Definire cos'è il Tai Ji Quan, o più comodamente Taiji Quan, non è impresa facile, soprattutto perché, come tutto ciò che è orientale e per giunta di antica data, ha caratteristiche tali da sfuggire al concetto stesso di "definizione" (che di per se stesso è di natura occidentale) inteso come "delimitazione", "inquadramento" entro i confini di una categoria. Per questo, forse, potremmo meglio cercare di cogliere la ricchezza di significati del Taiji Quan osservandolo da diversi punti di vista.

Un primo approccio ci permette di considerare il Taiji Quan come una serie codificata di movimenti da eseguire lentamente e con scioltezza, ma questa definizione lo limita a una specie di pratica ginnica prettamente corporea. I cinesi lo considerano Wushu, ovvero "arte marziale", tant'è vero che il suo nome significa "tecnica di combattimento a mani nude dell'essere supremo", e questo spiega almeno in parte le sue origini. La Cina è stata praticamente da sempre sconvolta da guerre sia di confine che interne, quindi si rendeva necessaria una tecnica di combattimento che fosse essenzialmente di auto-difesa in accordo alla mentalità cinese, a sua volta influenzata significativamente dalle principali religioni e filosofie di vita.

Il Taoismo, ad esempio, insegnava a interferire il meno possibile sia con la Natura che con gli altri uomini, mentre il Confucianesimo proponeva la continua ricerca dell'equilibrio (anche politico) e proibiva qualunque forma di sopraffazione, anche nei confronti del nemico, che non doveva mai venire eliminato completamente. Il Buddhismo, poi, con le sue regole basate sulla pietà e sulla compassione, influenzò grandemente la scelta delle tecniche belliche: il guerriero cinese, insomma, non dimostrava la sua forza nell'attacco, ma nella difesa, finalizzandola al ristabilimento di Tai Ping, ossia della "Grande Pace".

Tutto ciò spiega i motivi per i quali i militari godevano di scarso prestigio in Cina, al contrario dei loro vicini Giapponesi, e perché non hanno mai creato una vera e propria casta militare capace di influenzare nel bene o nel male il corso socio-politico del paese.

Se non esistevano caste militari, esistevano tuttavia delle famiglie, che si assumevano il compito di custodire, perpetuare e sviluppare i segreti e le tecniche di combattimento. Alcune di queste, le più importanti e tecnicamente valide, erano in grado di mantenersi economicamente solo con i proventi derivati dall'esercizio professionale della arti marziali. Fu all'interno di questa peculiare tradizione che intorno al XVII secolo fece la sua comparsa una nuova tecnica che poi prese il nome di Taiji Quan. Successivamente, con il mutare della condizione storica (praticamente con la fine della grande guerra tra i regni, fine dell'800 e inizi del '900), il Taiji Quan cominciò a diffondersi al di fuori dell'ambito marziale per diventare una disciplina psicosomatica e, oggi, uno sport molto popolare. In Cina è praticato da milioni di persone di tutte le età e di tutte le condizioni che abbiano o non abbiano interesse verso le arti marziali. Dagli anni '20 ha persino fatto il suo ingresso ufficiale nelle scuole, ma come in tutti i fenomeni di divulgazione, questo ha causato un impoverimento delle tecniche e sono stati via via aboliti tutti i movimenti di difficile esecuzione. Si noti che a proposito del Taiji Quan è d'obbligo l'uso del plurale: infatti non esiste una sola tecnica, ma tante "forme" quante sono le famiglie dalle quali nacquero e tante quante sono le successive riduzioni e variazioni apportate nel tempo.

Tuttavia, la vera chiave verso l'approccio più completo e globale alla comprensione del Taiji Quan passa attraverso la comprensione del concetto di "essere supremo" (Tai Ji) che permea la maggior parte della cultura cinese. I Cinesi non hanno un concetto di Divinità (un Dio supremo e creatore) come la maggior parte delle Religioni occidentali. Per loro il Dao, la Via, è il modo di operare dell'universo, ciò che dà vita a tutte le cose e ne governa ogni azione, in altre parole l'Ordine della natura. Per il Cinese, quindi, è importante adeguarsi a questo Ordine aspirando ad una vita longeva, una buona salute e una forma fisica perfetta, ma anche, in un modo che "noi" definiremmo olistico, ad un progressivo "sviluppo del sé". Partendo da una pratica fisica, infatti, e forse proprio per rispondere a quella prima esigenza di auto-difesa (possibile solo mediante una grossa padronanza delle proprie forze e un attento studio dell'avversario) il Taiji Quan si pone come importante e valida via di conoscenza interiore, di presa di coscienza delle energie e del loro fluire.

Per questo, il Taiji Quan trova numerosi e precisi collegamenti con le più moderne tecniche psicofisiche di sviluppo del sé, evidenziandosi come strumento attualissimo e utilizzabile da chiunque - senza riguardo di età, condizione, mentalità o credo - voglia imparare a governare la propria vita.

Il "maestro" di Taiji Quan, infatti, sarà colui che ha saputo trovare l'equilibrio tra le energie esterne e quelle interne, tanto da poter mirare alla vittoria sull'avversario senza dover combattere, inibendone l'aggressività fino a farlo desistere dal continuare la lotta. "Fare Taiji senza fare Taiji" questo è l'obiettivo più alto da raggiungere, che tuttavia presuppone lunghi anni di esercizio costante, mirante ad ottenere la presa di coscienza e il controllo di se stessi unitamente alla capacità di indirizzare la propria consapevolezza su ciò che si è in quel momento. Quindi di canalizzare la propria energia laddove serve, restando esternamente perfettamente calmi e immobili per non interferire con il movimento che deve svilupparsi e agire internamente.

In questo modo ognuno può imparare a conoscere i suoi punti di forza ma anche le sue debolezze; può distinguere fra ciò che è veramente e ciò che di sé si proietta all'esterno; può trovare la via verso il suo Sé e quindi verso il suo "destino".