Le
leggende della Romagna
La leggenda
sulla chiesa di S.Giovanni Evangelista
Il mosaico dell'abside (e cioè della parte posteriore all'altare) della
Chiesa di S. Giovanni Evangelista, fatta edificare a Ravenna nel secolo V da
Galla Placidia, sorella dell'imperatore Onorio, raffigurava una nave che,
guidata in mezzo alla tempesta da San Giovanni Evangelista, trasportava la
stessa Galla Placidia e i suoi figli Valentiniano III ed Onorio verso Ravenna.
Quella Strana raffigurazione ebbe origine..........
"... Nel
424, mentre Galla Placidia tornava da Costantinopoli a Ravenna per assumere, in
seguito alla morte del fratello Onorio, la reggenza a favore del figlio
Valentiniano III, la nave fu sorpresa da una tremenda burrasca.
Per qualche tempo ella fece animo ai naviganti poi, cresciuta la tempesta e
visto ormai imminente il pericolo di calare a fondo, Galla Placidia, abbracciati
i due figlioli, si gettò in ginocchio sul ponte, levò gli occhi al cielo e
gridò: - O beato Giovanni, che sei stato pescatore e hai conosciuto le più
furiose tempeste, aiutaci! Nella mia Ravenna io innalzerò in tuo onore una
Basilica meravigliosa, degna del tuo santo nome. Aiutaci! -
Inginocchiati intorno a Galla Placidia, tutti pregavano con lei.
Ed ecco, quasi d'improvviso, il vento cadde, il mare si quietò e la nave
arrivò sana e salva in Italia.
Giunta a Ravenna, Placidia sciolse il voto, facendo erigere al Santo la
bellissima chiesa."
Il mosaico raffigurante la tempesta andò poi
distrutto nel secolo XVI, così cole andò distrutto, durante i bombardamenti
dell'ultima guerra, il portale, sul quale era raffigurata in marmo, la "leggenda
del sandalo"
"... Una
notte Galla Placidia e San Barbiziano pregavano nella chiesa, appena costruita,
quando furono colti dal sonno. Ed ecco che a Barbiziano subito apparve, in
sogno, un vecchio tutto vestito di bianco che reggeva un incensiere d'oro e
benediceva l'altare.Barbiziano si destò e, con suo stupore, si accorse che la
visione rimaneva. Svegliò, allora Galla Placidia e tutt'e due si prostrarono in
adorazione davanti al vecchio, convinti che si trattasse dell'apostolo Giovanni.
Ma quando, poco dopo, levarono gli occhi, la visione era scomparsa. Di essa, sul
pavimento davanti all'altare, era però rimasto qualcosa: un sandalo...."
Da contadino a capitano di
venura
Una sera dell'anno
1382, Giacomo Attendolo, detto anche Muzzo o Muzio (da Giacomuzzo) se ne stava,
in Cotignola, terra di Romagna, zappando tranquillamente il campetto paterno,
quando udì il suono di un piffero e di un tamburino. Erano soldati di una
compagnia di Ventura italiana che, mandati in quei dintorni a far nuovi
volontari, cercavano di chiamar gente.
Infatti Muzio vide, dietro di loro, alcuni suoi compagni già arruolati. Questi,
avvicinatosi a lui, gli dissero: -O Muzzo, fatti soldato e vieni con noi a
cercar fortuna! Animo, via la zappa!- Muzio allora scaglio' la zappa sopra una
quercia vicina, deciso a riprenderla per sempre se fosse ricaduta e a farsi
soldato se essa fosse rimasta in alto. La zappa non ricadde.
Venuta la notte, Muzio sottrasse un cavallo al padre, fuggì da Cotignola e
raggiunse l'accampamento. Era ancora giovanetto e un uomo d'armi di Spoleto lo
prese in qualità di ragazzo, cioè di paggio.
Dopo due anni, Muzio ritornò a rivedere i genitori. Nei giorni che seguirono,
però, non parlava che d'armi e di soldati. e con tale entusiasmo che il padre
gli disse: - Sii dunque uomo d'arme, figliolo mio! Lascia il campo, va' per la
tua strada e fa' fortuna. Gli comprò delle armi e quattro cavalli e così Muzio
ritornò alla milizia. Voleva vincere, voleva dominare ed era tanto violento che
tutti lo chiamavano per soprannome lo Sforza.
Lo Sforza, con la sua banda romagnola, andò ad ingrossare la Compagnia di San
Giorgio, al comando del grande Alberico da Barbiano e composta tutta da
Italiani, i quali avevano insieme giurato di non voltar mai le spalle agli stranieri.
Costoro vinsero in più di un luogo i mercenari brettoni, francesi, tedeschi,
spagnoli ed inglesi e mostrarono che presso gli Italiani non era spento l'antico
valore.
Il Passator cortese
Siamo
intorno alla metà del secolo scorso. Notte di festa a For1irnpopoli quella del
25 Gennaio 1851... Per l'occasione, le migliori famiglie della cittadina
romagnola, le più agiate, si sono date convegno al Teatro Municipale per
assistere alla rappresentazione della " Lucia" di Gaetano Donizetti.
Luci fastose, fiori, ragazze in abiti vivaci, austere dame che si portano
l'occhialino alla punta del naso, gentiluomini in frac che chiacchierano
amichevolmente, passeggiando su e giù per il ridotto...
Poi, a poco a poco, le luci si spengono, si fa silenzio, tutti si raccolgono in
ascolto. Là in basso il maestro d'orchestra ha sollevato la bacchetta . . . Ha
inizio il preludio della "Lucia". Ogni sguardo è in attesa che il
sipario si alzi, ogni cuore si pregusta la gioia dello spettacolo....
Ma che cosa appare agli occhi esterre fatti degli spettatori, appena la grande
tenda di velluto rosso si solleva? Venti giovanottoni dai baffi ispidi, il
berrettaccio calato sulla fronte, che, levato ciascuno il proprio fucile,
puntano tranquillamente l'arma verso il pubblico.
Di colpo, il maestro d'orchestra alza le braccia e lascia cadere la bacchetta,
mentre un'ondata di terrore attraversa il salone semibuio. Dapprima timidamente,
quindi via via sempre più chiaro, si sentono voci bisbigliare: - Il Passatore.
. . il Passatore . . - il Passatore. -
Sì, e proprio lui: il Passatore; il brigante che da qualche tempo terrorizza
tutti con le sue gesta...Ed ecco che egli fa un passo avanti: una mano sul
calcio del fucile e l'altra sul fianco, saluta garbatamente a destra e a
sinistra.
- Signori miei - dice quindi con una bella voce, chiara e robusta, - sarò
breve, ma fate attenzione.
Si toglie di tasca un foglio, lo apre e continua: Leggerò, a uno a uno, i
vostri onorati nomi. Così uno alla volta, scortati da due delle mie guardie,
andrete a casa a prendere il denaro che vi dirò. Non spaventatevi, non chiedo
troppo. In meno di un 'ora desidero qui cinquantamila scudi. Cinquantamila in
tutto. Non è Poi tanto, vero?
E al Povero pubblico non resta che ubbidire.
Chi era
questo Passatore? Chi era questo signore che si permetteva di penetrare in un
teatro pieno di gente e di dare ordini così temerari a degli onesti cittadini?
Si era, come ti ho detto, nel 1851, e quindi in pieno clima di indipendenza.
Presto io straniero avrebbe dovuto far fagotto e lasciare gran parte dell'italia
Settentrionale. Ovunque si parlava di Societa Segrete, ovunque erano patrioti.
Ma il Passatore, benchè molti lo credessero tale e benchè si divertisse un
mondo anche a giocar brutti tiri agli Austriaci, non era affatto un patriota,
bensì un semplice brigante che si dilettava a dimostrarsi gentile o crudele,
scaltro o compiacente, generoso o no, secondo il vento che tirava.
Era capace di seminare il terrore nelle case o di svaligiare banche e diligenze,
così com'era capace di dar buoni consigli ai ragazzi che tentavano di avviarsi
per la sua strada, e di allungare del denaro a chi ne aveva più bisogno di lui.
Si trattava, in breve, di Stefano Pelloni, detto il Passatore, perchè da
ragazzo aveva aiutato suo padre Girolamo a traghettare passeggeri da una parte
all'altra del Fiume Lamone, nel comune di Boncellino, presso Bagnacavallo. I
suoi avrebbero voluto farne un sacerdote, ma poichè Stefano era ben lungi dal
desiderarlo, avevano finito col rinunciarvi.
Il primo passo che spinse Stefano Pelloni verso il brigantaggio fu una ingiusta
accusa. Incolpato d'aver incendiato una cascina, venne chiuso nelle carceri di
Bagnacavallo, di dove, però, riuscì a scappare.
E la domenica dopo, fu visto beato e tranquillo gironzolare per le vie di Pieve
di Cesato, dove c'era una festa. Qualcuno io canzonò? Qualcuno tentò di
denunziarlo? Fatto sta che a un tratto nella piazzuola scoppiò un parapiglia
con sassate e coltellate. Tutti si gettarono nella mischia, e fra i pù
scalmanati, inutile dirlo, c'era Stefano.
Disgrazia volle che una pietra da lui tirata, andasse a colpire una donna che
morì. Per Stefano era la fine: o lasciarsi prendere di nuovo e scontar la grave
pena, o darsi alla macchia. Scelse quest'ultima. Rimasto nascosto per un po',
formò quindi una banda che, per circa tre anni, prese per il naso sia la
gendarmeria pontificia, sia le truppe austriache.
Nato il 2 gennaio 1824, Stefano Pelloni morì il 23 marzo 1851, giovanissimo,
durante un conflitto coi gendarmi, a Russi. Molte furono le leggende che si
imbastirono sul suo conto. L'eco delle sue gesta, passato il confine, giunse
fino a Garibaldi, che in quel periodo si trovava a New York. L'Eroe dei due
mondi credette sinceramente che il Passatore fosse un patriota e che combattesse
per lIitalia. In una sua lettera da New York a un amico si leggono infatti
queste parole piene di entusiasmo per il bandito romagnolo: - Le notizie del
Passatore sono stupende: pare faccia prodigi . . . Noi ambiremmo essere suoi
soldati, non è vero?.-
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