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Aristotele
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Aristotele è da considerare l'iniziatore degli studi scientifici nel campo dell'axxatomia e della fisiologia comparate, della logica della storia della filosofia ecc. Mu(>Yencío dal " realismo delle idee " dei suo maestro Plato- ne, che accentuava la separazione tra mondo intelligibile e mondo sensibile, Aristotele, eri- ti,candolo, elabora una teoria della cono- scenza interamente nuova, e una teoria del concetto che non è più metafìsica, ma logica. Mentre per Platone le idee esistono in sé, eternamente, in un " mondo intelligibile " di cui il mondo sensibile non è che un riflesso imperfetto, Aristotele nega la separazione tra il mondo delle idee universali e il mondo de- gli oggetti individuali. Questa valorizzazione dei concreto costituisce la nota dominante del suo sistema.

Considerare al modo di Platone le idee uni- versali come sostanze separate per Aristotele è una inutile reduplicazione della realtà, né serve a spiegare la loro azione sulle cose, né il movimento e il divenire delle cose stesse. " Dire che le idee sono modelli, e che di esse partecipano tutte le altre cose, è un pronun- ziare frasi vuote e usare metafore poetiche." Aristotele concorda con Platone nel principio che solo l'universale è oggetto di scienza; ma l'universale, in quanto termine comune a più cose, non " esprime un essere concreta- mente determinato, bensì una certa natura dell'essere ". L'essere concretamente determi- nato, la vera ed unica realtà è l'individuo; tuttavia ciò che gli dà attualità, che ne fa uiia sostanza, è l'universale, inteso non come avente un'esistenza autonoma, ma come una forma iìnmanente all'essere reale e concreto. " Le idee universali sono le sostanze stesse delle cose sensibili." Perciò la scienza è scienza dell'universale concreto; essa è ad un tempo scienza del reale e scienza dell'uni- versale.

Se la forma è ciò che determina l'essere e ne costituisce l'essenza, la materia è ciò che viene determinato, ciò che serve da sostegno e sostrato. Ogni individuo è quindi costituito da una materia e da una forma. Il rapporto materia-for-ma serve a spiegare non solo la struttura della sostanza, ma anche quella del movimento e del divenire. Infatti la materia (h@lé) è l'" essere in potenza ", che diviene " essere in atto " dopo aver ricevuto la for- ma. " L'atto (enérgeia) sta alla potenza co- me il costruire al saper costruire, l'esser de- sto al dormire, il guardare al tener chiusi gli occhi pur avendo la vista, come l'oggetto ca- vato dalla materia ed elaborato compiuta- mente sta alla materia grezza e all'oggetto non ancora finito." Il divenire risulta dun- que dall'unione di una forma e di una " h@- lè " atta a ricevere tale forma. In natura non esiste materia senza forma, assolutamente indeterminata; esiste soltanto l'indeterrfflnato relativo, vale a dire ciò che è meno deter- nùnato di altro, e il divenire va dal meno al più determinato, senza cessare con questo di coincidere con l'essere. Pertanto quella che Aristotele chiama materia prima non è che un'astrazione, ossia il limite ideale inferiore della gerarchia degli esseri naturali. Nem- meno verso l'alto la gerarchia degli esseri naturali può andare all'infinito; essa mette capo ad un essere, Dio, concepito come il motore e il fine ultimo dell'universo, ma che per sé è immobile, perché ogni movimento implica un passaggio dalla potenza all'atto, mentre Dio è pura forma e atto puro, in quanto non è mescolato con alcuna potenza, con alcuna possibilità di ulteriore determi- nazione. Egli quindi non può essere che pen- siero, e l'oggetto del suo pensare non può essere altro che se Stesso Dio è pensiero di pensiero (nóésis no@seOs). La dottrina di Dio, mentre conclude il sistema aristotelico del mondo, non interviene direttamente nella spiegazione del reale, inteso come costituito da individui concreti; rispetto ad essa hanno completa autonomia le scienze della natura e dell'uomo.

Le nozioni fondamentali della inetafisica e della " fisica ", la dottrina della materia e del- la forma, della potenza e dell'atto, sono an- che i princìpi della biologia e della psicolo- gia aristoteliche. Un corpo organico è soltan to la materia di un essere vivente; il principio della vita, la forma dell'essere vivente, è l'anima. " L'anima è l'atto perfetto primo di un corpo naturale organico che ha la vita in potenza." Aristotele distingue diverse fun- zioni dell'anima (nutritiva, generativa, appe- titiva, sensitiva, motrice, intellettiva) e pone una gerarchia di anime in relazione alle f n- zioni che ad esse cornpetono nei diversi es- seri viventi, dai meno perfetti ai più perfetti (piante, animali, uomini). Ciò che occorre mettere in rilievo è la stretta connessione che Aristotele ha stabilito fra tutti gli esseri vi- venti e, in particolare, tra il mondo degli animali e quello dell'uomo.

Coerentemente a tutta la sua filosofia, Ari- stotele non pone alcun netto distacco tra le due fondamentali funzioni conoscitive del- l'uomo, la sensazione e il pensiero, anzi af- i ferma che tra esse esiste un'effettiva conti- ] nuità. In opposizione all'innatismo platonico, i Aristotele non ammette la presenza o traccia di immagini o di idee preesistenti nell'uomo al processo conoscitivo. Perciò pone nella sensazione l'origine di tutte le nostre cono- scenze: " Chi non@ percepisce sensazioni, non può apprendere né comprendere nulla ". La facoltà sensitiva è la capacità dei soggetto senziente di accogliere in sé le forme delle cose senza la loro materia: " Il senso è il ricettacolo delle forme sensibili senza la ma- teria, come la cera riceve l'impronta del- l'anello d'oro senza l'oro stesso ". Aristotele sostiene quindi che il conoscere è avverti- mento d'una variazione psichica che accade in noi, cioè di un mutamento prodotto dalle q alità sensibili delle cose sui nostri organi d@ senso: " Il sentire è un patire ". Merito d'Aristotele è stato quello di aver considerato la percezione e gli altri processi psichici co- me strettamente legati alle condizioni fisiolo- giche dell'organismo e di aver considerato la psicologia come una scienza naturale. Di conseguenza la funzione appetitiva e quella motrice che, insieme con la funzione sensi- tiva, caratterizzano la vita psichica animale, vengono considerate, nell'etica, nel loro rap- porto con l'intelligenza. Tuttavia, anche se le funzioni sensitiva e immaginativa costitui- scono le condizioni materiali e gli anteceden- ti necessari della funzione intellettiva, il pro- cesso di astrazione, mediante il quale dal- l'immagine sensibile (phdntasma) viene iso- lata la forma intelligibile o essenza pura o concetto universale, che è l'oggetto della co- noscenza scientifica, non può essere compiuto né da una funzione di un organo corporeo né da un intelletto che sia pura potenza e recettività. Di qui la necessità di postulare, al di sopra dell'inteuetto che riceve le forme intelligibili, un altro intelletto, che è sempre in atto ed è produttivo di tali forme: l'"in- telletto agente" (nús poiétikós).

In Aristotele, con la teoria dell'essere è con- nessa anche la logica, la quale, pur configu- randosi come disciplina in modo autonomo, rientra nel sistema unitario della sua filoso- fia. Tuttavia tale constatazione non ci deve far concludere che il pensiero di Acistotele sia un dogmatico sostanzialismo; al contrario tutta la sua metafisica non è altro che una continua incessante ricerca sulla natura e sul significato dell'essere e della sostanza, di cui comprende tutta la complessa problema- tica, affrontandola coi suo caratteristico pro- cedirnento analitico e dubitativo, prospettan- do tutte le soluzioni possibili, sviluppando e discutendo ognuna di esse e facendo così rampollare un problema dall'altro. Proprio per questi motivi la dialettica per Aristotele non si identifica, come per Platone, con il metodo stesso del filosofare e del sapere; essa invece " esercita un potere critico ri- spetto alle cose di cui la filosofia dà cono- scenza ". La dialettica verte quindi intorno alle opinioni che gli uomini hanno delle co- se; in essa è dunque implicito il dialogo, pur quando non ne è l'espressione. Proprio perché occorre tener conto della dimensione umana del dialogare, della discussione intesa in certo qual modo come fatto sociale, nasce la rìecessità di una disciplina del dibattito, di precisare in modo rigoroso i tennini che si usano nelle discussioni, di stabilire regole formali di validità dei discorsi, ecc. Di qui il configurarsi della logica come disciplina formale, che in Aristotele raggiunge un alto grado di perfezione e di rigore.

Anche la logica quindi, come ogni altra di- sciplina trattata da Aristotele, finisce per avere uno svolgimento autonomo, pur inse- rendosi in un orizzonte teoretico unitario. £ questo uno dei tratti pi@ salienti del sistema aristotelico: ogni campo di ricerca viene sì considerato in connessione con l'insieme del sapere, ma viene anche visto nella sua partico- larità, nei suoi elementi e sviluppi, nelle sue strutture. Per quanto riguarda la partizione del sapere, Aristotele distingue le scienze poetiche (poetica e retorica), dalle scienze pratiche (etica, politica) e dalle scienze teo- retiche (inatemàtica, fisica, filosofia prima). Nella trattazione delle singole discipline Ari- stotele parte sempre da un riconoscimento delle determinazioni empiriche, che vengo- no gradualmente generalizzate, così da con- sentire una sistematica classificuione e un ordinamento della materia. Da questo pun-

to di vista le analisi aristoteliche costituisco- no la traduzione teorica dell'esperienza con- creta del suo tempo e i limiti e gli aspetti dogmatici che le contraddistinguono sulla scorta di esperienze successive, sono imputa- bili all'abbandono del metodo di ricerca che Aristotele aveva teorizzato, a favore di una acritica accettazione della sua opera.

 

 

La psicologia è nel sistema aristotelico il presupposto della logica:

siamo nel campo della psicologia fino a quando ci limitiamo a considerare la fase iniziale, diciamo meccanica, del processo conoscitivo,;

entriamo nel campo della logica quando, invece, passiamo a considerare I'intelletto e le leggi alle quali esso obbedisce,.

Abbiamo distinto nell'uomo una facoltà vegetativa,

una facoltà sensitiva

ed una facoltà intellettiva.

Lasciando da parte la facoltà vegetativa, la quale non ha nulla a vedere con il processo conoscitivo,

possiamo riconoscere, in rapporto alla facoltà sensitiva e a quella intellettiva,

una conoscenza sensibile e una conoscenza intellettiva.

Aristotele, negando la posizione innatistica di Platone, afferma che il processo conoscitivo ha origine dall'esperienza, attraverso la sensibilità.

Non si confonda, tuttavia, I'atteggiamento aristotelico con quello del comune sensismo: per Aristotele la conoscenza ha origine nell'esperienza, ma non si limita ad essa.

L'uomo, oltre che di sensibilità, è fornito di intelletto,

con il quale, sia pure partendo dalla conoscenza sensibile, tende a superarla.

Insomma, anche Aristotele, come Socrate e Platone, riconosce la su periorità della conoscenza intellettiva su quella sensibile; tuttavia, mentre quelli contrapponevano I'una all'altra i due tipi di conoscenza, considerando fallace la conoscenza sensibile e veritiera quella razionale,

per Aristotele la conoscenza sensibile è un momento positivo del processo conoscitivo, perché solo partendo dal sensibile è possibile elevarsi all'intelligibile.

La conoscenza sensibile ha inizio dalla esperienza e, piu esattamente, dalle sensazioni, che i singoli sensi ci forniscono, e che non sono altro che impvessioni singole e slegate.

(Così, di fronte ad una rosa noi avvertiamo il profumo, i colori, la forma, la solidità; ma tutte queste impressioni, avvertite separatamevtte dai singoli sensi, si presentano a noi ancora slegate le une dalle altre.)

Perché si giunga dalle sensazioni alla formazione di immagini, è necessaric che le varie impressioni vengano unificate: bisogna, quindi, presupporre, oltre i cinque sensi particolari, la presenza in noi di un organo capace di unificare le varie sensazioni, che, in rapporto alla sua funzione, Aristotele definisce senso comune.

(Per riprendere I'esempio precedente, unificando le varie sensazioni, noi riusciamo attraverso il senso comune a formarci I'immagine di rosa, la quale ha il carattere di iunmagivze particolaue, in quanto ci rappresentiamo un oggetto particolare, questa o quella determinata rosa.)

L'immagine particolare, una volta formatasi, viene conservata per mezzo della memoria; Quando piu immagini particolari simili vengono a sovrapporsi nella memoria, si forma in noi un'imrnagirze genevica o generale, nella quale sono conservate le note comuni di una serie di immaginì particolari.

(L'immagine particolare, ad esempio, di questa rosa, sovrapponendosi all'immagine di quella e di quell'aitra rosa, dà luogo all'immagine generale di rosa.)

L'immagine generale non è ancora il concetto.

Con questa, infatti, risultato della sovrapposizione meccanica di una serie di immagini, rimaniamo sempre nel campo della conoscenza sensibiie:

I'essenza, le note essenziali, che presuppongono il porere astuattivo dell'intelletto, non è stata ancora colta da noi.

L'immagine generale, inoltre, proprio perché di origine sensibile, manca di vera e propria universalità: essa, per quanto generica, ha sempre un valore soggettivo, perché rimane legata alle immagini particolari, da cui ogni singolo soggetto I'ha derivata.

( Così, ad esempio, se io avessi visto sempre e solo alberi di pino, la mia immagine generale di albero finirebbe con I'essere diversa da quella di colui che avesse visto sempre e solo degli alberi di cipresso.)

L'immagine generale rappresenta il punto piu elevato della conoscenza sensibile, ed è, quindi, raggiungibile non solo dall'uomo, ma anche dagli altri animali superiori.

Per elevarsi oltre il sensibile, I'uomo è fornito di intelletto, con il quale è in grado di pervenire ai concetti.

Primo grado della conoscenza intellettiva è, appunto, la conoscenza concettuale.

I1 concetto è del tutto diverso dall'immagine generale.

Nell'immagine generale noi conserviamo, attraverso la memoria, le note comuni ad una serie di immagini particolari;

nel concetto, invece, riusciamo a cogliere, con I'intelletto, le note essenziali di un aspetto della realtà.

(Se io, ad esempio, uomo bianco, avessi avuto occasione di vedere sempre e solo degli uomini bianchi, poiché il bianco e un carattere comune a tutte le mie immagini di uomo, conserverei questo carattere anche nelI'immagine generale di uomo. Un uomo nero, al contrario, che avesse visto solo degli uomini neri, si rappresenterebbe in generale I'uomo come uomo nero.

Con I'intelletto, invece, io mi rendo conto che il bianco o il nero, pur note comuni alle mie rappresentazioni, sono note occasionali; e, elevandomi al concetto di uomo, concepisco I'uomo né bian`co né nero, fissandone le note essenziali, quelle note, cioè, senza delle quali I'uomo non sarebbe concepibile.)

Dall'immagine generale, con I'intelletto, I'uomo si elevaal concetto.

Ma come è possibile per I'intelletto umano astrarre I'essenziale dall'immagine generale?

Aristotele, partendo dal principio che tutto ciò che si attua presuppone uno stato potenziale,

sostiene che il concetto, che noi astraiamo con I'intelletto dall'immagine generale

deve essere da una parte in potenza neil' imrnagine generale, dall'altra nell'intelletto stesso. L'attUazione del concetto, il passaggio da questi due stati potenziali, avviene attraverso un atto di intuizione, è effetto di un'illuminazione, la quale presuppone, oltre la possibilità di intendere, I'esistenza di una forza che il nostro intelletto illumina e che rende possibile I'intuizione.

Tale forza illuminatrice, senza la quale I'intuizione dell'essenziale non sarebbe possibile, ci proviene, per Aristotele, dall'intelletto attivo che, come abbiamo già visto, viene distinto dal nostro particolare intelletto passivo.

L'intelletto attivo, chiarisce Aristotele, interviene nel processo conoscitivo così come la luce interviene nella visione.

L'atto visivo, infatti, è reso possibile solo dall'intervento della luce. Al buio, esistono gli oggetti nella loro potenzialità ad essere visti e il nostro occhio, che rappresenta potenzialmente la capacità di vedere: solo I'intervento della luce permette il passaggio dai due stati potenziali all'atto della visione.

Queste conclusioni sono in fondò il risultato di un contrasto che travaglia I'autore: ·egli, da una parte, ha voiuto spiegare la conoscenza partendo dall'esperienza, dall'altra, ha voluto dare alla conoscenza razionale un carattere assolutamente soprasensibile; non riuscendo a far scaturire completamente I'una dall'altra, preoccupato di tenerle congiunte e nel medesimo tempo distinte, è costretto ad introdurre I'intelletto attivo, quale mediatore tra la conoscenza sensibile ed intellettiva. Ma in tal maniera Aristotele, che pur aveva iniziato col rigettare I'innatismo platonico, nell'accettare il principio che i concetti sono in potenza nel nostro intelletto, si riaccosta alle posizioni innatistiche; così come, affrontando il problema della realtà, non era riuscito a sottrarsi completamente al dualismo metafisico di Platone.

 

 

 

Aristotele è da considerare l'iniziatore degli studi scientifici nel campo dell'axxatomia e della fisiologia comparate, della logica della storia della filosofia ecc. Mu(>Yencío dal " realismo delle idee " dei suo maestro Plato- ne, che accentuava la separazione tra mondo intelligibile e mondo sensibile, Aristotele, eri- ti,candolo, elabora una teoria della cono- scenza interamente nuova, e una teoria del concetto che non è più metafìsica, ma logica. Mentre per Platone le idee esistono in sé, eternamente, in un " mondo intelligibile " di cui il mondo sensibile non è che un riflesso imperfetto, Aristotele nega la separazione tra il mondo delle idee universali e il mondo de- gli oggetti individuali. Questa valorizzazione dei concreto costituisce la nota dominante del suo sistema.

Considerare al modo di Platone le idee uni- versali come sostanze separate per Aristotele è una inutile reduplicazione della realtà, né serve a spiegare la loro azione sulle cose, né il movimento e il divenire delle cose stesse. " Dire che le idee sono modelli, e che di esse partecipano tutte le altre cose, è un pronun- ziare frasi vuote e usare metafore poetiche." Aristotele concorda con Platone nel principio che solo l'universale è oggetto di scienza; ma l'universale, in quanto termine comune a più cose, non " esprime un essere concreta- mente determinato, bensì una certa natura dell'essere ". L'essere concretamente determi- nato, la vera ed unica realtà è l'individuo; tuttavia ciò che gli dà attualità, che ne fa uiia sostanza, è l'universale, inteso non come avente un'esistenza autonoma, ma come una forma iìnmanente all'essere reale e concreto. " Le idee universali sono le sostanze stesse delle cose sensibili." Perciò la scienza è scienza dell'universale concreto; essa è ad un tempo scienza del reale e scienza dell'uni- versale.

Se la forma è ciò che determina l'essere e ne costituisce l'essenza, la materia è ciò che viene determinato, ciò che serve da sostegno e sostrato. Ogni individuo è quindi costituito da una materia e da una forma. Il rapporto materia-for-ma serve a spiegare non solo la struttura della sostanza, ma anche quella del movimento e del divenire. Infatti la materia (h@lé) è l'" essere in potenza ", che diviene " essere in atto " dopo aver ricevuto la for- ma. " L'atto (enérgeia) sta alla potenza co- me il costruire al saper costruire, l'esser de- sto al dormire, il guardare al tener chiusi gli occhi pur avendo la vista, come l'oggetto ca- vato dalla materia ed elaborato compiuta- mente sta alla materia grezza e all'oggetto non ancora finito." Il divenire risulta dun- que dall'unione di una forma e di una " h@- lè " atta a ricevere tale forma. In natura non esiste materia senza forma, assolutamente indeterminata; esiste soltanto l'indeterrfflnato relativo, vale a dire ciò che è meno deter- nùnato di altro, e il divenire va dal meno al più determinato, senza cessare con questo di coincidere con l'essere. Pertanto quella che Aristotele chiama materia prima non è che un'astrazione, ossia il limite ideale inferiore della gerarchia degli esseri naturali. Nem- meno verso l'alto la gerarchia degli esseri naturali può andare all'infinito; essa mette capo ad un essere, Dio, concepito come il motore e il fine ultimo dell'universo, ma che per sé è immobile, perché ogni movimento implica un passaggio dalla potenza all'atto, mentre Dio è pura forma e atto puro, in quanto non è mescolato con alcuna potenza, con alcuna possibilità di ulteriore determi- nazione. Egli quindi non può essere che pen- siero, e l'oggetto del suo pensare non può essere altro che se Stesso Dio è pensiero di pensiero (nóésis no@seOs). La dottrina di Dio, mentre conclude il sistema aristotelico del mondo, non interviene direttamente nella spiegazione del reale, inteso come costituito da individui concreti; rispetto ad essa hanno completa autonomia le scienze della natura e dell'uomo.

Le nozioni fondamentali della inetafisica e della " fisica ", la dottrina della materia e del- la forma, della potenza e dell'atto, sono an- che i princìpi della biologia e della psicolo- gia aristoteliche. Un corpo organico è soltan to la materia di un essere vivente; il principio della vita, la forma dell'essere vivente, è l'anima. " L'anima è l'atto perfetto primo di un corpo naturale organico che ha la vita in potenza." Aristotele distingue diverse fun- zioni dell'anima (nutritiva, generativa, appe- titiva, sensitiva, motrice, intellettiva) e pone una gerarchia di anime in relazione alle f n- zioni che ad esse cornpetono nei diversi es- seri viventi, dai meno perfetti ai più perfetti (piante, animali, uomini). Ciò che occorre mettere in rilievo è la stretta connessione che Aristotele ha stabilito fra tutti gli esseri vi- venti e, in particolare, tra il mondo degli animali e quello dell'uomo.

Coerentemente a tutta la sua filosofia, Ari- stotele non pone alcun netto distacco tra le due fondamentali funzioni conoscitive del- l'uomo, la sensazione e il pensiero, anzi af- i ferma che tra esse esiste un'effettiva conti- ] nuità. In opposizione all'innatismo platonico, i Aristotele non ammette la presenza o traccia di immagini o di idee preesistenti nell'uomo al processo conoscitivo. Perciò pone nella sensazione l'origine di tutte le nostre cono- scenze: " Chi non@ percepisce sensazioni, non può apprendere né comprendere nulla ". La facoltà sensitiva è la capacità dei soggetto senziente di accogliere in sé le forme delle cose senza la loro materia: " Il senso è il ricettacolo delle forme sensibili senza la ma- teria, come la cera riceve l'impronta del- l'anello d'oro senza l'oro stesso ". Aristotele sostiene quindi che il conoscere è avverti- mento d'una variazione psichica che accade in noi, cioè di un mutamento prodotto dalle q alità sensibili delle cose sui nostri organi d@ senso: " Il sentire è un patire ". Merito d'Aristotele è stato quello di aver considerato la percezione e gli altri processi psichici co- me strettamente legati alle condizioni fisiolo- giche dell'organismo e di aver considerato la psicologia come una scienza naturale. Di conseguenza la funzione appetitiva e quella motrice che, insieme con la funzione sensi- tiva, caratterizzano la vita psichica animale, vengono considerate, nell'etica, nel loro rap- porto con l'intelligenza. Tuttavia, anche se le funzioni sensitiva e immaginativa costitui- scono le condizioni materiali e gli anteceden- ti necessari della funzione intellettiva, il pro- cesso di astrazione, mediante il quale dal- l'immagine sensibile (phdntasma) viene iso- lata la forma intelligibile o essenza pura o concetto universale, che è l'oggetto della co- noscenza scientifica, non può essere compiuto né da una funzione di un organo corporeo né da un intelletto che sia pura potenza e recettività. Di qui la necessità di postulare, al di sopra dell'inteuetto che riceve le forme intelligibili, un altro intelletto, che è sempre in atto ed è produttivo di tali forme: l'"in- telletto agente" (nús poiétikós).

In Aristotele, con la teoria dell'essere è con- nessa anche la logica, la quale, pur configu- randosi come disciplina in modo autonomo, rientra nel sistema unitario della sua filoso- fia. Tuttavia tale constatazione non ci deve far concludere che il pensiero di Acistotele sia un dogmatico sostanzialismo; al contrario tutta la sua metafisica non è altro che una continua incessante ricerca sulla natura e sul significato dell'essere e della sostanza, di cui comprende tutta la complessa problema- tica, affrontandola coi suo caratteristico pro- cedirnento analitico e dubitativo, prospettan- do tutte le soluzioni possibili, sviluppando e discutendo ognuna di esse e facendo così rampollare un problema dall'altro. Proprio per questi motivi la dialettica per Aristotele non si identifica, come per Platone, con il metodo stesso del filosofare e del sapere; essa invece " esercita un potere critico ri- spetto alle cose di cui la filosofia dà cono- scenza ". La dialettica verte quindi intorno alle opinioni che gli uomini hanno delle co- se; in essa è dunque implicito il dialogo, pur quando non ne è l'espressione. Proprio perché occorre tener conto della dimensione umana del dialogare, della discussione intesa in certo qual modo come fatto sociale, nasce la rìecessità di una disciplina del dibattito, di precisare in modo rigoroso i tennini che si usano nelle discussioni, di stabilire regole formali di validità dei discorsi, ecc. Di qui il configurarsi della logica come disciplina formale, che in Aristotele raggiunge un alto grado di perfezione e di rigore.

Anche la logica quindi, come ogni altra di- sciplina trattata da Aristotele, finisce per avere uno svolgimento autonomo, pur inse- rendosi in un orizzonte teoretico unitario. £ questo uno dei tratti pi@ salienti del sistema aristotelico: ogni campo di ricerca viene sì considerato in connessione con l'insieme del sapere, ma viene anche visto nella sua partico- larità, nei suoi elementi e sviluppi, nelle sue strutture. Per quanto riguarda la partizione del sapere, Aristotele distingue le scienze poetiche (poetica e retorica), dalle scienze pratiche (etica, politica) e dalle scienze teo- retiche (inatemàtica, fisica, filosofia prima). Nella trattazione delle singole discipline Ari- stotele parte sempre da un riconoscimento delle determinazioni empiriche, che vengo- no gradualmente generalizzate, così da con- sentire una sistematica classificuione e un ordinamento della materia. Da questo pun-

to di vista le analisi aristoteliche costituisco- no la traduzione teorica dell'esperienza con- creta del suo tempo e i limiti e gli aspetti dogmatici che le contraddistinguono sulla scorta di esperienze successive, sono imputa- bili all'abbandono del metodo di ricerca che Aristotele aveva teorizzato, a favore di una acritica accettazione della sua opera.

 

Aristòtele (o Aristòtile; gr., lat. Aristotéles, nel Medioevo latino Aristotíles). - Fi- losofo (Stagira 384-83 a. C. - Calcide 327 a. C.). Figlio di Nicomaco, medico di Arninta Il di Ma- cedonia, A. trascorse i primi anni della sua gio- vinezza a Pella. Morto il padre, ebbe come tutore un parente di nome Prosseno, di cui poi adottò il fìglio. A diciotto anni si trasferì ad Atene ed entrò a far parte dell'Accademia platonica rima- nendovi per quasi vent'anni, fìno alla morte di Platone, verso il quale nutrì sempre, malgrado tutte le invenzioni e le maldicenze, profonda ami- cizia e venerazione: basta ad attestarlo il celebre elogio - che certo va riferito a Platone - dell'" uo- mo che i malvagi non hanno nenuneno il di- ritto di lodare ", contenuto nell'elegia per l'al- tare dedicato ad Eudemo di Cipro. Fu quindi in parte per motivi politici e in parte per i dis- sensi con Speusippo, il nuovo scolarca dell'Acca- demia, che A., in compagnia di Senocrate, lasciò Atene per recarsi in Asia minore, presso Ernúa, tiranno di Atarneo. Nella vicina Troade, a Scepsi e ad Asso, esistevano comunità platoniche, e in esse A. cominciò a svolgere il suo magistero. Vi rimase tre anni e Ernúa gli dette in moglie la nipote e figlia adottiva Pizia. Forse proprio per le insistenza del discepolo Teofrasto si trasferì a Mitilene, dove insegnò fino al 343-42, quando ac- colse l'invito a recarsi alla corte di Filippo Il di Macedonia per occuparsi dell'educazione del principe Alessandro. Salito questi al trono, tor- nò ad Atene e vi fondò nel 335-34 una scuola che, dalla sua sede, il recinto sacro ad Apollo Liceo, trasse il nome di Liceo, e dal neetnazo; " pas- seggiata", che i suoi membri percorrevano discu- tendo, quello di Perípato, o scuola peripatetica. Dopo circa dodici anni di direzione della scuola, morto Alessandro e prevalso in Atene il partito antirnacedonico, A. fu accusato di ernpietà, ma sfuggì al processo riparando a Calcide nell'Eubea, dove morì l'anno dopo (322) di una nialattia di stomaco. m Circa la storia e il carattere degli scritti di A. molta luce è stata fatta negli ultimi decenni: gli antichi conobbero una serie di opere, nella maggior parte dialogiche, pubblicate da A. stesso e lodate anche per i pregi della loro forma letteraria, di cui noi possiamo leggere solo pochi frammenti (tra le principali: Grillo, Eudemo, Pro- treptico, Sulla giustizia, Sulla filosofia, Sulle idee, Politico, Sofista, ecc.). La perdita di queste opere dedicate al pubblico (e perciò dette essoteriche) è certamente dovuta alla pubblicazione, fatta da Andronico da Rodi, degli scritti che A. e alcuni discepoli avevano redatto in funzione dei corsì di lezioni svolti all'interno dei Liceo (perciò dette esoteriche o, anche, acroamatiche, cioè destinate all'ascolto e costituenti il Corpus aristotelicum da noi attualmente posseduto). Questa pubblicazio- ne che, secondo la tradizione, conclude una storia assai romanzesca di tali scritti, fece coi tempo passare in secondo piano gli scritti essoterici. La ricostruzione delle vicende degli scritti di A. e degli ambienti in cui esse si svolsero hanno per- messo di comprendere come gradatarnente, anzi, gli scritti essoterici venissero nettamente contrap- posti a quelli esoterici; e poiché nei primi si scor- gevano larghe tracce di dottrine platoniche, si favoleggiò che in essi A. non avesse svelato il suo vero pensiero (riservato ai discepoli iniziati e alle opere esoteriche), ma avesse solo espresso false opinioni altrui; ciò anche in base all'errata convinzione che A. avesse radicalmente criticato la dottrina platonica fìn dal suo primo soggiorno nell'Accademia. Questa tradizione e l'imrnagine stercotipa di un A. sistematico, rigido e immuta- bile hanno per lungo ternpo paralizzato anche la critica moderna, oscillante tra la tendenza di con- siderare non autentiche le opere essoteriche (Ross) e quella di espungere da esse ogni traccia di pla- tonismo per salvarne l'autenticità (Bernays). £ grande merito dello jaeger (e in Italia del Bigno- ne) aver dato un'impostazione nuova al proble- ma, considerando le opere essoterkhe e il plato- nismo in esse espresso come documento della prima fase dell'evoluzione fìlosofica di A., evo- luzione rintracciabile anche tra i vari strati reda- zionali riconoscibili nelle stesse opere acroama- tiche. Nella loro disposizione sistematica esse sono le seguenti: i) Opere di logica (in seguito indicate sotto il nome complessivo di Organon): Categorie, Sull'espressione, Analitici primi (2 libri), Analitici posteriori (2 libri), Topici (8 libri), Elen- chi sofistici; z) Opere di fisica: Fisica (8 libri), Il cielo (4 libri), Generazione e corruzione (2 libri), MeteorolQgia (4 libri), Storia degli animali (io li- bri), Parti degli animali (4 libri) , Generazione de- gli animali (5 libri), altre minori, nonché L'anima (3 libri) e una serie di opuscoli raccolti sotto il nome di Par-va naturale; 3) Scritti di filosofìa prima: Metafis@ica (i4 libri, così chiamata, sem- bra, perché posta " dopo i libri di fisica " in gre- co -rd P£Tà 'và "&><á; 4) Opere morali e politi- che: Etica Eudemea (7 libri), Grande Etica (? li- bri: d'incerta autenticità), Etica Nicomachea (io libri), Politica (8 libri), Costituzione degli Ateniesi; 5) Opere di poetica: Retorica (3 libri), Poetica. Di una serie di altri scritti compresi nel corpus (Problemi, Retorica ad Alessandro, Fisionomicí, ecc.) l'autenticità è con molto fondamento messa in dubbio. m Le linee dello sviluppo filosofico di Aristotele, che dallo jaeger in poi si sono sem- pre meglio venute individuando, consentono di distinguere tre periodi: quello accademico, quel- lo del soggiorno ad Asso, a Mitilene e in Mace- donia e, infine, quello dell'insegnamento al Li- ceo. Nel primo periodo, a cui risalgono, tra gli altri, gli scritti Eudemo, Protreptico e Sulla giu- stizia, A. riprende la dottrina platonica dell'im- mortalità dell'anima, considerata come " forma determinata ", cioè come sostanza (e non ancora, quindi come " forma di qualcosa ", cioè del cor- po, come sarà più tardi); esalta la vita contem- plativa e l'esercizio della ggeóvnat@ (platonica- mente intesa come la forma più alta di riflessio- ne e quindi come il più nobile atteggiamento che il filosofo possa assumere, ben diversa, quindi, da quella " prudenza " che A. includerà nella serie delle virtù nell'Etica Nicomachea), considera il bene come il " fìne " (-réAog) supremo. Nel se- condo periodo, A. porta in primo piano i motivi di divergenza dal platonismo: Platone stesso, nei suoi ultimi dialoghi, aveva sottoposto la sua dot- trina delle idee a un potente sforzo di rielabo- razione, consapevole delle numerose difficoltà da essa suscitate. Speusippo, d'altra parte, aveva ac- centuato l'aspetto matematico delle idee e su questa interpretazione si appuntarono dapprima le critiche di A., per estendersi poi gradatamen- te alla dottrina platonica in generale e soprattut- to alla " separazione " delle idee dalle cose. Accan- to agli scritti Sulla filosofia e Sulle idee risalgono a questo periodo le sezioni più antiche della Fisica, della Metafisica, dell'Etica Eudemea e della Poli- tica, in cui più evidenti sono ancora le tracce del piatonismo (Dio, suprema ordinatore e fine di tutte le cose; l'animazione dei cieli; l'etere quin- to elemento, ecc.). Nel terzo perio o, e, a cui risale la redazione di quasi tutto il Corpus aristotelicum da noi posseduto, A. raggiunge la piena rnaturità dottrinale, in cui si misura pie- namente il suo distacco da Platone. Se le idee hanno un'esistenza assolutamente separata da- gli oggetti dell'esperienza sensibile, come posso- no essere fondamento della realtà delle cose ? Per costituirne l'essenza devono essere intrinseche a esse. e se anche questo si ammette, parlando di una * presenza * dell'idea in ciascuno degi'indi- vidui che ad essa * partecipa s, forza è concludere che la sua esistenza separata e indipendente non aggiunge nulla di essenziale al quadro della realtà, dando anzi luogo a un suo duplicato superfluo (cosiddetto argomento del terzo uomo). L'idea, essenza eterna, universale, donúnante l'esistenza transcunte degl'individui, si determina nella ma- teria, costituendo la singola e concreta realtà. L'" idea " platonica si trasmuta così nella " for- ma á aristotelica (@uce(p@, o ancora, col vec- chio nome, eMo;), e queu'elemento negativo che nella natura, per Platone, si componeva col puro essere dell'idea facendo sì che essa divergesse sempre dalla sua perfezione, diviene la * materia * (iUAn), che la forma plasma nell'individuo, o " si- nolo * (6,óvoiov, " insieme ", dei due elementi). Solo quest'individuo è reale, non avendo esisten- zá autonoma né la forma, né la materia. Ciò poi non toglie che la forma possa essere concepita dal pensiero nella sua pura indipendenza, cioè nella sua universalità scevra di ogni determina- zione particolare: da questo punto di vista, la forma è l'universale (;<a#dAov), che viene con- quistato dal pensiero nelle cose esterne mediante un processo di separazione, e " astrazione ", dalle particolarità individuali, che fa comprendere il senso della sua posteriore qualifìcazione come " universale astratto *. D'altra parte, la materia non è soltanto un sostrato inerte su cui s'impri- me la forma, ma di questa forma ha in sé la pos- sibilità; e la forma quindi non la determina estrin- secamente, ma costituisce la traduzione in atto della capacità implicita in quella. Il binomio sta- tico di materia e forma si risolve quindi in quello dinamico di potenza e atto. La o potenza * è la SvagtC, concreta capacità di svilupparsi nel sen- so di una certa forma. L'i atto * è " energia @> (èvépyeta), in quanto attiva realizzazione di una data capacità o potenza, ed o entelechìa *, in quan- to forma, anzi materia formata, attuata realtà in- dividuale (9v-reAéXeta, da èv * in *, -réaog " fìne * e gxetv * avere ": realtà che ha il suo fine in sé stessa, avendolo raggiunto col compimento dei suo processo di sviluppo). Questo passaggio dalla potenza all'atto non dev'essere concepito come realizzantesi una volta per sempre; ogni momen- to del divenire è attuazione di una precedente potenza e costituzione di una potenza che ren- derà possibile una nuova attuazione. Tutto il mondo è così un processo di crescente deterrni- nazione, in cui la perfetta idealità della forma si attua sempre più dall'imperfetta rnaterialità della potenza. Al limite di questo processo, A. pone un ente perfetto che, avendo pienamente attuato la sua natura, è " atto puro i>, atto del tutto sce- vro di potenza (Dio). Ciò non toglie però che questo influisca sul mondo come scopo supremo di tutto il suo processo di attuazione: Dio muove come " oggetto dell'arnore ", muove senza muo- versi (" motore immobile *: xtvo& àxt'viirov). D'al- tra parte, la sua superiorità a ogni esigenza di attività e di movimento non può concepirsi co- me assoluta mancanza di vita (ciò che sarebbe inconciliabile con la sua suprema perfezione) -.

quindi la sua vita senza attività non può essere che la contemplazione, non di una verità diversa da sé medesimo (ciò che implicherebbe, non at- tuale possesso della verità, ma potenza conosci- tiva tendente al possesso della verità), bensì della verità che egli stesso costituisce: Dio pensa sé stesso, è " pensiero del pensiero @ (vónatq vo@cecoQ). In ultima analisi, se nella cosmica gerarchia del- l'essere non c'è forma o attualità che non sia le- gata alla materia o potenza, all'estremo suo ver- tice la forma o attualità torna a sussistere con l'indipendente purezza dell'idea platonica, e solo in tale purezza essa fornisce senso e valore a tutto l'edificio della realtà. Ciò dimostra quanto tena- cemente persista nella mente di A., nonostante la sua viva aspirazione all'immanenza, la conce- zione trascendentistica della realtà, appresa in gioventù alla scuola di Platone. =i Anche nell'eti- ca, A. è ben lontano dall'ascesi platonica, mirante all'assoluta separazione dell'anima dalla schiavitù corporea. La virtù è un o abito?>, un'attitudine del volere a comportarsi in un certo modo, che non dipende tanto da dottrine e da convinzioni teoretiche quanto da concrete capacìtà pratiche. In generale, essa consiste nella condizione di equi- librio in cui l'anima viene a trovarsi quando si tiene lontana da entrambi gli estremi della pas- sione: tra il vizio dipendente dal difetto e quello dipendente dall'eccesso, essa occupa il * giusto mezzo *. Ma se, in tal modo, le virtù propria- mente " etiche * si distaccano dalla sfera della scienza e si rinchiudono in quella dell'esperienza pratica o del " costume * (gbog), a queste sovra- stano d'altro lato le virtù dianoetiche, o virtù della ótávota, del retto <i esercizio intellettuale ". E così, culmine della possibile perfezione e felicità del- l'uomo è, anche per Aristotele, non l'azione ma la contemplazione, quella vita teoretica, d'ím- pronta platonica, in cui meglio il mortale si avvi- cina alla soddisfatta beatitudine di Dio. Ciò non toglie che per A. soltanto nella vita sociale ruorno, che è l'" animale politico * per eccellenza, possa attuare il suo perfezionamento morale e conse- guire la sua felicità. Lo stato infatti, la più per-' fetta delle organizzazioni sociali, è l'atto rispetto al quale l'individuo è la famiglia sono la potenza, ed è quindi il fine verso cui tende lo sviluppo dell'uomo. E3 Anche in tema di teoria dell'ánima, l'A. della maturità abbandona la contrapposizio- ne platonica di anima e corpo. L'anima è la for- ma della materia corporea, costituente con essa il vivente individuo umano. Anche la pianta ha un'anima, che è la stessa sua vitalità di organismo: ma quest'anima è purarnente * nutritiva ", o "ve- getativa ", mentre nell'animale essa non è soltanto tale, ma anche * motrice * e " senziente ", e nell'uo- mo, infìne, anche " pensante " (l'universo essendo pera. un sistema di forme viventi gerarchicamente ordinato, secondo la maggiore o minore determi. nazione che l'una presenta rispetto all'altra). Ma sotto ciascuno di questi aspetti l'anima è sempre mortale, perché legata, quale forma, alla sorte della sua materia (il corpo). Ma d'altra parte, se l'anima è legata al corpo e lo sviluppo conoscitivo ha il suo primo fondamento negli organi di senso, da essi derivando quelle sensazioni che prepara- no la conoscenza dei concetti universali, quest'ul- tima conoscenza è poi considerata come del tutto diversa dalle altre e affatto indipendente dalla sintesi psico-corporea costituente l'orgaiiismo u- mano. La conoscenza intellettuale, o noetica (cioè dei PA@, dell'" intelletto *), ha un valore di veri- tà e universalità di tanto superiore alle altre, che va fatta dipendere dall'intervento esterno di una divina e universale attività intellettiva, di fronte alla quale non sussiste nell'organismo umano se non la capacità di adeguarsi passivamente ad es- sa. Di qui la distinzione del sopraumano " intel- letto agente * (vola,, notn-r&xóg: l'espressione, conia- ta da Alessandro di Afrodisiade, diviene comune nell'aristotelismo medievale; A. parla di un in- telletto che è causa agente dell'intendere: 6 voigg -ro návta noteív) dall'umano c intelletto in potenza * (coi óvva-róg: spesso dai conimentatori confuso col volo; natgìirlxó; o " intelletto passivo *, che è invece da identificare con la " fantasia "). m La stessa sopravalutazione conclusiva, e intrinseca- mente platonica, della conoscenza noetica si ha poi anche nella logica, che di tutte le dottrine aristoteliche è la più originale. Da una parte, in- fatti, essa tende, con motivo immanentistico e antiplatonico, a rendere ragione della realtà in- dividuale, e teorizza il metodo * induttivo * o <x epagogico * che, accostando casi simili, trae da essi il tipo comune e fonda così la norma gene- rale sull'accordo dei particolari (metodo special- mente adatto allo studio delle scienze della na- tura); ma, dall'altra parte, ritiene che tale mè- todo induttivo non serva per la vera e propria dimostrazione delle verità fìlosofiche, perché in- capace di fondare verità in sé necessarie ed eter- ne. Per dimostrare con assoluto rigore logico, occorre il metodo apodittico (dimostrativo), o deduttivo, che procede dall'universale al partico- lare, o dal più universale al meno universale: sua forma tipica è il sillogismo. La ricerca dei vari tipi di sillogismi e la distinzione di quelli validi da quelli non validi occupa la maggior parte dei .Primi analitici, e costituisce un sistema di logica <1 formale ", in quanto questa determina le forme onde il pensiero si vale per dedurre necessaria- mente verità più particolari da verità più univer- sali, ma non gli fornisce il contenuto onde riem- pire le forme, i punti di partenza onde muovere nel suo metodo deduttivo. A capo di ogni pro- cesso ápodittico è necessario porre due " premes- se immediate ", e cioè non dedotte in funzione di un superiore " medio" sillogistico, perché altri ridenti si risalirebbe,all'infìnito dalla conclusione alla premessa, e non vi sarebbe mai un saldo punto di partenza per la deduzione scientifica. Esse debbono venir semplicemente intuite dal- l'intelletto, dal voi@g, che non scinde, come la @tàvota (facoltà giudicante e sillogizzante), le verità in soggetti e predicati per riunirle poi nella sintesi afferraativa o negativa, ma le appercepi- sce nella loro imrnota e perfetta unità. Così al disopra della logica dianoetica sta la logica noe- tica: al disopra della realtà, più schiettamente ari- stotelica, della dimostrazione, la condizione ul- tima, più propriamente platonica, della contem- plazione. m Nella dottrina dell'arte, A. rivaluta il fatto estetico, osservando che l'irnitazione ar- tistica non si riferisce alla realtà singola (secondo la tesi che più giustificava la condanna platonica), ma a quella stessa realtà ideale, che nel singolo traluce come sua universale forma. Essa inoltre ha un potere catartico, quale particolarmente si constata nel dramma tragico. Rimane però, in questa teoria, immutato il presupposto platoni- co dell'imitazione, come carattere costitutivo del~ l'attività artistica, il quale di fatto toglie a questa attività ogni aspetto di libera creazione. Il tardo sviluppo dell'estetica, nei secoli successivi, ha tra le sue cause precipue l'influenza negativa di quel concetto della n-úmèsi. m Giudicando dalle ope- re giunteci e dalle fonti, la teoria del linguaggio fu toccata da A. sempre in funzione di altri set- tori d'indagine: le dottrine logico-formali e po- litiche, le teorie dell'arte poetica e della retorica. Tuttavia, per quanto esternamente frammenta- rio, l'insieme delle dottrine linguistiche d'A. ha una notevole coerenza interna. Dalle voci degli animali, le voci umane si distinguono per essere articolate, cioè composte da una successione di elementi semantici, le parole, a loro volta analiz- zabili in elementi asemantici, arotxét-a o yedgiua- -ca (" elementi " o o lettere @). Le parole si classi- ficano in tre categorie (o quattro, a seconda della lezione seguita dagl'interpreti): i nomi, defini- ti voci significative senza tempo, i verbi, voci significanti con tempo, i legamenti (preposizioni, articoli, ecc.), la cui funzione è quella di collegare gli elementi propriamente semantici. Nomi e ver- bi hanno la caratteristica della genericità sernan- tica: cadendo nella frase essi si modificano nella forma e si determinano nel significato. A tale processo di determinazione formale e funzionale A. dà il nome di -rrCouig " caduta, caso * (la paro- la ha palesernente un'accezione ancora molto più vasta di quell a conferitale poi -dagli Stoici). Sol- tanto quando siano combinata tra loro nella fra- se le parole possono essere oggetto d'un giudizio di verità o falsità. in sé, un nome (o un verbo) non è né vero né falso, ma indica convenzional- mente (sarà @vvi9h,,<ìiv) un certo significato.

Il significato è concepito in ternùni Psicologici come ná'&09 -c@g yvXfiQ " affezione dell'anima ", corri- spondente a un dato ontologico. Dalle dottrine di A. è dunque assente il debito riconoscimento della storicità (variabilità etnica e temporale) del mondo dei significati, pur non mancando cenni alla diversità forrnale delle lingue e al legame tra usi linguistici e vita associata dei popoli. A li 1 9 er-rotxela, cioè, in particolare, ai fonemi costitu- tivi delle parole greche, A. dedica osservazioni penetranti nella Poetica: a lui risale un primo tentativo di sistemazione della fonologia del gre- co antico. Questo corpo dottrinale, giudicato da studiosi dell'Ottocento " ingenuo " (H. Steinthal), appare oggi sorprendentemente moderno: so- prattutto le due idee dell'arbitrarietà delle forme linguistiche e del loro articolarsi in unità collo- cate a distinti livelli (v. ARBITRARIETX; ARTICO- LAZIONE) sono state rimesse in onore dal pen- siero linguistico del Novecento. C3 In A., l'amc>-

re dell'assoluto e dell'eterno (che caratterizza la personalità dei suo maestro) cede sempre più di fronte all'interesse (che forse meglio esprime il suo spirito) per la ricerca induttiva ed empirica del particolare, indagato nelle sue forme concrete mediante una larga e paziente organizzazione. E ciò appare già nel grande corpus in cui A., che già aveva tentato di stabilire la costituzione dello stato ideale, passa all'analisi realistica delle varie forme esistenti di costituzioni politiche, racco- gliendone ben i 58, storicamente sancite in Gre- cia e fuori, di cui ci rimangono pochi frammenti e il trattato della Costituzione di Atene, ritrovato da F. G. Kenyon nel i 89 i in un papiro in Egitto. L'irnponenza stessa di questa raccolta ci fa pen- sare che A. non attendesse da solo a tale lavoro, ma organizzasse e dirigesse ricerche compiute da tutta la sua scuola, chegli indirizzò all'indagine empirica. In zoologia, ad es., risalgono ad A. osservazioni sullo stomaco dei ruminanti e l'in- dividuazione nei delfini di caratteristiche proprie dei mammiferi, mentre nell'ambito dei suoi prin- cipi metodici generali A. tentò anche una classi- ficazione delle specie animali elaborando una scala naturae, ascendente dagli esseri inanimati all'uomo, con criteri teleologistici e vitalistici. m In base al concetto di scienza come conoscenza mediante cause di una realtà che "è sempre o per lo più " (escludendo quindi una scienza del contingente e dell'accidentale), A. aveva distinto tre possibili scienze speculative: matematica, fi- sica e filosofia prima, assegnando alla fisica come oggetto proprio un particolare aspetto dell'essere,, cioè @(quella sostanza che ha in se stessa la cau- sa del suo movimento ". I principi di questa scienza, attraverso i quali soltanto è coneepibile il divenire, sono quelli generalissimi di mate- ria e forma, cui si aggiunge quello di privazione (oT49ectQ): in base ad essi si effettua la riduzione delle cause a quattro tipi fondamentali (forrrxale, materiale, efficiente, finale), cui tutte le altre pos- sono riportarsi. Conformernente a questa impo- stazione A. esclude come mezzo di spiegazione qualsiasi elemento di natura casuale o fortuita, in contrapposizione all'atomismo di Dernocrito, indirizzando quindi fìnalisticamente l'indagine. La fisica di A. è una fisica essenzialmente qua- litativa: in essa si distinguono infatti quattro tipi di movimento (generazione e corruzione, muta- mento, aumento e diminuzione, traslazione) - di cui quello di traslazione è il più importante, potendosi gli altri spiegare in base ad esso - e s'introduce la teoria dei luoghi naturali assoluti, secondo la quale tutti i corpi si muovono di moto rettilineo, verso l'alto quelli leggeri, verso il basso quelli pesanti, in conformità agli elementi che li compongono (in ordine di pesantezza: ter- ra - al centro dell'universo - acqua, aria, fuoco). Proprio dei soli corpi celesti è invece il moto circolare, moto perfetto che non wnmette con- trari ed esclude qualsiasi mutamento, sicché essi risultano eterni e incorruttibili; è necessario in conseguenza ammettere l'esistenza di un quinto elemento, esclusivo di questi corpi. l'etere. Nel- la sua teoria del cielo A. riprende il sistema delle sfere omocentriche di Eudosso, modificato da Callippo, aumentandone il numero, e ponendo la Terra al centro di un sistema di sfere cristalli- ne che nel loro movimento di rotazione trasci- nano gli astri su di esse situati. La finitezza del- l'universo, la negazione del vuoto e dell'infinito attuale - ~esso solo come potenziale riguar- do alla divisibilità - rappresentano poi alcune delle principali conseguenze della fisica di A., che per la stretta dipendenza dai principi gene- rali della sua speculazione, per il suo carattere sistematico e il rigore dell'irnpostazione, esercitò profonda influenza sul pensiero scientifico dei suc- cessori. Sembra che ad A. sia dovuto l'uso di rappresentare con lettere le grandezze prese in esame. m

Vedi anche le Voci ARISTOTELISMO; LOGICA; METAFISICA.

leonografia. - Molti furono i ritratti di A. nel- l'antichità: Alessandro gli dedicò un'ertna ad Atene, un altro ritratto Teofrasto, una statua era a Olimpia, molto diffuse erano nel mondo roma- no le erme che lo effigiavano. Abbiamo varie co- pie di un tipo, creato forse verso la fine dei 49 sec. a. C., di un notevole realismo. Nel Rinasci- mento si elaborò il tipo iconografico di A. con fronte assai alta, chiome e barba bianche fluenti, su cui forse Leonardo modellò il proprio autori- tratto (e in seguito ritratti di A. furono confusi con quelli di Leonardo), testimoniato da Raffaello nell'affresco della Scuola d'Atene.

Aristotele nella leggenda. - La leggenda medie- vale di A. rispecchia il fatto storico che Alessan- dro giovinetto fu allievo di A.; essa è infatti in- tessuta di diversi racconti sulle materie d'inse- gnamento, sui consigli preziosi dati all'allievo, e giunge fino a mostrare in A. un infallibile indo- vino. Alcuni episodi rivelano una vena d'inno- cente urnorismo, come quello in cui il venerando sapiente, avendo disapprovato l'arrendevolezza dei discepolo al fascino femminile, è messo alla prova e graziosamente raggirato da una bellissi- ma fanciulla. La scenetta di A. carponi, spesso con il rnorso fra i denti e le briglia sul collo, è il soggetto di numerose rappresentazioni tardo- medievali.

 

 

aristotelismo a. m. - Influsso esercitato di- rettamente o indirettamente da Aristotele nella storia del pensiero. L'antichità conobbe di Ari- stotele soprattutto gli scritti essoterici e giova- nili, in opposizione ai quali si orientò, per es., il pensiero di Epicuro. Grande influenza ebbe, inau- gurando una tradizione letteraria e filosofica, so- prattutto il Protreptico, tenuto presente anche da scrittori cristiani, mentre attraverso l'Hortensius ciceroniano suscitava la vocazione filosofica di s. Agostino. Uno sforzo di eliminare il contrasto tra Platone e Aristotele fu fatto dal neoplatoni- smo, di cui uno dei principali maestri, Porfirio, scrisse la celebre Introduzione, o Isagoge, alla lo- gica aristotelica, resa poi nota all'Occidente at- traverso la traduzione di Boezio. A questo e ai traduttori siriaci dal greco e arabi dal siriaco più che ai non mai dei tutto interrotti rapporti con l'oriente bizantino, la speculazione dell'Oc- cidente cristiano deve l'iniziazione alla conoscen- za di Aristotele. m Nel secondo quarto del sec.

i20 si cominciò a conoscere tutta l'opera logica di A. grazie alla versione di Giacomo Veneto (anteriormente si conoscevano solo le Categorie e il De interpretatione nella versione di Boezio, con rlsagoge di Porfirio); quindi, dalla seconda metà del i 20 sec., l'occidente latino viene a poco a poco a conoscenza delle opere aristoteliche di fisica, psicologia, metafisica ed etica, attraverso le traduzioni, ciall'arabo o dal greco, in latino, che ne vengono fatte specialmente in Spagna e in Sicilia alla corte di Federico 11. Insieme alle opere di Aristotele erano tradotti anche commen- ti o parafrasi di autori greci e arabi (ricordiamo, nel sec. izO, te traduzioni di Avicenna; nella pri- ma metà dei i30 i commenti di Averroè, nella seconda metà, ad opera di Guglielmo di Mocr- beke, alcuni commenti di Temistio, Simplicio, Filopono). Le traduzioni dei comrnentatori arabi anteriori ad Averroè avviavano un a. in cui in- fluivano elementi eterogenei, soprattutto plato- nici. In questo senso grande importanza ebbero le opere di Avicenna e il 4iber de causis che, tradot- to nella seconda metà del i2,1 sec., attribuito ad Aristotele - sarà Tommaso d'Aquino a indicare invece la sua derivazione da Proclo - e conside- rato il coronamento della sua Metafisica, impo- neva a questa una prospettiva schiettamente pla- tonica. La fortuna degli scritti aristotelici ' fu larghissima e subito entrarono negli ambienti uni- versitari, agl'inizi del 130 sec.. ne sono testimo- nianza le condanne parigine del i 2 i o e del i 2 i 5 che proibivano la lettura delle opere aristoteli- che di filosofia naturale e di metafisica e i corn- menti relativi. Era questo un segno della reazio- ne degli ambienti teologici che - ispirati alla tra- dizione agestiniana - vedevano nella fìlosofìa di Aristotele un naturalisrno del tutto estraneo e in- conciliabile con il cristianesimo (in particolare si denunciava nel sistema aristotelico la negazione della provvidenza, l'assenza di una dottrina del- l'inunortalità dell'anirna, la negazione della crea- zione e della prospettiva escatologica per l'asse- rita eternità del mondo). Tuttavia già nella pri- ma metà del 130 sec. non solo fuori Parigi (dove le proibizioni parigine non avevano valore: Ari- stotele era letto a Oxford e Toledo) ma anche nelle opere dei maestri parigini così delle arti come di teologia si rileva una progressiva utiliz- zazione delle opere di Aristotele, che infine, nel 1255, entrano ufficialmente negli statuti della fa- coltà delle arti. Ciò comportò una lenta ma ra- dicale trasformazione di tutta la filosofia e teo- logia medievali che - incardinate fino allora sulla tradizione platonico-agostiniana - venivano a far proprie le fondamentali strutture della filosofìa aristotelica (questo è vero anche per le correnti che restano più fedeli alla tradizione e che tutta- via accolgono la generale concezione fisica del mondo e alcuni fondamentali concetti metafisica della filosofia aristotelica, spesso ancora inseriti in contesti agostiniani). Tuttavia il trionfo dell'a. non fu senza scosse e polenúche: una vivace rea- zione degli ambienti teologici è infatti documen- tata sia negli scritti teologici della seconda metà del 130 sec. (esemplari le Collationes in Hexa<@- meron e De donis Spiritus Sancti di s. Bonaven- túra), sia dalle condanne parigine del 1270 e del 1277 che colpiscono numerose tesi aristoteliche, non solo caratteristiche delle interpretazioni ara- be (soprattutto averroistiche), ma alcune proprie di Tenunaso d'Aquino, che pure aveva ritenuto di poter conciliare l'a. con gl'insegnamenti cri- stiani. D'altra parte, anche nel campo più schiet- tamente filosofico, si cominciarono presto a indi- care i punti dubbi del pensiero aristotelico e, so- prattutto con l'occamismo, sì giunse, lungo il sec. i40, a una critica acuta di fondamentali tesi aristoteliche e del concordismo di tipo tom sta. Tuttavia l'a. resta il costante punto di riferimento della speculazione filosofica della metà del 130 sec.; anche le caratterizzazioni delle varie scuole finirono per essere piuttosto relative a particolari interpretazioni del pensiero,di Aristotele, senza rifiutare, anzi accettando, la sua generale conce- zione fisica e metafisica. Inoltre, legato com'era all'insegnamento universitario (che nelle facoltà delle arti è sempre lectio del testo aristotelico), l'a. si prolunga lungo tutto il Rinascimento fino all' 'inoltrato Seicento: è un a. che per buona parte ripete le varie prospettive dell'a. medievali (aver- roisrno, tomismo, scdtismo, occamismo), cui si affiancano nuove interpretazioni dei pensiero del- lo Stagirita, come l'alessandrista, legata alla ri- scoperta dei 1 libro del trattatello De anima di Alessandro di Afrodisia (che ebbe il suo maggio- re rappresentante in Pomponazzi), e la simplicia- na, legata alla riscoperta del commento di Sim- plicio e al tentativo di risolvere certi prob!emi di esegesi aristotelica attraverso i motivi plato- neggianti. Ma intanto la cultura rinascimentale andava verso nuovi problemi e interessi, soprat- tutto fuori degli ambienti universitari; la tema- tica filosofica si allargava per la conoscenza di altri maestri del pensiero antico e per il dischiu- dersi di nuovi orizzonti. Lo stesso a. si veniva ad inserire in una nuova dimensione storica che gli toglieva il carattere di filosofia unica e vera. Contemporaneamente la fìlologia umanistica ave- va allargato notevolmente il dibattito sull'a. con un diretto ricorso agli originali greci o a commenti prima sconosciuti, e spostando anche l'interesse dagli scritti aristotelici di fisica e di metafisica a quelli di etica, politica e retorica. E= Lungo il ,Soo e il'6oo, estenuato da dispute che interessava- no ormai solo i più arretrati ambienti accademici" colpito dalle critiche che venivano soprattutto mosse alla fisica peripatetica in base a nuove espe- rienze e scoperte, l'a. si va estinguendo, mentre nuove possibilità di filosofare si maturano nella coscienza europea. Più a lungo l'a. resta negli arn- bienti teologici, che tuttavia, malgrado le ancor frequenti condanne di posizioni antiaristoteliche, restano sempre più estranei alla viva cultura e non riescono a salvare l'a. dal suo definitivo tra- monto. = Ritornò, più che altro come tornismo rinnovato, nelle scuole della Chiesa cattolica, ver- so la seconda metà del sec. 190 (V. NEOSCOLA- STICA).

 

 

 

 

 

 

 

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