberati che già cominciavano ad arrivare; noi per la notte ci si sarebbe arrangiati. In un batter d’occhio la camerata era in subbuglio: grida, urli, lamentele, proteste. Io riuscii a ficcarmi nel magazzino foraggio, dove ho passata la notte discretamente bene.
Stamane di buonissima ora gran parte dei prigionieri sono partiti: ne sono rimasti un paio di migliaia. Bisogna vederli, povera gente, in che stato sono ridotti. Hanno tutti un colorito olivastro, o sono addirittura pallidi come morti. In loro ogni foggia di vestire. Se ne vedono vestiti, come arlecchini, di rattoppature. Qui un cappellaccio dalle larghe tese polverose, contrasta con un fez, calato giù fino alle orecchie. Pantaloni e giubbe d’ogni colore, d’ogni forma; piedi scalzi, o calzati miseramente di un po’ di sacco, o di zoccoli rozzi, o di stivalucci che non stanno più insieme. E poi pastrani di carta, sacchi della stessa materia, cassette enormi vuote; di tanto in tanto qualche poverino vestito con abiti in parte femminili. E il tutto d’una sporcizia lurida. Questi poveretti hanno fame, tutti......

17. - Stavo tranquillamente facendo il chilo in cucina, quando è venuto Prada a chiamarmi con premura: “Trighiera, vieni: c’è tuo cugino là all’osteria dirimpetto; un caporalmaggiore ....”
Dopo pochi istanti abbracciavo Dialma.



1918
DICEMBRE

4. - Oggi è la festa dell’artiglieria e noi l’abbiamo celebrata entro il limite della possibilità. Stamattina abbiamo avuto la carne in umido con patate e stasera riso asciutto più un litro di vino per ogni individuo. Pure in batteria molti sono malcontenti e ne hanno d’onde. Infatti il nostro capitano ci offre di tanto in tanto qualche cosa, ma di denari ricavati dai bossoli non si fa mai parola ..... e intanto si sa che sono diminuiti a precipizio (da 5000 lire sono discesi a cinque o sei centinaia). Ora succede che ogni po’ di tabacco, ogni po’ di vino offerti dal capitano, fanno l’effetto di polvere che si voglia buttar negli occhi dei soldati.

5. - Oggi abbiamo fatta una breve ma dilettevole gita a cavallo. Abbiamo percorso un bel tratto di strada alla carica. Il cavallo, se si vuole, è molto lento specialmente se confrontato agli odierni mezzi di trasporto; ma nessuno di questi sa dare quell’ebbrezza della velocità che dà il cavallo.

9. - Iersera avevo contato d’andar a salutar mio cugino, prima di lasciar Treviso; ma avevo fatto i conti senza l’oste. Il Capitano, prima del II° rancio mi chiamò, mi comandò di preparare la mia roba, ché sarei andato col camion dell’83 per preparare la prima tappa a Oderzo. Cominciava a far buio quando entrammo in questo paese. Trovammo subito gli alloggi per la batteria, indi pensammo a noi. Un borghese ci offerse la sua cucina con la stufa per dormirvi: vi passammo abbastanza bene la notte. Oggi è arrivata la batteria.

14. - Tranne l’ultimo giorno, sono sempre andato avanti a preparare le tappe: il 10 a Panigai, l’11 a S. Giovanni di Casarza. In questo paese abbiamo mangiato discretamente in una casetta di borghesi. Qui comincia il dialetto friulano.
Il giorno 12 siamo giunti a Piavan Schiavonesco. Qui ho trovato da dormire pei due giorni che siamo stati fermi, nella casa di una gentilissima signora, insiema ad Armanni.
Ora siamo a Gagliano a due chilometri e mezzo da Cividale.

18. - Da tre giorni vado con una ventina d’uomini della batteria a pulire le strade a Firmano.

25. - Natale! Quante cose dolci e tenere dice questo giorno in ogni cuore ben nato! E quanto più dura si sente oggi la lontananza della famiglia. Spero che vorrà esser questo l’ultimo Natale che passerò così pallido d’affetti famigliari.
La giornata, per accrescer la tristezza, è carica di neve ai monti e di vento e di pioggia qui al piano.
Una famiglia c’ha dato ospitalità oggi (dietro pagamento, beninteso), ci ha fatto una bella polenta. Polenta e carne sono state quest’anno le vivande che hanno allettato la nostra mensa di Natale!

27. - Da alcuni giorni continua un freddissimo vento da nord-est. I monti sono carichi di neve.


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(Batteria di cannoni sul Grappa)



1919
GENNAIO

1. - L’altrieri a mezzogiorno, mentre stavo in camerata a leggere un capitolo del Don Chisciotte, è venuto Arnianni a chiamarmi in tutta fretta, ché mi voleva il capitano. Corsi in cortile, dov’era, e mi presentai.
“Vuoi andare a Trieste?” sono state le prime parole che mi ha rivolto con un sorriso. Io sulle prime, a una domanda tanto inaspettata, son rimasto confuso un poco; poi gli ho risposto: “Magari”, raggiante di contentezza, come chi vede avverarsi un bel sogno che da tanto tempo gli covava nell’anima. E subito, come per incanto non mi sono più ricordato del raffreddore che mi ha procurato il vento degli ultimi giorni e del mal di capo che mi tormentava. Dovevo prelevar dei chiodi per la ferratura cavalli e portar al cambio una bicicletta. Sono partito con un carro della batteria per montare sul treno che passa per Buttrio. Alle 15 e mezzo, accompagnato da Friso, ero già in moto verso la sacra città redenta.
La linea che ho percorso passa per Cormons - Gorizia - Sdraussina - Trieste. Gorizia è in rovina, ma non lascia una cattiva impressione, come di città che deve infallibilmente risorgere.
Il viaggio non ha avuto incidenti notevoli. Nella carrozza dov’ero io, parlavano animatamente due soldati goriziani, volontari di guerra. Più tardi ne vennero altri due dei quali non so altro se non che m’intronarono le orecchie, per buona parte del viaggio, con sgangherate canzoni cantate da sgangheratissime voci. Finalmente in una stazione prima di Miramare, salirono tre bambini che andavano a Trieste pur loro e che continuarono a cinguettare fin che non v’arrivarono. A Miramare m’indicarono in che direzione era il castello, che non si poteva vedere per l’oscurità, e me ne decantarono le bellezze.
Ma ecco che c’avviciniamo sempre più a un gran fascio di luci: Trieste! Il treno entra nella stazione, come in una galleria di luce, larga, benché un poco corta, ma certo bellissima. Usciamo in città e vi trioviamo un’animazione molto notevole. Giriamo per più d’un’ora per le vie larghe, tra quei palazzi altissimi, in cerca d’un alloggio per passarvi la notte. Ma l’ora è tarda e tutti gli alberghi sono pieni e non è educato rivolgersi ai privati. Ci riduciamo a dormire al comando di tappa, in via Campo Marzio, sulle nude tavole. Ma che importa? Si respira a larghi polmoni un’aria aromatica, si ammira dall’alto tutto quello che si può vedere e si è sotto l’impressione d’esser in una città di sogno. La notte è lunghissima e piovosa; ma finalmente spunta un mattino che, benché carico di nebbia, ci lascia vedere tante bellezze della sacra città.
La prima cosa che vi si presenta agli occhi è il porto, larghissimo, con un’acqua limpida come il cristallo, azzurra più del cielo. Le navi ancorate nel porto sono numerose e ne vanno e ne vengono ogni momento.
Gli alberi danno la triste impressione d’una selva malamente sfrondata su un tappeto verdissimo, ondeggiante lievemente alla carezza del vento. Di navi ce ne sono di tutte le dimensioni dalla gondola, al conotto; dal vaporino al barcone a vela; dal grosso bastimento che porta ancora le vestigie dell’ingegnoso mascheramento che gli ha fatto adottare la guerra, alla severa nave da guerra. Lo scalo va da un capo all’altro della città; la quale a sua volta si stende su di una larga spianata e sale snella e graziosa fin sulle colline che fronteggiano il mare.
E’ monumentale: vie spaziose e diritte, palazzi architettati magnificamente sembrano colossi che abbiano pure una sveltezza giovanile; negozi aperti e animati. Gli abitanti, almeno quelli con i quali ho avuto occasione di parlare, che non sono meno di una trentina, d’ogni condizione, se non parlano italiano, parlano il pretto veneto e sono gentilissimi. Molti ai quali ho chiesto qualche indicazione, mi hanno voluto accompagnare fin sul luogo del quale chiedevo.
La vita è molto migliore di quella di altre città, perché qui si trova ogni cosa; ho mangiato perfino il pane bianco del tempo di pace. Il tabacco ha un costo molto basso.
Dopo aver fatto i fatti miei, (e c’è voluta quasi l’intera giornata, in causa della burocrazia che va man mano impadronendosi anche delle amministrazioni militari), ho pensato al ritorno.
Iersera alle 10 e mezzo ero a Buttrio e passavo la notte alla stazione, perché il tempo era piovoso. Stamattina, sotto la pioggia ho fatto a piedi i dodici chilometri che separano Gagliano da Buttrio; sono stanco morto, ma sono contento e conservo come un tesoro la visione della sacra città, pupilla dell’Adriatico.
In data d’oggi sono stato promosso sergente con Ricci e Brenna. Stasera andrò alla mensa che il Capitano ci ha autorizzato ad istituire.

2. - Dopo mezzogiorno sono andato fuori a cavallo, con la Wanda. Non ho mai montato una cavalla così dura di bocca; non c’è verso di fermarla o di guidarla se non facendole la sega in bocca. Ma però ha una carica così veloce e leggera che par di volare, quando galoppa.
C’ho tutte la gambe indolenzite.

3. - Iersera, tornando dalla mensa, abbiamo saputo che il Ten. Taragoni, ammalato da parecchi giorni, era aggravato. Più tardi è caduto in delirio e chiamava tutti i suoi soldati e li incitava al combattimento, e si diceva altero di comandarli .....
E’ ammalato di orchite, una delle più dolorose malattie veneree. Oggi l’ho visto caricare sull’auto-scala, per condurlo all’ospedale: è sfatto. Il dolore e alcune punture di morfina gli hanno dato un leggero sorriso da ebete. Lasciava fare senza dar segno di conoscer nessuno; ma quando è stato posato sul camion, coperto da un largo tendone, parve riacquistare la conoscenza e si è fatto più aperto il sorriso, sulla faccia emaciata, quando noi ad uno ad uno ci accostammo a dargli un commosso saluto e un fervido augurio. Il camion è partito con la lentezza di un carro funebre.
Una commozione profonda si è impossessata di me nel vedere tanto dolore in una giovinezza prima così florida, tanto più che un affetto profondo mi legava al tenente che ha condotto la batteria ai maggiori pericoli.

8. - L’infiacchimento del pensiero dei nostri giorni, in confronto dei tempi passati, è dovuto a parecchie cause delle quali le prime sono, a mio parere, queste: 1) la grande rapidità di comunicazioni tra paesi e paesi e la conseguente rapidità della vita; per cui un uomo non può soggiacere lungo tempo a un’impressione e perciò non la può esaminare a fondo; 2) il tabacco ha pure una grande influenza, non il suo veleno, perché toglie la lucidezza del pensiero; 3) la corruzione della vita. Ai nostri giorni novantanove su cento persone, non hanno altro scopo della vita che il piacere materiale più basso. Di qui la grande degenerazione della nostra razza e gran quantità di malattie. Nè vale il dire che da queste due ultime cause c’è pure qualcuno che riesce a preservarsi; perché nessuno potrà mai andare incolume dalle eredità ataviche, più o meno rilevanti, che lasciano sempre quei due vizi degradanti.

10. - Iersera è stata inaugurata la casa del soldato per il nostro gruppo in un locale scolastico quasi fuori dal paese. C’è stata una cartolinata con la distribuzione di tre premi, poi un discorso dell’ottimo magg. Ravagli. Di molte cose ha parlato e tra le altre anche della recentissima visita di Wilson all’Italia
(nota 12). Ha voluto concludere che noi, tra gli alleati, siamo quelli che interpretano più da vicino il pensiero del grand’uomo: e forse è vero.

14. - Succede che dopo una grande delusione, i giovani sentono tutta la società pesar loro in tal modo, che volentieri la lascerebbero. Questi sono gl’inciampi dei primi passi che ognuno muove verso la vita reale. Fortunatamente questo sdegno contro l’umanità sbollisce presto; altrimenti vedremmo i boschi, i deserti e le pianure abitati da tanti misantropi, quanti erano gl’innamorati dei quali li popolavano gli Arcadi. Pure c’è qualcuno che dopo quella delusione vive tutto a sè anche in mezzo alla società. E si forma idee proprie, modo di vita propria e conserva un disprezzo profondo contro la più nobile istituzione umana: la famiglia. Ne vede tutti i mancamenti e sarà gran cosa se un giorno vorrà sposarsi.

15. - Tutti, compresi i più libertini, lamentano ai nostri giorni la gran corruzione della donna e non s’accorgono che il male procede direttamente da loro. Infatti c’è una legge sociale che perdona non solo, ma spinge l’uomo al godimento lussurioso; mentre invece la donna disonesta è macchiata d’infamia. Ma perché questa diversità di trattamento? E’ forse la donna di una carne diversa da quella dell’uomo? O non è forse più debole?
Con questo non vorrei che si perdonasse la donna disonesta, come si fa con l’uomo; ma vorrei piuttosto che l’uomo fosse disprezzato come si fa con la donna, quando non sa domare i suoi bassi istinti. Molti sono coloro che credono di non potersi assolutamente tenere: ciò è falso. Se l’uomo si giova della sua volontà e sfugge per quanto gli è possibile qualsiasi contatto con la donna, riesce a vincersi, sempre. Il male si è che pochi sanno praticare quanto ha detto, se non prendo abbaglio, S. Filippo Neri: “alla guerra del senso, vincono i poltroni che fuggono.”

16. - Il matrimonio riunisce indissolubilmente l’uomo alla donna. Questa unione fa dei due contraenti una cosa sola; cosicché anche la libertà personale è limitata. Il disonore che cade su di un membro, cade necessariamente anche sull’altro. Io credo che se molte volte non agisse l’interesse o se l’amore non fosse cieco, ben pochi sarebbero coloro che unirebbero la loro sorte a quella d’un’altra persona, almeno nella più giovane età. Invecchiando si sente più la solitudine ed alletta il sogno di una quieta vita famigliare; dico sogno, perchè troppo di rado si traduce in realtà.

19. - Dopo il desinare d’oggi, ci siamo uniti in quattro per fare una passeggiata sulle colline che stanno di fronte al Corada. La giornata è stata primaverile: cielo limpido, sole tiepido, natura germogliante. E ci siamo divertiti. E’ sopratutto piacevole in montagna la vista dell’immenso paesaggio che ci si offre allo sguardo.

27. - Durante l’ultimo decennio il nostro popolo, e precisamente quella gran maggioranza che vende il proprio lavoro dietro un compenso giornaliero, ha avuto un grande impulso verso un miglioramento morale ed economico. E’ assai diminuita la pressione del ricco sul povero, e anzi è parità del tutto dal lato morale; tanto che ogni lavoratore d’oggi non vuol conoscere che diritti ed è sottoposto al padrone solo per la paga che ne ritrae.
In questo avanzamento della classe più povera della nazione, mi par di vedere un grande progresso verso una fratellanza migliore. Ma il miglioramento morale ed economico vorrebbero essere accompagnati da quello intellettuale: altrimenti si risica di condur la classe verso l’anarchia, com’è avvenuto di recente in Russia. E l’istruzione, disgraziatamente manca al nostro popolo. La classe lavoratrice ha bisogno del discernimento necessario per non lasciarsi abbindolare dal primo demagogo da piazza, per conoscere nettamente quali sono i suoi veri interessi, in confronto a quelli di tutte le altre classi. Altrimenti le può succedere quello che avvenne al celebre Barco che, per impossessarsi d’un orecchino del compagno Marco, lo uccise in un disperato duello. Ma quando gli strappò la bramata gioia e fece per ornarsene un orecchio, s’accorse che nell’incontro aveva perso ambedue i padiglioni. Cosa gli giovava oramai, essersi circondato di desolazione, aver ucciso un compagno, se non sapeva più che farne dell’orecchino. E cosa gioverebbe alla classe lavoratrice, impossessarsi delle ricchezze nazionali, inetta com’è ad amministrarle?
Il più buon rimedio contro l’invecchiamento di questa classe che s’intesta a non veder altro che diritti, in attesa d’un grande divulgamento all’istruzione, sarebbe il favorire una straordinaria diffusione della piccola proprietà, non solo campestre, ma anche operaia. Ogni uomo che lavori in un’officina propria o su una pezza di terreno sua, vive quietamente, impara a conoscer molti doveri. Così, ad esempio, come esige il rispetto della sua proprietà, impara a rispettare quella altrui.
Si potrebbe obiettare che se tutto questo è possibile, entro un certo limite, per la classe agricola, non lo può essere allo stesso modo, per le classi operaie, per il fatto che le grandi industrie moderne hanno bisogno più d’immensi stabilimenti che di minuscole officine: e va bene. Ma anche a questo può esserci rimedio. Si dia all’operaio un compenso adeguato al proprio lavoro, una responsabilità su ciò che produce; gli si dia una percentuale sui guadagni. In tal modo ogni stabilimento sarà una piccola società che lavora e produce per identici interessi e sparirà la causa d’ogni attrito con chi dirige la produzione. Nè vale il dire che il padrone arrischia il capitale e perciò ha diritto alla massima parte degl’interessi. Si accontenti d’una buona percentuale, prima che le masse operaie non gli rimbrottino la sua proprietà come un furto.



1919
FEBBRAIO

15. - Ieri è arrivato Filippini dalla licenza e, con le buone nuove de’ miei, mi ha portato un po’ di roba. A sera ci siamo riuniti in quattro o cinque, abbiamo mangiato e bevuto qualche cosa e abbiamo passata, insomma, una serata molto allegra. Specialmente io ho provato una gioia così intima, profonda e interna, quali di rado si provano, per varie ragioni. Prima perché sapevo i miei tutti sani; in secondo luogo perché spero di poterli abbracciare presto; e per ultimo (e perché non dirlo?) per il fatto che avevo qualcosa da offrire ai compagni. Sicuro, io son fatto così: quando accetto qualche cosa da altri faccio uno sforzo, sempre, per quanto sia ben disposto l’offerente; quando offro invece provo un intenso piacere. Forse sarà orgoglio il mio, ma è superiore alle mie forze il liberarmene.

19. - Ieri sera è accaduto un guaio. In un’osteria del paese il soldato Bevilacqua ha riportata una larga e profonda ferita d’arma da taglio sulla guancia destra e sul naso. Stamattina il ten. Taragoni (non so con quale diritto) ha fatto arrestare il feritore additato dal Bevilacqua stesso e dal Maresciallo ch’è stato il primo ad accorrere in soccorso del ferito. Il feritore è un giovanotto del ‘900, ben formato con due brutti occhi di carbone. E’ stato chiuso in un sottoscala in attesa che venissero a prenderlo i carabinieri, da Cividale. Quando sono arrivati e l’hanno interrogato egli ha risposto con una franchezza meravigliosa. Secondo lui sarebbe stato Bevilacqua a rincorrerlo col coltello; egli sarebbe caduto e l’altro, cadendogli addosso, si sarebbe ferito. Ora attenderemo il processo, che può riserbarci delle belle sorprese.

20. - Oggi abbiamo fatto il primo esperimento per spegnere eventuali incendi alle baracche. E’ riuscito una vera ..... carnevalata, per non dirla buffonata addirittura. Io non riesco a capire come della gente che dovrebbe avere del buon senso, possa credere all’utilità di tali perditempi. Far delle catene di secchielli dove non c’è acqua, metter una squadra d’uomini con le pale pronte per buttar terra sul fuoco, quando manca la terra; metter un’altra squadra di “guastatori”, quando in caso d’incendio con delle baracche di legno, non ci sarebbe altro da fare che cercare di salvarsi in fretta e salvar, se è possibile, anche i cavalli; può sembrar il sommo del ridicolo. Eppure bisogna veder quella tal gente che dovrebbe avere del buon senso, non che serietà da caricatura, assistere alle .... rappresentazioni! E io rimpiango appunto di non essere caricaturista.

27. - Stamattina siamo partiti da Gagliano con tutta la batteria, verso una destinazione finora ignota. La partenza non è stata troppo allegra e non perché a Gagliano si lasciassero de’ rimpianti, ma solo perché è piuttosto raro esser disposti ad abbandonare un posto comodo per andar verso l’ignoto.
Stasera siamo in un paesetto vicino a Pavian-Schiavanesco. Si ripartirà subito domani.

28. - Verso le 15 abbiamo raggiunto Romans il paesetto ove abbiamo gli alloggi. Io mi ci sono trovato subito assai bene. Ho i miei cavalli separati dagli altri, nella prima casa entrando in paese.



1919
MARZO

14. - Questi pochi giorni me li sono passati molto bene. La popolazione di Romans è molto buona e ha una benevolenza particolare per i soldati. Stamattina, lasciando il paese per un gruppo di case (Catocce) la mia batteria ebbe molte manifestazioni di simpatia da parte della popolazione. Anch’io ero commosso nel salutare la buona famiglia che abita dove avevo i cavalli. Mi dispiace sopratutto lasciare Augusto, un frugoletto di due anni e mezzo che mi si era affezionato.

16. - Oggi il nostro capitano ci ha radunati e ci ha detto brevi parole di saluto. Infine ha voluto stringer la mano a tutti. Egli partirà domani per continuare i suoi studi. Infine ha distribuito vari premi ai soldati.

24. - Oggi è accaduta una disgrazia. Mentre stava scaricando un proiettile da 87, l’operaio Gatti, non si sa come, prendendo in mano il detonatore, gli venne a scoppiare. “Mamma mia, sono rovinato!” è stato il suo primo grido straziante. L’ho visto venire avanti, sorretto da due compagni, tutto insanguinato. L’esplosivo gli ha troncate tre dita in una mano e due nell’altra. Egli non dava segno di sentir nessun dolore: solo si spaventava guardandosi le mani così miseramente mutilate. E’ stato condotto all’ospedale.

29. - Fuori un vento impetuoso con rovesci di pioggia, nella notte che cominciava ad inoltrarsi. Dentro, ove abbiamo la nostra mensa, allegria pazza. Perché? Un nostro compagno, Casella, doveva partir iersera stessa, con la licenza illimitata. Si partì tutti per accompagnarlo alla stazione di Codroipo; poi, data l’ora ancora presta, si andò a Bianoso a bere un bicchiere. Il camion era invaso da un coro di voci molto ambigue, ma tutte potenti. Giunti a Codroipo sul tardi, andammo al caffè della stazione. Qui trovammo due povere donne, di cui una ammalata, e un bambino. Erano profughi e tornavano al loro paese, Muscletto, dopo un viaggio disastroso. Erano arrivate a Codroipo quella sera e si erano subito rivolte ai borghesi per ottener una vettura che le conducesse al loro paese. Pare incredibile, nessuno volle muoversi, nemmeno dietro una ricompensa vistosissima. Queste due povere donne, dietro la minaccia di dover passar quella notte da lupi all’aperto, si rivolsero a noi perché le conducessimo al loro paese col camion. Ma il camion non aveva benzina a sufficienza. Il maresciallo allora offerse la sua stanza alle Catocchie e le poverette, benché con un po’ di diffidenza, come ebbero a dirmi più tardi, accettarono. L’ammalata l’abbiamo trasportata di peso sulla vettura, poi si è partiti. Alle Catocchie tutti ci siamo dati d’attorno per procurar branda, coperte; finché furono accomodate discretamente bene.
Stamattina è venuta una carrozza a prenderle. Di che cuore ci hanno ringraziato!

30. - Stamattina finalmente una parte della batteria lascerà le Catocchie per tornare a Romans. Io sono compreso nel numero dei fortunati.



1919
AGOSTO


4. - Com’è passato tutto questo tempo? C’è stata in mezzo una licenza di 20 giorni, e del resto, monotonia. In giugno siamo andati a Orcenico inferiore e siamo tornati qui a Romans pochi giorni fa. Laggiù abbiamo fatto un monte di lavori agricoli: e c’era per noi il passatempo d’andar a sorvegliar l’esecuzione. Abbiamo avuto per breve tempo un capitano a comandar la batteria: Corti, di Roma. Nient’altro.

L’ambiente forma l’uomo. Ecco una convinzione che va grado grado impossessandosi di me.



  • 4° pezzo
    Moschetti consegnati
    Nomi dergli uomini Matrici dei moschetti
    - Palmieri - 1437
    - Pagnoni - 1598
    - Aiello - 1470
    - Merlini - 1447
    - Pozzi - 1502
  • 4° pezzo
    Serventi Conducenti
    - Serg. Trighiera - App. Moccia
    - CM Iannotti - App. Eliseo
    - Sold. Pagnoni - Sold. Venturin
    - Sold. Palmieri - Sold. Scandroglio
    - Sold. Merlini - Sold. Zuglian
    - Sold. Friso - Sold. Pozzi
    - Sold. Aiello
    - Sold. Suriano

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    Pagina di presentazione
    Diario, Aprile 1918-Agosto 1919
    Note al testo