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Segno

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Segno
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Significato
Simbolo

 

ségno a. m. [lat. sígnum "segno visibile o sen- sibile di qualche cosa; insegna militare; inuna- gine scolpita o dipinta; astro *; forse affine a secare " tagliare, incidere "]. - I. Qualsiasi cosa (oggetto, fatto, fenomeno) sensibile che, oltre a manife- stare sé stessa, è anche manifestazione più o meno immediata di un'altra cosa con cui sia in qualche modo connessa. In partic.: a) Ciò che serve a far conoscere qualche cosa, a dare indizio di qualche cosa: i s. dei tempi, espressione evangelica (lat. signa temporum, Matteo i6, 4) per indicare le manifestazioni attraverso le quali si annunziano giunti i tempi vaticinati dai profeti; quello per che poteme conoscere l'uomo a li s. apparenti (Dan- te); cominciano già ad apparire i s. della gravidan- za; non dava più segno di vita; cercavo di scoprire nel suo sguardo qualche s. di compassione; le sue lacrime mi sembra-no segno di pentimento. In fun- zione di predicato, è s., è manifesto s., è aperto s. di..., dimostra, rivela esternamente: non sempre lo spreco è s. d'abbondanza (prov.); quell'atto era s. d'animo gentile; il mandarlo fuori di casa no- stra così infermo ne sarebbe gran biasimo e s. ma- nifesto di poco senno (Boccaccio); seguito da che, è s. che, vuol dire, significa - se non ha più un soldo, è segno che li ha spesi in qualche modo; se dice di no, è s. che non lo vuole; se -non risponde, è s. che non è in casa; se non mangia è s. cheno-n ha appetito. Assolutarn., e in tono esciam., buon s.!, cattivo s.!, brutto 9.!, a proposito di cose che si ritengono di buono o cattiva indizio, di fausto o infausto augurio: entrando, non ha salutato nessuno: brutto segno! Di cose che preannunziano eventi futuri: s. premonitori; qiiest'aria pesante è s. di pioggia imminente; il malato aveva già mostrato per chiari s. di avviarsi alla guarigione; il verso della civetta è creduto dal popolo s. di sciagura; qui va a finir mate.- ne vedo già i segni; ecc. b) In medicina, termine equivalente a sintomo obiettivo, spontaneo o provocato con particolari manualità o artifici. 1 s. sono di solito indicati col nome dell'autore che li ha per la prima volta descritti e valorizzati ai fini diagnostici -. s. di F. Chvostek, s. di A. C@raefe, s. di P. Mdbius, s. di C. Stellwag (v. sotto i singoli cognorni), oppure accennando alla tecni- ca impiegata per la provocazione - s. del laccio (V. LACCIO), ecc. Con valore più generico, nel ling. com., manifestazione di una determinata condizione fisica: la frequenza del polso può essere s. difebbre; anche non limitatamente a stati mor- bosi o ad alterazioni (per es. - l'appetito è s. di buona salute). Anticam. indicò in partic. l'orina da analizzare - il maestro veduto il s. [mandato da Calandrino] disse alla fanticella... (Boccaccio); costui porta, non il s., ma un diluvio d'orina al me- dico (Sacchetti); con lo stesso senso si disse anche segnale. c) Atto, espressione o altro mezzo con cui si manifesta qualche cosa; soprattutto in unione coi verbo dare: cominciava a dare segni d'iinpa- --ienza; più raro coi verbo fare-. una donna gio- vane,... danzando e vociferando, faceva s. di gran- dissima allegrezza (Leopardi); seguito da un infìni- to, dare segno di, accennare a (come preannunzio): continuava imperterrito senza dare alcun s. di volere smettere. In partic., di atti intenzionali destinati a comunicare un sentimento, una volizione o anche soltanto una determinata condizione: gli aveva già dato molti s. della sua simpatia, della sua benevolenza; vorrei da te un s. di consenso; Iddio aveva voluto dare al mondo un s. della sua potenza; era un s. della volontà, dell'ira divina; al mio Delisar commendai l'armi, Cui la destra del ciel fu sì congiunta, Che segno fu ch'i' dovessi posarmi (Dante); s. soprannaturali, segni del cielo, e sim., prodigi, miracoli (con questa sign., talora anche semplicem. segno, segni, spee. in tradu- zione di passi dei Vangelo, dove si parla spesso di sig-na, di signa et prodigia: cfr. Giov., '>, 32; 4, 48; 6, 2; 9, i6, ecc.; Atti, 6, 8; 7, 36, ecc.). Assai comune la locuz. in segno di (meno fre- quente co?ne segno di), per dimostrare, per signi- ficare - le dedico questo libro in s. di stima, di devo- zioite; mi posò una mano sulla spalla come s. di perdono; gli tese la destra in s. di amicizia; abbassò gli occhi in s. dì modestia; accetti questo piccolo dono come s. (anche più brevem., accetti questo piccolo s.) della mia riconoscenza. d) In qualche caso, affine a cenno, cioè gesto con cui si vuole significare, comunicare qualche cosa; parlare, intendersi a segni; glifece segno di sì, di no; s'erano fatti di nascosto un s. d'i-ntesa; mi fece da lontano un s. di saluto; non ti muovere, finché non ti faccio s. io; gli fece col dito segno di stare zitto; gli fece segno di accostarglisi; gli faceva s. d'entrare; E '1 savio mio maestro fece segno Di voler lor parlar secretametite (Dante). Come sinon. di cenno, si usò anticam. anche per comando, dipendenza, in frasi quali essere al s. di qualcuno e sim. e) Lo stesso che segnale (nel suo primo e più generico sign.) - il semaforo rosso è s. d'arresto, quello verde di via libera; s. dati (o fatti) con bandiere, con fuo- chi; dare il s. dell'attacco -, al s. dato, si mossero tutti insieme; la squilla dà segno Della festa che viene (Leopardi); il lavoro durò intenso e sollecito fino al s. delle campane di mezzogiorno (Bacchelli). 2. a) Qualsiasi oggetto o più spesso figura che sia convenzionalmente assunta come espressione e rappresentazione di un'altra cosa, più astratta, con cui abbia una connessione ontologica o sem- plicem. analogica; sono segni, perciò, le lettere dell'alfabeto (e i caratteri di scritture non alfa- betiche), i numeri, le note e gli accidenti musi- cali, i simboli grafici in uso nelle diverse disci- pline (v. SIMBOLO), ecc.: s. alfabetici (assol.: e un suono per il quale non c'è nella nostra lingua un s. corrispondente); s. pittografici; s. grafici, orto- grafici, diacritici; segni di punteggiatura, d'inter- punzione; s. numerici; il s. dell'addizione, della sottrazione, ecc. (per i s. della matematica e il loro valore, v. oltre); s. speciali, in tipografia, i vari segni o simboli occorrenti per la composi- zione dell'algebra, della chimica, ecc.; in spar- titi musicali - s. di ritornello, ritornare al s., dal s., e sim. (con la raffigurazione del a. a cui si rinvia). Con valore più astratto - le parole sono i s. delle idee; s. linguistici, con più significati (v. oltre). Non com@ quale sinon. di simbolo nel valore astrat- to di questo terrnine: il ramo d'olivo è s. di pace, ecc.; in economia, moneta-segno, moneta il cui valore dipende dalla volontà dei principe e non dal contenuto di fino. La teoria greco-aristote- lica della moneta-s., fiorita in mercati chiusi o quasi, perse valore al contatto con mercati a mo- neta diversa e finì per essere sostituita dalla teo- ria della moneta-rnerce; fu ripresa però nel sec. i90 e riforrnulata con opportune limitazioni da G. F. Knapp sotto il nome di teoria statale o cartalista della moneta (V. MONI@'rA: Teorie mo- netarie). b) In diplomatica, s. (di tabellionato, di cancelleria, di corroborazione, ecc.), quei par- ticolari grafismi, costituiti da simboli fìgurati, da lettere o da monograrnmi, che di solito si tro- vano nella parte finale dei documenti medievali pubblici e privati e che servivano a identificare il ragatario, le parti e i testi, ad attribuire al documento valore di autenticità, e anche a certificare dell'avvenuta esecuzione di specifiche pratiche cancelleresche o amministrative (re- gistrazione, pagarnento di servizi, ecc.). c) Fi- gura, di forma determinata o di una qualsiasi forma, che si traccia su una superficie con o senza un particolare scopo: fare un s. col lapis sul quaderno, col carbone sulla parete; sulla pietra si vedevano tracciati alcuni s. misteriosi; segni di richiamo, su bozze di stampa, libri, mano- scritti, fatti nel punto dove vanno eseguite delle correzioni e apposti alla parola cui si riferiscono aggiunte, postille, e sim., e ripetuti poi nella stessa forma davanti alla correzione, alla po- stìlla, ecc. d) In partic., s. di croce, figura in forma di croce formata da due segmenti per- pendicolari (o quasi) che s'intersecano nel punto medio-. fare, tracciare un s. di croce, anche in luogo di fìrma da parte di chi non sa scrivere, oppure per cancellare, per annullare una scritta (di qui l'espressione fig. fare un s. di croce su qual- che cosa, o più brevemente farci una croce sopra, non volerne più sapere, dimenticarla e non par- larne più). Con altro senso, il s. della croce, il gesto, riproducente la figura della croce su cui morì Gesù Cristo, che il sacerdote compie nel benedire, o che il cristiano fa sopra di sé (per devozione o anche, in qualche caso, per mera- viglia, spavento, ecc.): fare, farsi il s. della croce o della santa croce. Con riferimento alla croce (detta anche, talvolta, il s. di Cristo, spec. con riferimento ai crociati e alle crociate), la frase storica in questo s. vincerai, per la quale v. IN HOC siGNo viNcFs. e) In astronomia, segni dello Zo- diaco o zodiacali (anche segni dell'eclittica, s. celesti), le dodici parti in cui è suddiviso la Zo- diaco; sono detti così in quanto erano, e sono tuttora, contraddistinti ciascuno con un simbolo.

3. Traccia visibile, impronta che rimane di qual- che cosa (è termine generico che in qualche caso può essere precisato con attributi o complementi), il banco era pieno di segni fatti col temperino; s. nitido, chiaro, inciso, calcato, profondo, superfi- ciale, ecc. (con riferimento a tratto di penna, di bulino o d'altro strumento da disegno, oppure a singoli elementi del carattere a stampa); aveva posato le mani sudice sulla tovaglia lasciandone i s.; si fece una ferita, un taglio di cui porta ancora il s.; aveva il corpo pieno di s. lividi; mi ponete mente se io ho s. alcuno per tutta la persona di bat- titura (Boccaccio); un graffio (iperb. uno schiaffo) che lasciò il s.; una scudisciata (e fig. un'offesa, un insulto) da lasciare il segno. Anche di impronte non durature, lasciate dalla pressione di un corpo su un altro: c'erano sulla sabbia i s. dei suoi passi; si vedeva ancora sulla poltrona il s. di dove era stato seduto; s'era appena alzato da letto, e aveva ancora sulla gota i s. del guanciale. Di qualsiasi macchia o altro che risalti per diversità d'aspetto e di colore su uno sfondo: che son li s. bui Di questo corpo [la luna], che là giuso in terra Fan di Cain favoleggiare altrui? (Dante). Con senso più astratto, affine a testimonianza e sim.: nella stanza, erano ben visibili i s. della lotta; c'erano dappertutto i s. del passaggio dell'esercito invasore; le rovine rimaste sono i s. dell'antica grandezza; anche riferito a persone: Già l'are a Vener sacre e al giocatore Mercurio... Devotamente hai visi- tate, e porti Pur anco i segni del tuo zelo impressi (Parini); gli occhi non davan lacrime, ma porta- van segno d'averne sparse tante (Manzoni). In bachicoltura, mal del segno, malattia epidemica del baco da seta, nota anche con i nomi di cal- cino (v.) e di moscardi-na; così detto per lo strato bianchiccio polveruiento che ricopre la larva colpita dal male. 4. Qualsiasi elemento o contras- segno che serve, o consente, a rendere ricono- scibile o distinguibile da altri una persona, una cosa, un luogo: s. caratteristici (nèi, cicatrici, ecc., di cui si fa anche cenno, quando siano vi- sibili, in documenti d'identità); dare, mostrare, presentare, esigere un s. di riconoscimento. In partic., la parola è stata, e lo è ancora in qualche caso, usata per indicare un marchio o sigillo o stemma che si poneva o irnprirneva su vari oggetti perché si riconoscessero come propri o di propria fabbricazione; oppure (ant.) un disegno, sempre uguale, che veniva tracciato per autenticare una scrittura, un documento, e sim. S. di zecca. in nurnisrnatica, segno con- venzionale, posto di solito nel rovescio delle monete, per indicare la zecca in cui erano coniate (v. MAITCA: Marca di zecca). Gabella del &:: era così detto in Firenze il diritto di peso e mi- sura, riscosso da un ufficio apposito, detto pure del s., in quanto aveva il compito di controllare e imprimere il sigillo sui pesi e le misure. S. distintivi: mezzi di individuazione dell'azienda, dell'irnpresa a di elementi o di prodotti di essa; da un punto di vista giuridico, sono beni im- materiali, la cui titolarità si acquista in virtù dell'usa fattone prima di altri (preuso), e che possono essere trasferiti, a seconda dei casi, da soli o insieme all'impresa (per ulteriori spe- cificazioni, V. DITTA; EMBLEMA; INSEGNA; MAR- CHIO; SIGLA). Con valore più astratto, segni dei casi, ant., i segnacasi della declinazione. S. a) Qualsiasi fìgura, per lo più semplice e elementa- re, che si traccia per contrassegnare un punto, per indicare il luogo dove si è arrivati e sirn.: fammi un s. per indicarmi dove devo tagliare l'asse; fa' il s. fin dove ho saltato (nel salto in lungo); fare un s. sul libro (con la matita, con la penna) fin dove si deve studiare; anche oggetto adope- rato con lo stesso scopo: mettere il s. alla pagina (dove si è giunti con la lettura); fig., il punto stesso a cui si è arrivati, sia o non sia stato ma- terialrnente segnato: chiuse il libro tenendo però il s. con un dito; ritrovare, perdere il segno, sem- pre con riguardo alla lettura. h) Tacca, incisione, linea colorata, o sim., che viene fatta nel vetro d'una bottiglia o in altri recipienti per indicare fin dove arriva la giusta misura: mi riempia la bottiglia fi-no al segno. c) fig. Limite: Né per ele- zion mi si nascose, Ma per necessità, ché '1 suo concetto Al s. de' mortal si soprapose (Dante)-,

 

 

comune spec. nelle locuz. passare, trapassare, oltrepassare, superare il s., andare oltre i limiti, passare la giusta misura: la sua arroganza ha passato il s.; sono disposto a tollerare tutto, ma questo passa ogni s.; non il gustar del legno Fu per sé la cagion di tanto essilio [di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre], Ma solamente il trapassar del s. (Dante), il superamento del limite, cioè la trasgressione del divieto posto da Dio; senza trapassare in alcuno atto il s. della ragione (Boc- caccio); ant., oltre ogni s., al massimo s., straor- dinariamente, in sommo grado. d) Più generi- cam., preceduto dalla prep. a, equivale a punto, quando ci sia l'idea d'un movimento figurato, d'una progressione (o regressione): sapevo ch'era un furfante, ma non fino a questo s.; a questo s. ?, fino a questo s. ?, espressione di stupore, e per lo più di addolorata disapprovazione, nell'ap- prendere che un fatto o una situazione è assai più avanti di quanto si poteva supporre; fino a un certo s., fino a un certo punto, sotto un certo aspetto,. era una guerra, anzi cinque guerre, co- perte, gentili, fino a un certo s., ma vive e senza tregua (Manzoni). Con valore di cong. conse- cutiva, a segno che, a tal segno che, a segno da, a un punto tale che...-, siamo ridotti a s. che non si può più neanche esigere ciò che è nostro; era pre- potente a tal s. che guai se uno gli resisteva; s'era avvilito a s. tale da far temere per la sua salute. U,sato assol., a segno, al punto giusto, nella po- sizione o condizione esatta, opportuna (soprat- tutto al fine di un buon funzionamento): mettere * rimettere l'orologio, il motore, una macchina * s.; in marina, alzare una bandiera a s., brac- tiare una vela a s., portare un pennone a s., ecc., nella posizione prescritta o adatta allo scopo. Fig.: mettere, far stare, tenere uno a segno, fre- narlo, richiamarlo al dovere, farlo rigare diritto (analogam., stare a s., rigar diritto); avere la testa a s., avere la mente e le idee chiare, esser ben coscienti di ciò che si fa e anche attenti a ciò che avviene (e similmente tenere la testa a s., comportarsi in modo da non perderla, farsi guidare dalla ragione); al contrario- non ha più la testa a s., di chi vacilla coi cervello: aveva bevuto un po' troppo e non aveva la testa a segno. 6. a) Punto a cui si dirige un colpo, a cui si mira con un'arma, quindi mira, bersaglio- Amor m'ha posto come segno a strale (Petrarca); bella cosa è, valorose donne, il ferire un s. che mai non si muti [non si muova, non si sposti] (Boccaccio); quella corda Che ciò che scocca drizza a s. lieto (Dante), qui in senso fig. Nell'uso com., soprat- tutto in alcune locuz. - tiro a segno (v. TIRO); dare, cogliere, colpire, ant. trarre nel s., colpire il ber- saglio, e fig. (assai frequente), indovinare, o anche ottenere l'effetto voluto: su di che la ma- dre e la figlia facevan cento congetture, senza mai dar nel s., anzi senza neppure andarci vicino (Manzoni); dall'espressio-ne della sua faccia, capii @che le mie parole avevano colto nel s. (oppure an- che: erano giunte a s.); al contrario, fallire il s., sbagliare la mira, non colpire il bersaglio, anche in senso fig. Quasi esclus. in senso fig., essere fatto segno a o di, esser l'oggetto di: era fatto s. agli scherzi, alle beffe, ai pettegolezzi, all'ammira- zione (della gente, dei compagni, dei colleghi, ecc.); fatto s. dì rispetto universale; ellitticarnente -. i dì -nell'ozio Chiuse in sì breve sponda, Segno d'immensa invidia E di pietà Profonda... (Manzoni). b) Genericamente, e in senso astratto, terrnine prefìssato, scopo a cui si mira, oggetto a cui è rivolta la mente o la volontà, e sim. - sempre l'uomo in cui pensier rampolla Sovra pensier, da sé dilunga il s. (Dante); I' rivolsi i pensier tutti ad un s. (Petrarca); Buon cittadino, al segno Dove na- tura e i primi Casi ordinar, lo ingegno Guida (Parini). Ant., condurre a s., mandare a effetto. 7. letter. Insegna, bandiera, e sim.-. Come sotto li scudi per salvarsi Volgesi schiera, e sé gira col segno (Dante); i tempii Di segni ornaste agli ini- mici tolti (Ariosto); sotto a i santi Segni ridusse i suoi compagni erranti (Tasso); di Laurento in su la ròcca Fé Turno inalberar di guerra il segno (Caro). Di qui le espressioni fig. sotto il s. d'un ideale, sotto il s. della libertà, sotto il s. della fratellanza universale, e sim., nel nome di, col pretesto di. S. ant. Statua e in genere irnmagine

scolpita o dipinta: Fermava il piè ciascun di que- sti segni Sopra due belle imagini più basse (Ario- sto); Di cotai segni svariato e scotto Era il metallo de le regie porte (Tasso). g. poet. ant. Stella, astro. vidi '1 segno Che segue il Tauro (Dante), la costellazione dei Gemelli che nello Zodiaco segue quella del Toro; Celansi i duo mei dolci usati segni (Petrarca), qui fig., gli occhi di Laura. 10. Locuz. per filo e per segno, minutamente e con ordine: esporre, narrare per filo e per s.; mi raccontò per filo e per s. com'era andata; mi disse tutto, per filo e per segno. Non è ben chiara l'ori- gine della locuz.; forse ha riferimento alla tes- situra: anticam. si diceva con lo stesso senso, filo per filo, punto per punto, segno per segno, locuzioni che venivano in genere accoppiate o usate tutte e tre insieme. E= Dirn. -étto, -ettino; pegg. -àccio.

Una serie di tavole con la riproduzione e la spiegazione di simboli e segni convenzionali in uso nelle varie scienze, arti e discipline, è inserita nella voce simi3oLo.

Filosofia. - Le più antiche forrnulazioni della dottrina del s. risalgono alla medicina ippocra- tica. Nel Corpus Hipporraticum (v.) è delineato un metodo diagnostico grazie al quale, muovendo dai singoli eventi osservati nel decorso della malattia e cogliendone la portata significativa, si ritiene possibile trarre conclusioni generali e scientificamente valide che permettano l'inter- vento terapeutico. Poiché però non tutti gli eventi sono significativi, e non tutti quelli si- gnifìeativi forniscono conoscenze certe di qual- cosa d'altro da sé, l'arte medica procede a un inventario degli indizi o sintomi distinguendo quelli sicuri da quelli non univocamente inter- pretabilí o non necessariamente connessi a ciò che essi signifìcano. Emerge così la distinzione tra s. e (più tardi codificata da Galeno): il secondo si distingue dal primo per la necessità che lo lega a ciò di cui è s. e prova. In Aristotele il s. è strumento di una conoscenza che si attua in virtù dei rapporto che lega due eventi tra loro. La conoscenza <g per s. > dal punto di vista logico prende corpo in un procedimento enti-

MatiCO (V. ENTIMEMA), grazie al quale dal s. o indizio si passa all'affermazione di qualcos'al- tro. Il s. può essere connesso con la cosa signifi- cata in maniera necessaria, o solo frequente e probabile; nel primo caso il s. sarà necessario, inconfutabile, -remk&4ptov (cosí l'aver latte è s. certo che la donna ha partorito); nel secondo caso, esso sarà confutabile e probabile (così la respira- zione affrettata non sempre è s. del fatto che si ha la febbre). L'entimema a sua volta è neces- sario solo quando è posto nella prima fìgura sillogistica. Ma secondo Aristotele la conoscenza per s. per lo più non è necessaria, appartiene al mondo dell'opinione, si fonda sugli accidenti (in opposizione alla conoscenza fondata sull'es- senza) ed è utilizzata dai retori che mirano a persuadere gli ascoltatori (più tardi Quintiliano riprenderà la dottrina dei a. in funzione essen- zialmente retorica). Anche gli stoici conside- rano il s. uno strumento conoscitive: l'uomo si distingue dagli altri animali non per la capacità di articolare voci e di formare rappresentazioni (anche altri animali ne sono dotati), ma per la capacità " transitiva e compositiva " grazie alla quale è possibile concepire il nesso tra eventi diversi e quindi trarre dalla rappresentazione di un evento la rappresentazione di quell'evento di cui il primo è s., dando luogo a un enunciato composta del tipo " se il primo, allora il secondo ". Sesto Ernpirico, infatti, afferma che per gli stoici il s. è " una proposizione che è l'antecedente in un ragionamento condizionale valido e che mo- stra il conseguente ". La possibilità di valersi di s. dipende dalla natura delle cose; e poiché ci si serve di s. solo per aver conoscenza di cose non evidenti per natura (cioè non direttamente per- cepibili ma conoscibili Per i loro effetti o conse- guenze) e di cose temporancamente non evi- denti (non percepibili perché non presenti), si hanno due tipi di s.: rnemorativi - capaci di ri- chiamare cose temporancamente non, evidenti (in questo senso il fumo è s. del fuoco) - e indicativi, o s. propriamente detti, capaci di

manifestare una cosa non evidente per natura (in tal modo i movimenti del corpo sono rivela- tori dei sentimenti dell'anima) ' Contro queste dottrine, e contro la possibilità di conoscere qualcosa per a., si pronuncia Sesto Empirico, il quale discute a fondo della natura stessa del S., che per un verso è sensibile e per un altro è intelligibile, e della sua insegnabilità, nella quale trovano la loro ragion d'essere alcune arti, come la medicina, già ricordata, e l'arte della navigazione, che dai fenomeni celesti trae presagi circa l'andamento delle condizioni atmo- sferiche. Particolare rilievo ha nella cultura an- tica la riflessione sul linguaggio, inteso come si- sterna di a. capace di esprimere il pensiero. Dal complesso della discussione sulla natura della lingua umana considerata nel suo aspetto fonico (in distinzione dai semplici rumori, e anche dalle voci articolate di alcuni animali) e dalla connessione che lega <i suono " e o significato ", emerge l'affermazione che il linguaggio umano è costituito di <@ sequenze foniche @> cui l'uomo ha imposto di significare qualcosa. Così per Aristo- tele le voci sono at$,upoaa (Boezio tradurrà -notae) delle passioni (concetti) dell'anirna, e sono si-

gnificative sa-và avvoúxnp (secundum placitum, nella traduzione di Boezio). Gli stoici distin- guono il significante (il complesso fonico) e la cosa significata (il contenuto della parola, il suo aspetto mentale, ciò che è enunciato o A&Yr@v), costituenti entrambi la @, parola ", contro cui stanno gli oggetti corporei, reali, che sono i re- ferenti della parola stessa. CM Ma alla fìne del- l'età antica la dottrina dei a. si è venuta artico- lando in modo da estendersi dall'ambito delle operazioni umane a quello dei fondamenti ul- timi delle cose su cui è fondata la vita morale dell'uomo. Sulla base della concezione stoica e neopiatonica della simpatia universale e dell'unità del cosrno, alla cui origine non sono estranei influssi orientali, si è sviluppato infatti il tema astrologico dell'influenza determinante dei cieli, espressione della legge divina, sul mondo sub- lunare e sul destino umano, e della conosci- bilità di essa attraverso l'osservazione dei s: dello zodiaco in rapporto alle varie congiunzioni astrali. Erede della tradizione classica, s. Agostino definisce il a. <c una cosa che, oltre all'immagine che imprime nei sensi, fa conoscere qualcosa d'altro da sé ", ribadendo così la funzione stru- mentale di esso nell'arnbito della conoscenza e additando in esso il veicolo della comunicazione. Distinti i a. naturali e i s. convenzionali (sogna data), Agostino include tra questi ultimi tutti i sistemi di comunicazione trovati dagli uomini, come i gesti, le insegne militari e il linguaggio; sottolinea però il primato dei linguaggio, ca- pace di comunicare qualsiasi cosa e soprattutto di fungere da a. degli altri s. e di sé stesso. li linguaggio è costituito da un so-nus, che è o voce articolata", e da un significatus o rignificatio, che è la conoscenza suscitata nell'animo dell'ascol- tatore; esso è significativo solo per coloro che sono in grado di riconoscerne la natura di s. (già Sesto Empirico aveva sottolineato come il s. è tale per i competenti in un certo ambito), ciò che ne svela la dimensione sociale e insieme il valore puramente mernorativo. Agostino sotto- linea come il carattere strumentale - l'essere per altro - del s. ne mostra il limite (esso vale Me,,,, di ciò che è significato) e ne è insieme l'unìca ragion d'essere (il a. vale non in quanto res - gesto, suono - ma per ciò che comunica). Attra- verso una precisa disamina della natura dei a., Agostino perviene per un verso all'affermazione della sostanziale impossibilità dell'insegnarnento umano facendo posto al riconoscimento dei o maestro interiore ", il Cristo, e della dottrina dell'illurninazione come fondamento di ogni at- tività conoscitiva e semiotica dell'uomo; e per un altro verso, all'affermazione che il carattere di s. compete a tutto il creato, attraverso il quale il Creatore guida l'uomo alla conoscenza della realtà invisibile. L'insegnamento agostiniano so- pravvive nel Medioevo soprattutto in due dire- zioni. La prima è quella della concezione della natura come s. e simbolo di realtà più alte, vei-

celo d'insegnamenti impartiti da Dio all'uomo.

 

Per questa via la natura si presenta come un libro in cui possono leggere anche gl'incolti, portatore del messaggio divino, complementare al libro per eccellenza, la Bibbia, da affrontare perciò con criteri ermeneutici analoghi a quelli elaborati per l'esegesi biblica. L'idea che tutti gli esseri creati sono s. e simboli di Dio è co- mune anche a quell'aspetto del platonisrno me- dievale che prende le mosse dai testi dello pseudo-Dionigi Acropagita, tradotti in latìno più volte a partire dal sec. 90 (l'influsso con- giunto di Agostino e dello pseudo-Dionigi è particolarmente determinante nel sec. i20). L'al- tra direzione è quella della teologia sacramentale: sulla scorta della definizione agostiniana di a., il sacramento è concepito come una realtà che significa un'altra realtà, con questo in più, che oltre alla conoscenza che ingenera nell'animo di chi assiste al rito, il sacramento " opera" ciò che <@ significa "; così, l'acqua versata sul capo del battezzando " significa " la purificazione del- l'anima che viene di fatto "operata". La rifles- sione sul linguaggio, invece, si muove dopo Agostino sulla linea tracciata da Aristotele, ì cui scritti logici, tradotti e commentati da Boezio, furono libri di testo per tutto il Medioevo. Da ricordare, in arnbito gnoseologico, la dottrina secondo la quale il concetto è s. naturale della realtà conosciuta, elaborata da Guglielmo d'Oc- cam (v.; e v. anche LOGICA; NOMINALISMO). Con

l'ingresso della scienza araba in Occidente dal sec. i20 si costituisce una notevole biblioteca di testi astrologici e magici, di fisiognomia e di melotesia (o medicina astrologica). Nella con- vinzione che il inondo sia retto dalla simpatia fra le parti e che l'uomo-microcosmo sia im- magine dei macrocosrno, si afferma che l'in- fluenza dei mondo celeste presiede alla costitu- zione dell'uomo e degli animali come delle pietre e delle piante (botanica e lapidari astrologici). Si può conoscere quale pianeta o quale inunagine celeste abbia dominio su di un uomo o su di un animale attraverso certi tratti somatici, s. o indizi significanti le disposizioni dell'animo e la natura del pianeta o delle stelle dominanti al momento della nascita. Di qui lo sviluppo della pratica dell'oroscopo: ciò che è " significato " dai cieli è * operato " o " disposto @> da essi, di modo che il pronostico di ciò che sarà secondo le indi- cazioni astrali permette di disporre modi e tempi per l'azione efficace dell'uomo. Importante, in tal senso, la dottrina che assegna alle voci umane, significanti per natura e per imposizione, e so- prattutto alle formule magiche, un potere ope- rativo che è effetto dell'armonia celeste. Nel periodo umanistico e rinascimentale trovano ter- reno fecondo i temi magico-astrologici nell'am- bito della forte ripresa dei platonismo e del- l'ermetismo. Intanto continua la speculazione, sul linguaggio, stimolata anche dal dibattito intorno alle lingue artificiali e ai sistemi di comunicazione non linguistica, come quelli u- sati per le segnalazioni marine e gli alfabeti per sordomuti- mentre questi ultimi possono essere composti di gesti che in parte almeno imitano le cose significate, i primi possono essere utilizzati solo a condizione che <1 sappia colui, * chi si palesa, quello che significhi qualunque s., * per osservanza del consueto, o per esser ri- masto d'accordd" (G. Bartoli, i584). Si sotto- linea così quello che già gli antichi avevano ri- conosciuto come condizione indispensabile del- l'uso di un sistema di s., cioè l'adozione di esso da parte di una comunità. I vari terni toccati finora trovano ancora una sistemazione e ricon- siderazione nella Grammatica e nella Logica di Port Royal: @ quando si considera un certo og- getto come rappresentante di un altro " si legge nella Logica, " l'idea che se ne ha è un'iáea di s., e quel primo oggetto si dice s.... Il s. racchiude due idee, quella della cosa che rappresenta, e quella della cosa rappresentata; e la sua natura consiste nel suscitare la seconda mediante la prima ". li a. dunque è una cosa, la cui immagine sensibile suscita nell'uomo l'immagine con- cettuale di un'altra cosa. 1 s. sono distinti in- a) cert i o T~tígm, e probabili o "Mela; b) con- giunti con le cose significate (ì sintomi d'una

malattia) o separati da esse (i sacrifici dell'Antico Testamento che sono s. del Cristo immolato); e) naturali (l'inunagine in uno specchio in rap- porto a ciò di cui è iminagil@le) e inventati (le parole in rapporto ai pensieri e i caratteri in rapporto alle parole). In particolare, perché il linguaggio sia conseguente al pensiero, bisogna eliminare i s. equivoci e quelli non stabilmente fissati e non comunemente accettati, allo stesso modo in cui bisogna privilegiare s. certi (non occasionali o accidentali) al fine di ottenere co- noscenze valide. Intersoggettività e costanza di convenzione sono le garanzie indicate per un ragionevole e adeguato uso dei segni. C3 li tema del rapporto tra significazione e inferenza, già trattato dagli stoici, ritorna sia in I-Iobbes, sia, più tardi, in Wolff, il primo affermando che o un s. è l'antecedente evidente del conseguente o, al contrario, il conseguente dell'antecedente quando conseguenze simili sono state osservate prima; e più spesso sono state osservate, meno incerto è il s. " (Leviatano, I, 3); il secondo de- fìnendo il s. " un ente da cui si inferisce la pre- senza o l'esistenza passata e futura di un altro ente " (OntOlOgia, 952). La filosofia empiristica di Locke (cui si deve, nel suo Saggio sull'intel- letto umano, l'introduzione del tennine " senúo- tica " a indicare la teoria dei s.), non offre tanto nuove elaborazioni concettuali della natura e della funzione del s., quanto mira piuttosto a indagare i rapporti tra cose e idee, considerando le idee come s. delle cose e le parole come s. delle idee. Onde i problemi dell'arbitrarietà del s. (tra- dizionalmente il s. in quanto concetto era s. naturale della cosa: cfr. per es. Occam) e il tentativo di spiegare, servendosi della nozione di s., il carattere di generalità delle parole e delle idee in contrapposizione alla particolarità delle cose (in Berkeley anche l'idea non potrà che essere particolare e la sua generalità verrà intesa come rappresentatività, come il fatto di essere <@ segno di "). Leibniz criticherà l'impostazione nominalistica di Lock 'e, volgendosi a sottoli- neare che, nonostante l'arbitrarietà dei carat- teri (segni), c'è tuttavia qualcosa che arbitra- rio non è, una certa * proporzione tra carat- teri e cose, e le relazioni tra diversi caratteri che esprimono le stesse cose ". Viene qui in luce la non necessità per il s. di essere, in quanto S., @ simile " a ciò che rappresenta, non richieden- dosi tanto la son-àglianza tra elementi signifi- canti e cose significate quanto piuttosto una corrispondenza schematica che preservi i rap- porti fra i due insieme di elementi. Sviluppi ul- teriori a proposito delle relazioni tra s. e pensiero e ricerche sull'importanza dei s. per l'analisi delle idee, intendendo per s. sia quelli prelin- guistici, come per es. le sensazioni quando sono considerate come s., sia quelli più propriamente linguistici, si devono agli ideologi, in partico- lare a Degérando. Ma la più completa e ancor oggi fondamentale teoria dei s. è quella di Ch. S. Pcirce. Sulla base dei suoi presupposti meta- fìsico-epistemologici, Pcirce individua la rela- zione significativa, il processo di semeiosi, come una relazione triadica in cui intervengono tre elementi, il s., definito come @ qualcosa che sta

a qualcuno per qualcosa d'altro sotto qualche rispetto o per qualche sua capacità @>, l'oggetto, ciò per cui sta il s., e l'interpretante (inteso da Pcirce in più modi e con sfumature più o meno complesse, ma essenzialmente come un altro s., equivalente o più sviluppato, che traduce il primo, o un'idea che il s. suscita). In questa prospettiva il s. può essere considerato da tre distinti punti di vista: come s. in sé, in rapporto all'oggetto, in rapporto all'interpretante. Come s. in sé esso può essere qualisegno (o tone, (i una qualità che è un s. ", per es. il tono di voce con cui si pronunzia una parola, il colore dell'in- chiostro con cui scrivo su un foglio, ecc.), un sinseg-no (o token; il prefisso "sin " sta per semel; si tratta di " una cosa o un evento fattuairnente esistente che è un s. ", per es. una parola su una pagina, che può occorrere più volte) e un legi@. segno (o type; <i una legge che è s. "; si tratta del modello astratto, le cui repliche o occor- renze individuali sono i sínsegni; il type viene

conosciuto attraverso i tokens, che peraltro non sarebbero significanti se non ci fosse il modello che li rende tali). In rapporto all'oggetto il s. può essere: un indice (si tratta di un s. che pre- senta una connessione @ fisica,> con ciò cui si riferisce: un dito puntato, una banderuola, il fumo s. del fuoco, ecc.), un'icona (si tratta di un s. che rinvia all'oggetto in base a un qualche tipo di somiglianza; per es. una fotografia o, più astrattarnente, un diagramrna, o, per Peirce, un'inu-nagine mentale o una formula), un sim- bolo (si tratta di un a. arbitrario il cui rapporto all'oggetto è fissato mediante una convenzione, una norma, una legge; l'esempio più ovvio è il s. linguistico). In rapporto all'interpretante il s. può essere un rema (termine o nomeclasse), un dicisegno (corrispondente più a meno a un enunciato) e un argomento (che consta di una premessa, costituita da un dicisegno o gruppo di dicisegni, e di una conclusione). Combinando le nove categorie fin qui indicate, Pcirce ha poi derivato dieci classi di s., articolando ulterior- mente la classificazione. Va notato peraltro che uno stesso s., a seconda del punto di vista da cui si considera, può essere classificato in classi di- verse. Particolarmente importante la tricotomia indici, icone, simboli, che, nonostante sia stata da più parti violentemente criticata, modificata e arricchita, ha tuttavia il merito di proporre una categorizzazione generalissirna delle funzioni se- gniche in relazione all'oggetto, riassorbendo le diverse concezioni dei s. che la tradizione fi- losofica antica e moderna era andata proponendo (v. la divisione s. naturali - s. artificiali, la dirnen- sione inferenziale del s., messa in luce dalla tradizione ippocratica e dagli stoici, il rapporto s.-oggetto, con le varie interpretazioni ontolo- giche ed epistemologiche e i problemi della cor- rispondenza e della somiglianza, il tema dei nome-etichetta e le sue implicazioni, la funzione individuante e deittica dei nomi, ecc.), e fornendo le basi per una trattazione anche dei s. di tipo non linguistico (cfr. per es. la problematica dell'estetica e in particolare della critica d'arte). Una diversa classificazione dei s. è stata infine proposta dal filosofo americano Ch. Marris (Signs, language and behavior, 1946), sviluppando spunti peirciani (v. per es. la preoccupazione di Pcirce di porre un limite al regresso all'infinito della semeiosi, di interpretante in interpretante, attraverso il collegarnento, tipico della sua con- cezione pragmatista, tra interpretante e " abito di agire @>, onde dirà che " ... solo l'abito (habit) - che benché possa essere un a. in qualche altro modo, non è s. nel modo in cui lo è quel s. di cui è l'interpretante logico - è la definizione vivente, il vero e finale interpretante logico "). Morria ha proposto una definizione comporta- mentale dei s. che tende a escludere il ricorso a entità mentali (immagini, idee, concetti). In questa accezione il s. viene inteso come stimolo preparatorio che sostituisce lo stimolo in senso proprio (# ... se A è uno stimolo preparatorio che, in assenza dell'oggetto stimolatore che dà inizio a una risposta-sequenza di una certa fa- miglia di comportamenti, causa in qualche orga- nismo una disposizione a rispondere attraverso risposte-sequenze di questa famiglia di compor- tamenti, allora A è un s. "). Su questa base Morris distingue s. complessi (o ascrittori) e s. semplici: questi ultimi si suddividono in iden- tificatori (ulteriormente articolati in indicatori, descrittori, nominatori; si tratta di's. che ten- dono a indirizzare la risposta in una definita regione spazio-temporale, cioè che localizzano), designatori (che designano le proprietà di una situazione), apprezzatosi (che servono a valutare positivamente o negativarnente), preserittori (che comandano un certo comportamento), e infine, come classe residua (i s. precedentemente citati sono considerati " lessicatori "), forrnatori (sud- divisi in determinatori, connettori e maniera- tori; esempio dei primi sono i termini che fis- sano l'ambito di denotazione, come tutti, alcuni, ecc., dei secondi i connettivi logici - i cosiddetti termini sincategorematici degli antichi -, dei terzi i s. d'interpunzione, le intonazioni o modu- lazioni della voce, quelli che la linguistica mo- derna classifica come tratti soprasegmentali). Morria ha tentato altresì, sempre riprendendo Pcirce, di fissare la fluttuante terminologia usata dai vari pensatori e studiosi a caratterizzare la situazione segnica, distinguendo il veicolo se- gnico, che è l'oggetto o il processo che serve da s., il designato, ciò cui il s. si riferisce, l'inter- pretante, l'effetto suscitato nell'interprete, che già in Peirce può essere inteso come " signifi- cato " dei s., e l'interprete, come soggetto del processo di significazione (logicamente non in- dispensabile per Pcirce, e assente quindi dalla sua classificazione). Importante inoltre la distin- zione proposta da Marris a partire dal suo Foundatiom of the theory of sigli (1938) della teoria dei s. in una sintassi, in una semantica e in una pragmatica, intesa come analisi e studio della situazione in cui il s. viene usato, indagine sul rapporto tra s. e interpreti. Questa suddivi- sione ha avuto indubbia influenza sulla moderna logica e filosofia del linguaggio come tentativo di conciliare in una sintesi più ampia le conce- zioni del signifìcato neopositivistiche e pra- grnatistiche (come tale è stata recepita, tra gli altri, da R. Carnap). Appaiono meno soddisfa- centi, rispetto alle classificazioni di Pcirce e di Morris, le classificazioni dei s. riguarda alla fonte (oggetti inorganici, naturali o no, oggetti organici, uomo e animali, classificazione ecces- sivamente generica, ricomprendente cioè anche i segnali, ed escogitata allo scopo di includere tutte le possibili forme di comunicazione, per es. quelle animali - zoosemeiotica - allargando enormemente nel contempo il concetto di co- municazione), e per apparato ricevente (canali sensoriali animali e umani), proposte da Th. A. Sebeok (i968).

Linguistica. - Nel suo normale e più comune sign., il termine segno è adoperato in linguistica per indicare ogni singola parte di un procedi- mento visuale di comunicazione del pensiero. il linguaggio dei s. o mediante segni, forma rudi- mentale e artificiosa di comunicazione mediante oggetti o gesti simbolici; oppure per designare i grafemi (lettere) e i simboli grafici sussidiari (s. diacritici), che nel loro insieme costituiscono i s. della scrittura. =i Con un senso speciale il ternúne è stato adottato da F. de Saussure per indicare l'entità psichica costituita dall'associa- zione di un concetto e di un'immagine acustica, cioè del significato e dei significante, che è alla base della lingua, definita appunto dal de Saus- sure come un " sistema di segni distinti, corri- spondenti a idee distinte *. Tale associazione è logicamente arbitraria (arbitrarietà del s. lingui- stico detto perciò anche immotivato), mentre filosofi e granunatici greci erano convinti che potesse essere giustificata sul piano conoscitivo. In realtà essa è pienamente giustificata solo se considerata come un dato di storicità (cioè l'associazione della sequenza fonematica libro con la nazione di " libro * è storicamente giusti- fìcata in italiano). Accanto ai a. arbitrari vi sono, secondo certe teorie, s. motivati (almeno relati- vamente): tali sarebbero per es. le onomatopee cioè le associazioni fonosimboliche; e, in senso relativo, le parole composte in quanto si aggan- ciano ai ternúni autonomi di cui si compongono, cioè in quanto sono passibili di un'analisi logica (ve-ntinove è analizzabile immediatamente in venti più nove). ci Pur sempre nella scia del de Saussure, oggi alcuni intendono con s. piuttosto la frase, l'unità linguistica senianticamente com- piuta e autonoma, cioè veramente significante; i componenti della frase (non soltanto le parole ma anche i fonemí e i sintagrni), non essendo autonomi ma subordinati al segno, sono consi- derati s. subordinati a meglio sottosegni. eD In fonematica, s. demarcativo o delimitativo, l'ele- mento fonico che permette di individuare i di- versi elementi significativi (parole e anche mor- fenú) della catena parlata, segnandone i confini. Per es. in inglese il carattere velare dei terzo fonema di will svolge una funzione dernarcativa in will carn rispetto a we learn. In tedesco, ogni gruppo di consonante + h è un segno composto il quale automaticamente suggerisce che il con- fine cade all'interno di esso (per es. ein 1 Haus, Verschiedenlheit). Anche l'accento, se fisso su una determinata sillaba, funge da segno demar- cativo.

 

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