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Variabilità genetica e problemi di rigetto
sollevano dilemmi di ordine etico e sociale

Una banca di cellule staminali che assicuri a tutti i gruppi etnici pari opportunità terapeutiche
richiede la creazione di nuovi embrioni per produrre le linee cellulari necessarie

RUTH FADEN ET AL.

a possibilità di curare malattie con terapie basate sulle cellule staminali ha suscitato un enorme interesse sia fra i ricercatori sia fra i malati. L’entusiasmo è però frenato dal fatto che, al momento, le staminali embrionali sono ritenute tecnicamente superiori a quelle derivate da altre fonti, quali il sangue del cordone ombelicale o i tessuti dell’organismo umano adulto. In questo contesto, le scelte politiche e normative riguardo alla ricerca sulle staminali si sono intrecciate con il dibattito etico sulla creazione e la distruzione degli embrioni, lasciando il legislatore alle prese con il dilemma, a quanto pare arduo, del valore morale dell’embrione umano. Il dibattito continuerà ma inevitabilmente proseguirà anche la ricerca sulle staminali, e sembra altrettanto inevitabile che, con il progredire delle conoscenze, sorgeranno ulteriori dilemmi etici e politici. Lo spostamento del fulcro delle ricerche dalla scienza di base allo sviluppo di applicazioni terapeutiche, ormai vicino, fa sorgere importanti questioni di giustizia sociale. La transizione è contraddistinta da un crescente interesse per l’istituzione di banche di cellule staminali, sia come strumento per aiutare la ricerca sia in vista dell’impiego di trapianti di materiale ricavato dalle staminali per la terapia di malattie come la sclerosi laterale amiotrofica, il morbo di Parkinson e il diabete. La creazione di tali banche solleva interrogativi riguardo a chi beneficerà delle banche stesse e delle loro applicazioni alla ricerca e alla terapia. Il primo dubbio è su chi avrà i mezzi finanziari per accedere alle terapie. Inoltre, dato che alcune paesi hanno vietato per legge l’impiego delle staminali embrionali, l’accesso alle terapie ricavate dalle linee cellulari conservate nelle banche, e in particolare da quelle di origine embrionale, potrà essere limitato da ostacoli legali. Un’ultima questione, l’oggetto di questo articolo è chi avrà accesso biologicamente alle nuove terapie. Come si vedrà, le stesse proprietà biologiche delle cellule staminali possono renderle meno utilizzabili per alcuni potenziali beneficiari che per altri. Questa situazione è stata da noi definita come il problema dell’accesso biologico. Se tale nodo non sarà affrontato con attenzione, un’eventuale banca statunitense delle staminali potrebbe favorire i cittadini bianchi, escludendo in qualche misura il resto della popolazione. Bisogna quindi chiedersi quale, fra tutti i modi possibili di strutturare la banca, sia il più equo.
Per il futuro, la promessa delle manipolazioni cellulari è la capacità di controllare il comportamento e le funzioni delle cellule. Nel frattempo, però, è plausibile pensare che verranno messe a punto terapie cellulari che prevedono la cura di malattie e traumi mediante il trapianto di cellule staminali o dei loro prodotti. Come per i trapianti convenzionali, uno dei più seri problemi che si profilano è quello del rigetto. Il rigetto immunitario è la ragione principale per cui una terapia basata sulle staminali potrebbe essere meno accessibile ad alcuni malati che ad altri.


Il rigetto e i trapianti autologhi

Il rigetto è legato alla nostra costituzione genetica, e specificamente all’insieme di geni che codifica per un tipo di proteine dette antigeni leucocitari umani (HLA, human leucocyte antigen). Le proteine HLA si trovano sulla superficie di pressoché ogni cellula dell’organismo, incluse le staminali, e svolgono un ruolo importante nel riconoscimento e nel rigetto da parte del sistema immunitario. I geni che codificano per gli antigeni HLA sono molti e di ciascuno ne possediamo due copie, ereditate una da ciascun genitore e situate su ciascuna coppia dei cromosomi. Fra i geni più importanti per il riconoscimento e la risposta immunitaria legata al sistema HLA ci sono HLA-A, HLA-B e HLA-DR. Questi geni sono altamente polimorfici, ne esistono cioè numerose varianti, ciascuna delle quali è nota come allele. Quando un individuo ha due alleli diversi, ereditati da ciascun genitore, è eterozigote per quell’allele. Ma se per caso entrambi i genitori trasmettono lo stesso allele per un dato gene, il figlio è omozigote per quell’allele, vale a dire che ne ha due copie identiche.
Gli alleli possono essere caratterizzati con diversi metodi, mediante esami sierologici o del DNA, e di solito sono denominati con codici numerici, come 0101. Individuare il tipo HLA di un individuo significa stabilire quali alleli possiede in specifiche posizioni sul cromosoma. Per la funzione immunitaria mediata dal sistema HLA sono particolarmente importanti tre posizioni: A, B e DR. Si dice che il donatore e il ricevente sono compatibili quando entrambi possiedono gli stessi alleli HLA-A, HLA-B e HLA-DR. In realtà anche altri geni del complesso HLA e non contribuiscono al riconoscimento e alla risposta immunitaria, sia pure con effetti minori. Quindi, anche quando fra donatore e ricevente si ha una compatibilità perfetta per HLA-A, B e DR, con la coincidenza di tutti e sei gli alleli, occorre comunque impiegare un certa dose di immunosoppressori. Il tipo HLA di ogni individuo dipende dalla famiglia da cui discende, tuttavia anche fra i membri di una stessa famiglia gli antigeni HLA variano. I gemelli identici hanno gli stessi antigeni HLA perché hanno ricevuto dai genitori lo stesso corredo genetico. I fratelli hanno all’incirca una probabilità su quattro di possedere uno stesso tipo HLA. Viceversa, non succede praticamente mai che genitori e figli abbiano HLA identici perché entrambi i genitori contribuiscono agli alleli dei figli e la probabilità che i due genitori abbiano lo stesso tipo HLA è irrisoria. Nel trapianto del midollo osseo e di alcuni organi solidi la corrispondenza fra il tipo di HLA del donatore e quello del ricevente è cruciale nel determinare l’accettazione o il rigetto del tessuto estraneo. Se si eccettuano i gemelli identici, trovare una compatibilità perfetta fra due persone è difficile a causa della natura altamente polimorfica degli alleli HLA. L’insieme di alleli che una persona possiede è detto aplotipo. Per chi ha un aplotipo relativamente comune, trovare un donatore compatibile può non essere difficile; per chi ha aplotipi più rari, il donatore idoneo può non essere disponibile. Si possono anche eseguire trapianti in cui non ci sia una buona compatibilità, ma è una scelta non ottimale perché in tal caso è necessario ricorrere a farmaci immunosoppressori a dosi più alte, con effetti collaterali più gravosi e complicazioni più frequenti. Alcuni dati fanno pensare che il numero di alleli HLA non corrispondenti abbia un effetto cumulativo nel determinare gli esiti negativi; i risultati, cioè, si fanno gradatamente da buoni a scadenti man mano che cresce il numero di alleli non corrispondenti.

Chi possiede aplotipi più comuni ha quindi maggiori probabilità di trovare un donatore compatibile - vale a dire, di avere accesso biologico alla terapia - e ottenere un trapianto di successo. È dimostrato che l’HLA è associato all’ascendenza geografica. Fra gli originari dell’Africa subsahariana, per esempio, si ritrova una maggiore varietà di tipi HLA che in qualsiasi altro gruppo geografico o etnico. L’ascendenza di un individuo può quindi ridurre o accrescere di molto le probabilità di trovare un donatore compatibile, tanto di midollo osseo, o di certi organi solidi, quanto di cellule staminali. Il rigetto è un tema di primo piano negli studi sui trapianti e c’è un’attiva ricerca di metodi che permettano a ogni paziente, a prescindere dal suo aplotipo, di ricevere un organo estraneo con buoni risultati. Se questa linea d’indagine avrà successo il concetto di accesso biologico finirà forse per perdere significato. Per ora, comunque, il rigetto è un ostacolo concreto al successo clinico. Dato che la compatibilità perfetta fra donatore e ricevente riduce di molto il rischio di rigetto, gli autotrapianti, in cui il tessuto da trapiantare viene prelevato dal paziente stesso, sono ritenuti una via promettente per evitare questo pericolo. Purtroppo però due soluzioni che permetterebbero l’uso di tessuto autologo, il trasferimento di nucleo da cellule somatiche - la cosiddetta clonazione terapeutica - e l’isolamento delle staminali presenti nel corpo del paziente stesso, non sono al momento praticabili.
La prima tecnica prevede che il nucleo di una cellula somatica del paziente cui è destinato il trapianto sia introdotto in un ovocita, dove in precedenza è stato asportato il nucleo; l’ovocita viene quindi indotto a svilupparsi. Le cellule staminali ricavate dalle blastocisti umane così create potrebbero offrire al ricevente una compatibilità genetica perfetta eccetto per i geni mitocondriali, comunque irrilevanti ai fini del tipo HLA. Secondo chi la sostiene, tale tecnica permetterebbe di ricevere terapie su misura dal punto di vista della compatibilità HLA. Ma la validità di questa asserzione è smorzata da considerazioni economiche e organizzative. Anche se in teoria il trasferimento di nucleo può risolvere il problema del rigetto e dell’accesso biologico, può farlo solo per un individuo alla volta, e il dispendio di tempo e denaro necessario a creare le linee di staminali personalizzate rende improbabile che tale soluzione sia praticabile su larga scala. Per di più, in un futuro prevedibile, la ricerca nel settore continuerà a essere oggetto di controversie politiche e morali.
Alcuni dei limiti descritti affliggono anche la seconda strategia autologa: l’impiego di cellule staminali isolate e coltivate dai tessuti del paziente stesso. C’è chi sostiene che, perlomeno nei modelli animali, si possano ricavare dall’adulto staminali con capacità di sviluppo simili a quelle embrionali. Dal punto di vista delle scelte politiche pubbliche si tratta di un’alternativa molto attraente, perché evita del tutto il difficile nodo della distruzione dell’embrione. Se i tessuti adulti siano davvero in grado di sostituire gli embrioni come fonte di staminali resta da dimostrare, ma anche se le staminali dell’adulto si dimostreranno altrettanto potenti e versatili di quelle embrionali, usarle per ricavarne terapie autologhe non sarà facile, perlomeno per il prossimo futuro. Infatti le procedure di laboratorio disponibili sono estremamente inefficienti nel generare cellule in quantità sufficiente, perché l’isolamento delle staminali adulte ha una resa molto scarsa e le cellule sono difficili da coltivare. Al pari del trasferimento di nucleo, quindi, il ricorso alle staminali adulte è dispendioso in termini sia di tempo sia di denaro.
In particolari circostanze gli sforzi necessari a preparare terapie personalizzate potrebbero essere giustificati. Nel caso di un bambino con una grave malattia cronica, per esempio, una terapia che lo guarisse risparmierebbe al sistema sanitario i costi di un’intera vita di cure e offrirebbe al piccolo un beneficio immenso. Per la maggior parte delle malattie, però, i costi delle terapie autologhe personalizzate sarebbero proibitivi, anche per i paesi ricchi. Inoltre per condizioni quali gli ictus o i traumi, in cui per ottenere i migliori risultati può essere necessario un trattamento molto tempestivo, la preparazione delle terapie a partire da cellule adulte (o clonate) rischia di essere impossibile nei tempi richiesti. In teoria, nell’arco di tempo necessario a preparare la terapia personalizzata si potrebbe aiutare il paziente con trapianti non autologhi abbinati a un trattamento immunosoppressivo, ma con ogni probabilità, ancora una volta, i costi sarebbero proibitivi. I tessuti adulti non sembrano quindi molto più promettenti della clonazione come soluzione definitiva del nodo del rigetto e dell’accesso biologico, perlomeno per il futuro prevedibile.


Strategie alternative

Di qui in avanti si prenderà in considerazione l’ipotesi che non esiste una soluzione “autologa” al problema dell’accesso biologico, perlomeno finché la capacità di manipolare le cellule non sarà progredita al punto da rendere la manipolazione in vivo delle staminali una procedura ordinaria. Nel frattempo, le terapie umane ricavate dalle staminali richiederanno con ogni probabilità il trapianto di tessuti generati a partire da un donatore non geneticamente identico. Si darà inoltre per scontato che, sebbene gli interventi su organi come il fegato o il cervello possano risultare relativamente esenti dal pericolo di rigetto, almeno alcune delle terapie con cellule staminali dovranno fare i conti con tale rischio.
Al momento per affrontare il rigetto ci sono tre possibilità di rilievo: i farmaci immunosoppressori, la tolleranza indotta clinicamente e la compatibilità HLA. Spesso due o più di queste tecniche sono usate in combinazione. Una quarta tecnica, la modificazione genetica delle linee cellulari per ridurne la capacità di suscitare una reazione immunitaria, oggi non trova applicazioni nella clinica dei trapianti ma forse potrà essere impiegata in futuro nelle terapie cellulari. In teoria con le manipolazioni genetiche si potrebbero creare cellule staminali “universali”, che non provocano risposte immunitarie nella maggior parte dei pazienti. Dal punto di vista di equità sociale uno sviluppo del genere sarebbe l’ideale, perché garantirebbe l’accesso biologico a tutti. Gli esperimenti su animali indicano le strade per perseguire tale obiettivo, ma gli ostacoli tecnici da superare per sconfiggere le molteplici difese del sistema immunitario sono formidabili e potranno occorrere anni, se non decenni, prima che questi tentativi abbiano successo.
La strategia più utilizzata contro il rigetto è l’immunosoppressione. L’impiego su vasta scala degli immunosoppressori è iniziato negli anni Ottanta e ha accresciuto notevolmente la fattibilità delle donazioni di organi non compatibili. In molti casi, tuttavia, chi riceve il trapianto deve proseguire a oltranza l’immunosoppressione farmacologica per evitare il rigetto acuto o cronico, anche quando la compatibilità HLA è buona. I rischi della terapia immunosoppressiva sono ben documentati e a volte gravi, includono nefrotossicità, complicazioni diabetiche e vascolari e un maggior rischio di infezioni.
Un’altra strategia antirigetto è l’induzione della tolleranza immunologica. Gli esperimenti su animali hanno mostrato che esistono diversi metodi per ridurre la risposta immunitaria dell’ospite e promuovere l’accettazione del tessuto trapiantato, frenando così il rigetto e riducendo il bisogno di immunosoppressori. Tuttavia le applicazioni sull’uomo sono ancora in via di sviluppo e al momento piuttosto rischiose. Una tecnica per indurre la tolleranza, il chimerismo misto, è particolarmente interessante alla luce del fatto che una singola linea di staminali può generare diversi tipi di tessuti. Nel chimerismo misto il candidato al trapianto è sottoposto a un temporaneo trattamento immunosoppressivo e a un innesto di midollo osseo del donatore, prima di ricevere il trapianto d’organo dallo stesso donatore. Se la tecnica riesce il ricevente sviluppa un sistema immunitario chimerico, composto sia da cellule immunitarie proprie sia da quelle nuove giunte con il midollo osseo. Il sistema immunitario chimerico dovrebbe essere tollerante verso i nuovi tessuti provenienti dallo stesso donatore, incluso l’organo trapiantato. Al momento la procedura è stata utilizzata su pochi pazienti, soprattutto per via dei rischi che comporta, dell’incerta efficacia e della necessità di un donatore vivente che fornisca sia il midollo osseo sia l’organo (per esempio un rene). I dati dagli esperimenti sugli animali sono comunque promettenti. Nel caso delle terapie con staminali, se dalla stessa linea di staminali si riuscisse a ricavare sia le cellule emopoietiche per indurre la tolleranza sia il tessuto da impiegare per la terapia, la tecnica del chimerismo misto potrebbe essere adoperata per trattamenti che non richiedono né una pesante immunosoppressione né la compatibilità HLA.
La terza strategia per evitare il rigetto è la compatibilità HLA, la cui importanza varia comunque a seconda del tessuto o dell’organo. Per il midollo osseo, per esempio, la compatibilità HLA è ritenuta essenziale per un buon esito clinico, mentre nel caso del fegato di solito non se ne tiene conto. L’importanza della compatibilità varia anche a seconda della disponibilità di donatori e della gravità della malattia; come si è detto in alcune circostanze, e in primo luogo se manca un donatore compatibile, si ricorre ai trapianti a bassa compatibilità, seppur ritenuti non ottimali.
Lo US National Marrow Donor Program (il programma nazionale statunitense per la donazione del midollo osseo) ha compilato un registro di oltre quattro milioni di donatori, ciascuno dei quali è stato tipizzato per gli alleli HLA-A e B, ritenuti critici per la compatibilità. A causa dell’alto grado di polimorfismo degli alleli in questione, anche con un pool così vasto solo il 50-60% dei pazienti bisognosi di trapianto trova un donatore idoneo. Non solo gli alleli HLA sono altamente variabili, ma nei diversi gruppi etnici gli specifici alleli sono presenti con frequenze differenti, i dieci alleli HLA-A più comuni negli statunitensi bianchi, per esempio, sono diversi dai dieci più frequenti negli afroamericani. La comunità dei trapianti ha lottato per anni con il problema dell’ineguale distribuzione degli alleli HLA e delle sue conseguente sui rischi di rigetto, in particolare per chi, per la sua appartenenza etnica o razziale, ha meno probabilità di trovare un donatore compatibile. La questione si porrà anche per i trapianti di staminali, perché queste cellule possiedono l’aplotipo dell’individuo da cui derivano; anche se l’importanza della compatibilità dipenderà verosimilmente dal tessuto trapiantato, ci saranno almeno alcune applicazioni terapeutiche importanti in cui la compatibilità sarà essenziale per il successo clinico. Con ogni probabilità, quindi, le disparità che oggi sussistono nel campo dei trapianti sono destinate a ripresentarsi nella pratica del trapianto di staminali, a meno che non vengano prese specifiche contromisure.
Si è discusso altrove, vedi articolo a pagina 80, se le linee di staminali oggi esistenti siano adatte ai trapianti nell’uomo. Ma anche nell’ipotesi che fossero idonee all’uso umano, le linee esistenti sono drammaticamente poche dal punto di vista della compatibilità HLA. La situazione è particolarmente critica negli Stati Uniti. Al momento non è disponibile pubblicamente alcuna informazione sui tipi HLA delle linee di staminali embrionali su cui si possono condurre ricerche con fondi federali. In ogni caso, visto che le linee approvate sono pochissime (al 14 ottobre 2003, appena 12) e per di più sono ricavate da embrioni creati per fecondazione in vitro a scopo riproduttivo, la varietà dei tipi HLA è probabilmente molto limitata. Nell’immediato la scarsa varietà di aplotipi delle linee disponibili può essere un serio ostacolo all’efficienza e al successo delle prime sperimentazioni cliniche umane. In ogni caso guardando ai futuri usi terapeutici, si profilano due grosse preoccupazioni: per prima cosa, molti malati non troveranno una linea compatibile e dovranno affrontare regimi immunosoppressivi più pesanti, con minori probabilità di successo; in secondo luogo, alcuni gruppi rischiano di essere sistematicamente svantaggiati se la linea di ascendenza o il gruppo etnico cui appartengono non erano ben rappresentati nel materiale biologico da cui si sono ricavate le staminali, perché in tal caso è meno probabile che i loro aplotipi siano inclusi nelle linee di cellule ad uso terapeutico.


Le scelte normative

Raccomandiamo con forza che tutte e quattro le strategie per affrontare il rigetto siano perseguite attivamente. Anche se l’induzione della tolleranza è ancora in una fase preliminare di applicazione clinica, i progressi sono molto promettenti non solo per le terapie con staminali ma per i trapianti in generale. La prosecuzione delle ricerche sull’immunosoppressione potrà portare a farmaci di nuova generazione con effetti collaterali ridotti. La possibilità di creare cellule staminali universali va senz’altro esplorata, anche se gli ostacoli scientifici restano immensi. Nel breve termine tuttavia la compatibilità HLA, accompagnata al bisogno dall’immunosoppressione, resta lo strumento principe per evitare il rigetto.
Il nodo della compatibilità nei trapianti solleva serie questioni di scelte normative e di giustizia. Nel contesto statunitense si sono fatti molti tentativi di affrontarne una: la relativa rarità di donatori compatibili per gli afroamericani. Le risposte si sono limitate di solito agli appelli alla donazione rivolti alla comunità afroamericana e alle strategie per accrescere il numero complessivo di donazioni. Nel caso delle terapie con staminali, però, nulla impone che la disponibilità di tipi HLA sia soggetta alla stessa aleatorietà che caratterizza la donazione d’organi. Al momento non si possono produrre organi solidi o tessuti da trapiantare, ma è possibile creare le linee di staminali da utilizzare per la ricerca e, in futuro, per le terapie. È dunque possibile costituire una banca di linee di staminali che includa un ampio spettro di tipi HLA, specificamente selezionati per rispondere a considerazioni di equità sociale.
Molti paesi hanno una notevole esperienza nella creazione e nella gestione di banche di materiali biologici di uso terapeutico, quali il sangue, lo sperma, le cornee e il sangue del cordone ombelicale. Esistono inoltre sistemi di raccolta e distribuzione degli organi solidi e del midollo osseo. La maggior parte di queste banche e di questi sistemi è organizzata e finanziata dai governi o da qualche forma di partnership pubblico-privato. Indipendentemente dalla loro struttura queste raccolte di tessuti e di organi, se si eccettuano alcune banche private dello sperma e del sangue ombelicale, sono considerate risorse pubbliche. Certo, ci sono numerosi ostacoli etici e politici alla creazione di una banca pubblica di cellule staminali. Specie negli Stati Uniti, è arduo che nel clima attuale possa esserci un qualsiasi coinvolgimento del governo nell’istituzione, nel finanziamento o nella supervisione della banca. In primo luogo, comunque, bisogna concentrarsi sul problema di come, in una prospettiva di giustizia, le banche di cellule staminali andrebbero strutturate.


Progettare una banca terapeutica

Vediamo ora di quali elementi bisogna tener conto nell’allestire una banca a fini terapeutici, per poi esaminare che cosa cambia se la collezione di linee è costruita a scopo di ricerca. Ciò che emerge è che per i due casi sono preferibili strutture distinte.
Idealmente una banca di cellule staminali dovrebbe includere una tale varietà di linee da permettere a qualsiasi potenziale ricevente di ottenere un tessuto compatibile. Una simile banca però richiederebbe la creazione e il mantenimento di una collezione di dimensioni spropositate. Come si è osservato, anche con un registro di oltre quattro milioni di donatori, lo US Bone Marrow Donor Program offre tessuti compatibili solo al 50-60% di coloro che ne hanno bisogno. Il Bone Marrow Donor Program è un registro, che consente di ricercare le informazioni sui potenziali donatori. Visti i lunghi tempi necessari ad allestire una linea di staminali, difficilmente un sistema analogo sarebbe adatto per i trapianti di staminali. La soluzione che proponiamo è invece una banca che mantenga e conservi le linee cellulari e distribuisca al bisogno i campioni ai centri clinici. Si può però ritenere che l’allestimento di una banca con centinaia di migliaia o milioni di linee sia improponibile, se non altro per gli enormi costi che comporterebbe.
Il solo progetto che ci appare praticabile è dunque quello di una banca in cui le linee di staminali sono progettate in modo da essere omozigoti per gli alleli più importanti per i trapianti. Di norma per stabilire la compatibilità si mettono a confronto fra il donatore e il ricevente sei alleli: due ciascuno per i geni HLA-A, B e DR. Una persona o una linea cellulare omozigoti, però, esprimono solo un allele per ciascuno dei tre geni. Una banca di linee omozigoti quindi offrirebbe cellule compatibili a un numero di pazienti molto maggiore, perché solo tre degli alleli del paziente dovrebbero coincidere con quelli del donatore, anziché sei.
Costruire una banca di linee omozigoti non sarà facile, non solo per le tante difficoltà etiche e politiche che si discuteranno più avanti. La probabilità di trovare embrioni sovrannumerari omozigoti nelle cliniche per la riproduzione assistita è, nel migliore dei casi, scarsa. Una strategia più promettente ma più controversa è la costruzione della banca a partire dai gameti donati. Gli embrioni potrebbero essere creati usando i gameti di due donatori che hanno un aplotipo in comune; circa uno su quattro degli embrioni così prodotti sarebbe omozigote per i tre alleli HLA. In alternativa, se divenisse tecnicamente fattibile, la tecnica del trasferimento di nucleo permetterebbe di produrre le linee di staminali desiderate a partire da adulti omozigoti per l’aplotipo richiesto. Questa tecnica tuttavia è ancor più controversa, sia moralmente sia politicamente, rispetto alla creazione di embrioni per via convenzionale. In futuro si potrebbe anche arrivare a creare le linee desiderate da particolari cellule degli adulti omozigoti o dal sangue ombelicale di neonati omozigoti, ma al momento nulla assicura che le staminali provenienti da queste fonti si dimostreranno abbastanza potenti da rimpiazzare del tutto quelle embrionali. Nonostante gli enormi ostacoli, che saranno discussi più avanti, a nostro parere la creazione di una banca pubblica di cellule staminali è tecnicamente fattibile. Nonostante la maggiore efficienza, e dunque la preferibilità, di una banca di linee omozigoti, il numero di linee necessario per fornire tessuti compatibili a tutti i potenziali pazienti resterebbe proibitivo. Individuare e procurarsi gameti maschili e femminili che condividono uno stesso aplotipo, creare da questi gli embrioni (solo uno su quattro dei quali sarebbe omozigote), ricavare le staminali dall’embrione selezionato e allestire una linea cellulare è un’operazione difficile. Per di più alcune linee omozigoti sono pressoché impossibili da ottenere, perché alcuni aplotipi sono così rari che è oltremodo difficile trovare i gameti o le fonti adulte necessari. Con questi limiti, a nostro parere, la sola strategia ragionevole è quella di creare una banca di dimensioni limitate, che contenga linee omozigoti scelte perché esprimono le combinazioni desiderate di alleli HLA.
La sfida etica centrale in questa proposta è di stabilire quali combinazioni di aplotipi includere nella limitata banca di linee omozigoti preparate a scopo terapeutico. Il primo passo per compiere la scelta è di esaminare le diverse opzioni. A nostro giudizio per selezionare le linee da includere una banca siffatta le strategie principali sono tre, ciascuna improntata a considerazioni di giustizia differenti. Un orientamento che mira tout court alla massima copertura punterà a includere le linee che offrono la compatibilità al maggior numero di pazienti. Un orientamento egualitario offrirà a tutti gli individui che è materialmente possibile includere nella banca la stessa probabilità di trovarvi rappresentato il proprio aplotipo. La strategia che definiamo di rappresentazione etnica presceglierà gli aplotipi più comuni in ciascun gruppo etnico o di ascendenza, così da dare ai membri di ogni gruppo le stesse probabilità di trovare nella banca una linea compatibile. Saranno ora passate in rassegna le tre strategie, per giungere alla conclusione che, a nostro parere, la più sostenibile è l’ultima.


Massima copertura

La prima strategia punta a includere quelle linee omozigoti che permetterebbero alla massima percentuale possibile della popolazione di trovare nella banca una linea compatibile. Tale strategia riconosce che non tutte le linee si equivalgono quanto al numero dei possibili beneficiari. Alcuni aplotipi sono molto più comuni di altri e una banca di dimensioni contenute può soddisfare più persone se include le linee cellulari che possiedono gli aplotipi più diffusi. L’evidente attrattiva di tale strategia è che permette di offrire terapie con cellule staminali compatibili al numero più ampio di potenziali pazienti.
Un simile orientamento soffre però di due seri inconvenienti. Innanzitutto sottrae ai portatori degli aplotipi meno comuni qualsiasi possibilità di beneficiare della banca, una scelta della cui equità è ragionevole dubitare. Per di più una banca delle linee cellulari con gli aplotipi più comuni negli Stati Uniti favorirebbe statisticamente gli statunitensi bianchi, per il semplice fatto che questo è il gruppo più numeroso nel paese. Alcuni degli aplotipi più frequenti fra i bianchi sono i più diffusi anche in altri gruppi etnici, ma fra le varie etnie ci sono differenze notevoli (le coincidenze e le differenze fra cinque gruppi etnici o di ascendenza statunitensi sono illustrate nella tabella a fianco). Per esempio l’aplotipo HLA-A/B più comune fra gli statunitensi bianchi, A 0101 B 0801, è fra i dieci più comuni anche per gli afroamericani, per gli ispanici e per i nativi americani; non è però fra i 25 più comuni per gli statunitensi di origine asiatica. Inoltre gli aplotipi presentati in tabella sono solo quelli per HLA A e B; se si considera anche HLA-DR, le coincidenze diminuiscono ulteriormente.
Dato che negli Stati Uniti i bianchi sono più numerosi degli altri gruppi, l’inclusione di un aplotipo presente in una percentuale relativamente piccola di bianchi potrebbe estendere la copertura a un numero di persone maggiore che l’inclusione dell’aplotipo più comune in un altro gruppo. Per questo, se una banca raccogliesse le linee omozigoti per i 50 aplotipi più comuni negli Stati Uniti, all’atto pratico si avrebbe una collezione composta in prevalenza dagli aplotipi comuni fra i bianchi. Con queste strategia il numero di potenziali pazienti compatibili sarebbe più alto che con qualsiasi altra, ma i beneficiari sarebbero concentrati nel gruppo di origine caucasica; si inasprirebbero così le disparità sanitarie che oggi sussistono fra i diversi gruppi etnici statunitensi, figlie di antiche storie di oppressione e di ingiustizia sociale.


Pari opportunità

Una risposta alle preoccupazioni di equità verso chi possiede gli aplotipi meno comuni potrebbe essere di dare a tutti gli aplotipi che si possono materialmente includere in una banca, e quindi a tutti gli individui che li possiedono, la stessa opportunità di essere rappresentati. Nella pratica, è impossibile creare linee di staminali omozigoti per aplotipi che eccedono una certa soglia di rarità. Si potrebbero però includere in una banca molti aplotipi di rarità intermedia. La strategia delle pari opportunità mira a promuovere l’equità dando a tutti coloro i cui aplotipi possono concretamente essere rappresentati nella banca la stessa probabilità di accesso biologico alle terapie.
A questo scopo, la scelta degli aplotipi da rappresentare potrebbe essere affidata al caso, per esempio mediante un’estrazione a sorte fra tutti quelli candidati. Offrire al maggior numero possibile di individui le stesse opportunità di beneficiare della banca può rispondere ad alcuni criteri intuitivi di equità, ma una simile strategia comporterebbe due concreti inconvenienti. Per prima cosa, la strategia non è concepita per affrontare il problema dell’accesso ineguale da parte dei diversi gruppi etnici o di ascendenza. L’esito concreto potrebbe essere quello di alleviare le iniquità o quello di inasprirle, a seconda dei risultati della lotteria, ma in ogni caso si tratterebbe di un risultato dovuto alla sorte e non a una programmazione deliberata e le disparità fra i gruppi potrebbero acuirsi ancora di più che con il principio della massima copertura. Si può sostenere che le iniquità etniche risultanti dal caso sarebbero più accettabili di quelle dovute alla ricerca della massima copertura, perché il processo che le genera è equo. Nondimeno, chi pensa che a prescindere da tutto ci siano forti ragioni morali per non arrecare ulteriori svantaggi ai gruppi storicamente oppressi, non sarà soddisfatto da un processo rischia di avere proprio questo.



Inoltre, mentre una lotteria potrebbe per caso selezionare lo stesso insieme di aplotipi previsto dalla strategia della massima copertura, se si adotta il principio delle pari opportunità è per rendere possibili anche esiti diversi, inclusa una collezione composta in tutto o in parte da aplotipi relativamente rari. In tal caso, com’è ovvio, solo un piccolo numero di persone potrebbe beneficiarne. Il nodo si fa più spinoso se si considera quali aplotipi si potrebbero ragionevolmente escludere dalla lotteria per la loro rarità. Va escluso ogni aplotipo la cui rarità rende letteralmente impossibile trovare i donatori dei gameti necessari a crearlo. Se si escludono anche gli aplotipi per i quali trovare i donatori non è impossibile, ma solo molto difficile e costoso, la scelta sarà dovuta alla valutazione che i costi dell’inclusione sono superiori ai benefici. Ma escludere alcuni aplotipi dalla lotteria su questa base è incoerente con le ragioni di fondo che giustificano la strategia delle pari opportunità.
Tale giustificazione si basa su due asserzioni: primo, che i tentativi di beneficiare il maggior numero possibile di pazienti vanno temperati dalle esigenze di giustizia e, secondo, che la giustizia impone di offrire a chi possiede aplotipi poco comuni le stesse opportunità di beneficiare della banca. Se queste assunzioni sono corrette, il fatto che la strategia delle pari opportunità offra benefici a un minor numero di pazienti rispetto alla massima copertura non vuol dire che non debba essere adottata. Analogamente, tuttavia, se un aplotipo è così raro che la creazione della relativa linea omozigote rischia di assorbire gran parte delle risorse della banca, ciò non dimostra che tale aplotipo vada escluso. Ma se la lotteria deve includere tutti questi aplotipi, il numero di aplotipi poco comuni rischierà di essere maggiore del previsto e crescerà di pari passo la probabilità che la banca risulti utile solo a pochi.
Non riteniamo che le esigenze di giustizia richiedano l’adozione della strategia delle pari opportunità. Se si progetta una banca per garantire la massima copertura, non si privano i portatori di aplotipi rari di un beneficio a cui a priori hanno titolo né si chiede loro di fare sacrifici da cui non possono attendersi di trarre vantaggio. Ci si trova, piuttosto, in una situazione in cui bisogna decidere come allocare al meglio risorse scarse. In altre situazioni del genere non c’è la percezione che la sola maniera equa di prendere decisioni sia di ricorrere al caso. Per esempio chi destina altre risorse sanitarie scarse, quali i posti letto in terapia intensiva o gli organi per i trapianti, non si affida a una lotteria per decidere, e in genere queste pratiche non sono percepite come inique. A seconda delle circostanze le scelte tengono conto di fattori come le esigenze mediche o la prognosi, anche se ciò significa che chi versa in condizioni meno gravi o chi ha meno speranze di sopravvivere non gode di un’eguale opportunità di aggiudicarsi la risorsa. Se non c’è motivo di ritenere che la scelta delle linee di staminali da includere in una banca sia di natura diversa rispetto alle altre decisioni sull’allocazione di risorse scarse cui nessuno ha titolo a priori, bisogna concludere che l’equità non richiede l’adozione della strategia delle pari opportunità.
Un’altra ragione per rifiutare tale strategia è che, almeno a giudizio di alcuni, la giustificazione primaria per investire nella ricerca sulle staminali e creare una banca pubblica è il progresso generale del benessere umano. Da questo punto di vista un processo di creazione della banca destinato a dare scarsi benefici sarebbe controproducente. Qualunque opinione si abbia sull’equità dell’offerta di pari opportunità, non va perso di vista che in questo caso si sta ricercando l’equità nell’ambito di un miglioramento del benessere sociale. Se i benefici sono troppo modesti, la presunta equità ha un prezzo troppo alto.


Rappresentazione etnica

Anche se non tutti gli autori del presente articolo concordano su questo punto, la maggioranza ritiene che la scelta preferibile sia di selezionare gli aplotipi più comuni in ciascuno dei gruppi etnici o di ascendenza degli Stati Uniti, per far sì che la banca sia utile a una medesima percentuale dei membri di ciascun raggruppamento. Tale strategia è meno efficiente di quella della massima copertura perché richiede più linee cellulari per soddisfare lo stesso numero complessivo di pazienti. Ciò accade per due ragioni. Per prima cosa, la strategia della rappresentazione etnica parte dall’assunto che si debba estendere la copertura alla stessa proporzione di ciascun gruppo etnico, anche se una data percentuale di un gruppo poco numeroso include meno persone della stessa percentuale di un gruppo più ampio. In secondo luogo, per coprire una stessa percentuale di gruppi differenti occorre un numero diverso di linee cellulari, perché in alcuni gruppi c’è una maggiore variabilità di tipi HLA che in altri. Per esempio, se si considerano HLA-A, B e DR e si vuole ottenere una copertura di circa il 50% degli statunitensi bianchi e del 50% di tutti gli afroamericani, occorrono dalle 60 alle 80 linee cellulari. Venti linee omozigoti bastano a coprire il 48,6% dei bianchi, ma solo il 28,7% degli afroamericani. Per coprire circa il 50% di ciascun gruppo, occorrono da 20 a 30 linee per i bianchi e da 40 a 50 per gli afroamericani.
Se oltre ad A e B si tiene conto anche degli alleli DR la probabilità di trovare una linea compatibile si riduce e il numero di linee necessarie a coprire una data percentuale di una popolazione cresce. In alcuni casi, a seconda del tessuto trapiantato e della probabilità di un buon esito clinico, può essere ragionevole limitarsi a considerare A e B. In tale ipotesi, per coprire il 30% di ciascuno dei cinque gruppi illustrati nella tabella occorrerebbe allestire circa 23 linee per gli afroamericani, 12 per i bianchi, 24 per gli ispanici, 14 per i nativi americani e 12 per gli asiatici, per un totale di 85 linee cellulari (in realtà un po’ meno, visto che alcuni aplotipi sono comuni a più gruppi etnici). Se invece si includessero gli 85 aplotipi più frequenti nel complesso della popolazione statunitense, a prescindere dalle etnie, la maggior parte dei potenziali fruitori sarebbe costituita da bianchi.
Seguendo la proposta appena illustrata, avrebbe accesso alle terapie con staminali un numero di pazienti minore di quello che si avrebbe secondo altri criteri. Non proponiamo con leggerezza un criterio di progettazione della banca che restringa il numero di pazienti in grado di fruirne. Nondimeno riteniamo che la strategia della rappresentazione etnica sia quella da adottare. Negli Stati Uniti i gruppi etnici e di ascendenza non bianchi sono le sole categorie di persone che condividono due aspetti: sarebbero sistematicamente sottorappresentati in una banca che mirasse alla massima copertura e hanno alle spalle una storia di discriminazioni sociali. La strategia della massima copertura riprodurrebbe queste discriminazioni e ne acuirebbe gli effetti, il che, a nostro parere, depone contro la sua adozione. Per di più, offrendo una equa rappresentazione etnica si può prevenire il notevole danno che scaturirebbe da una rappresentazione ineguale. Nondimeno, se una banca rendesse disponibili i benefici della terapia quasi esclusivamente ai bianchi, i membri delle minoranze potrebbero a buon diritto dubitare che i loro interessi siano stati tenuti nella debita considerazione da chi ha deciso quali linee includere. Vista la storia delle relazioni razziali negli Stati Uniti, e del trattamento riservato agli americani non bianchi dalla comunità medica, questa preoccupazione non può essere liquidata come irragionevole.
Il bisogno di evitare che alcuni possano ragionevolmente dubitare di essere considerati cittadini a pieno titolo ed eguali i cui interessi sono tutelati a dovere, specialmente quando tali preoccupazioni sono state spesso ben fondate in passato, è un’ulteriore motivo per rifiutare la strategia della massima copertura. Anche se il principio della rappresentazione etnica non è il più efficiente, assicura il massimo beneficio compatibile con il rispetto per l’eguaglianza fondamentale dei membri di almeno i principali gruppi etnici e di ascendenza degli Stati Uniti. Vista la storia di oppressione di svariate minoranze del paese e la perdurante fragilità delle relazioni interetniche, una politica che permette un ulteriore beneficio per i bianchi rispetto agli altri gruppi segnalerebbe l’incapacità di riconoscere la pari dignità ai membri di tutti i gruppi.


Una banca per la ricerca clinica

Passiamo ora a considerare come costruire una banca a scopo di ricerca. Gli scopi della ricerca clinica sono diversi da quelli della medicina clinica e così le considerazioni morali di cui tenere conto. È interesse di tutti che la ricerca dia risultati con la massima efficienza possibile e quindi che i ricercatori trovino con facilità e rapidità soggetti umani idonei alle sperimentazioni.
Nelle situazioni in cui la compatibilità HLA è ritenuta importante, sarà molto più facile trovare soggetti di ricerca idonei se la linea di staminali con cui si è realizzata la terapia possiede un aplotipo diffuso. Pertanto in una banca di ricerca, a differenza di una terapeutica, le ragioni a sostegno della strategia delle pari opportunità non hanno alcuna rilevanza. Anche le ragioni a favore della rappresentazione etnica possono apparire meno persuasive, dato che l’obiettivo primario è di accertare in fretta se un dato trattamento sperimentale è davvero sicuro ed efficace e se quindi sia opportuno renderlo disponibile a tutti.

Conveniamo che una banca di ricerca vada progettata per soddisfare le esigenze dell’impresa scientifica e che quindi debba essere composta in prevalenza da linee di staminali omozigoti per gli aplotipi più comuni nella popolazione statunitense. C’è però una forte motivazione per includere almeno un certo numero di linee con gli aplotipi diffusi in particolari gruppi etnici o di ascendenza. Senza tali linee c’è il rischio che i ricercatori abbiano meno possibilità di portare avanti gli studi su malattie che colpiscono in misura molto maggiore particolari gruppi etnici o che in questi si presentano in forma diversa. Se ciò accadesse, non tutti potrebbero beneficiare in modo equo degli investimenti della società nella ricerca sulle staminali. Posto che ci siano buone ragioni per contenere il numero di linee in una banca di ricerca a un livello minimo, una banca di linee omozigoti potrebbe funzionare con efficacia con appena 14 linee: i sei aplotipi più comuni nella popolazione, compatibili con circa il 25% degli statunitensi (per lo più bianchi), e i due aplotipi più comuni in ciascuno degli altri quattro gruppi, compatibili con il 5-10% della popolazione di ciascun gruppo.


Giustizia globale

In questo articolo ci si è concentrati sulle banche per la ricerca e la terapia negli Stati Uniti e l’analisi di come realizzare tali strutture in modo equo è specifica per il contesto statunitense. Per le banche di staminali progettate in altri paesi o a livello multinazionale le considerazioni di giustizia possono essere differenti e possono dunque essere necessarie collezioni di aplotipi costruite secondo criteri diversi.
Una preoccupazione particolarmente importante dal punto di vista dell’equità è come aiutare la popolazione di tutto il mondo man mano che la medicina basata sulle staminali progredisce. Gli studi di genetica delle popolazioni indicano che fra chi vive in regioni diverse è probabile incontrare frequenze degli alleli HLA significativamente divergenti, sia fra una popolazione e l’altra sia rispetto agli statunitensi, il che rischia di complicare gli sforzi per produrre terapie di ampia disponibilità su scala globale. Per esempio, le popolazioni dell’Africa subsahariana presentano il massimo grado di diversità genetica al mondo e questa varietà non è ben rappresentata nei gruppi di altre regioni del globo. Per i paesi del Sud del mondo, i cui bilanci per la sanità e la ricerca sono già molto ristretti, entrerebbero chiaramente in gioco anche considerazioni economiche, ma anche questo tema merita un’analisi a parte ed esula dagli scopi della presente analisi. La nostra ipotesi è che i paesi relativamente benestanti svilupperanno terapie basate sulle staminali e che queste saranno infine rese disponibili agli abitanti dei paesi più poveri. Per ottenere l’accessibilità biologica su scala mondiale sarà necessario un impegno concertato fra i paesi sviluppati in cui le terapie vengono messe a punto, così che la diversità genetica sia considerata in termini abbastanza ampi da soddisfare anche le necessità dei malati nei paesi poveri.


Sfide politiche e morali

Per creare banche di cellule staminali secondo i criteri esposti bisognerà superare notevoli ostacoli. Supponendo che per il momento le linee dovranno essere ricavate da embrioni, la prima sfida sarà procurarsi i gameti. Occorrerà tipizzare l’HLA di molte persone per individuare i donatori che possiedono l’aplotipo desiderato. Le donatrici dovranno sottoporsi alla procedura dell’iperstimolazione ovarica e della raccolta degli ovociti, un processo gravato da rischi e disagi non irrilevanti. L’accettabilità di tali rischi può essere in parte valutata dal confronto con i rischi e i disagi cui vanno incontro i donatori di midollo osseo, di rene o di fegato. Al pari di questi ultimi, i donatori di gameti non dovrebbero essere pagati, ponendo così una netta distinzione fra le banche e le pratiche dei programmi per l’infertilità.
Il peso della realizzazione di un sistema equo di accesso alle terapie ricadrà sulle donne molto più che sugli uomini, per i quali la donazione di gameti è al confronto un impegno irrisorio. Non è detto che le donne siano disponibili a donare gli ovociti in assenza di un compenso economico, anche se quanto accade con la donazione di midollo osseo, di rene e di fegato fa pensare che ci siano molte persone disposte a sottoporsi a procedure mediche gravose per il bene di altre. Può anche darsi che si arrivi a mettere a punto procedure di laboratorio per indurre le staminali embrionali umane a differenziarsi in ovociti, eliminando la necessità delle donazioni da parte delle singole donne; questa tecnologia però non è ancora pienamente a punto e non si può quindi farvi affidamento.
Una difficoltà legata a quanto appena detto sarà quella di procurarsi un numero sufficiente di gameti da esponenti delle minoranze e in particolare dagli afroamericani. Lo scopo primo della strategia di rappresentazione etnica è di garantire che le minoranze non siano sistematicamente svantaggiate nell’accesso alle terapie sanitarie. Allo stesso tempo, però, nella comunità afroamericana vige un clima di sfiducia dell’establishment medico e scientifico che si manifesta in vari modi, inclusa la riluttanza a dare il consenso alla donazione di organi e a partecipare alla ricerca medica. La mancata partecipazione degli afroamericani e degli altri gruppi minoritari renderebbe impossibile allestire una banca secondo i criteri descritti ed è quindi essenziale assicurarsi la loro fiducia e il loro coinvolgimento.
L’ostacolo più evidente e più arduo alla creazione di banche di staminali negli Stati Uniti è la diffusa controversia sullo status morale della vita umana nei suoi primissimi stadi. Senza dubbio una porzione consistente della popolazione si opporrà alla creazione delle banche, per il solo fatto che ciò comporta la creazione e la distruzione degli embrioni. L’entità delle controversie che accompagnano la materia può rendere difficile per i politici o per le istituzioni governative sostenere l’idea di una banca di staminali costruita secondo il modello descritto. Perlomeno nel breve termine, per creare la collezione desiderata di linee cellulari omozigoti bisognerà ricavare tali linee da nuovi embrioni. Lo sviluppo di un equo sistema d’accesso ai benefici delle terapie con staminali sembra dunque richiedere la creazione strumentale e la distruzione di vite embrionali. Sul piano morale ci sembra quindi preferibile rinviare la creazione della banca terapeutica, fin quando dalle sperimentazioni cliniche non giungeranno le prime prove convincenti che le terapie in questione funzionano. Nel frattempo bisognerà esaminare i progressi realizzati con le fonti non embrionali di staminali e con l’immunosoppressione e l’induzione della tolleranza. Se una di queste strade avrà dato risultati significativi nel momento in cui le terapie con le staminali saranno vicine all’impiego clinico, la creazione di una banca terapeutica mediante la distruzione di embrioni potrebbe non essere più necessaria.
Allo stesso tempo, tuttavia, è essenziale allestire una banca di staminali a scopo di ricerca, per procedere in modo equo e sicuro alle ricerche cliniche sull’uomo. Diversi filoni di ricerca sulle staminali si stanno avvicinando alla prima sperimentazione umana. Si è discusso in altra sede – vedi articolo successivo – perché le linee di staminali oggi approvate per le ricerche con fondi federali non siano adatte all’uso negli esseri umani. A meno che non si accerti molto a breve che si possono creare valide linee di staminali a partire da tessuti adulti, è verosimile che la transizione dalla ricerca di laboratorio a quella clinica richieda la distruzione di ulteriori embrioni umani. Una banca di ricerca costruita in modo da includere linee omozigoti per gli aplotipi comuni può essere uno strumento per ridurre al minimo il dispendio di embrioni; 14 linee potrebbero già fornire una base abbastanza ampia per la ricerca clinica, incluse le applicazioni di particolare interesse per le minoranze.
Un’altra sfida sarà di identificare una struttura che permetta alla banca di ricerca di funzionare come un bene pubblico, onorando così il suo scopo sociale. Una complicata rete di diritti e brevetti ha reso molto difficile per i ricercatori avvalersi con efficacia delle linee di staminali esistenti. Non è chiaro se sia possibile costruire una banca di ricerca che eviti questo pantano, specie se la banca non è istituita o regolamentata dal governo federale. Dato che un intervento del governo in tal senso è improbabile, i fondi dovrebbero arrivare dai privati e un sostegno filantropico potrebbe garantire, più di un consorzio di interessi commerciali, che la banca operi davvero come un bene pubblico. Può darsi che nel momento in cui si renderà necessaria una banca terapeutica sarà possibile costruirla con l’appoggio del governo; i valori del pubblico potranno cambiare, per esempio, se le linee di staminali embrionali dimostreranno la loro utilità clinica. In alternativa, tessuti non embrionali potrebbero rivelarsi una fonte affidabile di staminali, permettendo di costruire banche terapeutiche senza ricorrere agli embrioni.
Anche se i progressi nella ricerca sulle fonti adulte sono incoraggianti, sembra improbabile che la soluzione ai dilemmi morali e di public policy qui illustrati possa arrivare da nuove soluzioni tecniche. Con ogni probabilità, il valore terapeutico delle staminali sarà provato prima che si sia dimostrata la praticabilità di fonti alternative agli embrioni. Ci sembra altresì che, anche se sosteniamo con forza la prosecuzione delle ricerche sulle terapie immunosoppressive e sull’induzione della tolleranza e confidiamo nei progressi del settore, difficilmente questi sviluppi metteranno in discussione i vantaggi clinici della compatibilità HLA. Pertanto la società si troverà a dover scegliere se ritiene più importante garantire che tutti beneficino con equità dei progressi nel campo delle staminali o proteggere la vita degli embrioni. Se si opterà per la creazione di una banca terapeutica, bisognerà fare ogni sforzo per coordinare l’iniziativa con quelle analoghe in corso in altri paesi, così da ridurre al minimo il numero di embrioni distrutti. Il Regno Unito ha annunciato di aver già intrapreso la creazione di una propria banca di staminali. Nel momento in cui scriviamo non sappiamo se il progetto sarà improntato a considerazioni di equità né quale distribuzione di tipi HLA sarà rappresentata o se sia possibile una compatibilità immunologica con una certa quota della popolazione statunitense.
Le politiche di ricerca scientifica attuali e future dovranno essere sensibili ai problemi di equo accesso biologico qui delineate. Le linee di staminali embrionali esistenti su cui negli Stati Uniti si può fare ricerca con fondi federali non saranno sufficienti a questo scopo. Le restrizioni federali alla ricerca dovranno quindi essere riesaminate, insieme con le scelte normative riguardanti le priorità dei finanziamenti, le protezioni brevettuali e gli incentivi alla comunità scientifica, per garantire che le questioni di giustizia siano affrontate in modo adeguato man mano che la ricerca procede. Anche se si tratterà di un processo controverso, le esigenze di equità andranno bilanciate con il rispetto per la vita umana nascente. Un accorto dibattito fra gli scienziati, i responsabili delle scelte politiche e il pubblico su temi così complessi aiuterà a garantire che le nuove terapie siano sviluppate in modo equo e responsabile.
BRUXELLES
La soluzione europea
IL 31 dicembre 2003 è scaduta la moratoria di fatto con cui la Commissione Europea si era impegnata a non finanziare i progetti di ricerca che prevedessero l’utilizzo di embrioni sovrannumerari e nel frattempo gli stati membri non sono riusciti a trovare un accordo in materia. In linea teorica quindi dovrebbe essere possibile utilizzare fondi comunitari anche per estrarre cellule staminali dagli embrioni crioconservati e sviluppare nuove linee cellulari. «In realtà però stiamo applicando unilateralmente una serie di limitazioni», spiega Fabio Fabbi, portavoce del commissario alla ricerca Busquin. «Finanziamo lo sviluppo di nuove linee cellulari di origine embrionale, che è la fase più lunga e costosa,ma non l’atto dell’estrazione delle cellule dall’embrione». Non è detto però che l’éscamotage funzioni. Ogni progetto di ricerca infatti, dopo la valutazione scientifica ed etica, deve essere approvato da un comitato regolatorio composto da rappresentanti degli stati membri, se non si raggiunge un accordo la parola passa al Consiglio dei ministri e quindi alla Commissione. In Europa niente è come sembra, a confermarlo c’è il fatto che durante la moratoria sono state congelate 26 richieste di finanziamento relative alle cellule staminali, anche se nessun ricercatore aveva richiesto fondi per lavorare con gli embrioni sovrannumerari, perciò nessun progetto avrebbe dovuto essere bloccato. Soltanto una richiesta riguardava staminali embrionali umane, ma si trattava di linee cellulari già sviluppate e quindi la moratoria non sarebbe dovuta scattare neanche in questo caso. Considerato il clima politico è del tutto naturale che i gruppi di ricerca si limitino a richiedere fondi per lavorare sulle linee esistenti, le stesse ammesse anche negli Usa. Fabbi comunque assicura che almeno per questo tipo di studi l’iter si è finalmente rimesso in moto: «Posso confermare che il primo progetto di ricerca con staminali embrionali umane del Sesto Programma Quadro è stato approvato e che il relativo contratto dovrebbe venire concluso a breve».
USA
Gli stati ribelli
«Con questo microscopio si possono guardare le nuove linee di cellule». «Con questo no». Adesivi del genere potrebbero presto spuntare su microscopi, incubatori e ogni sorta di attrezzatura dei laboratori del New Jersey, per distinguere strumenti identici in ogni dettaglio eccetto il denaro con cui sono stati acquistati: fondi federali, utilizzabili solo per le linee ricavate entro il 9 agosto 2001, o i fondi che saranno stanziati dal New Jersey se passerà la proposta avanzata a febbraio dal governatore James McGreevey. Viste le restrizioni federali, diversi stati stanno avviando iniziative autonome per la ricerca sulle staminali embrionali. Nel 2002 si era mossa la California, autrice di una legge dal forte valore simbolico ma dalle limitate ricadute pratiche, perché non prevedeva finanziamenti diretti. Una svolta potrebbe arrivare però il prossimo autunno, quando dovrebbe tenersi un referendum che prevede di destinare ingenti fondi alle ricerche mediante emissioni di titoli. Nel frattempo il New Jersey, in soli due mesi, ha prima approvato una legge analoga a quella californiana e poi proposto la creazione, con fondi statali e privati, di un istituto di ricerca libero di lavorare su nuove linee. Un progetto analogo è in cantiere nel Massachusetts e l’Università di Harvard si sta già muovendo in tal senso. «Il contributo degli stati è importante - il budget federale per le staminali embrionali nel 2002 è stato di circa 10 milioni di dollari, pari a quello previsto dal solo New Jersey e lontanissimo dai 3 miliardi in 10 anni ipotizzati in California - anche per mantenere una capacità di supervisione pubblica sulle ricerche, ma non sostituisce un’organica politica nazionale» ha osservato comunque Daniel Perry, presidente della Coalition for the Advancement of Medical Research.


Public Stem Cell Banks: Considerations of Justice in Stem Cell Research and Therapy, © Hastings Center Report november-december 2003

Ringraziamenti
Mary Carrington, James Lautenberger e Ted Gooley per i loro contributi a questo articolo.
Il lavoro è stato finanziato dalla Greenwall Foundation nell’ambito del programma “Ethics and cell engineering: the next generation”.


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