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Aristotele
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Se è erronea prospettiva storica considerare la fìlosofìa di T. come una semplice ripresa della filosofìa aristotelica nell'ambito di una concezione cristiana del mondo (influiscono e convergono nella sua posizione l'aristotelismo arabo e certe tesi del neopiatonismo filtrate attraverso Agostino, Boezio, Dionigi, il Liber de causis e Avicenna) è tuttavia evidente che l'aristotelismo, con la sua teoria della scienza, con la fisica e la metafìsica offre le essenziali strutture al pensiero dell'Aqui- nate. Da questo punto di vista è fondamentale l'accoglimento della metafisica di Aristotele con la sua concezione dell'essere, la dottrina della causalità, la distinzione tra potenza e atto, so- stanza e accidente. La composizione di atto e potenza è propria di tutti gli esseri fìniti, anche delle nature puramente spirituali. La potenza, ossia l'essere della possibilità, non rappresenta una mera possibilità logica nel senso di una man- canza di contraddizione intrinseca, bensì alcun- ché di reale nel senso d'un essere incompleto, che può diventare un determinato ente, pur non essendo ancora tale. Ciò che è in potenza, non si può realizzare da sé stesso ma presuppone un essere in atto dalla cui causalità esso viene attuato. Su questa dottrina di atto e di potenza si basa anche la concezione di T. della reale distinzione fra essenza ed esistenza nelle cose create e fìnite. Questa distinzione, già chiara nei primi scritti dell'Aquinate, è sviluppata attra- verso la ripresa di un tema proprio della meta- fisica di Avicenna, inserito su una concezione del concreto che prende le mosse da un ripensa- mento originale di Boezio; le creature sono esseri per partecipazione la cui essenza non coincide con l'esistenza (l'essenza partecipa all'essere per esistere) e questa struttura composita del con- creto ne segna la caratteristica, distinguendo ra- dicalmente le creature dal creatore, perfezione pura in cui essenza ed esistenza coincidano. A questa dottrina si ricollega quella dell'analogia dell'essere: l'essere non è un concetto di specie, univoco, bensì analogo e si estende dai limiti del più tenue esistere partecipato fino a Dio, essere assoluto. La metafisica aristotelica viene così approfondita e per più punti coerentemente sviluppata: di particolare importanza da questo punto di vista è la teoria dell'unità della forma sostanziale con cui, elirninando ogni tipo di dua- lismo platonica-agostiniano, T. giunge fino al- l'affermazione che anche nell'uorno unico è il prin- cipio formale per cui egli vive, sente e intende, e questo principio (l'anima) si unisce inimedia- tamente al corpo come sua forma, senza intertne- diari. P, lo sviluppo coerente del concetto di sinelo e la più rigorosa difesa dell'unità sostanziale del- l'uorno; attorno a questa dottrina dell'unità della forma sostanziale - combattuta dai francescani - si accesero vaste polemiche: ed essa fu condannata (con altre tesi in prevalenza averroistiche) dal vescovo di Parigi Ftienne Tempier (1277), dagli arcivescovi di Oxford Roberto di Kilwardby (1277) e J. Pecham (iz84). =1 La metafisica si corona nella dottrina di Dio. L'esistenza di Dio non è dimostrabile con l'insegnamento a priori (di s. Anselmo; detto poi ontologico) perché tale argomento comporterebbe per T. un illecito passaggio dall'ordine del pensiero all'ordine del- l'essere. L'esistenza di Dio si dimostra, per T., a posteriori, attraverso cinque vie: la prima via procede dalla considerazione che ogni mosso richiede un motore, e che nella catena dei mossi si deve giungere a un primo motore immobile perché non si può andare all'infinito (la prova pre- suppone che il mondo sia fìnito per cui, come per Aristotele, non si può andare oltre la sfera delle stelle fisse); la seconda via procede dalla connes- sione delle cause efficienti disposte verticalmente; anche qui si deve arrivare a una prima causa per- ché è impossibile un processo all'infìnito (per il medesimo motivo della via precedente); la ter--a via è dalla distinzione del possibile e' del necessario: ciò che è possibile - cioè che può es- sere e non essere, che è contingente - presuppone un necessario, e così via via un -necessario assoluto, libero da potenza e che ha in sé la ragione della sua necessità, puro atto; la quarta via è dalla gra- dualità delle perfezioni (bene, buono ecc.): que- sta gradualità presuppo- ne un valore assoluto di cui i vari gradi par- tecipano; la quinta via è dall'ordine e finalità del- l'universo che rinvia a un principio di questo ordi- ne e di questa fìnalità. Dio è creatore in quanto trae dal nulla tutti gli esseri, formandoli secon- do le idee che sono in lui (esemplarismo platoni- co-agostiniano da tempo definitivamente acquisi- to nella teologia cristia- na); ma gli esseri crea- ti, sospesi all'atto della libera volontà creatrice (creazione continua), co- stituiscono un ordine naturale retto dalle leggi della causalità. T. re- spinge decisamente la dottrina di coloro che negano azioni proprie agli esseri naturali to- gliendo ogni autonomia alle cause seconde (la po- lemica'è condotta in par- ticolare contro i "Ioquen- tes in lege Mauroruin ", cioè i teologi musulma- ni; ma anche contro Avi- cebron e Avicenna); e l'accettazione della dot- trina aristotelica lo sor- regge nella difesa di un ordine naturale che non può essere semplice epi- fania del divino: anzi proprio nell'esser dotato

proprio nell'esser dote di una reale capacità causativa esso manifesta potenza e la carità di Dio che quella capacità

concesso agli esseri creati. Tale difesa del conci to di natura, della sua attività e iniziativa, è grande importanza anche in tutti i problemi in < si discute del rapporto tra ordine naturale e ordi soprannaturale, come nel problema della libe@ e della grazia. Con T., ún'idea di natura schieti mente ariatotelica si sostituisce all'idea di nal ra platonico-agostiniana tutta permeata di D =i Gli enti creati o sono composti di mate e forma, o sono forme pure (puri spiriti): i primi il principio d'individuazione è la mate (materia quantitate signata); gli esseri spiritu invece costituiscono ciascuno una specie (arie la dottrina tomista dell'individualismo, coi battuta dai francescani, è condannata da litien Tempier nel 1277). CM Coerente con la fìsiu la metafisica è la psicologia; abbiamo accenn@ alla tesi dell'unità della forma sostanziale; dc biamo qui ricordare la polemica sull'unità d l'intelletto sostenuta contro gli averroisti. processo della conoscenza in T., come in Aris tele, rientra sotto le generali leggi dei movimen ed è quindi inteso come passaggio dalla poter all'atto-, così nella sensazione l'organo di sei (in potenza a sentire) è attuato dal sensibile est no; le sensazioni unificate dal senso interno p sano nella fantasia e formano l'immagine s< sibile dell'oggetto: questo contiene, in potei (perché limitato dalle caratteristiche particol della sensibilità), l'intelligibile, che, srnaterializ: to e universalizzato cioè " astratto * dalle condiz ni individuanti per opera dell'intelletto ager diviene intelligibile in atto e come tale capace attuare l'intelletto in potenza (l'intelletto coi direttamente solo gli universali). Ma è appui attorno all'intelletto in potenza che si apre polemica con gli averroisti: questi accettava l'interpretazione del commentatore di Cord< per cui l'intelletto possibile è una sostanza parata unica per tutta la specie umana. Con questa interpretazione T. - che la denuncia co falsa e che per primo utilizza nell'interpretazic di Aristotele il conunento di Temistio - pole- mizza nel corso di varie opere e scritti, e infìne nel De unitate i-ntellectu& centra averroistas indi- rizzato, sembra certo, contro Sigieri di Braban- te.- la tesi centrale dell'Aquinate - che vuole sal- vare l'individualità dell'atto dell'intendere - è che se l'intelletto fosse uno non si potrebbe spie- gare come " questo uomo " (hie homo) intenda, e tutti verrebbero a coincidere nell'identico atto dell'intendere; anzi - se l'unità e universalità dell'aggetto inteso richiedesse, come diceva Averroè, l'unità dell'intelletto - unico dovrebbe essere l'intelletto per tutti gli esseri intelligenti in tutto l'universo. A garantire l'individualità del conoscere interviene poi (oltre la teoria della sensazione) la dottrina tomista dell'intelletto agente inteso come facoltà dell'anima che è forma del corpo (non quindi unico, come, sia pure secondo diverse prospettive, si sosteneva dagli avicennisti-agostiniani): all'intelletto agente spetta la funzione di srnaterializzare la specie intelligibile presente nell'irnmagine della fan- tasia perché, resa intelligibile in atto, si imprima nell'intelletto in potenza. Ed è l'intelletto agen- te - luce divina impressa nell'anima, secondo una similitudine cara alla tradizione agostiniana - che contiene i principi primi del conoscere, evi- denti per sé stessi. Ci Dalla metafisica discende anche l'etica tomista.- Dio, fine ultimo dell'uoma, è il termine della beatitudine che si risolve nella visione di Dio concessa ai beati. Dio come bonum universale muove la volontà necessariamente, ma nella vita terrena non si è innanzi a questo bene assoluto, bensì a una molteplicità di beni, e la libertà dei volere si fonda sulla possibilità di scelta tra questi beni relativi, ed è strettamente con- nessa alla loro affermazione intellettuale: v'è una valutazione oggettiva dei beni che diviene misura della bontà degli atti morali. Ma la mo- ralità presuppone anche la presenza nel soggetto di * abiti * delle virtù naturali e soprannaturali, e, fuori di lui, di una legge divina. Un'impronta di questa legge è però anche nell'uomo (morale na- turale) che conosce, se ha l'uso di ragione, i prin- cipi fondamentali della legge morale: l'abito della ragione che permette la scoperta dei prin- cipi dell'agire morale è chiamato synteresis. L'e- tica naturale si corona poi nell'etica cristiana ispirata al principio dell'amore di Dio. cD La politica di T. - elaborata movendo dalla Politica di Aristotele che egli è il primo a conunentare - si fonda nella naturale socievolezza della natura umana, che conduce gli uomini a costituire gli stati; il potere politico ha la competenza nell'or- dine temporale e come tale è distinto dal potere della Chiesa, di ordine spirituale; ma poiché anche le cose temporali interessano al fine ultimo dell'uorno e dello stato, che è la vita eterna, lo stato è in questo subordinato alla Chiesa. cm La ripresa dell'aristotelismo da parte di T. non si li- mita nell'ambito della filosofia naturale e della metafisica: molto di più, essa ispira anche il metodo teologico dell'Aquinate e la sua opera rappresenta una tappa fondamentale nella teo- rizzazione della teologia come scienza. Prose- guendo lo sviluppo che la speculazione teologica aveva avuto nel sec. ipo (quando vicino alla sem- plice lectio divina e alla meditazione sulla sacra pagina si era iniziata una teologia sistematica), T. utilizza in teologia la teoria aristotelica della scienza e della dimostrazione scientifìca. La spe- culazione teologica ha per oggetto i dati della Rivelazione (accettata per fede); da questi dati, il discorso teologico muove secondo il metodo della dimostrazione aristotelica per dedurre dalle premesse rivelate altre verità che traggono la loro certezza dai principi donde muovono e dal ri- gore del ragionamento apodittico. La teologia è scienza: in questo il distacco dalla tradizione agostiniana è notevolissimo, ed è di fondamentale importanza per il successivo sviluppo teologico. Con la teologia di T.- assunta poi nelle scuole cattoliche - una particolare filosofia (con i suoi fondamentali concetti: sostanza, accidente, atto, potenza; e i suoi metodi) è inserita all'intemo della teologia cattolica: di qui i complessi pro- blemi per la storia del dogma e per il valore di formulazioni dogmatiche espresse in ternúni di filosofìa aristotelica. Ma resta comunque mirabde la sistematicità del pensiero teologico di T., la volontà di distinguere ragione filosofica e fede (quindi anche natura e sopranatura), come pure la massima utilizzazione della filosofìa e delle sue tecniche nell'elaborazione delle formule dogmatiche e nella dimostrazione dei pracam- bula fidei che rientrano completamente nel donù- nio della ragione.

 

 

 

 

il sistema filosofi- co íi Tommaso d'Aquino si può definire una riforma e un rinnovamento dell'aristotelismo, per adeguarlo al nuovo contesto culturale nel quale egli opera e per accordarlo con la vi- sione cristiana della realtà, specialmente con l'idea di creazione. Questa trasformazione dell'aristotelismo dall'interno è già esplicita nell'opera giovanile De ente et essentia, dove il rapporto potenza-atto diventa onnicompren- sivo; cioè, mentre Per Aristotele esso si iden- tificava esclusivamente con il rapporto ma- teria-forma, per Tommaso esso si applica an- che al rapporto essenza-esistenza: è questo il punto fondamentale per il quale il tomlsmo si rende autonomo rispetto al pensiero aristo- telico, introducendo l'idea della contingenza, e quindi della creazione, in ogni essere finito. Tommaso ammette infatti negli esseri finiti la distinzione reale tra l'essenza e l'esistenza: in ogni ente diverso da Dio l'essenza (detta anche quidditas o natura) comprende tutto ciò che è espresso nella sua definizione, e quindi nelle sostanze composte (per es., l'uo- mo) essa comprende sia la forma sia la ma- teria; dall'essenza così intesa si distingue l'essere, ovvero esistenza, della cosa stessa. L'essenza non è causa dell'esistenza, ma sta in rapporto all'esistenza come la potenza sta all'atto, ossia essa è pura potenzialità rispet- to ali' esistenza; pertanto occorre che questa sia data da altri, cioè da Dio, che è l'unico essere in cui essenza ed esistenza coincidono, perché in Dio non esiste potenzialità. In tal modo l'esigenza della creazione viene porta- ta da Tonimaso nella stessa costituzione del- le cose finite, che senza l'atto creativo di Dio rimarrebbero pure possibilità. Questo non significa ammettere un inizio nel tempo della creazione: di ciò Tomrnaso afferma che non esistono prove sufficienti né a favore né con- tro e quindi solo per fede si crede a una creazione che ha inizio nel tempo.

Dalla stessa dottrina deriva un'altra delle po- sizioni-cardine di Tomínaso, il principio del- l'analogia dell'essere, in base al quale l'essere di Dio e l'essere delle creature non sono ra- dicalmente diversi (altrimenti non si potreb- be Passare dalla conoscenza delle creature a quella di Dio), ma neppure identici: infatti l'essere di Dio è infìnito e necessario (in quanto in lui essenza ed esistenza coinci- dono), mentre l'essere delle creature è finito e contingente. Si tratta invece di un rapporto di analogia, che si configura come una diver- sa proporzionalità rispetto all'essere. Ne con- segue Pertanto che non esiste, come per Aristotele, un'unica scienza dell'essere ma occorre distinguere tra la metafìsica, Uh@ è la scienza delle sostanze create e si avvale di principi evidenti alla ragione umana, e la teologia, che concerne l'essere necessario e si fonda sulla rivelazione divina. La fede quindi supera la ragione, ma _senza annul- larla e senza contraddire a essa: le verità di fede sono soprarazionali, non irrazionali (contro la teoria della " doppia verità " che, pur non essendo stata mai apertamente for- mulata dagli averroisti latini, sembrava es- sere la logica conseguenza della loro netta separazione e contrapposizione tra ragione e fede). Secondo Tommaso, la ragione è in grado di dimostrare i preamboli della fede, tra cui in primo luogo l'esistenza di Dio. Egli per dimostrare che Dio esiste presenta cin- que vie, le quali sono tutte a posteriori. La prima prova si richiama a quella aristotelica del motore immobile (ex motu); la seconda i conduce a Dio attraverso la connessione del- le cause efficienti (ex causa efficiente); la terza è basata sulla distinzione del possibile dal necessario (ex possibili); la quarta con- clude dalla gradualità delle perfezioni (ex gradibus) all'esistenza di un essere che possie- de queste perfezioni in un grado supremo; la quinta si fonda sul riconoscimento dell'or- dine del cosmo, che non può non essere go- vemato da un essere intelligente, che ordina a un fine tutte le cose (ex gubernatione rerum). La teoria dell'atto e della potenza spiega il divenire del mondo corporeo. Ogni essere corporeo è costituito di materia e forma, ma la materia non può esistere senza una qual- che forma: essa non è che pura potenza, ossia la possibilità di essere qualunque cosa. Ma la materia, pur priva di ogni attualità e di ogni realtà, costituisce per Tommaso il prin- cipio di individuazione, cioè è la causa del moltiplicarsi dell'essenza specifica nei sin- goli enti corporei. Di qui deriva l'affermazio- ne che l'uomo non conosce, se non indiretta- inente, l'individualità, in quanto il processo conoscitivo dell'uorno è un processo di astra, zione dalla materia, per cui degli oggetti del- la percezione si colgono soltanto i caratteri universali. D'altra parte, l'intelletto umano non può avere neppure una conoscenza di- retta delle sostanze semplici e spirituali (Dio e gli angeli), perché ogni conoscenza proce- de dal senso. Perciò l'oggetto proprio del- l'intelletto è solo l'essenza delle cose mate- riali (quidditas rei sensibilis).

Come è radicalmente innovatore nella teoria della materia, Tommaso lo è pure in quella della forma; contro tutta la tradizione del pensiero rnedievale, egli'sostiene la dottrina

dell'unità della forma sostanziale, secondo cui in ogni ente composto un solo principio formale attua la potenzialità della materia, donde deriva l'affermazione che nell'uomo l'anima è l'unica forma del corpo e costi- t,uisce con esso un'unica realtà. Tomrnaso ritiene infine di poter dimostrare l'irnmorta- lità dell'anima, argomentando principalmente dalla natura irnmateriale delle sue attività intellettuali.

Anche nelle dottrine etiche e in quelle poli- tiche Tornmaso distingue nettamente l'am- bito della ragione e l'ambito della fede: al- l'aspirazione naturale dell'uomo alla felicità, si sovrappone, senza annullarla, la beatitu- dine concessa dalla grazia divina e viene ammesso un diritto naturale fondato sulla ragione, che ha una sua autononiia rispetto al magistero della Chiesa.

 

 

 

 

il sistema filosofi- co íi Tommaso d'Aquino si può definire una riforma e un rinnovamento dell'aristotelismo, per adeguarlo al nuovo contesto culturale nel quale egli opera e per accordarlo con la vi- sione cristiana della realtà, specialmente con l'idea di creazione. Questa trasformazione dell'aristotelismo dall'interno è già esplicita nell'opera giovanile De ente et essentia, dove il rapporto potenza-atto diventa onnicompren- sivo; cioè, mentre Per Aristotele esso si iden- tificava esclusivamente con il rapporto ma- teria-forma, per Tommaso esso si applica an- che al rapporto essenza-esistenza: è questo il punto fondamentale per il quale il tomlsmo si rende autonomo rispetto al pensiero aristo- telico, introducendo l'idea della contingenza, e quindi della creazione, in ogni essere finito. Tommaso ammette infatti negli esseri finiti la distinzione reale tra l'essenza e l'esistenza: in ogni ente diverso da Dio l'essenza (detta anche quidditas o natura) comprende tutto ciò che è espresso nella sua definizione, e quindi nelle sostanze composte (per es., l'uo- mo) essa comprende sia la forma sia la ma- teria; dall'essenza così intesa si distingue l'essere, ovvero esistenza, della cosa stessa. L'essenza non è causa dell'esistenza, ma sta in rapporto all'esistenza come la potenza sta all'atto, ossia essa è pura potenzialità rispet- to ali' esistenza; pertanto occorre che questa sia data da altri, cioè da Dio, che è l'unico essere in cui essenza ed esistenza coincidono, perché in Dio non esiste potenzialità. In tal modo l'esigenza della creazione viene porta- ta da Tonimaso nella stessa costituzione del- le cose finite, che senza l'atto creativo di Dio rimarrebbero pure possibilità. Questo non significa ammettere un inizio nel tempo della creazione: di ciò Tomrnaso afferma che non esistono prove sufficienti né a favore né con- tro e quindi solo per fede si crede a una creazione che ha inizio nel tempo.

Dalla stessa dottrina deriva un'altra delle po- sizioni-cardine di Tomínaso, il principio del- l'analogia dell'essere, in base al quale l'essere di Dio e l'essere delle creature non sono ra- dicalmente diversi (altrimenti non si potreb- be Passare dalla conoscenza delle creature a quella di Dio), ma neppure identici: infatti l'essere di Dio è infìnito e necessario (in quanto in lui essenza ed esistenza coinci- dono), mentre l'essere delle creature è finito e contingente. Si tratta invece di un rapporto di analogia, che si configura come una diver- sa proporzionalità rispetto all'essere. Ne con- segue Pertanto che non esiste, come per Aristotele, un'unica scienza dell'essere ma occorre distinguere tra la metafìsica, Uh@ è la scienza delle sostanze create e si avvale di principi evidenti alla ragione umana, e la teologia, che concerne l'essere necessario e si fonda sulla rivelazione divina. La fede quindi supera la ragione, ma _senza annul- larla e senza contraddire a essa: le verità di fede sono soprarazionali, non irrazionali (contro la teoria della " doppia verità " che, pur non essendo stata mai apertamente for- mulata dagli averroisti latini, sembrava es- sere la logica conseguenza della loro netta separazione e contrapposizione tra ragione e fede). Secondo Tommaso, la ragione è in grado di dimostrare i preamboli della fede, tra cui in primo luogo l'esistenza di Dio. Egli per dimostrare che Dio esiste presenta cin- que vie, le quali sono tutte a posteriori. La prima prova si richiama a quella aristotelica del motore immobile (ex motu); la seconda i conduce a Dio attraverso la connessione del- le cause efficienti (ex causa efficiente); la terza è basata sulla distinzione del possibile dal necessario (ex possibili); la quarta con- clude dalla gradualità delle perfezioni (ex gradibus) all'esistenza di un essere che possie- de queste perfezioni in un grado supremo; la quinta si fonda sul riconoscimento dell'or- dine del cosmo, che non può non essere go- vemato da un essere intelligente, che ordina a un fine tutte le cose (ex gubernatione rerum). La teoria dell'atto e della potenza spiega il divenire del mondo corporeo. Ogni essere corporeo è costituito di materia e forma, ma la materia non può esistere senza una qual- che forma: essa non è che pura potenza, ossia la possibilità di essere qualunque cosa. Ma la materia, pur priva di ogni attualità e di ogni realtà, costituisce per Tommaso il prin- cipio di individuazione, cioè è la causa del moltiplicarsi dell'essenza specifica nei sin- goli enti corporei. Di qui deriva l'affermazio- ne che l'uomo non conosce, se non indiretta- inente, l'individualità, in quanto il processo conoscitivo dell'uorno è un processo di astra, zione dalla materia, per cui degli oggetti del- la percezione si colgono soltanto i caratteri universali. D'altra parte, l'intelletto umano non può avere neppure una conoscenza di- retta delle sostanze semplici e spirituali (Dio e gli angeli), perché ogni conoscenza proce- de dal senso. Perciò l'oggetto proprio del- l'intelletto è solo l'essenza delle cose mate- riali (quidditas rei sensibilis).

 

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