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I rischi sanitari dei primi test clinici
con le cellule staminali embrionali

Un comitato della Johns Hopkins chiede alla Casa Bianca nuove linee cellulari
perché quelle autorizzate nel 2001 e attualmente disponibili potrebbero ospitare
virus sconosciuti e rendere immorale la sperimentazione

LIZA DAWSON ET AL.

a ricerca sulle cellule staminali embrionali sta vivendo una transizione cruciale. Un tempo pertinenza esclusiva della ricerca di base, le staminali sono ora oggetto d’indagine per le loro possibili applicazioni cliniche in una gamma di condizioni che, per fare solo qualche esempio, spazia dall’ictus alla malattia di Alzheimer, dal morbo di Parkinson alla sclerosi laterale amiotrofica e alle lesioni spinali. I ricercatori subiscono forti pressioni dalle associazioni di pazienti perché approntino il più in fretta possibile terapie efficaci, ma devono anche sottostare all’imperativo morale di non iniziare le sperimentazioni sull’uomo finché i rischi che queste comportano non saranno chiariti negli studi preclinici, di laboratorio e sugli animali. Per quanto riguarda la sicurezza delle staminali embrionali, la Food and Drug Administration (Fda) statunitense e gli altri organi che sovrintendono alle ricerche sull’uomo dovranno affrontare due ordini di incertezze: quali linee cellulari siano le più indicate per le sperimentazioni umane e come si comporteranno le staminali una volta trapiantate nel ricevente. Il numero di linee di staminali embrionali esistenti è limitato. Ce n’è qualcuna con le caratteristiche adatte per essere usata nella preparazione di interventi sperimentali, e se sì, quale? Abbiamo individuato tre questioni di sicurezza di cui tener conto nella scelta: i rischi di infezione, i rischi genetici e il controllo di qualità. Qualsiasi trapianto d’organo o di tessuto comporta il rischio di trasmettere un’infezione dal donatore al ricevente; i trattamenti sperimentali con cellule staminali embrionali, che con ogni probabilità prevederanno il trapianto nei malati di cellule derivate dalle staminali, non fanno eccezione. Sarà quindi essenziale uno screening dei tessuti trapiantati per proteggere il ricevente da agenti infettivi.
In aggiunta a questo rischio di base, nel caso dei tessuti ricavati dalle staminali embrionali ce n’è però un altro. La maggior parte delle linee di staminali embrionali oggi esistenti sono state coltivate insieme a cellule di topo, i fibroblasti fetali, che secernono alcune sostanze essenziali per le staminali umane. Ne discende il rischio che, se le staminali in questione o i loro prodotti fossero introdotti nell’uomo, un’infezione presente nelle cellule murine potrebbe ipoteticamente trasmettersi alla specie umana. Di recente si è trovato il modo di rimpiazzare le cellule di topo con cellule umane(nota 3). Negli Stati Uniti però, secondo le norme federali vigenti, le sole linee di staminali embrionali su cui si può fare ricerca con fondi federali sono quelle che sono state coltivate insieme a cellule di topo(nota 2); difatti la Food and Drug Administration ha stabilito che l’impiego delle staminali deve sottostare al quadro normativo che disciplina gli xenotrapianti(nota 3). Le conseguenze di questa linea politica per gli statunitensi sono sconcertanti: o la ricerca clinica sulle staminali embrionali andrà condotta senza fondi federali, oppure i ricercatori si vedranno costretti ad adoperare linee che comportano rischi maggiori di quelle usate nel resto del mondo e negli studi che non impiegano sovvenzioni federali.<



Al nocciolo della questione c’è un conflitto fra il dovere di ridurre al minimo i pericoli e il dovere di proteggere la vita embrionale. Per chi trova accettabile distruggere gli embrioni per fare progredire la ricerca biomedica, nulla giustifica l’esposizione di esseri umani al rischio di infezioni da altre specie, per quanto piccolo possa essere. Chi al contrario attribuisce grande valore alla protezione della vita embrionale difficilmente riterrà il pericolo teorico di infezione una ragione sufficiente per giustificare la creazione di nuove linee di staminali embrionali. Anche se il rischio che una malattia infettiva si trasmetta da una specie all’altra è con ogni probabilità molto scarso, si tratta di un azzardo del tutto evitabile.
Per questo riteniamo che non sarebbe etico introdurre in esseri umani le staminali coltivate in presenza di cellule di topo. Se questa visione sarà condivisa ma le norme statunitensi non cambieranno, le prime sperimentazione umane nel settore non potranno ricevere fondi federali. Ci sarebbe allora di che preoccuparsi per due ragioni: in primo luogo, senza finanziamenti governativi le ricerche procederebbero molto più a rilento; in secondo luogo, se si delega tutto ai privati si rischia di limitare la capacità del governo di vigilare sulle sperimentazioni sull’uomo.


I rischi genetici e il controllo di qualità

Se il trapianto dei materiali biologici ricavati da cellule staminali comporti per il ricevente un rischio genetico è difficile da valutare. È presumibile che per molte malattie genetiche il rischio non si ponga, specie se il gene alterato non è essenziale per la funzione del tessuto prodotto; tuttavia, in assenza di sperimentazioni umane o animali, non lo si può dare per scontato. Pertanto, sembra prudente verificare almeno l’assenza delle malattie genetiche che potrebbero colpire direttamente il tessuto prodotto. Se per esempio si volesse usare una cellula staminale per creare isole pancreatiche, bisognerebbe escludere la presenza nel suo genoma di mutazioni che predispongono al diabete di tipo 1.
Più in generale, bisognerà fare delle scelte su quali esami genetici condurre di routine sulle linee di staminali. Bisognerà inoltre decidere se la presenza di un difetto genetico, inclusi quelli senza prevedibili conseguenze sui tessuti prodotti, sia condizione sufficiente per scartare la cellula. A nostro parere sarà opportuno raccogliere le anamnesi familiari di tutte le coppie disposte a cedere gli embrioni sovrannumerari per usi di ricerca, in particolare riguardo alle malattie genetiche.



L’altra questione di sicurezza da risolvere è quella delle buone pratiche di produzione e dei meccanismi per il controllo di qualità. Il Biological Research Modifiers Advisory Comittee (Brmac) della Fda ha stabilito che i processi produttivi devono essere tracciabili in tutti i passaggi, dal donatore originario al trapianto nel ricevente. Molti controlli di qualità possono essere riprodotti da altre operazioni con agenti biologici, ma le staminali embrionali pongono problemi peculiari per quanto riguarda il mantenimento in coltura, la moltiplicazione e la conservazione. Per esempio, dato che le staminali embrionali possono essere coltivate in laboratorio per molte generazioni, bisognerà prevedere procedure di controllo adatte a scoprire le eventuali mutazioni accumulatesi nel tempo.
Al momento non è chiaro se le linee di staminali approvate per la ricerca federale possano soddisfare simili standard di qualità, né se soddisferanno i requisiti previsti dalle future linee guida sui difetti genetici. In assenza di tali requisiti, non sarà accettabile impiegare queste linee nell’uomo. I rischi menzionati, che complicano la scelta delle linee da impiegare, non sono i soli; altri timori riguardano il comportamento delle staminali e dei loro prodotti una volta trapiantati. Questi rischi possono essere valutati con completezza solo mediante studi in vivo, fra i quali i test preclinici negli animali. I quattro principali sono i disguidi nel differenziamento e nella migrazione, la cancerogenesi e il rigetto.


Gli errori di differenziamento

Al momento non sappiamo con esattezza come o perché una cellula staminale si differenzi. Non è chiaro se le popolazioni di cellule differenziate siano omogenee né se l’omogeneità sia importante per gli esiti clinici. Non si sa nemmeno se le cellule possano dedifferenziarsi, cioè modificarsi dopo essersi già differenziate in un dato tipo cellulare. Inoltre, anche se le cellule si differenziano a dovere e in modo stabile, nulla assicura che una volta iniettate nel ricevente migrino verso la zona desiderata anziché in sedi improprie. I disguidi nel differenziamento e nella migrazione comportano rischi a breve e a lungo termine ed entrambi, a quanto si può prevedere, possono causare seri effetti collaterali. Per di più, anche se il differenziamento e la migrazione vanno nel senso desiderato, ciò non assicura che le cellule trapiantate funzioneranno a dovere 5.
La situazione si fa ancor più complessa se si pensa alla scelta dei giusti modelli animali per gli esperimenti. Se le staminali embrionali non umane vengono trapiantate in animali della stessa specie d’appartenenza, i dati sul differenziamento e la migrazione rifletteranno con accuratezza le vie di trasmissione dei segnali fra cellule, gli effetti degli ormoni e delle citochine e gli altri processi in vivo che coinvolgono molecole specie specifiche. Tali disegni sperimentali però non dicono cosa accadrebbe se lo stesso esperimento fosse svolto con cellule umane su soggetti umani e non è chiaro fino a che punto i risultati possano essere estrapolati. Al momento le norme della Fda richiedono che la ricerca preclinica sia condotta su almeno due modelli animali prima di iniziare le sperimentazioni sull’uomo.
Una delle difficoltà nelle sperimentazioni su animali è stabilire con quali metodi verificare il destino e il comportamento delle cellule. Il Biological Research Modifiers Advisory Comittee ha individuato i parametri da verificare: la migrazione e il differenziamento delle cellule, il fenotipo che esprimono, la loro integrazione funzionale e la sopravvivenza dopo l’impianto. Gli standard per questi esiti però devono ancora essere sviluppati.


La cancerogenesi

La capacità di formare tumori è difficile da valutare, anche perché la cancerogenesi può avvenire a distanza di anni, se non decenni, dal trapianto. La necessità di raccogliere dati preclinici adeguati condizionerà la scelta dei modelli animali e la durata del follow up degli studi; i piccoli animali di solito sono poco longevi e possono non vivere abbastanza da sviluppare i tumori, ma quelli grandi sono più costosi da allevare e impiegarli nelle ricerche solleva maggiori remore etiche.
Può darsi che il pericolo sia maggiore quando le cellule trapiantate non sono del tutto differenziate. Le cellule che non hanno completato il differenziamento però possono essere vantaggiose dal punto di vista dell’efficacia della terapia, perché per esempio, nel sistema nervoso, possono essere più capaci di migrare e stabilire nuove connessioni sinaptiche rispetto a quelle differenziate appieno. Alla luce del rischio di tumori, si potrebbero inserire nelle cellule da trapiantare geni suicidi(nota 4); resta aperto l’interrogativo se per procedere alle prime sperimentazioni umane si debba aspettare che sia disponibile tale strumento.


Il rigetto

L’importanza del rigetto immunitario nelle terapie basate su staminali embrionali resta controversa. Nei trapianti ordinari l’entità del problema varia a seconda dell’organo o del tessuto; il fegato, per esempio, è meno suscettibile del rene, mentre non è ancora certo se si abbiano o meno reazioni immunologiche contro i tessuti estranei trapiantati nel cervello.
Gli esperimenti su animali con cellule neurali ricavate dalle staminali embrionali, e i trapianti sperimentali di neuroni fetali nei malati di Parkinson, hanno mostrato che in linea di principio il trapianto di neuroni derivati da staminali nelle malattie neurodegenerative è fattibile, ma le incertezze sul rigetto restano(nota 5). I trapianti di cellule fetali per la malattia di Parkinson sono stati eseguiti senza l’uso di immunosoppressori e in altri studi le cellule fetali trapiantate sono sopravvissute per oltre un anno dopo che l’immunosoppressione era stata interrotta; tuttavia le autopsie su alcuni dei riceventi hanno mostrato la presenza di marcatori immunologici e d’infiammazione, segno di un attacco immunitario in corso. Per fare chiarezza ci vorranno forse altri studi su animali. Viceversa per altri campi d’applicazione delle staminali, come la riparazione di lesioni cardiache, ci sono già ampie prove che il rigetto sarà un ostacolo importante con cui fare i conti.


La sperimentazione

Le prime prove di nuovi agenti sull’uomo sono condotte di norma con sperimentazioni cliniche di fase 1, il cui scopo è di verificare gli effetti collaterali e la tossicità e, in alcuni casi, di determinare la massima dose tollerabile. Gli studi di fase 2 raccolgono dati sull’efficacia e la sicurezza, mentre quelli di fase 3 prevedono di solito il confronto fra i nuovi agenti e gli interventi già disponibili. Questo schema di sperimentazione è stato sviluppato e rodato soprattutto per lo studio dei farmaci, ma trova impiego anche nei test di agenti biologici come i vaccini e i prodotti per la terapia genica.
Chi deve partecipare alle prime sperimentazioni delle terapie basate sulle staminali embrionali ?(nota 6) Ci sono elementi che rendono più accettabile, sul piano etico, fare affrontare tale onere a determinate persone e non ad altre?
Nella selezione dei soggetti per le sperimentazioni di fase 1 si adottano due modelli molto diversi. A un estremo c’è la ricerca oncologica, in cui si scelgono malati che non hanno tratto benefici sufficienti dalle terapie consuete e hanno ormai poche speranze di veder regredire la malattia. La ricerca di fase 1 di nuovi chemioterapici viene spesso condotta con un aumento progressivo delle dosi, per cui i primi pazienti ricevono basse dosi del composto e i dosaggi vengono man mano aumentati per i nuovi arruolati finché non si manifestano effetti tossici intollerabili. Di norma la dose iniziale è troppo bassa per dare benefici clinici anche quando il farmaco si dimostra poi efficace; i primi pazienti non hanno quindi alcuna possibilità di trarne giovamento. Anche per i pazienti successivi la speranza di trarre vantaggio dal trattamento è spesso remota, mentre gli effetti collaterali e gli altri oneri legati alla partecipazione sono tutt’altro che improbabili. Al contrario di quanto accade in oncologia, la ricerca di fase 1 sui vaccini è condotta di norma su volontari sani. I vaccini di solito sono destinati a individui sani e devono comportare scarsi rischi. Gli effetti collaterali attesi dalla sperimentazione sono minimi e gli effetti avversi seri sono rari. Dato che molti dei nuovi vaccini non si mostrano efficaci, i volontari il più delle volte non traggono alcun beneficio medico dalla partecipazione, ma d’altra parte non subiscono nemmeno particolari disagi o pericoli.
Quale dei due modelli è il più adatto per gli interventi con cellule staminali? Che la ricerca venga condotta su volontari sani è improbabile, per diverse ragioni. Prima di tutto gli individui sani non sono i destinatari degli interventi, che, a quanto si prevede, saranno di carattere terapeutico e non preventivo. In secondo luogo, anche se si impiegassero solo linee cellulari che hanno superato attenti controlli di qualità e test preclinici approfonditi, le incertezze sull’entità e sulla probabilità dei rischi per i primi soggetti umani resteranno comunque considerevoli. Per di più, molti degli esami istologici condotti negli studi preclinici sarebbero impossibili da eseguire su esseri umani, se non al momento dell’autopsia.
Alla luce di simili incertezze il modello preferibile sembra quello oncologico: i primi soggetti vanno reclutati fra i malati gravi a cui i trattamenti convenzionali non offrono grandi speranze. Poiché non c’è modo di prevedere le probabilità che le prime sperimentazioni umane funzionino, riteniamo che non sarebbe etico chiedere ai pazienti di abbandonare trattamenti efficaci anche solo in parte per partecipare ai primi studi sulla fattibilità di principio delle nuove terapie.
Anche reclutare i soggetti fra i malati colpiti da malattie a esito fatale e privi di valide opzioni terapeutiche, tuttavia, ha i suoi inconvenienti. Una preoccupazione fondamentale dev’essere quella di non sfruttare i malati. Secondo alcuni studiosi, dubbiosi sulla validità del consenso ottenuto da pazienti potenzialmente spinti dalla disperazione, sarebbe preferibile arruolare nei primi studi malati in condizioni meno gravi, almeno in alcuni casi(nota 7).
Bisognerà considerare con attenzione l’istituzione di comitati consultivi per i pazienti, di metodi di verifica del consenso, di associazioni di pazienti e di altri strumenti che aiutino i potenziali volontari a decidere a ragion veduta. Resta da stabilire se possa essere utile, sia alla scienza sia ai potenziali arruolati, un comitato consultivo nazionale per la ricerca sulle staminali, sulla falsariga del Recombinant DNA Advisory Committee che negli Stati Uniti sovrintende agli studi di terapia genica umana finanziati con fondi federali.
I malati più gravi possono non essere i candidati ideali alle prime sperimentazioni anche per motivi tecnici. In uno studio sui trapianti di cellule neurali fetali nei malati di Parkinson, i pazienti sotto i sessant’anni hanno mostrato una risposta positiva, almeno a un anno dall’intervento, mentre quelli più anziani non hanno ottenuto miglioramenti(nota 8). Con il passare del tempo però anche i benefici per i più giovani si sono ridimensionati. Dato che per valutare la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti può essere necessario seguire i pazienti a lungo, i malati più anziani e i più gravi rischiano di non essere la scelta ideale. Per di più, a volte può essere difficile ottenere la prova di principio che il trattamento sia praticabile, e a maggior ragione trarre indizi sulla sua efficacia, nei malati in fase avanzata. Arruolare malati gravi non è una buona scelta se i dati che se ne ricavano sono di utilità scarsa o nulla.
Nel futuro passaggio dalle sperimentazioni preliminari agli studi su vasta scala e poi alle terapie approvate, il bisogno di raccogliere i dati per lunghi periodi persisterà, specie per i rischi di lungo termine come la cancerogenesi. Si potrebbe cominciare subito a pensare all’istituzione di registri dei pazienti o di altri mezzi per tenere traccia di quanto accade a ciascuno nel corso del tempo.


Conclusioni

Nella transizione della ricerca sulle staminali embrionali umane dagli studi di base alle terapie approvate ci sono svariate questioni di sicurezza di cui tenere conto. Al momento restano irrisolti gli interrogativi su quali linee di staminali scegliere per sviluppare le terapie. Quando partiranno le sperimentazioni precliniche bisognerà affrontare ulteriori incertezze, dalle incognite sulla migrazione e il differenziamento delle cellule ai rischi di cancerogenesi e di rigetto. Nel progettare le sperimentazioni preliminari sull’uomo bisognerà decidere con oculatezza quali soggetti arruolare. Infine, una volta che le terapie si saranno dimostrate efficaci e sicure, sarà prudente continuare a raccogliere i dati sul destino dei pazienti per accertarsi che non ci siano imprevisti sul lungo termine.
È difficile stabilire quali condizioni andranno soddisfatte prima di procedere alle sperimentazioni umane, vista le difficoltà di valutare i rischi dei trattamenti e la mancanza di prove sulla loro efficacia. Le questioni etiche, di procedura e di sicurezza da affrontare prima di avviare una ricerca innovativa sugli esseri umani sono formidabili. Mettere a punto terapie che fanno uso di nuove tecnologie è sempre una sfida etica difficile; sotto questo profilo, la ricerca sulle staminali non differisce da altre aree di ricerca medica innovativa. Quel che fa la differenza rispetto ad altri ambiti di ricerca sono invece le controversie sul valore morale da attribuire all’embrione umano ai primissimi stadi di sviluppo.

NATIONAL INSTITUTES OF HEALTH
La risposta di Zerhouni
«Se le attuali restrizioni all’impiego dei fondi federali dovessero rallentare la ricerca, sarò io il primo a chiederne una revisione. Al momento, però, non è così: le linee cellulari approvate sono del tutto idonee alle ricerche in corso». Così il direttore dei National Institutes of Health, Elias Zerhouni, replica ai timori espressi dai ricercatori in queste pagine. Gli argomenti che avanza sono due. Da un lato, l’utilità terapeutica delle staminali embrionali è ancora tutta da provare; per ottenere tali prove le linee attuali sono più che sufficienti, e solo a prova raggiunta si porrà, se mai, il problema della loro adeguatezza all’impiego clinico. In secondo luogo secondo la Food and Drug Administration, l’ente responsabile delle autorizzazioni all’uso dei farmaci, non c’è motivo di pensare che le linee cellulari cresciute a contatto con cellule di topo siano meno sicure di quelle coltivate insieme ad altre cellule umane. «Sia le cellule umane sia quelle di topo potrebbero trasmettere patogeni e in ambo i casi ogni proposta di applicazione sull’uomo andrà scrutinata con attenzione » afferma Zerhouni. «Sono già in sperimentazione sull’uomo altri tipi di terapie che impiegano cellule vive cresciute a contatto con tessuti animali, e per le staminali si adopererebbero gli stessi criteri di sicurezza ». Quel che gli studiosi sottolineavano, però, è che nel caso delle staminali il rischio di contaminazione da patogeni animali sarebbe del tutto evitabile impiegando le linee più recenti. Per di più, come ricorda lo stesso Zerhouni, tra poco potrebbero essere disponibili staminali coltivate senza alcuna altra cellula, umana o animale che sia, e dunque ancor più sicure. Le tesi di Zerhouni non hanno convinto molti. «Perché perdere tempo e denaro su linee che domani, per l’uso clinico, dovremo abbandonare, anziché studiare subito le linee che poi potremo adoperare?» si chiede per esempio il neurologo di Yale Eugene Redmond. Fino alle presidenziali di novembre, comunque, il dibattito è puramente accademico perché George Bush non dà segno di voler cambiare politica. Il discorso si riaprirebbe se alle urne vincesse John Kerry, convinto sostenitore della ricerca; ma anche Bush, incassata la rielezione, potrebbe farsi molto più malleabile, viste le forti pressioni in tal senso che vengono anche da ambienti repubblicani.


Questo articolo è una versione appositamente redatta per darwin di Safety issues in cell-based intervention trials, pubblicato su Fertility and Sterility,2003;80:5.1077-1085. Il lavoro originario era firmato dai membri del Working Group on the Criteria for Cell-Based Therapies, diretto da Alison Bateman-House e copresieduto da Ruth R. Faden e John Gearhart; il primo firmatario è Liza Dawson.


Note
1. Nature Biotechnology 2002;20(9):933-6.
2. Le attuali norme federali che regolano la ricerca sulle staminali permettono l’impiego di finanziamenti federali solo per la ricerca sulle linee ricavate: 1) prima del 9 agosto 2001; 2) con il consenso informato dei donatori; 3) da embrioni sovrannumerari creati per la riproduzione assistita; 4) senza alcun incentivo finanziario ai donatori.
3. http://www.fda.gov/oc/stemcells/kennedyltr.html
4. Una strategia promettente per liberarsi delle cellule che dopo il trapianto divengono maligne è quella dei geni suicidi. Nelle cellule da impiegare per la terapia si introduce un gene che le renda sensibili a un determinato farmaco, mediante il quale si possono quindi uccidere ed eliminare le eventuali cellule che divengano pericolose. Nel 2003 la Geron ha ottenuto il brevetto su una tecnica per applicare la strategia suicida alle cellule staminali.
5. Nature 2002;418:50-6. Science 2002;295:254-5. N Engl J Med 2001;344:710-9.
6. Sono già in corso sperimentazioni con cellule staminali ricavate da tessuti adulti e loro derivati. Al confronto, le conoscenze e la dimestichezza con le staminali embrionali sono molto più scarse.
7. Per esempio c’è stata una viva discussione su questo punto riguardo alla morte, nel 1999, di un partecipante a una sperimentazione di fase 1 di un vettore virale recante il gene dell’ornitina transcarbamilasi (OTC).
8. N Engl J Med 2001;344:710-9.




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