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significato a. m. [dal lat. significatus -us " senso, indizio ", der. di significare]. - I. Il contenuto espressivo di parole, frasi, gesti e in genere di qualsiasi mezzo di comunicazione e di espressione: non sapere il s. di una parola; vorrei conoscere il preciso s. di questo termine tecnico; la voce "cane i> ha un s. proprio e vari s. figurati; il s. di un simbolo di chimica, di una sigla; anche iperb.: questo è un discorso privo di significato, sono parole senza significato, senza senso. Per il particolare uso del termine in filo- sofia e in linguistica, v. oltre. Per la teoria del s. in logica matematica, V. LOGICA. 2. a) estens. Ciò che significa, o può o vuole significare, un atteggiamento, un atto, un fatto, il modo come esso può essere interpretato riguardo alle inten- zioni di chi l'ha compiuto, o nelle conseguenze che può avere: -non riesco a capire che signifi- cato abbia il suo improvviso cambiamento nei miei riguardi; la sua assen--a alla manifestazione assu- me un s. di protesta. b) fìg. Valore, importanza- in questo momento, l'avere o meno la promozione ha per me un grande significato.

Filosofia. - Nella filosofia presocratica tro- viarno i primi documenti di una riflessione in- torno al S.; infatti, laddove Eraelito (54o-48o a. C. circa) sosteneva che le parole significano naturalmente e che sono del tutto adeguate a rappresentare sul piano linguistico la sostan- ziale mutevolezza della realtà, Parmenide (52o- 44o a. C. circa) sottolineava, invece, il carattere del tutto arbitrario dei S. delle espressioni lin- guistiche, incapaci di cogliere l'unità dell'essere e confinate nel campo dell'opinione. Platone (427-347 a. C.) poi, nel Cratilo, interpreta il s. delle parole in termini di un rapporto onorna- topeico tra forma linguistica e oggetto designato, mentre principalmente al Teeteto e al Sofista si può far risalire un primo tentativo di classi- ficazione filosofica di diversi livelli di a., con la distinzione tra il dire (léyetv) e il denominare (4oAáUtv). Nell'Organon di Aristotele (384-322 a. C.), e in particolare nel De interpretatione, veniva avanzata una teoria che faceva dipendere il S. delle forme linguistiche, riconosciute come del tutto arbitrarie e frutto di convenzioni (mard ovv~Y), dalla loro relazione con le * affezioni dell'anima * che altro non sono che copie men- tali delle cose reali. Anche in Aristotele troviamo la distinzione tra vari tipi di s.; per un verso egli _distingue il s. dei nome che è senza ternpo, da quello del verbo che * significa, in aggiunta, il

tempo,> >.,oóvop); inoltre, per quanto riguarda gli enunciati, egli distingue il s. apo- fantico (drogganíxò; AóyoQ) proprio degli enunciati dichiarativi a cui appartiene l'essere vero o falso, dal s. retorico proprio di quegli enunciati che sono usati prevalentemente con intenti persua- sivi. Agli stoici, secondo Diogene Laerzio (3" sec. d. C.), si deve l'aver dedicato un'intera se- zione della loro dialettica ad af&ontare le que- stioni di s. (-rà cFii@wívov-ca). Non a caso dunque a Zenone di CiziO (335-764 a. C. circa), a CIcante di Asso (331-232 a. C. circa) e a Crisippo di Soli (z8i-2oS a. C.) si fa risalire la prima dot- trina completa sulle cose significate o espresse (iwzcí). Gli stoici distinsero nettamente tra ciò che significa, ciò che viene significato e l'og- getto, ovvero tra l'espressione linguistica, il s. vero e proprio che altro non è che una " rappre- sentazione razionale " della cosa cui si pensa, e la cosa nella sua esistenza esterna. Ai logici del- l'età medievale - e in particolare a Gugliemo di Shyreswood (m. i249), Pietro Ispano (i2io- 1277) e Guglicimo di Occam (i295 o 1300- 1349 0 1350) - si può far risalire un'importante distinzione a proposito dei s. di s., quella tra significatiti e suppositio, che è stata riproposta varie volte. 1 logici medievali intendevano per signíficatio di una parola o di una frase la sua capacità di comunicare o presentare una forma, mentre la suppositio è la capacità che un termine ha di riferirsi a un certo oggetto o cosa. Tro- viamo qui perciò un diverso modo di guardare al s. di una parola, terrnine o espressione a se- conda che si consideri ciò cui ci si riferisce par- lando (in questo case è in gioco la suppositio), o ciò che si dice di ciò cui ci si riferisce (è que- sta la significatiti). Nella filosofia moderna una teoria che concepisce il s. come un'idea legata alla parola e che viene risvegliata nel pronun- ciarla anche nell'ascoltatore viene proposta nel 170 secolo nella Grammatica e logica di Port Royal. Non diversamente anche j. Locke (i632- '7o4) nell'Essay co-ncerning human understanding (x69o) sosteneva che la funzione delle parole è quella di essere contrassegno delle idee e che le idee dunque sono il loro significato. Le teorie nazionalista ed empirista del s. concordavano quindi nel concepire le parole come raffigura- zioni o nomi di idee, mentre poi si distingue- vano a seconda che concepivano, rispettivamen- te, come necessaria e naturale o come conven- zionale e volontaria la relazione tra significante e significato. Nel secolo i80 la teoria l'ockiana del s. viene riproposta da Condillac (1715-1780) e Maupertuis (i698-1759) che sottolineano la natura arbitraria dei s. c neepìti come essenze nominati che da una parte vengono denotate dai segni linguistici e dall'altra sono la proie- zione mentale di una classe di oggetti. Per la storia@ della riflessione filosofìca sul s. partico- larmente importante è il SYstm Of logig@ (1843) di John Stuart Mill (1806-1873). Mill rileva che la concezione denotazionista dei s. può rendere conto solo del funzionamento dei nomi propet, che si riferiscono appunto a delle cose od og- getti, mentre non può spiegare quella più im- portante dimensione del significare in cui è in gioco l'applicazione di attribuzioni alle cose cui ci si riferisce. J. Stuart Mill collegava poi que- sta dimensione connotativa del s., che sarebbe propria non tanto dei nomi quanto dei terrnini generali, a dei " concetti" a delle " essenze * cui ci si riferirebbe. Anche G. Frege (1848-1925) distingue tra il vero e proprio s. (Bedeutung) di un segno, che sarebbe l'oggetto denotato o de- signato, e il suo senso (Sinn) ovvero il "-rnodo in cui quell'oggetto ci viene dato ". La profonda differenza tra s. e senso di un'espressione risulta chiara se consideriamo che mentre enunciati co- me * la stella del mattino * e * la stella della sera @ hanno indubbiamente un senso diverso, pur tut- tavia trasmettono lo stesso s. in quanto entram- bi si riferiscono allo stesso oggetto, il pianeta Venere. Questo modo di affrontare la questione portò Frege a riconoscere che tutte le proposi- zioni vere hanno lo stesso s. in quanto denotano lo stesso oggetto e cioè il Vero; ciò comporta che è possibile identificare formalmente in modo uflivoco la classe di tutte le proposizioni vere senza tenere conto delle diversità di senso. Que- sto riconoscimento è a monte dei notevoli per- fezionamenti operati da Frege nella logica for- male. La tendenza a concepire il s. linguistico in termini di una relazione di raffigurazione o denotazione è presente anche nelle Logische Un- tersuchungen (igoo-ai) di E. 1-lusseri (i859- i938). l'espressione linguistica è legata in modo associativo a un oggetto intenzionale costituito da un certo corso di esperienze psichiche. La teoria del s. come raffigurazione trova poi nella filosofia analitica della prima metà del secolo 20" la sua formulazione più esaustiva. Così B. Russell (1872-1970) poneva al centro del suo atomt'smo logico una teoria dei s. che interpre- tava tutte le proposizioni complesse significanti come riducibili a proposizioni atomiche, in cui compaiono solo nomi di dati sensoriali. L. Witt- genstein (i889-igSi), nel Traetatus logico-philo- sophicus (i9z2), oltre a sostenere che il nome significa l'oggetto e che dunque il nome fa le veci dell'oggetto nella proposizione, affermava anche una completa corrispondenza tra la strut- tura della frase significante e la struttura del fatto rappresentato. Un'analoga concezione della natura del s. si trova tra gli esponenti del Cir- colo di Víenna che condividevano la tesi di M. Schlik (1882-1936), secondo cui " il a. di una proposizione è il tnetodo della sua verifica,>. L'accettazione di questa concezione del s. come verificabilità empiríca portava i neopositivisti a negare qualsiasi s. a proposizioni che - come quelle etiche, estetiche, religiose e rnetafìsiche - non fossero riconducibili a constatazioni di fatti. Ma proprio nel zo" secolo si è anche avuta una serie di tentativi di proporre teorie alternative rispetto a quella che assimila il s. a una raffi- gurazione o a una denotazione di un oggetto fisico o mentale. Alle riflessioni di C. S. Peirce (1839-1914) e di G. H. Mead (i863-1931) si può far risalire la prima comparsa di quella teoria pragmatista a comportamentista del s. che, riproposta da C. K. Ogden e I. A. Richards con The meaning of meaning (i9z3, trad. it. i966), fatta valere nella linguistica da L. Bloorn- field con Language (1933), trova in Signs, lan- guage and beahaviour (i946, trad. it. i963) di C. Morris (n. igoi) e in Ethics and language (i944, trad. it. i962) di C. L. Stevenson (n. i9o8) la presentazione più sistematica. Il s. di una parola o frase non è più visto come ciò che viene raffigurato o denotato, ma piuttosto come l'insieme della situazione che spinge a pro- durre una certa formula linguistica (lo stimolo) e degli effetti che la sua produzione provoca negli ascoltatori (la risposta). Proprio su questa base si giunge - specialmente ad opera di Ste- venson - a riconoscere accanto a un s. descrittivo proprio delle frasi che servono a trasmettere e produrre credenze, un s. emotivo, che è in gioco quando il parlante esprime un atteggiamento o un'emozione e vuole stimolare nell'ascoltatore un comportamento o una risposta emotiva ana- loga. Un'alternativa alla teoria del s. come raf- figurazione troviamo anche nelle Philosophical investigations (1953) di L. Wittgenstein e nelle opere di G. Ryle (n. igoc), R. M. Hare (n. igig), P. F. Strawson (n. igig) e di altri espo- nentí della Oxford-Cambridge philosophy. Con- tro la tendenza a concepire le proposizioni come raffigurazioni di ciò che significano, si sostiene invece che il s. delle espressioni linguistiche di- pende dall'applicazione di regole d'uso ricono- sciute dalla cornunità dei parlanti. Su questa base si riconosce una molteplicità di dimensioni di s. a seconda della particolare funzione'che la parola o la proposizione svolge nel discorso; quello della raffigurazione o denotazione è quin- di solo uno dei molti modi in cui si può utiliz- zare il linguaggio significante. Contro la teoria denotazionista del s. j. L. Austin (igii-i96o), specialmente in How to do thi-ngs with sorda (i 962, trad. it. Quando dire è fare, 1974), ha so- stenuto che accanto a una capacità che le espres- síoni linguistiche talvolta hanno di raffigurare qualcosa, bisogna riconoscere anche una forza neoformativa di molti atti linguistici. In molti

casi, infatti, con i nostri discorsi non tanto di- ciamo qualcosa, quanto piuttosto facciamo qual- cosa: tipici esempi di atti linguistici carichi di s. performativo sono, tra gli altri, i verdetti di un giudice, le promesse, le formule di giura- mento, ecc. Anche W. Van Orman Quine (n. i9o8) rifiuta la teoria dei s. come raffigurazione, in quanto essa ritiene possibile rendere conto del s. di singole proposizioni autonomamente considerate, e propone invece una teoria olistica del s., secondo la quale è necessario risalire alla totalità linguistica di cui un singolo enunciato fa parte allo scopo di spiegarne il significato.

Linguistica. - Per s. s'intende, in linguistica, ciò che si vuoi dire pronunciando una frase o una parola, il messaggio cioè che con queste si trasmette. In termini più tecnici il s. è l'entità del contenuto definita dalla corrispondenza con una determinata forma espressiva fonica o gra- fica (significante). Il s. costituisce pertanto un'u- nità formale della lingua: è una classe di sensi, come il significante è una classe di fonie (v. FONOLOGIA). I termini sono quelli di Frege (v. sopra, Filosofia), ma con valore inverso: un sen- so (a messaggio, o significazione) è un fatto concreto, come tale unico e irripetibile. Esso è classificabile da un punto di vista linguistico con quegli altri sensi che siano tutti e soli indi- cati da un determinato significante. 1 sensi sono così organizzati dai s. in un sistema di classi- ficazione, che rende. discreto il piano del conte- nuto (L. Hjeìmslev) o campo noetico (L. Prieto) di una lingua. Una stessa parola, pronunciata in occasioni diverse, può avere un senso assai diverso (per es. guerra nel discorso di un guer- rafondaio o in quello di un pacifista, oppure ap- plicata alla guerra di Troia o a quella del Viet- nam). Tuttavia in ogni occasione questa parola ci darà sernpre la stessa indicazione su ciò che si vuoi dire (che cioè si tratta di "guerra,". £ questo contributo stabile che si chiama signi- ficato. Poiché le entità dell'espressione e quelle del contenuto si dèfiniscono le une in rapporto alle altre, ogni significante avrà un s. (e vice- versa), anche se da un altro punto di vista si possono distinguere più accezioni all'interno di un significato. La parola italiana mosca può de- signare un insetto, un battello, una barbetta, e anche la città di Mosca (nella realizzazione orale). Il contesto della frase può servire, benché non necessariamente, a precisare cosa si voglia indi- care nel singolo caso, ma la parola in generale può riferirsi a ciascuna di queste cose e ha come s. la somma di queste accezioni. Uno stesso senso può essere espresso in una lingua da s. diversi. Per comunicare la stessa cosa posso dire dammelo, dammi il libro, dammi il libro di linguistica che hai sul tavolo, lasciando sempre meno da precisare alle circostanze.

Lo sviluppo di una nozione propriamente lin- guistica dei s. è stato particolarmente lento e la sua piena accettazione, come settore dell'analisi del linguaggio (semantica), appartiene solo agli ultimi decenni. In effetti, una forma linguistica come piove sembra rinviare direttamente a una realtà, in questo caso il fatto che sta piovendo: S. di fiume, -nipote, verde sarebbero allora quegli oggetti che sono i fiumi, i nipoti, il colore verde (o, al più, le <1 idee * che abbiamo di questi og- getti). Questa visione, chiamata oggi referenzia- listica, perché considera un segno come riferen- tesi a qualcosa di esterno al segno stesso (ap- punto il referente), è quella che a partire da Aristotele e malgrado gli stoici, che considera- vano il segno (ngelov) costituito da un signifi- cante (aqgaívov) e un significato si è imposta nella tradizione linguistica occiden- tale. Il celebre "triangolo semiotico " di C. K. Ogden e I. A. Richards (The rneaning of meaning,

1923) mette in rapporto il " simbolo" con il " referente " attraverso il "pensiero ", ma finché questo è esterno e precostituito rispetto al o sim- bolo ", la sostanza del discorso non cambia. Que- sta visione consente, sì, di considerare il lin- guaggio o convenzionale ", ma solo in quanto manca un rapporto naturale fra nome e cosa. Una lingua non sarebbe cioè altro che un re- pertorio di etichette ("nomi ") - e sia pure di- verse da lingua a lingua - da applicare alle cose già di per sé classificate e identificate. Che il s. non sia calco di una realtà preformata fuori della lingua dovrebbe pure apparire evidente dal diverso valore che in lingue diverse hanno forme simili: per es., nipote in italiano indica sia # il figlio dei fratello " sia <@ il figlio dei figlio @>, men- tre in francese il primo è neveu e il secondo petit fils. Assai variabile è la corrispondenza dei nomi di parentela da una lingua all'altra, e an- cora più quella dei nomi di colore (esempio ce- lebre di 1-Ijelmslev). Questo tipo di differenza può sembrare * culturale " (nel senso dell'antro- pologia culturale) e non linguistico; è in gioco anche una visione del mondo che precede la for- mulazione linguistica. Il a. è un'entità duplice, extra e prelinguistica, in quanto bisogna ricono- scere e identificare culturalmente ciò che si vuol dire, ma anche linguistica in quanto questo viene poi riconcepito per essere trasniesso per mezzo della lingua. 1 rapporti di parentela sono in Italia e in Francia più o meno gli stessi, ma l'organizza- zione semantica dei loro nomi è diversa. Si è anzi giunti a suggerire che la struttura seman- tica delle lingue influisca differenziando la vi- sione del mondo dei popoli che le parlano (teoria della relatività linguistica o <1 ipotesi Sapir- Whorf "). In particolare una lingua che non pre- senti certe distinzioni grammaticali e lessicali non aiuterebbe a distinguere (o, più ancora, por- terebbe a confondere) le nozioni che esse desi- gnano (e viceversa). Nella sua versione estre- nústa la teoria non è sostenibile: gli italiani, per es., non confondono possibilità materiale e possibilità morale, benché l'italiano abbia solo potere, rispetto a kdnnen e dúrfen dei tedesco. Se il pensiero necessita di stru tture simboliche per stabilirsi, il linguaggio è solo una di queste (benché forse nelle nostre società la più impor- tante), certo non l'unica. La distinzione s. (en- tità linguistica astratta) - senso (entità sia lin- guistica sia culturale più concreta) consente di rendere conto oltre che di questi fenomeni an- che di altri più propriamente linguistici, come la natura dei pronorni. In effetti, quando si dice dammelo, il s. di questa frase è <, richiesta dell'emittente al ricevente di dargli un oggetto singolare maschile determinato >, ma evidente- mente ciò che l'emittpnte richiede non è un qualsiasi oggetto singolare maschile, ma un li- bro, o un orologio, o un altro oggetto specifico. In questi casi il s. linguistico non comporta tutte le caratteristiche necessar e per compren- dere il senso, ma solo una parte, perché si ri- tiene che le altre siano già manifestate dalle circostanze.

L'inizio dello studio linguistico moderno dei s. si pone di solito nel i897 con l'Essai de sé- mantique di M. Bréal (che crea anche la pa- rola per la disciplina). Conformemente alla pro- spettiva dell'epoca, è un saggio sui mutamen- ti di s. che ne rnodificano l'estensione (per es., per restringimento, dal latino linteolum o len- zuolo " si ha il francese linceul <, sudario ", quel lenzuolo in cui si avvolgono i morti) e inaugura una corrente di ricerche che arriverà senza so- stanziali mutamenti fino a St. Ulmann (Seman- tics: An introduetion to the science of meaning, i 962). F. de Saussure, allievo di Bréaì, riporta il cam- biarnento come il funzionamento dei s. alla loro natura relazionale. Nella dottrina saussuriana il segno è un'entità bifacciale composta da signi- ficante e a., e questo è definibile solo come con- troparte del primo. I a. infatti assumono valore solo delimitandosi reciprocamente nel sistema (il francese mouton @ montone " non ha lo stesso valore dell'inglese mutton perché questo indica solo la carne di montone cucinata, avendo ac- canto a sé un secondo termine sheep per la bestia viva). Questo tipo di considerazioni è sviluppato, con una certa indipendenza da Saussure, dalla teoria dei campi semantici (in particolare j. Trier), che studia settori di lessico riferentesi a un aspetto delimitato della realtà, organizzati da termini che si delimitano e oppongono reci- procamente. Per es., nel campo del @@ sapere ", il tedesco del i @<> sec. opponeva wisheit, il "sa- pere,> spirituale in generale, ai più specifici kunst,

1'" arte " cortese, e list, la " tecnica " artigiana. Un secolo dopo, a causa dei cambiamento sociale e culturale, wiz--en (che si è sostituito a list) e kunst hanno perduto il riferimento di classe, ed esprimono il primo il sapere " tecnico ", il se- condo quello t artistico >, mentre wisheit non li riassume p@u e indica la " saggezza " mistico-

religiosa. però L. Hjelrnsley, in Omkring spragteoriens grunglaeggelse (1943) e in una serie di articoli, che riprende, sistematizza, esempli- fica le teorie saussuriane: biplanarità del linguag- gio, composto da espressione e contenuto, di- stinzione su ognuno di questi due piani di forma e sostanza. Nella linea dello strutturalismo eu- ropeo sono oggi attivi in particolare E. Coseriu e L. Prieto. Nello strutturalismo americano il a., concepito come la situazione in cui il par- lante pronuncia una forma linguistica e la ri- sposta che essa suscita nell'ascoltatore, non è un'entità interna alla lingua, benché L. Bloorn- field gli dedichi un capitolo nel suo manuale (La-guage, 1933). Una forma per essere lingui- stica deve avere un s., ma la defìnizione di questo può venire solo da altre scienze (così è la chimica a spiegare che il s. di sale va definito come cioruro di sodio). Si salvano solo i tratti grammaticali del s. "@ agente ", o passato @>, ecc.). N. Chomsky, che per vari aspetti si oppone a Bloomfield, ne continua la diffidenza verso il a. nelle Syntactie structures (1957) in cui si pro- pone una teoria <@ formale " nel senso di " ase- rnantica ". Negli Aspects of the theory of syntax (i965) c'è un componente semantico che inter- preta le parole inserite negli schemi sintattici, funzionando più o meno come un dizionario, che specifica i tratti grammaticali e lessicali e le possibilità di combinazione che definiscono il s. di una parola. Questo tipo di analisi che enu- mera e ordina le caratteristiche che un senso deve presentare per essere trasrnissibile con un s. analizzando questo nei suoi componenti, è detto analisi componenziale (per es., raga----o dovrà essere analizzato nei componenti * uma- no ", <x maschio ", <i non adulto,". Proposta da Hjelmslev che parlava di " figure del conte- nuto * per i componenti di base, ritrovata indi- pendentemente dagli antropologi, perseguita da U. Weinreich, E. H. Bendix, M. Bierwisch, essa è oggi praticata, sia pure in diverso modo, da tutte le scuole linguistiche. Allievi e colla- boratori di Chornsky hanno però elaborato sotto il titolo di semantica generativa una nuova teoria del linguaggio in cui l'organizzazione fondamen- tale delle frasi è semantica, indipendente dalla struttura sintattica, e i legami tra i s. delle pa- role possono essere descritti secondo la " logica dei predicati "- nelle " rappresentazioni sernan- tiche @> di G. Lakoff e j. D. Mc Cawley è il verbo che viene per lo più utilizzato come * predicato *, ma anche gli aggettivi, certi pro- nomi e la negazione; degli altri componenti (" argomenti ") si mostra il diverso livello ge- rarchico lavorando con parafrasi. Questa teoria tende alla fusione di linguistica, psicologia e lo- gica. Benché essa abbia dato analisi assai fìni di certi fenomeni, si corre il grave rischio di cancellare così il livello linguistico autonomo e arbitrario dei significato.

significatene s. m. e agg. (f. -trice) [dal lat. tardo significator -orisl, non com. - Chi o che significa, annunzia. In astrologia, termine che indicava quelle caratteristiche e luoghi celesti (ascendente, mezzo cielo, luogo dei Sole, della Luna, ecc.), verso cui si dirigeva il promissore.

signifìcazióne <-zz-> s. f. [dal lat. significatiti _onisl, non com. - Azione, effetto dei significare: e dissi " peregrini ", secondo la larga s. del vocabolo (Dante), nel significato più largo della parola. Tono altamente significante: e spiccando le sil- labe con una gran signijìcazione, proferì quel nome che noi non possiamo scrivere ai nostri lettori (Manzoni).

 

 

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