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La tradizione degli studi etruschi sembra aver privilegiato I'analisi delle città dei morti rispetto a quelle dei vivi, approfondendo I'aspetto di questa civiltà comunemente inteso come il piu affascinante. In realtà, analizzando la storia dell'E~ruscologia, risultano numerosi gli studi sull'urbanistica e sull'architettura pubblica, religiosa e privata, senza tuttavia che si sia pervenuti finora a risultati esaurienti e chiarificatori. I1 fatto può essere spiegato tenendo presente che le particolari forme della religiosità etrusca portavano a privilegiare il monumento funerario: in realtà, in una società aristocratica la tomba diventava caratte-

ristica delle famiglie gentilizie, che in essa celebravano pubblicamente la pro-

pna stlrpe.

Per quanto riguarda I'urbanistica possiamo comunque notare che alcune città etmsche presentavano imponenti Ilnte difensi~e, i cui resti si vedono ancor oggi a Rosselle, Tarquinia, Volsinii, Vetulonia, Volterra, Chiusi, Cortona, Pen~gia, Fiesole, Arezzo. Per realizzare queste cinte (darabili tra il VI e il IV secolo a.C.) si costmirono muri possenti fatti di blocchi di pietra, prima disposti secondo I'ordine poligonale (parete composta da pietre parzialmente squadrate e giuntate a secco), poi elevati in opera quadrata (massi squadrati disposti a filari sovrapposti). A Rosselle si nota I'impiego di mattoni crudi (cotti al sole). E interessan~e inoltre notare che per le mu rAmP InrliP nPT ]P ?I~iP rACrnlii~ni

vengono usate pietre locali, ma m~iil marmo; le Yicine cauecai(l~rara inominciarono infatti a essere sfn~ttatrsalo nel periodo romana. Nelle cinte si aprivano porte che, nel caso di Volterra (fig 31) e Perugia, mostrano ancor oggi aperture ad arco. Si tratta di una stmttura architettonica di origine orientale, che gli Etruschi realizzavano con pietre, opportunamente tagliate a cuneo, che si reggevano per contrasto; la pietra centrale che teneva unite e a contatto tutte le altre era detta chiave.

L'arco etrusco si presenta come una

netta deviazione rispetto all'architettura 'greca, da sempre impostata sull'incrocio di colonna e trabeazione. Esso, inoltre, sta alla base degli sviluppi della grande architettura romana che, negli anni successivi, proprio partendo dall'arco, rivoIiiiinnn I'arrhirprriir~ rlP1 mnnrln Rnrirn

L'esempio finora piu chiaro di cui disponiamo per lo studio dell'urbanistica etmsca è rappresentato da Marzabotto, che è spesso stata considerata testimonianza valida per tut~e le altre città delle quali non abbiamo altrettanto sicure notizie. Posta sul fiume Reno, in prossimità di un guado, sulla strada che dal centro dell'Etruria conduceva all'antica Felsina (Bologna), Marzabotto venne rifondata su un piu antico centro all'inizio del V secolo a.C.; la città fu abbandonata alla fine del IV secolo a.C., pochi anni dopo essere caduta nelle mani dei Galli. Marzabotto presentava solo un aggere (bastione in terra), nel quale sono state ritrovate due porte. Al suo interno, la città mostrava una rigorosa partizione: una strada principale, che correva da nord a sud, era intersecata ortogonalmente da tre strade che creavano otto regioni, a

loro volta suddivise da vie in direzione nord-sud in isolati che venivano così ad assumere una forma rettangolare allungata (fig. 32). Le strade principali erano larghe ben 15 m (5 m di carreggiata e 5 m per i due marciapiedi laterali), mentre Le vie secondarie 5 m. Non è stato rinvenuto un vero centro, una piazza, ma i monumenti religiosi (templi e altari) erano posti su un'acropoli situata a nord-est ed erano orientati secondo la direzione nord-sud con le fronti verso meridione. È evidente che questo schema richiama molto da vicino quello greco, di origine ippodamea, dominaro dalla partizione che determinava isolati di forma rettangolare. Del resto le città greche fondate in Italia presentavano schemi ippodamei, indicando la diffusione di questo tipo di organizzazione urbanistica. D'altra parte non si può non rilevare

la funzione assiale dell'arteria nord-sud che poi, nel mondo romano, si incrocera con la perpendicolare centrale formando il sistema urbanistico fondamentale latino, basato appunto sull'incrocic di cardo e decumano.

Scarsi sono i resti di case ecrusche: notizie indirette sono fornite dalle tombe che, come si vedrà, riprendevano la struttura della casa. A San Giovenale, vicino a Cerveteri (Caere), sono state ritrovate antiche case appartenenti al VII sfcolo a.C.; in cluesta fase scomparvero le capanne ancora in uso nel Villanoviano e furono realizzate nuove abitazioni in mattoni crudi e sostegni lignei che si ergevano su una base in opera quadrata; il tetto venne solo in un secondo tempo ricoperto da tegole di argilla. Queste prime abitazioni erano costituite da forme e piante molto semplici, nelle quali lo

spazio interno era sempre strettamente connesso con un cortile.

Agli ultimi anni del VII secolo a.C., vanno datati i resti trovati ad Acquarossa, presso Viterbo. Vediamo definirsi, in queste testimonianze archeologiche, un tipo di casa che era organizzata sulla successione di tre vani, posti uno accanto all'altro, di cui quello centrale poteva fungere da vestibolo (fig. 33). Esisteva, tuttavia, un tipo di dimora nella quale le tre stanze affiancate erano precedute da un corridoio posto nel senso della larghezza: in tal caso esso fungeva da vestibolo e rendeva la pianta della casa assimilabile a un quadrato. La descrizione del tempio etrusco mostrerà la connessione dell'edificio sacro con questo tipo di residenza. Da questa antica struttura abitativa si sviluppò una casa che risultò, come specificano gli stessi autori latini

(Varrone, Vitruvio), la base della dimora pompeiana. A Murlo (Siena), dove è stata rltrovata una sterminata quantità di terracotte architettoniche (fig. 34 a e b), si sono rinvenuti i resti di un edificio che è stato interpre~ato come residenza signorile, palazzo di carattere anche pubblico, con un piccolo tempio al suo interno. La costn~zione, databile intorno al 580 a.C., al di là dei problemi di interpretazione ancora aperti, si organizzava comunque attorno a un cortile, in parte colonnato (fig. 35). A Marzabotto, case della prima metà del V secolo a.C. mostrano una forma che era la diretta ascendente della domus pompeiana. Alcuni esempi (fig. 36 a e b) presentano un impianto con uno stretto corridoio che dava su un cortile compluviato (con soffitto aperto e tetto inclinato in modo da permettere lo scorrimento e il

convogliamento dell'acqua piovana) che sul fondo presentava un vano aperto sul cortile e ambienti laterali: immediato è il richiamo all'atvium con il tablinum e le alae della casa romana.

Importante fu la determinazione delI'acropoli, stabilita come luogo sacro, spazio pubblico comune a tutta la cittadinanza. Qui è probabile che si osservasse il volo degli uccelli la cui interpretazione veniva tradotta in auspici. Sull'acropoli, a partire dal VI secolo a.C., incominciarono a comparire i primi templi.

A Veio, nella località di Portonaccio, gli scavi hanno messo in luce un notevole monumento sacro che raccoglie in sé tutti i caratteri del tempio etrusco completo. Su un'ampia terrazza sorgeva il santuario, dedicato a Menerva e forse anche ad Apollo e a Eracle (a divinità di origine etmsca che si erano contaminatee mescolate a contatto con I'Olimp greco). II tempio (databile al 500 a.C aveva forma quadrata, con lato da 18,5 rr misura ricavabile dalle fondazioni i: blocchi di pietra squadrati. La pianta d~ tempio mostra i caratteri tipici del mo numento sacro etmsco, così come lo de scrive Vitruvio. Netta era la divisione il due parti orizzontali: la parte antistant (pavs antica), che faceva da pronaos col colonne (qui forse due), precedeva 1 pavs postica divisa in tre sezioni, forse tr celle o un naos con due vani lateral aperti, chiamati da Vitruvio alae. Quest; stessa forma è visibile, per esempio, ne tempio del Belvedere a Orvieto (IV-II secolo a.C., fig. 37). Tale schema mo stra evidente la derivazione del templc etrusco dalla forma dell'antica cas; a tre stanze. L'alzaro di questi edifici che spesso erano costruiti in material

facilmente deperibili (terracotta, mattoni crudi, legno, pietrame), è ricostruibile solo attraverso i dati di scavo, le fonti storiche e i confronti con i modelli votivi. A Portonaccio, i muri e le colonne erano realizzati in tufo; le colonne pre sentavano I'ordine tuscanico, così come lo definisce Vitruvio, con capitello simile a quello dorico, fusto liscio e basamento. Tutte le parti del tempio erano ricoperte di terracotta, come divenne tipico dell'architettura templare etrusca, con profonda diversificazione dagli edifici religiosi greci; lastre variamente decorate (antepagmentu) ricoprivano la trabeazione e i lati del frontone (fig. 38); cornici terminali (sima) lavorate a traforo completavano i timpani; antefisse (fig. 39), decorazioni che erano poste ai limiti dello spiovente del tetto, nascondevano i v~ni ~pllp tP<Tnl~ T~li

acroteri, statue a tutto tondo di coronamento, erano generalmente posti ai vertici del frontone e al culmine del tetto. La costn~zione si presentava quindi come totalmente originale rispetto a ogni precedente architettura religiosa e soprattutto diversa da quella greca.

A Portonaccio, particolarmente interessanti sono le statue acroteriali che completavano il tetto, realizzate in terracotta a misura piu grande del vero e originariamente collocate lungo il columen (trave principale del tetto, fig. 40). L'uso di porre statue di divinità sopra al tempio equivaleva a indicare un temenos celeste, a precisare lo spazio degli dei. La presenza delle divinità, determinata dai loro simulacri, assicurava protezlone al luogo sacro sottostante. A Portonaccio, quattro grandi statue ornavano il tetro: Apollo (fig. 41), Euacle con la

cewu (fig. 42), Hevmes (fig. 43), Latonl con Apollo bambino che uccide il serpen te Pitone (fig. 44). Sembra che le imma gini dovessero essere osservate di profilc e ciò spiega i loro atteggiamenti. Esisteva inoltre una ben determinata sintass del racconto che legava le figure tra loro che faceva loro assumere atteggiament facilmente comprensibili considerandc le esigenze della narrazione, non sem plicisticamente spicgabili come devia zioni o incomprensioni dei modelli greci. Si tratta dunque di opere create da ur maestro che raggiunse alti livelli di qua lità artistica e tecnica, attivo a Veio, cen tro famoso per la produzione plastic~ della terracotta. Questo coroplasta indi ca chiaramente i legami che sempre in tercorsero tra arte etn~sca e greca, ir particolare ionica. I1 nusso e lo scambic continuo con i centri eolici, ionici, dell~

isole e della costa dell'Asia Minore d~ terminò opere come 1'Apollo di Veio: u houvus greco, dalle forme delicate e sf~ mate della statuaria ionica, che tuttavi si ~rasforma in un dio impegnato in u racconto finalizzato a precisi e loca scopi religiosi. Nel coroplasta di Portc naccio è forse riconoscibile VULCA, aTt sta veiente famosissimo, I'unico del qu~ le sia rimasto il nome, ricordato da P1 nio (Nut. Hist., XXXV, 157) come I'esi cutore delle decorazioni in terracotta dc tempo di Giove Capitolino di Rom; opera completata, secondo la tradizic ne, nel primo anno della Repubblic (509 a.C.).

Molti altri resti di edifici templari p~ lesano sensibili differenze e deviazioI dal modello ora presentato. Ad esempi a Pyrgi, il tempio 8 (circa 510 a.C.), pri sentava una peristasi completa (fig. 45

accanto ad esso, il tempio A (eretto nel 460 a.C.) mostrava, come del resto tutti i templi etn~schi, il frontone vuoto, con altorilievi che coprivano la testata del columen e i mutuli (testate delle travi, fig. 46): qui I'altorilievo riportava episodi della leggenda dei Sette contro Tebe. In seguito, dal III secolo a.C., il frontone venne chiuso con decorazioni fittili sempre ad altorilievo (fig. 47), secondo modalità che si avvicinavano a quelle delI'architettura greca. Altro carattere fondamentale del tempio era lo sviluppo del podio sul quale si ergeva il monumento. I1 podio, che incominciò a comparire nel IV-III secolo a.C., è ancor oggi visibile nel grandioso tempio dell'Ara della Regina a Tarquinia dove I'edificio sacro era sollevato da un poderoso basamento alto fino a 7,20 m (prima metà IV secolo a.C.) (fig. 48).

Solamente verso la fine del VI1 secolo e la prima meta di quello successivo appaiono i primi edifici di culto tipici della cultura etrusca, come quello scoperto a Veio nella zona della "Piazza d'Armi", sicura mente costituito da un unico ambiente, con un soffitto ligneo coperto da tegole ed altri elementi decorativi in terracotta.

Durante il primo quarto del VI secolo il primitivo nucleo dell';lfro dision di Gravisca, presso il porto di Tarquinia, presenta una piccola sala a pianta quasi quadrata con una suddivisione interna ed un in gresso. Nel corso del secolo il tempio si trasformò in un edificio ret tangolare, non rispondente ad una specifica tipologia, destinato ad ac copliere la statua di culto, e in cui le cerimonie religiose venivano ce lebrate nella zona che ospitava I'altare.

Gli scavi hanno permesso di confermare I'esattezza del modello di tempio etrusco descrittoci da Vitruvio, costruito a partire dal VI seco lo a.C. I tipi principali sono tre: a cella unica, a tre celle e ad ali latera li. II primo, derivato dagli esempi piu antichi a sala unica, presenta talvolta colonne in facciata.

Un tempio tipico del VI secolo è quello di Giove Capitolino, consi derato tra i maggiori dell'epoca ed edificato sul Campidoglio. Secondo fonti letterarie ~a costruzione, iniziata da Tarquinio Prisco e comple tata da Tarquinio il Superbo, fu inaugurata dai Drimi consoli della Re pubblica romana nel 509 a.C.

Distrutto da un incendio ne11'83 a.C., e ricostruito da Catulo a par tire dal 69 a.C., questo tempio era costituito da tre celle, ciascuna del-le quali destinata ad una divinit8 della triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva. Era costruito su un podio, e il pronao presentava sei colonne in facciata e tre in profondita che proseguivano ai lati formando una successione di sei colonne lungo i fianchi.

La datazione dell'edificio sembra confermata dal ritrovamento dei templi di Pyrgi, il porto di Caere. II piu antico di essi, il tempio B, ha s un'unica cella quasi quadrata, con quattro colonne disposte su due file sulla fronte e sei nei lati piu lunghi. I1 temaio A, noto per le sculture s conservate, aveva tre celle con quattro colonne sulla facciata. Attorno a questi templi si estendeva un'area abbastanza ampia che si apriva probabilmente verso il mare ed in cui si trovavano alcuni edifici religiosi collegati con il santuario, che costituiva il centro del culto. Sembra che nel periodo arcaico i templi etruschi sorgessero su un'area sa-

cra, urbana ed extraurbana, protetta talvolta da mura. All'esterno del santuario, e di fronte ad esso, si innalzava I'altare dove venivano sacri ficati gli animali. Le altre costruzioni erano disposte in funzione della piazza che circondava I'edificio. Generalmente la facciata e il tetto erano decorati con sculture monumentali, come il gruppo di terrecotte

532 architettoniche del Tempio di Portonaccio a Veio; tra di esse si distin guono le statue, piu grandi del naturale, conservate a Roma al Museo di Villa Giulia, rappresentanti la lotta di Herakles ed AT>ollo ed altri episodi del ciclo dell'eroe.

La decorazione architettonica del tempio etrusco comprende, in ge nere, lastre di rivestimento, con raffigurazioni animali inizialmente e piu tardi con personaggi. L'architrave presenta motivi floreali, mentre il tetto ed il suo culmine, protetto da tegole piane, L ornato con ante F~sse a forma di testa. Non sempre il frontone era decorato e I'orna mentazione plastica generale era completata da acroteri.

I santuari extraurbani sorgevano in prossimità di crocevia o di luo ghi di scambi commerciali come i porti (Pyrgi-Caere, Gravisca Tarquinia, S. Omobono-Roma) e, per tutelare le singole attivit~, ogni popolazione erigeva templi o edifici dedicati alle proprie divinità. Le offerte erano calcolate secondo una percentuale sugli scambi effettua ti; sono stati ritrovati però anche ex voto ed offerte di statue in bronzo e di ceramiche. Per garantire la loro funzione questi santuari sorgeva no in terra di nessuno.

Alla fine del V secolo, malgrado i mutamenti sociali avvenuti, il tempio conservò la pianta tradizionale, mentre la decorazione acqui stò forme piu monumentali. A questo periodo, e piu precisamente agli inizi del IV secolo a.C., appartiene il Trmpio dell'ilcropoli di Tarqui-

536 nia, conosciuto con il nome di Ara della Regina. All'interno di un complesso monumentale, si trova il tempio costituito da un edificio a cella unica divisa in tre parti: I'ingresso, la cella propriamente detta e un ambiente sul fondo; due corridoi laterali fiancheggiano la cella ed il pronao, che probabilmente presentava due o quattro colonne. Alcu ne iscrizioni ricordano I'esistenza di un collegio sacerdotale, deposita rio dei misteri del culto frno ad epoca imperiale. A questo stesso pe riodo appartiene il Tfmpio di FalPrii Veteres (Civita Castellana).

Uno dei templi etruschi, gia perb di età ellenistica, meglio conserva537 to è quello di Fiesole, del tipo a cella unica ed ali, preceduto da una 535 facciata molto semplice con due colonne in antis.

Nell'ultima fase del periodo ellenistico la decorazione ricopre com pletamente la zona del frontone; ne è un esempio caratteristico il Tempio di Tctlrtmone, i cui frammenti sono conservati al Museo Ar cheologico di Firenze. Sulla base di studi e di restauri recenti, la rico struzione proposta riunisce i resti che si riferiscono al mitico episodio della guerra dei Sette contro Tebe. Oltre a questa, si conservano poche altre testimonianze di tale tipologia decorativa: quella di VEtulonia e del Trmpio del Belvedere a Orvieto.

Con I'epoca ellenistica furono apportati nuovi cambiamenti alle strutture del tempio ed ai recinti sacri. 1 santuari extraurbani persero la loro funzione nell'ambito degli scambi commerciali; tuttavia una delle trasformazioni piu profonde fu di tipo strutturale e riguardò la colonna. Questa, con capitello dorico, echino, abaco e base, anche se

priva di scanalature, tipica degli edifici del periodo arcaico, ~ nota con il nome di colonna tuscanica, ed era ancora diffusa in età ellenistica insieme ad altri tipi.

Tra tutti si affermb la colonna con capitello a volute oblique che risalgono dalla parte bassa, e che ~ caratterizzata, come il tipo a volute unite al listello superiore del capitello, da una corona di foglie dal delicato disegno, dalle quali emergono teste umane.

 

 

la tradizione romana, testi che documentano la prassi seguita dagli

Etruschi nella fondazione delle città.

Secondo Cicerone i libri sacri degli Etruschi si dividevano in

tre parti - di cui I'ultima costituita aai · Libri rituales · -. Festo precisa: · Kituales nominatur Etruscorum lit>ri in quibus prae-

scriptum est quo ritu condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua

sanctitate muri, quo iure portae... ". Questi contenevano elencate quindi le re~ole ed i riti rélativi alla fondazione della città, al suo sistema di aifesa ed alla consacrazione degli edifici, riti giunti alla conoscenza dei romani e a noi trasmessi da vari scrittori (Catone "Origines·; Ovi-dio ·Fasti· IV, 825; Varrone "De re rustica" [I a). I trattati posteriori dei gromatici romani e soprattutto il " De limitibus costruendis " di Igino specificano i dettagli

della tecnica etrusca.

Non sta a noi ora fare un'indagine critica dei testi, studio filo-

logico che rientra nel campo della storia delle religioni: ci limiteremo a riferire, benchè sia molto nota ormai, la prassi seguita dagli Etruschi per la fondazione delle loro città, quantunque sia indubbio che la tradizione romana non sia scevra di cjualche ag-

giunta e variante.

La fondazione delle città presso eli Etruschi era preceduta,

secondo le ~orme dettate dai sacerdoti e dagli aruspici, dalla creazione del Mundus, pozzetto di forma tronco-conica (altare degli dei inferi, in contrapposizione all'ara consacrata agli Dei del cielo) nel quale si versava il sangue delle vittime o si deponevano le primizie delle stagioni. Tre volte all'anno, nei giorni consacrati agli Dei infernali,;eniva aperto, togliendo il lapis ma-

nalis che lo coprivn.

Nel giorno fissato dagli aruspici si tracciava il sulcus primi-

genius con un aratro dalla punta di bronzo trainato da una mucca e da un toro bianchi. La terra doveva riversarsi all'interno ed il

solco interrompersi in corrispondenza delle porte. Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetudine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo

alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinnto alla residenza veniva diviso (limitatio) in quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la "groma". Secondo il rito, la fondazione delle città si svoIgeva al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il "Decumanus·, era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis denrtnrrnn~lmpntp rrl nPPl~mRnllS Prl incrociantesi con

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solco interrompersi in corrispondenza delle porte. Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetu-

dine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari

nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo

alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinato alla residenza veniva diviso (limitatio) in

quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la U groma ·. Secondo il rito, la fondazione delle citd si svalgeva

al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il "Decumanus", era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis decursum". Ortogonalmente al Decumanus ed incrociantesi con

questo nel centro della città si tracciava I'altra arteria fondamentale detta "Cardo· o via cardinale. Altre strade di minore lar-

ghezza, tracciate parallelamente a queste, formavano delle insu-

lae rettangolari.

L'orientamento del sistema stradale variava da città a città

entro certi limiti in dipendenza del giorno della cerimonia di fondazione. Infatti, svolgendosi I'atto di fondazione al mattino, orientando il decumano sul punto di levata del sole ne veniva una variazione di orientamento secondo la stagione in cui la cittj era fondata. Però questa regola non si riscontra in tutte le città che gli scavi hanno messo in luce. Vuelle soprattutto situate su alture

oppure sul punto di confluenza di varie colline seguono le linee naturali del terreno.

Mentre per alcuni scrittori il solco sarebbe stato il primo atto di fondazione della città, per altri, per es. Igino, il tracciato interno avrebbe preceduto la determinazione del limite esterno della città. È probabile invece che il sulcus primigenius facesse parte del rito plu antico, quando, secondo I'uso, il limite delle città era costituito da una cinta circolare, forma piu facilmente eseguibile di qualsiasi altra e le porte dovevano essere in numero di tre (epoca compresa fra il X e 1'VIII sec. a. C.).

Quando, forse verso il sec. VII, fu introdotto il rito dell'orientazione delle strade, la cerimonia del solco rimase subordinata alla limitazione. Però, mentre il pomerium interno determinava la forma regolare della città, le mura potevano anche segmre un tracciato meno regolare. Su questo Frontino così si esprime: " Se la natura del terreno lo permette, ci si deve attenere alla regola, in caso contrario conviene seguire I'accidentalità del terreno·. Certo è che dall'analisi dei testi romani non è facile distinguere con esattezza quanto faccia veramente parte della tradizione etrusca e quanto invece sia dovuto alla rielaborazione della leggenda

o agli studi teorici dei gromatici.

Fra le cinte di mura che si conoscono la maggior parte ha tracciato vario. Forme tendenti all'ovale si riscontrano a Rossel le, Faleri-Novi. Contorni irregolarissimi presentano Volterra, Pe rugia, Veio e Tarquinia. Pochissime sono le città aventi le mura con tracciato quasi regolare (Ansedonia, Cortona, Saturnia).

Ciò che assume invece fondamentale importanza dal punto di vista urbanistico è il tracciato ortogonale-della rete stradale che, già in uso presso i popoli indigeni della nostra penisola, as sunse presso gli Etruschi con la limitatio un carattere ben chiaro e preciso, realizzato con tecnica ed arte meravigliose (Marzabotto, Norba, Veio, Fondi)

Marzabotto, La città il cui piano non è vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrazpposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusche.

Accanto ad un tipico adattamento al terreno, come nel caso di Vetulonia, le cui mura dell'arce sono incastrate nella cinta medievale e le cui vie si rivelano tort~lose, esempio questo caratteristico delle città di collina, troviamo Marzabotto: la città etrusca per antonomasia, quella il cui piano non vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrapposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusehe.

Marzabotto (VI sec.) distrutta dai Galli e poi abbandonata, oggi in parte ridotta dall'erosione del Reno, era difesa da una cinta fortificata di cui resta la porta orientale. Al di sopra della città I'acropoli con tre santuari, uno a cella unica, due a cella triplice. Appare chiaro in essa non solo lo schema impostato sul cardo e sul decumanus e determinato da insulae rettangolari, ma anche la tecnica seguita nelle opere stradali: vie ampie pavimentate, bordate di marciayiedi e dotate di uno sviluppato sistema di canalizzazione laterale. Le abitazioni, di cui restano solo le fondamenta in pietra a secco, erano costruite con mattoni cotti o con fango; caratteristici i comlilessi di piccoli locali raggruppati intorno ad una corte interna.

Questo rappresentn. I'esempio plu tipico; Veio, Felsina, Vetulonia, Capua, romanizzate, presentano caratteri ed elementi non sempre puri. Ercolano e Pompei etrusche non sono identificabili.

Non possiamo dire con certezza se i Fori che appaiono nella maSSior parte di questi centri siano veramente di origine e di impianto romano; sembra però, anche dagli studi piu recenti, che negli schemi etruschi il foro manchi e che piuttosto il centro civile e spirituale delle città sia rappresentato dal tempio.

Ogni città doveva possedere un luoao elevato (acropoli), interno od esterno alle mura, sul quale innalzare i templi e svolgere i riti dell'aruspicina, un luogo " qui ab omni parte aspici vel ex quo omnls pars videri potest"

Fuori delle porte della città oppure sopra una collina vicina si stendevano le necropoli. All'interno era proibito seppellire o brucinre cadaveri; solo nell'epoca della decadenza le tombe giunsero fino a ridosso delle mura.

Premessa: I principi dell'urbanistica etrusca furono direttamente adottati dai Romani, i quali vi riconobbero la via di minor resistenza a risolvere un problema pratico ed in ciò rivelarono una caratteristica inconfondibile del loro spirito: I'amore all'ordine ed all'armonia non mai avulso da un senso realistico delle cose immediato ed in ogni caso determinante.

Roma stessa è di fondazione etrusca. Secondo la tradizione intorno al Palatino si riunirono per sinecismo genti latine di origine diversa e la città fu fondata E~ etrusco ritu". Solo Plutarco accenna al solco circolare mentre tutti gli altri autori sono concordi nel confermare la forma quadrata del solco. Tacito accenna ad un Pomerium trapezoidale ai piedi del Palatino e Plinio ricorda le tre porte priInitive: Mugona, di Caco, Romana. Dalle fonti romane, le quali a loro volta non sono che un'eco della tradizione, si deduconoa", nella complessità degli accenni, i caratteri fondamentali sviluppo della tecnica etrusca nei suoi aspetti successivi, che si completano nel quadro urbano sia col tracciato del decumano (via Sacra Antica) e del cardo (Porta Ianualis - Porta Romana) sia con la destinazione ad acropoli del Campidoglio. Anche I'esecuzione di opere pubbliche come la Cloaca Massima e il Carcere Mamertino avvenne secondo la tecnica etrusca. I1 Foro rappresenta il punto di incontro e I'organo del Septimontium costituito per sinecismo.

Le origini di Roma confermano mirabilnente la continuità dell'urbanistica etrusca con quella romana. Fu poi compito di Roma perfezionare la tecnica etrusca secondo le proprie tendenze ed esigenze. La conservazione quasi religiosa che i Romani fecero del contenuto dei Libri Rituales etruschi e le opere dei castramensores romani, che costituiscono il perfezionamento delle norme dettate nei Libri Rituales, dimostrano tale continuità documentata ancor piu evidentemente dal chiaro e copioso materiale a disposizione dei nostri studi diretti: accampamenti militari, città che dagli accampamenti fiorirono, impianto delle colonie, centuriazione. Già Norba e Fondi, le città volsche romanizzate nel IV secolo denotano I'applicazione di principi etruschi, meno rigidi nella prima, sorta in collina con cinta poligonale e con piano impostato su un asse orientato NE-SO, chiari e schematici nella seconda, sorta in pianura, a cinta cluadrangolare e con piano perfettamente ortogonale, orientato NO-SE ed impostato sul decumano costituito dalla Via Appia.

L'inauguratio con I'orientamento e la delimitazione del templum (che secondo alcune fonti rappresenterebbe il territorio urbano, secondo altre il luogp dal quale trarre gli auspici), il sulcus primigenius, il tracciato del pomerium sono presupposti rituali sui quali si basavano nella pratica le cerimonie di fondazione e le ricorrenze religiose a queste riferite, presupposti coi quali praticamente I'effettivo tracciato delle città non sempre concorda. All'atto di fondazione e per opera dei gromatici seguiva la limitatio interna basata su criteri determinanti di orto~onalità: ci si trova davanti ad uno schema rigido ma nella sua logica chiarezza perfetto ed esattamente rispondente al complesso ordine di esigenze alle quali doveva soddisfare e alle possibilità tecniche dei mensores e dei legionari che dovevano di volta in volta realizzarlo. Se nell'Etruria troviamo f;li antecedenti diretti dell'urbanistica romana, con la castrametatio nacque I'urbanistica romana vera e propria, I'urbanistica come disciplina senza empirismi, senza fantasie mistiche, senza approssimazioni.

Resta comunque accertato che, se alla base dell'urbanistica romana stette I'elemento religioso assimilato dagli Etruschi col concetto importantissimo di limitazione, nella pratica e nell'attuazione ebbe un peso determinante un'altra forza vitale: I'organizzazione militare, la quale del resto non solo fissò per la fondazione particolari schemi di facile attuazione ma anche, diffondendo prima le insegne di Roma e garantendo poi la civiltà ~di questa in tutta la vastità delllmpero, determinò veramente un'unita urbanistica in tutto il mondo romano.

Base dell'impostazione era, come presso gli Etruschi, il tracciato dei due assi fondamentali, I'uno orientato da levante ad occidente chiamato ·Decumanus· (di larghezza variabile dai 14 ai 15 metri; eccezionalmente poteva arrivare ai 30 metri), I'altro, normale al primo, orientato da settentrione a mezzogiorno denominato " Cardo" (con larghezza di 7-8 metri). Strade minori con larghezza minima anche di m. 2,50, parallele a questi due assi, poste tra loro alla distanza variabile dai 60 ai 70 metri completavano la rete viaria determinando insulae quadrate o rettangolari che trovano riscontro nella centuriazione delle colonie e nelle strigae e scamna del suolo demaniale delle provincie. Va però notato che mentre nelle città il cardo rispetto al decumano aveva una funzione secondaria, nel campo, almeno nei primi tempil aveva la funzione di asse principale (da cui anche il nome ad esso conferito di ~via principalis") e solo piu tardi la larghezza dei due assi cardo e decumano sembra si sia uniformata sui 80 piedi mentre all'inizio il decumano era di 50 piedi ed il cardo di 100. Ai punto di intersezione dei due assi principali troviamo nel campo il praetorium nella città il foro. Tuttavia questa regola fondamentale ebbe applicazioni diverse: in alcune città ci troviamo di fronte a piu decumani e a piu cardi principali o per lo meno a piu assi principali, in altre, è questo il caso di Aosta, a una riduzione del reticolo stradale con la conseguenza di isolati molto estesi (m. 143 X 181). Così la posizione del foro non fu sempre baricentrica ma la sua localizzazione fu spesso spostata e con regola costante presso il porto nelle città marittime..

I1 pomerio e le mura costituivano il limite della città. È da osservare che il pomerio, nato da principi di ordine spirituale come barriera religiosa, ai quali si aggiunsero ovviamente interessi di ordine pratico, venne poi a costituire una zona di respiro dell'abitato, pur mantenendo le sue funzioni primitive.

I1 perfetto orientamento non era però sempre seguito. Le città sorte vicino a fiumi, laghi, mare o collina presentano una evidente aderenza alla configurazione del terreno: il aecumano era tracciato parallelamenté alle curve di livello ed il cardo ad esso normale seguiva le Iinee di maggiore pendenza. Per questo anche si notano orientamenti vari delle città, dovuti eminentemente alla natura dei luoghi e non certnmente, secondo le affermazioni del La\·edan ed i calcoli del Tiele, alla diversità della stagione in cui vennero fondate ed al conseguente punto di levata del sole. Con questo tuttavia non si vuole negare I'apporto alla tecnica dell'orientamento dato dai gromatici, i quali nei loro trattati insistettero sempre sul concetto dell'orientamento basato non solo sulI'oriente reale ma anche su quello piu preciso, pure se meno facilmente realizzabile, dell'onentamento equinoziale ed auspicarono una uniformità di delimitazione in tutto I'impero basata appunto sul secondo metodo di orientamento.

Grande importanza attribuirono i Romani al luogo di fondazione affinchè questo fosse salubre (Vitruvio,LL.: I e VIII) ed in ottima posizione dal punto di vista geografico e per gli approvigionamenti.

I romani consideravar~o i confini della proprietà come una cosa sacra. La città, il campo militare, il territorio erano limitati a somiglianza delle linee celesti da linee, tracciate dal1'Augure col lituus, che si tagliavano ortogonalrnente ed erano orientate secondo i <Iuattro I>unti cardinali, proiezione Jul suolo del Templum sacro. A11'Augure succedette I'agrimensore (mensor) detto anche gromatico, dal nome dello strumento che serviva per tracciare gli allineamenti ortogonali.

I~"agro Dubblico e soprattutto il terreno conquistato, prima di essere assegnato in DroprietB a privati oppure dato in affitto o a decima, veniva diviso per (limites in centuriis ", cioi: in appezzamenti <Iuadrati di circa 50 ettari limit9ti da linee rette e<luidistanti tra loro m.'ilO e parallele a due lir~ee maestre, intersecantisi ad angolo retto nel punto centrale della limitazione, chiamate: decumanus maziml~s quella diretta da levante a ponente (ab orienle ad occasum sccnn<llrmsolis decursum) e Cardo solis decursum) e Cardo marimus quella diretta da setfentrione a Inezzogiorno.

Sulle linee principali (lirnites) venivano costruite le strade pubbliche fiancheggiate da fossi. Ogni cIuadrato dicevasi centuria I>erchè formata da 100 parcelle (sortes) di due iugeri ciascuna; superficie cIuesta assegnata in origine ad ognuna delle famiglie dei coloni.

In alcuni luoghi furono tracciate anche centurie rettangolari di 120 iugeri (Cremona), di G40 iugeri (Luceria), di 400 iugeri (Emerita - Spagna).

I termini o Inpides posti agli incroci dei limites portavano I'indicazione dell'autore della misurazione e i dati di riferimento gromatici.

L'incrocio del cardo massimo col decumano massimo determinava quattro <Il>artes P che, rispetto al misuratore posto all'incrocio dci due assi e rivolto nella direzione orientale del decumano, prendevano il nome di: regio rlexfrrrfn cifratn e regio sinistrntn citrata quelle che si trovavano davanti a lui e risI>ettivamente a destra o a sinistra del decumano; regio clertrata I<ltratcc e regio sinistrulu ultral" quelle che si trovavano dietro a lui rispettivamente a destra o a sinistra del decumano.

La larghezza del decumano max. variava da 30 a 40 piedi mentre ]a larghezza del cardo max. variava da 20 a 30 picdi. I cardi e i decumani minori avevano una larghezza da 12 a lj piedi.

iugeri (Cremona), di 640 iugeri (Luceria), di 400 iugeri (Emerita - Spagna).

I termini o lapides posti agli incroci dei limites portavano I'indicazione dell'autore della misurazione e i dati di riferimento gromatici.

L'incrocio del cardo massimo col decumano massimo determinava cIuattro s partes , che, rispetto al misuratore posto all'incrocio dei due assi e rivolto nella direzione orientale del decumano, prendevano il nome di: regio dextrnfn eitrata e regio sinistrnln citrala quelle che si trovavano davanti 9 lui e rispettivamente a destra o a sinistra del decumano; regio dexIratu ultrala e regio sinistrutn ultrtrta quelle che si trovavano dietro a lui rispettivamente a destra o a sinistra del decumano.

La larghezza del decumano max. variava da 30 a 40 piedi rnentre la largheLza del cardo max. variava da 20 a 30 piedi. I cardi e i decumani minori avevano una larghezza da 12 a lj piedi.

L'assegnazione del suolo conquiJtato ai milites variava in relazione alla produttivitj del terreno ed alle benemerenze degli occupanti. Kella zona di Aquileia ai pedites furono asJegnati 50 iugeri di terreno mentre ai cenluriones e agli erluites - rispettivamente - 100 e 140 iugeri cia-

scuno.

.4 Parma furono asJegnate solo sortes di 8 iugeri e in Calabria 15 iugeri ai pediles e 50 iugeri agli eguiies.

greco piu tardi.

 

Gli Etruschi si trovarono quindi a contatto col mondo italico prima e con quello greco più taqrdi.

Ne consegue naturalmente il problema entro quale misura essi abbiano espresso in forme concrete I'apporto dato dalle loro lontane origini, siano esse orientali o autoctone, ed entro quale limite abbiano accettato o assimilato elementi italici o della Magna Grecia. I1 LuRli ammette un contatto dei popoli italici e quindi degli Etrus~ili con la Magna Grecia, contatto molto tardivo che portò ad una certa unificazione di schemi già analoghi ma nati e sviluppati indipendentemente, secondo rincipi differenti. I1 Brizio ed altri attribuiscono agli Etruschi i'introduzione,

coi riti di fondazione delle città, del concetto di limitazione; il Lavedan ammette una remota influenza orientale aei riti, nell'orientazione e nella limitazione e nella ortogonalità del tracciato, distinguendo molto esattamente gli esempi etn~schi dal sec. X all'VIII (città sorte già secondo piano prestabilito con solco primigenio a forma circolare) e gli esempi successivi dal sec. VIII al VI, posteriori ad una seconda immigrazione, che denotano I'introduzione dell'uso della groma nel vecchio sistema, del cardo e del decumanus e conseguentemente I'introduzione del sistema quadrangolare. I1 Cultrera è del parere che gli usi Etruschi siano il prodotto di una assimilazione di forme locali gla esistenti. Secondo lui la popolazione dell'Etruria si componeva di indigeni e di immigrati e la poca diffusione della lingua fa credere che la grande maggioranza fosse indigena, retta da una minoranza che in parte portò usi, leggi, costumi propri, in parte accettò e codificò usi locali. Per quanto riguarda lo schema ortogonale del tracciato urbano sarebbe alquanto dubbia una importazione dall'Asia Minore in quanto che al tempo dell'emigrazione etrusca questi schemi erano già caduti in disuso colj e non sarebbero stati ripresi che ai tempi di Ippodamo. A testimonianza di questa tesi vi sono i perimetri irregolari della maggior parte delle città etrusche che presuppongono, date anche le accidentalità del terreno, tracciati irregolari; nè si hanno esempi di opere di livellamento. Anche la leggenda del mito di Tages starebbe a dimostrare che gli Etruschi non avrebbero portato con sè I'uso della limitazione ma bensì avrebbero appresa I'aruspicina e le regole del tracciato urbano quando vennero a trovarsi a contatto delle popolazioni indigene.

Di fronte ad un problema così complesso quale è quello delI'origine e della formazione dell'urbanistica etrusca ed a teorie tanto differenti è lecito ed anche logico ammettere una specie di contaminazione fra la tradizione, le tendenze innate ed ancestrali del popolo etrusco e gli usi delle popolazioni con le quali gli Etruschi si trovarono a contatto nelle loro sedi di stanzia ebmento in Italia. Da bC,eo! sintesi, nella quale i diversi fattori ideali e materiali ebbero un’influenza i cui limiti non sono nè possono essere precisabili, nacque il complesso originalissimo e nuovo dell'urbanistica etrusca.I centri italici preromani del Lazio, come del resto delle altre reglonl, ebbero funzione, pm che di città vera e propria, di asilo fortificato in caso di incursione nemica, senza un piano determinato all'interno delle mura. Sta di fatto invece che gli Etruschi poterono assimilare la tendenza all'ortogonalità derivata dall'uso invalso ed ampiamente diffuso in Italia sia attraverso le terremare, sia attraverso gli esempi villanovjani.

La romanizzazione della penisola non ci permette di avere a nostra disposizione come oggetto di studio elementi italici. Anche gli esempi Falisci sopra citati e quelli Volsci rintracciabili, se non a fondi, a Norba romanizzata nel IV secolo, sono ~cPR,q scarsi ed incerti perchè ne possiamo dedurre delle caratt

Un contatto con la Magna Grecia è provato per ragioni di indole sia geografica sia storica. Ampi scambi commerciali e frecjuentissimi rapporti ebbero luogo fra gli Etruschi e la Magna Grecia (Sibari) che servì da ponte ideale non solo con la Grecia ma anche con 1'Asia h/Iinore. Significativo è pure il fatto che Cere e Spina possedevano un " tesoro " a Delfi.`E nota nel campo delle arti figurative I'influenza Greca in periodo arcaico dal VI sec. alla p'ima metà del V e piu tardi (ma siamo già in periodo etruscoromano) in età ellenistica.

Evidentemente non si può escludere a priori un contatto coi Greci in campo urbanistio, anche se non lo si può provare su basi rigidamente scientifiche. Le probabili influenze greche non debbono intendersi a detrimento della originalità della urbanistica etrusca, che ebbe una fisionomia tutta sua.

Ma la parte in cui la religiosità etrusca si manifesta in modo piu genuino è la cosi detta disciplina: cioè il complesso delle norme che regolano i rapporti fra gli dèi e gli uomini2 Essa ha come punto di partenza la ricerca scrupolosa della volontà divina attuata con tutti i mezzi, dei quali i piu importanti e tradizionali sono la lettura e la interpretazione delle viscere degli animali ed in modo particolare del fegato (aruspicina), e la interpretazione dei fulmini.

L'una e I'altra scienza trovano i loro precedenti nel mondo orientale e specialmente mesopota117iCO', ma assumono in Etruria un carattere nazionale spiccatissimo, tanto che anche penetrando nel mondo religioso romano, pur cosi imbevuto di tradizioni etrusche, esse non saranno assimilate e conserveranno sempre la loro etichetta straniera. E curioso invece osservare che a Roma, come già presso gli Umbri, prevarrà la divinazione mediante la osservazione del volo degli uccelli (auspicio). Ma anch'essa rientravn probabilmente nell'ambito della disciplina etrusca, e precisamente nel ramo riguardante la lettura dei segni o prodigi degli dèi, i così detti ostenta. Alla disciplina appartengono inoltre le minuziose norme rituali dei sacrifici e delle cerimonie, la dottrina dei termini prefissi per ~li uomini e per gli stati (alla quale si ricollegn la cronologia religiosa dei " secoli ")e le credenze e le prescrizioni relative alla vita ultraterrena.

Pur tra le molte iacune esistenti nello studio e nellj interpretazione dei singoli fatti religiosi propri della disciplina etrusca, il problema fondamentaie: - che attende la sua risoluzione è quello del significato di tutti questi fatti presi insieme e della visione del mondo divino e umano che ne risulta. Questi due mondi sono collegati fra loro intimamente, secondo un principio di partecipazione mistica e di indistinzione.che richiama alla mentalità dei popoli primitivi. Per quanto possiamo intravvedere dalle fonti utilizzabili, molti aspetti della struttura spirituale etrusca, che appaiono oscuri se valutati sul metro del pensiero grecoromano, si spiegano alla luce di questa classificazione in una sfera di concezioni religiose diverse'. Cielo e terra, realtà soprannaturale e realtà naturale, macrocosmo e microcosmo sembrano corrispondersi con palesi e segreti richiami entro un preordinato sistema unitario, nel quale I'orientamento e la divisione dello spazio assumono una importanza fondamentale. Le constatazioni fatte dagli studiosi moderni a tal proposito, e suscettibili di ulteriori sviluppi, hanno avuto come punto di partenza il raccostamento tra i nomi di divinità scritti nelle diverse caselle in cui appare suddivisa la superficie del fegato di bronzo di Piacenza e la partizione del cielo, con i suoi divini abitatori, secondo PLINIO (Nat. HisZ., 11, 54, 143) e MARZIANO CAPELLA (de nuptiis Mercuri et Philologiue, I, 45 sgg.) 2

Lo spazio 6( S;1CTO.,· orientato e suddiviso, risponde ad un concetto che in latino si esprime con ]a parola templum '. Esso riguarda il cielo, o un'area terrestre consacrata - come il recinto di un santuario, di una citta, di un'acropoli, ecc. --, ovvero anche una superficie assai pi~i piccola - ad esempio il fegato di un animale utilizzato per le pratiche divinatorie -, purché sussistano le condizioni dell'orientamento e della partizione secondo il modello celeste. L'orientamento è determinato dai quattro punti cardinali, congiunti da due rette incrociate, di cui quella nord-sud era chiamata cardo (con vocabolo prelatino) e quella est-ovest decumanus nella terminologia dell'urbanistica e della agrimensura romana che sappiamo strettamente collegate alla dottrina etrusco-italica. Posto idealmente lo spettatore nel punto d'incrocio delle due rette, con le spalle a settentrione, egli ha dietro di sé tutto lo spazio situato a nord del decumanus. Questa meta dello spazio totale si chiama appunto gparte posteriore, (pars postEca). L'altra metà che egli ha dinnanzi agli occhi, verso mezzogiorno, costituisce la .parte anteriore, (paTs antica). Una analoga bipartizione dello spazio si ha nel senso longitudinale del cardo: a sinistra il settore orientale, di buon auspicio (pars sinistra o fa?niliams); a destra il settore occidentale, sfavorevole (pars dextra o

selle del bordo esterno (al;punto in numero di sedici) e nelle caselle interne (ad esse corrispondenti, seppure in maniera non del tutto chiara) del fegato di Piacenza. Tra i numi dei sedici campi celesti, citati da MARZIANO CAPELLA, e i nomi divini inscritti sul fegato esistono indubbie concordanze, ma non una corrispondenza assoluta, perché la originaria tradizione etrusca pervenne presumibilmente alterata nelle fonti del tardo scrittore romano, con qualche spostamento nelle sequenze. Ciò nonostante è possibile ricostruire un quadro approssimativo del sistema di ubicazione cosmica degli dèi secondo la dottrina etrusca (vedi la fig. a pag. 251). Esso ci mostra che le grandi divinità superiori, fortemente personalizzate e tendenzialmente favorevoli, si localizzavano nelle plaghe orientali del cielo, specie nel settore nord-est; le divinita della terra e della natura si collocavano verso mezzogiorno; le divinità infernali e del fato, paurose ed inesorabili, si supponevano abitare nelle tristi regioni deli'occaso, segnatamente nel settore nord-ovest, considerato come il piu nefasto.

La posizione dei segni che si manifestano in cielo (fulmini, volo di uccelli, apparizioni prodigiose) indica da qual nume proviene agli uomini il messaggio e se esso è di buono o di cattivo augurio. Indipendentemente dal punto di ori-

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gine, una complicata casistica riguardante le caratteristiche del segnale (per esempio la formn, il colore, I'effetto del fulmine, o il gi01.170 della sua caduta) aiuta a precisarne In natura: se si tratti cioè di un richiamo amichevole, o di un ordine, o di un annuncio senza speranza e cosi via. Lo stesso valore esortativo o profetico hanno le speciali caratteristiche presentate dal fegato di un animale sacrificato, preso in esame dalI'aruspice, secondo una corrispondenza delle sue singole parti con i settori celesti. Cosi I'"arte fulguratoria, e I'aruspicina, le due forme tipiche della divinazione etrusca, appaiono strettamente collegate; né fa meraviglia che esse possano essere state esercitate da un medesimo personaggio, come quel L. Cafate di cui si rinvenne a Pesaro I'epitafio bilingue e che fu appunto haruspex (in etrusco netYzjis) e fulguriator (cioè interprete ~p; hllm;n; · in Ptn~Prn tnrtnl)t frontac o tmctnvt?)'.

Uguali norme devono aver presieduto all'osservazione divinatoria del volo degli uccelli, come intravvediamo specialmente da fonti umbre (Tavole di Gubbio) e latine. A tal proposito ha speciale importanza lo spazio terrestre d'osservazione, e cioè il templum augurale, con il suo orientamento e le sue partizioni, cui senza dubbio si ricollega la disposizione non soltanto dei recinti sacri, ma dello stesso ternpio vero e proprio, cioè I'edificio sacro contenente il simulacro divino, che in Etruria appare di regola orientato verso sud o sud-est, con una pars antica che corrisponde alla facciata ed al colonnato ed una pars posticn rappresentata dalla cella o dalle celle. E del pari le regole sacre dell'orientamento si osservano (almeno idealmente) nella planimetria delle citta - concreto esempio monumentale è Marzabotto in Emilia -, e nella partizione dei campi.

In tutte queste concezioni e queste pratiche, come in generale nelle manifestazioni rituali etrusche, si ha I'impressione di un abbandono, quasi di una abdicazione dell'attivita spirituale umana di fronte alla divinita: che si rivela nella duplice ossessione della conoscenza e della attuazione della volontà divina, e cioè da un lato nello sviluppo delle pratiche divinatorie, da un altro lato nella rigida minuziosità del culto. Cosi anche radempimento o la violazione delle leggi divine, nonché le riparazioni attuate attraverso i riti espiatorii, sembrano essere soprattutto formali, al di fuori di un autentico valore

etico', secondo concezioni largamente diffuse nel mondo antico, che però appaiono soprattutto accentuate nella religiosità etrusca. Ma è possibile che almeno gli aspetti piu rigidi di questo formalismo si siano definiti soltanto nella fase ~nale della civilta etrusca, e precisamente nell'ambito di quelle classi sacerdotali le cui elaborazioni rituali e teologiche trovarono la loro espressione nei libri sacri, forse favorite - e magari inconsciamente - dal desiderio dei sacerdoti stessi di accentrare nelle loro mani la interpretazione della volontà divina e quindi la direzione della vita spirituale della nazione.

Un altro aspetto, che si ricollega alla mentalità primitiva degli Etruschi, è la interpretazione illogica e mistica dei fenomeni naturali, che persistendo sino in età molto recente viene a contrastare in maniera drammatica con la razionalità scientifica dei Greci. A questo proposito è particolarmente significativo e rivelatore un passo di SENECA (Quaest. nat., 11, 32, 2) a proposito dei fulmini: Iloc inter nos et Tuscos... interest: nos putarnus, quia 1·Lubes collisae sunt, fulmina enzitti; ipsi existimant nubes colUcEi, ut fulm~na emittantnr; nam, cum omnia ad deum ref.erant, in ea opinione sunt, tanquam non, quh facta sunt, significent, sed quia sEgnificatura sunt, fiant. (La differenza fra noi [cioè il mondo ellenistico-romano] e gli Etruschi... è questa: che

noi riteniamo che i fulmini scocchino in seguito all'urto delle nubi; essi credono che le nubi si urtino per far scoccare i fulmini; tutto infatti attribuendo alla divinità, sono indotti ad opinare non già che le cose abbiano un significato in quanto avvengono, ma piuttosto che esse avvengano perché debbono avere un significato...).

La mistica unità del mondo celeste e del mondo terrestre si estende verisimilmente anche al mondo sotterraneo, nel quale è localizzato, secondo le dottrine etrusche piu evolute, il reame dei morti.

Per la costruzione del tempio - la tradizione romana non lo nasconde - Tarquinio fece venire artigiani da ogni parte dell'Etruria: specialisti, artisti dotati, coroplasti, capomastri e scultori che 1>Etruna possedeva in gran numero. La gente locale - contadini ancorainesperti - forniva ia manovalanza. Tutti coloro che non erano addetti al servizio militare, Tarquinio "li costrinse a fare lavori nella città ".

Di un artefice etrusco, indimenticabile maestro, sappiamo oggi il nome e conosciamo anche le opere. Nel corso di scavi a Veio, nel I9'6, vennero in luce sull'acropoli i frammenti delle piu belle terrecotte mai trovate in Etruria. Una di esse, dipinta e di un'altezza superiore all'umano, rappresenta Apollo.

L'immagine del dio aveva adornato il pinnacolo del tempio. Oltre all'Apollo, vennero in luce i frammenti di due altre terrecotte superbe: quella figurante una donna con in braccio un bimbo e una statua del dio Ermes. Tutte rivelano senz'altro'la stessa mano oeniale di un artista straordinario; tutte provengono dall'atélier di un celebre coroplasta etrusco: Vulca di Veio.

D_uesto maestro fu chiamato a Roma da Tarquinio il Superbo. Una breve notizia di Plinio il Vecchio informa che il re aveva fatto venire da Veio Vulca, per scolpire la statua di Giove per il tempio capitòlino. auesta fu fatta di argilla e ripetutamente verniciata di minio; perché di argilla erano allora i piìl famosi simulacri delle divinità. auest'arte era praticata specialmente in Etruria.

Da Veio proveniva anche la quadriga d'argilla che ornava il fronto,, del tempio. Ce ne parla una leggenda narrata da Plutarco. La massa argillosa s'era tanto gonfiata dur~nte la cottura nel forno, da

far pensare a un miracolo. Gli aruspici, interrogati, vaticinarono eterna grandezza alla città cui sarebbe toccata la quadriga; onde i veienti, saputolo, ricusarono di portarla a Roma e vi avrebbero poi ronsentito solo per un segno dei numi.

Officine come quelle del grande Vulca avevano da tempo raggiunto in Etruria una straordinaria maestria, soprattutto nella creazione di opere plastiche. Producevano le lastre di terracotta destinate a ornare come fregi i frontoni dei templi e le ville dei notabili. Insuperate furono altresì nella cottura di grandi statue d'argilla. Anche questa era una novità per Roma: gli abitanti della penisola appenninica infatti, non altrimenti dei greci ancora ai tempi di Omero, avevano conosciuto e adorato fin qui solo dèi non raffigurati.

" Mediante opere di sostruzione ", apprendiamo, " la rupe fu arginata ed elevata. " Durante i lavori si verificò un evento emozionante: gettate ormai le fondamenta e la buca essendo molto profonda, si trovò "una testa umana". Tarquinio allofa, "ordinato agli operai di sospendere la scavo, e fatti venire gli aruspici locali, li interrogò sul significato di quel se,ano". Poiché essi non erano inprado di dare alcuna spiegazione e attribuivano d'altro lato agli etruschi la scienza di tali cose, egli s'informò quale fosse il migliore e piu dotato indovino etrusco e gli spedì dei messi.

I quali tornarono con la spiegazione del celebre ari~spice, che suonava così: "Annunciate ai vostri concittadini che il fato vuole, che il luogo dove avete trovato la testa diventi il capo di tutta 1'Italia.,

" na questo momento, " scrive Dionigi, " la rupe Tarpea fu chiamata Capitolina, poiché i romani chiamano c<IPut la testa. "

Questa vuol essere una pia leggenda, inserita ncll'altra della fondazione di Roma. Livio la cita, a ragion veduta: i suoi lettori, cinquecento anni dopo, potevano riferire quel caput solo all'impero roInano. Per Tarquinio il Superbo, invece, la profezia doveva suonare nel senso che la città etrusca sul Tevere sarebbe divenuta signora ben altrimenti della Lega dei Dodici Popoli. Allora, infatti, la sipnoria etrusca si stendeva dalle Alpi al golfo di Salerno; e la Roma della storia futura non esisteva ancora. Solo cosi si capisce lo zelo del re per il contenuto del vaticinio: "Quando Tarquinio ebbe udito ciò dai messi, incitò seriamente g·li operai al lavoro. "

Con I'edificio voluto da Tarquinio il Superbo sul Campidoglio facevano jl loro ingresso sul Tevere I'arte e I'architettura sacrale etrusche. Alte sopra il foro esse coroneranno I'opera fino allora compiuta per diffondere la civiltà.

Modello del nuovo edificio sacro furono i templi d'Etruria, le cui regole sacrali decisero anche della nuova costruzione avviata in nva al Tevere, delle sue proporzioni come della sua forma, dell'interno come dell'esterno. Queste regole, non le greche!

" Fu costruito su un alto basamento, con una circonferenza di quattro iugeri, e ciascun lato di circa duecento piedi, " testimonia Dionigi; ~ e fra lunghezza e larghezza v>è il piccolo divario di neppure quindici piedi. Sul davanti, verso sud, [aveva] una triplice fila di colonne e una duplice ai lati. Nell'interno, trp cclle parallele con pareti divisorie comuni, " destinate ad accogliere una triade divina "sotto un frontone e un tetto ". Anche le divinità introdotte da Tarquinio il Superbo nel nuovo tempio venivano dall'Etruria!

Quali erano?

Null'altre che Giove, Giuhone e Minerva come suonò poi il loro

nome romano, ma a nord del ?'evere era ben diverso.

Giove qui era Tinia, sommo dei numi e centro del pantheon tusco, venerato in ogni città etrusca come signore degli dèi, che parlava per mezzo del fulmine e che un fulmine simbolico reggeva in mano. Nelle processioni solenni i lucumoni portavano la sua corona, La sua tunica e la sua toga. Nel mese lunare etrusco (fatto proprio poi dai romani), il giorno di mezzo, quando il satellite terrestre versa piena la suíl luce, gli era consacrato, col nome di Idus.

Insieme con Tinia, erano venerate nei lempli dei tirreni le dee Uni e Menvra - la Juno e la Minerva di Roma. Si sa di loro santuan in numerose città dell>Etruna. A Veio la dea Uni aveva il soprannome di Regina; come segno della sua signona portava la lancia che, nella simbologia del diritto romano antico, valse Piu tardi come segno dell'imperiunz e del municipium. Le era sacra la luna.

II tempio di Giove Capitolino, fotto erigere dal sourano etrusco Targuinio il Superbo, a Roma, verso la fine del VI secnlo a.C. Visibili [e tre celle cultuoli: la mediana sacra o Giove, [e altre a Giunone e Minerva. Sul davanti, trc file di sei co[onne ciascu'na. II pinnacolo era adorno di una guadriga di terracotta con Giove, QruPPo proueniente da Veio. Sorto piu di mezzo secolo prima del ce[ebre Partetlone, il tempio era uno dei piu Qrandi e piu belli dell'orea mediterranea, e divenne il modello dei templi ~omani. Merzo millennio dopo furono costruiti, in epoca imperiale, edifici delle stesse proponioni. Nella

pinnta, a destra è uisibi[e il profilo delle tre ce[le culluali all'interno. S>pntrav? sollanto suI darranti. Ricoslruzione in base ai dati degli autori classici.

Menvra la si trova raffigurat~ in molti specchi bronzei etruschi, ed era anch'essa una dea di primo rango. Le sue feste cadevano per gli etruschi in marzo, il quinto giomo dopo le idi; accolte dai romani, venivano celebrate col nome di Quinquatrus, termine equivoco che sembrerebbe indicare una durata di cinque giorni.'

Un tempio imponente, unico, venne a compimento tra le mani

esperte degli architetti e artefici etruschi piu di mezzo secolo avanti il tanto ammirato Partenone di Atene. Esso sorse quando i greci consacravano sull'acropoli le loro kòrai, figure di fanciulla dal delicato sorriso; nel decennio in cui, sull'altra sponda del Mediterraneo, risorgeva, per ordine del potente re persiano Ciro, un altro famoso tempio della storia: quello di Salomone a Gerusalemme, distrutto nell'agosto del 568 a.C. dai babilonesi e preso a ricostruire dagli ebrei, tornati dalla cattività, nell'anno 520·

L'edificio che s'ergeva sul Campidoglio non temeva confronti: coi suoi superbi fregi colorati e il frontone e le pareti decorate di terrecotte, apparteneva ai piu belli del mondo d'allora, e ai piu grandi.

Piu piccolo quello di Gerusalemme, largo solo trentun metri e mezzo; ed è comprensibile: degli esuli che tornavano nella loro terra devastata, non potevano avere, come sempre accade, molto danaro. hla anche fra i piu celebri e celehrati templi greci sorti pill tardi, solo pochi erano in grado di sostenere il confronto col sacrano etrusco sul Tevere, anche solo a conJiderarne la fronte, fosse il tempio di Artemide a Efeso o 1'Heràion di Samo o I'Olympièion di Atene sacro ;ì %eus o quello d'Agrigento. I1 piu piccolo, largo solo quarantadue metri e novanta, era I'Olympièion di Atene; il piu grande, cinquantacinque metri, 1'Artemision di Efeso, una delle sette meraviglie del mondo. I1 tempio tiberino misurava cinquantatré metri e ventotto.

E tuttavia cinge questo edificio un alone di tragedia e d'amara ironia. II tempio capitolino infatti, monumento dell'arte e della religione etrusche, edificato pel momento dell'apice della potenza etrusCa, non era destinato a servire coloro che I'avevano ideato e costruito: né a celebrarne in futuro la grandezza e le gesta. Un inspiegabile capriccio della sorte volle altrimenti.

II tempio di Giove capitolino diviene il tempio ufficiale di un altro popolo, un popolo che non costruiva, che non trovava piacere nell'operare pacifico e culturale dei pionieri etruschi: un popolo, anzi, che conquista e distrugge, che crea uno stato militare temuto nel mondo intero. I1 tempio <:o~truito dagli etruschi divenne il simbolo della potenza romana, cardine dell'ideologia religiosa dello stato.

Per piu di mezzo millennio esso accoglierà, dopo guerre e spedizioni sanguinose di conquista, le offerte di ringraziamento durante i grandi trionfi. E i nomi delle città etrusche sottomesse saranno i primi a vedere trascinati qui come bottino i tesori a loro sottratti!

Che il tempio iosse opera etrusca, Roma non volle mai riconoscerlo né ammetterlo ufficialmente; anzi cercò con ogni mezzo di soffocarlonella sua tradizione. E ricorse a un trucco abbastanza grossolano.

Tarquinio il Superbo (nota Dionigi conformandosi alla descnzione data da Livio)" approntò gran parte del tempio. Compir I'opera, tuttavia, non poté, perché fu cacciato prima dal regno,. La consacrazione ufficiale dell'edificio venne fissata dalla tradizione, per motivi di prestigio e d'interesse politico, al r3 settembre del 509 a.C.: data in cui, appunto, la signoria etrusca a Roma non esisteva ormai piu. E la posterità vi prestò fede, dandola per scontata.

Anche su tale punto soltanto da poco la scienza è riuscita a ridi-

mensionare e a rettificare. Le ricerche piu recenti dimostrano infatti sicuramente che Lucio Tarquinio il Superbo non si limitò a costruire il tempio capitolino, ma lo consacrò di persona. Un altro esempio di falso smascherato.

I1 tempio etrusco del Campidoglio resta il massimo di Roma sino alla fine della repubblica, modello di innumerevoli altri templi nella città stessa, quello della Fortuna come della Mater Matuta, quello di Castore e Polluce nel Foro, di Cerere ai piedi dell'Aventino, e di numerosi altri nelle colonie.

Anche questi sono di legno e adorni di rilievi e statue di terracotta: solo in epoca imperiale fa il suo ingresso il gusto greco con i suoi edifici rivestiti di marmo e adorni d'ori.

Con I'espansione romana il culto capitolino si diffonde altresì fra i paesi e le genti sottomesse. Tarcluinio il Superbo mai avrebbe potuto immaginare il significato che nella storia mondiale doveva acquisire I'opera da lui coRtruita: Tinia-Giove divenne una divinità mondiale. Nessun altro edificio restò tanto e tanto a lungo legato alla storia romana, e le soppravvisse! Bruciato ne11'83 a.C., risorse ad opera di Silla che.depredò per I'occasione di colonne il celebre tempio di Zeus Olimpio ad Atene. Infine, dopo ripetuti incendi, I'imperatore Domiziano lo fece ricostruire splendidamente ne11'85 d.C. E allorché il gigantesco impero sprofondò sotto I'impeto dei nuovi popoli del nord, il duce gotico Stilicone ne strappò le piastre d'oro delle porte, e il re dei vandali Genserico, durante il sacco di Roma, ne fece asportare le tegole rivestite d'ofo del tetto.

I1 tempio continuò tuttavia a vivere come rovina, ed è ancora testimoniato nel v secolo dell'èra cristiana. In quest'epoca, però, il tempio della triade pagana, dopo un millennio di esistenza, aveva perso ormai il suo sienificato: una nuova reliaione, la cristiana,

Come osserva Richard Krautheimer nel suo saggio ormai classico sul tempio etrusco di Alberti, I'autore del De re aedificatovia condivideva con molti altri fiorentini un'ammirazione immoderata per il mondo etrusco': Alberti cita in particolare la mole leggendaria degli edifici etruschi e la venerazione che i primi abitanti dell'Etruria riservavano all'arte architettonica: i templi etruschi incarnavano le antiche verità della loro fede'. Per la magnificenza della costruzione, Alberti continua, gli etruschi erano quasi pari agli egizianii. Per quanto se ne sa oggi, I'immaginazione di Alberti era for se troppo generosa.

Tuttavia nell'antica Roma si trovavano alcuni edifici imponenti e sontuosi, e che erano detti etruschi. Ad esempio secondo Axel Boethius la descrizione tipologica del tempio etrusco in Vitruvio sarebbe basata su uno dei piu grandi templi romani, il tempio di Giove Capitolino, ricostruito dopo un incendio nell'anno 83 a.C.' Vitruvio stesso (De avchitectuua, III.3.5) descrive specificamente questo edificio come un tempio etrusco. Con un fronte di 162 piedi, il tempio precedente, costruito nel VI secolo a.C., era stato uno dei piu grandi del suo tempo. Cicerone (Actio secunda in Vevvem, 4, 31) interpreta I'incendio che aveva distrutto il tempio antico come un monito - forse una manifestazione diretta del volere divino per la costruzione di un nuovo edificio, ancora piu ricco. Apparentemente, I'indicazione non fu disattesa5

Inoltre, indipendentemente dal grado di magnificenza, templi di questn genere - tre celle, coper~ura in legno erano frequenti nei campidogli dell'età imperiale. Gli edifici erano relativamente bassi di profilo, con ampi intercolumni e profondi portici prostili: nelle parole di Vitruvio, di forme "varicae, barycephalae, humiles, latae" (Dc avchitectuua, II1.3.5: le colonne distanti, la parte superio re pesante, bassi, larghi) - Vitruvio sembra meno entusiasta di Leon Battista Alberti. A differenza di Alberti, Vitruvio aveva visto molti di questi edifici. In effetti è stato sovente sostenuto, fra gli altri da Krautheimer, che la descrizione albertiana del tempio etrusco sarebbe indipendente da quella di Vitruvio, o incompatibile. Cercherò di dimostrare che le considerazioni dl Alberti (De re aed., VIII.4) non sono tanto un'antitesi quanto una correzione cruciale del passo vitruviano, che si trova, con una certa simmetria, al settimo capitolo del quarto libro, e recita (cito il testo latino nell'edizione Loeb)": "Locus, in quo aedis constituetur, cum habuerit in longitudine sex partes, una adempta reliquum quod erit, latitudini detur. Longitudo autem dividatur bipertito, et quae pars erit interior, cellarum spatiis designetur, quae erit proxima fronti, columnarum dispositione relinquatur. Item latitudo dividatur in partes

X. Ex his ternae partes dextra ac sinistra cellis minoribus, sive ibi al[i]ae futurae sunt, dentur; reliquae quattuor mediae aedi attribuantur," ecc. (L'area in cui edificare il tempio avrà sei parti in lunghezza e cinque in larghezza. La lunghezza sia divisa in due parti, delle quali la parte piu interna sarà riservata agli spazi delle celle, mentre la parte verso il fronte verrà lasciata per la disposizione delle c9lonne. Parimenti si divida la larghezza in dieci parti. Di queste, tre parti a destra e a sinistra saranno riservate alle celle piu piccole, e le rimanenti quattro parti saranno assegnate al santuario centrale)/

Si osservi che Vitruvio, malgrado I'opinione di molti interpreti, non dice affatto che il rettangolo di proporzioni 6:S debba dividersi "bipertito" in due parti ugualix. Vitruvio usa questo avverbio solo due volte: qui, e in ITI.1, dove dice che I'arte di costruire si divide "bipertito" tra fortificazioni ed edifici pubblici da una parte, e dalI'altra edifici privati. Questo non implica necessariamente una bisezione fra due parti uguali; né la nozione mi sembra ragionevolmente inerente a nessun'altra occorrenza del termine registrata nell'Oxford Latin Dictionary.

In breve (e il punto è cruciale per la mia argomentazione) Vitruvio potrebbe aver avuto in mente non la divisione illustrata nella figura la sinistra, ma ad esempio quella sulla destra: un rettangolo di proporzioni 5:4 per I'area della cella, e 5:2 per il portico. È vero che nella realtà i templi etruschi erano sovente divisi in due metà ugualig, ma non è questo il punto: il problema qui è cercare di capire come Alberti, che, si è detto, forse non aveva mai visto un tempio etrusco, potrebbe aver interpretato il testo vitruviano'0. Come dimostrerò, Alberti immaginava il tempio etrusco secondo il diagramma di destra nella ill. 1- cioè diviso in due parti diseguali.

I1 passo successivo, come si ricorderà, è la divisione della larghezza del rettangolo superiore in dieci parti uguali. Le quattro parti centrali, indicate 4m nella ill. 2, formano la cella principale del tempio; le tre parti rimanenti su ciascun lato, indicate 3m (m in corsivo per distinguere da m, che indica il modulo maggiore), formano le due celle laterali, leggermente piu strette (cellae minores).

I1 testo vitruviano, in conclusione, è chiaro, e facilmente traducibile in un diagramma; e in realtà, con i suoi tre santuari lon~itudinali, il risultato è conforme alle ricostruzioni moderne della pianta di numerosi templi etruschi (ill. 3, 4, 5).

È vero che a Lanuvium (ill. 4) Vitruvio è stato usato come fonte per la restituzione, per cui la corrispondenza messa in evidenza dall'immagine potrebbe essere unfeedbach. In ogni caso la pianta è ora restituita secondo la proporzione 6:S. In altri templi etruschi sitrovano altri schemi, come ad esempio a pianta quadrata di Cosa, pubblicata da Frank Brown (ill. 5)"

In realtà, il Campidoglio di Cosa vale come esempio di entrambe le soluzioni. In sé, la pianta del tempio è un rettangolo di proporzioni 4:3, e le porte delle celle sono quasi alla metà della lunghezza del lato: in questo senso, il tempio è "bipertito" in parti uguali. Ma i muri laterali della cella avanzano in corrispondenza delle due colonne interne del portico, che sono dunque in antis, e in questo modo, in una vista laterale, il rapporto cella-portico avrebbe anche approssimato il rapporto 4:2, rapporto che, come si è visto, il testo vitruviano non permette di escludere.

In conclusione, la proporzione vitruviana di 6:5 si ritrova facil mente nell'area di pianta effettiva di numerosi templi etruschi, do ve pure non mancano esempi di portici che occupano 1/2, 1/4, 2/5, o altre frazioni piu piccole della lunghezza totale. CTn'altra prova è il portico del tempio di Mater Matuta, a Cosa, che è 1/6 della profondità totale'L

Ma tutto questo non è che lo sfondo su cui collocare il tempio etrusco descritto da Alberti. Questo è il testo latino (De ve aed., VII.4): "Nunnullis in templis hinc atque hinc vetusto Etruscorum more pro lateribus non tribunal, sed cellae minusculae habendae sunt. Eorum haec fiet ratio. Aream sibi sumpsere, cuius longitudo, in partes divisa sex, una sui parte latitudinem excederet; ex ipsa longitudine partes dabant duas latitudini porticus, quae quidem pro vestibulo templi extabat; reliquum dividebant in partes tris, quae trinis cellarum latitudinibus darentur. Rursum latitudinem ipsam templi dividebant in partes decem; ex his dabant partes tris cellis in dextram et totidem tris cellis in sinistram positis; mediae vero ambulationi quattuor reliquebant. Ad caput templi unum medianasque ad cellas hinc atque hinc aliud tribunal adigebant."

E questa è la versione di Rykwert, Leach e Tavernor: "Talvolta si trovano dei templi che, seguendo I'antica usanza etrusca, hanno piccole cappelle lungo i muri su entrambi i lati, invece di una tribuna [abside]. Questi templi sono disposti come segue: in pianta la loro lunghezza, divisa in sei, è di una parte piu lunga della larghezza. Un portico, che serve da vestibolo al tempio, occupa due parti di quella lunghezza; il resto è diviso in tre, per ottenere I'ampiezza di ciascuna delle tre cappelle. Poi la larghezza del tempio è divisa in dieci parti, di cui tre si danno alla cappella [alle cappelle]'' di destra, ed analogamente a sinistra, e le quattro rimanenti parti si danno alla navata nel centro. Una tribuna è aggiunto all'estremità del tempio, ed alla cappella mediana su entrambi i lati""

Alberti riprende in tegralmente da Vitruvio la divisione schema-

tica in tre parti: non solo il rapporto in pianta di 6:S, ma anche il rapporto fra cella e portico di 4:2, che il testo vitruviano non esclude, e i due sistemi modulari che ho indicato con m e m, dove m 1/2 m, 5m e 6m definiscono il rettangolo esterno e 3m+4m+3m le suddivisioni verticali delle tre camere'5. Due conclusioni di Krautheimer devono quindi essere prese con precauzione. Non c'è motivo per credere, come Krautheimer sostiene, che la descrizione vitruviana del tempio etrusco dovesse necessariamente essere "incomprensibile per Alberti"'", né che "solo [corsivo mio] le pl·op"rzioni generali dell'area, sei per cinque"" fossero le stesse in Vitruvio e in Alberti. In entrambi i casi, è vero il coIltrario.

Ma Krautheimer osserva anche, giustamente, che Alberti si allontana da Vitruvio su due altri punti importanti: 1) Alberti intro duce tre celle suddivise orizzontalmen te su entrambi i lati della navata centrale, invece di una suddivisione verticale (per questo I'uso del plurale "cellis" invece del singolare "cellae" è cruciale nel testo citato); 2) Alberti aggiunge delle tribune, o absidi. Ritornerò su questi due punti fra poco. I due diagrammi della ill. 6 dimostrano in forma grafica - credo per la prima volta - la precisione dell'interpretazione del testo vitruviano in Alberti (cfr. ill. 1, 2, 6).

Ma ora torniamo alla gvandeuv delle costruzioni etrusche. Se condo Krautheimer, che ricostruisce una pianta quasi identica a quella illustrata qui nello schema di destra della ill. 7'o, i muri trasversali e le absidi del tempio etrusco albertiano nascerebbero dal tentativo di fondere il tipo vitruviano a tre celle con la pianta di alcune delle piu ricche strutture romano-etrusche di cui si è detto. I1 piu importante di questi prototipi non era il tempio di Giove Optimus Maximus, ma la basilica di Costantino e Massenzio; e in ef~etti la pianta di quest'ultimo edificio, come si conosce oggi, spiega due elementi nel tempio albertiano che non derivano da Vitruvio: le triple celle create dai muri trasversali sui due lati della navata, e le absidi'"

Ma ci sono delle differenze importanti. Innanzitutto I'area della basilica non è impostata su un rettangolo di proporzioni 6:S~ ma ~:3. I1 portico, se così si può chiamare, è molto stretto - solo 1/14 -irca della profondità totale dell'edificio - e non è colonnato. Inoltre, I'entrata su un lato sarebbe stata incompatibile con la nozione ilbertiana di simmetria: in quel punto ci vorrebbe piuttosto una erza abside, e, naturalmente, I'entrata principale dovrebbe essere lal portico. In compenso, il rapporto fra la larghezza dei due sisteni di celle laterali e la navata centrale segue I'indicazione vitruviala (3:4:3). È solo in questo, e non è molto, che la basilica di Mas;enzio può dirsi "etrusca" in termini vitruviani, cioè, conforme al-

In conclusione, si sono visti tre diversi fenomeni "etruschi": 1) la formula del tempio etrusco in Vitruvio, che Alberti ha interpretato; 2) I'interpretazione albertiana: Alberti aggiunge al modello di Vitruvio le cappelle laterali e le absidi; 3) alcuni edifici piu complessi che discendono geneticamente dal modello albertiano. Ri marrebbero da affrontare numerosi argomenti importanti: ad esempio, il tempio etrusco nell'interpretazione di altri vitruviani del Rinascimento, come Cesariano, Cosimo Bartoli o Daniele Barbaro; temi e motivi toscano-etruschi in questi autori, e in Serlio; il rapporto fra la pianta del tempio etrusco e I'ordine toscanico; infine, se si vuole, il piu vasto argomento del prestigio architettonico del mondo etrusco nella cultura rinascimentale. Se la mia ricostruzione nella figura 14 è giusta, bisognerebbe anche considerare una possibile influenza del tempio etrusco di Alberti sul barocco romano .

A questi cinque tipi canonici Leon Battista aggiunge poi (alla fine del capitolo IV del libro VII) il tempio tuscanico ("vetusto Etruscorum more") reinterpretando in chiave moderna la fabbrica delle "Tuscanicae Dispositiones" istituite nel libro IV del De architec-l tuva: I'edificio albertiano si articola su una pianta pressoché quadrata, lunga 6 "partes" e larga 5, suddivisa in una porzione "àntica" riservata al portico (detto anche "vestibulum", quindi pensabile sia come colonnato a giorno sia come atrio, come nartece chiuso) che occupa tutta la larghezza e 1/3 della lunghezza dell'edificio (è

cioè profondo 2 "partes") e una "postica" destinata a ospitare la cella: una navata centrale ("ambulatio") coronata da un'abside ("tribunal", ragionevolmente semicircolare) e da tre cappelle ("cellae minusculae", di impianto pressoché quadrato) per ciascuno dei due lati della navata medesima, la centrale delle quali (caplelle) è poi dotata di un'ulteriore abside ("tribunal") sulla parete ~i fondo (articolazione che fa, così, assumere al complesso postico ~n accentuato aspetto cruciforme). Dal punto di vista proporzionale, alla navata vengono attribuiti i 4/10 della larghezza globale iel tempio, riservando a ciascuna delle due terne di cappelle laterali una larghezza pari ai 3/10.

~ ]. L'Et,uiicL rrl ib Reiotimorltiu,,r rreb settimo srcolo. La cultura della primitiva colnuniti sul Xcptimontiulll- corrispondrntc all'ingrosso con I'etl dej -1>Pirni Rc - venne radicallncntr, nlodificata, si crcde, n~1 srttimo secolo e forse anchc prinla. all'al>parire deg·li E:truschi nella storia, i quali trasnriscro afili abitatori dri settc colli i prirni c·lelllcnti dnrevoli <li civilta. I Romani stesRi così pienalnentt· credevano nella originc· etrusca dclla loro citt$, che nornolo. il rel,ntato fontlatore della Korr,n c!trccdicLtrL del Pala-

tino, fu dctto a~crnct ~cfnato i limiti con riti picnanrcnte etruschi (Etrusco Inorc) ; in altrc I>arolc, tli averlc <lats la forlna quadrilatera clellc anticho colunic· tcfrrt·lllare. I'urc· la origilli tli clnrsto popolo Htraordinario sono avvolte i~l ~~11 Illistoro I,iì~ I>rofolldo di quelle di quallulquo altr~t clclle rai,zo clltr contribnirono ;r forrnare quclla corlll,lPssa u!lit~ che fu Iloll~a.

La teoria. piu univcrsahrlcntc accolta, chtr risalc a ~rodoto. desjgna gli Etruschi comc lm popolo asiatico, venuto dalla Lydia in scguito a, spostamenti ignoti alla storia, e avviatosi sulle coste occidentali tl'ltalia. ovc·, essendo d"tato di cultura evoluta, I>resto accjuistcì suprcnlazia su la piu rozza Fente italica. La data tlella. loro conll,arsa ill Italia. b stata varia~nene attribuita, al 1500 circa a. C'. da ~-itluarclo 1Meier, per esernpio, e al 1000 da Purt~ianglcr, il rlualo li farcbhe abbandonarc 1'Asia Mj,,,, nll'inixio drll'ct:i. del frrr<, ill Italia. IJiìI recenti ricc·rche

sernbrano rnostrarc che vi sia niente tli nettamentc, etrusco ill Etruria prima dcl nono secolo a. C'., rncntre alcuni autori lirnitano il ]ieriodo della esl>ansionc ctrusca ncll'ltalia ccntralc al settirno o wl sesto sccolo a. C.'

L'influcnza etrnsca a Ilonla ì· nn fatto accertato tli illlportanza capitale. ICla vi eran anchr ben altri popoli adcsso dimenticati oppuie co~npletanlentp posti nrll'ollll>ra dnlla maggior fama degli etruschi, il cui svilu~,l>o culturale deve avc·r effualmcnte avuto irnportanza per quello tli Rolna e dell'Italia. Tali erano, ad esempio, i Pabisci, #li antichi abitatori dell'aner Pal-cus, un distretto a nord di Roma, che aveva a Paleri Veteres (C)ivita Castellana) la sua capitale. È stato recenternente "sservato che le imponenti facciate di roccia delle tombe dell'Etruria centrale, alcune delle quali hanno traccie di ben scolpiti ornati, differiscono da quelle del tipo Faliscio (( che pur presentando qualche ammirevole ed oriRinale, sebbene raro esemplare di portali scolpiti, appartengono tutte alla forma a portiuo e differiscono dal preciso tipo ctrusco ". Cna scuola di moderna arUheologia effettivamentc ritienc chc gli Etruschi debhano piu ai Falisci di quanto questi vadan debitori a yuelli. Ueve ad ogni rnodo esservi stata una assoluta interpenetrazione delle dut· culture, ma al tempo in cui gli Etruschi escrcitan Ic loro influenze sul suolo rornano Uembra che alubiano assorbito i E'alisci, i quali sopravvivono nella storia 8olo tli nonle. Per un lungo periodo sembra che gli Etruschi si siarr contontati di restarp a nord del Tcvere, costretti forsc a qucsta I,osiziono tla cjuella sentinella avanzata clellc I>opolazioni Latino-Sabelliche che doveva trasformnrsi nclla citt~ di Konla. Etcconti scavi srnlbrano dimostrare che In cI>oca assal rolnota nhhian avanzato sino al Monte Mario, ovc anticllc tonll>~ r·truscht· o cluclle che appaiono come traccie di una colonia ctrusc·a furon trovate al diBopra delle ricordatr r"vine conlc datanti sl>parcntc·rnr,nte dall'ctj dcl Bronzo (p. B).

# 2. 1 ~Pnr~uilrii a Roma. - ~ì~ incerto quando o colne Rli Etnlschi precisamentc varcassero il Tt:vrre Ma ad una data che pnr tra smessaci dalla leggenda, seml>ra accordarsi abluastanza hcne coi fatti, troviamo la dinastia FJtruscu, cioè Tarrluini, dornlnantr a Roma in luogo drgli antichi rr dcl Septinlontium. Pnò darsi che il primo raggruppanlento Etrusco fosso sul (lampidoglio con i suoi ducl colli, località chc rimanr, intinla~ncnte connessa alla religione e alla storia Etrusca c non scllrlura aver costituito una parte integrale tlella I>rilllitiva citt8. I)i clui gli Etruschi gradatarnente si cliffusero sul Reptil!lontiuur, yiu mcdiante

pacifica penetrazione che violenta conquiuta, riunendolo in una sola città, suddivisa per scopo di governo, in quattro sezioni (la leggendaria città Serviana).

Essi circondarono la città di un pornaerium o fossato, tracciato come sempre dagli auguri, e probabilmente anche di mura di cinta, ogni tanto forato da porte allr, rluali possialno attribuire alcuni antichissimi pezzi di muratura nelle mura assai posteriori, già identificate come di Servio. Quando gli Etruschi ebbero dato forma materiale alla città, procedettero ad ornarla di tutti quei doni d'arte e d'architettura ch'essi avevano recato seco dai loro luoghi d'ori#ine. Ai rozzi bastioni di creta e alle palizzate di paglia o cannicci sostituirono mura di pietra ben lavorata, e alla prirnitiva caprtnr,n col foro centrale pel fumo del focolare, I'aedes o casa di solida pietra, con I'atrio aperto al cielo. Ma il dono mausirno che gli Etruschi fecero ai Romani fu quello del sistema teologico che gradatanlente superò ed assorbì la semplice, anirnistica religione dei prillli abitatori, i quali non conoscevano che il culto all'aperto di numina, entro sacri recinti. Gli dei introdotti daffli Etruschi richiedevano templi e sacrari, i quali insieme alle tombe o case dei defunti, sono le forme di costruzione alle quali I'uomo ha prodigato la sua massima ingegnosità artistica. Furono appunto gl; Etruschi i quali impressero all'architettura Romana molte delle sue piu durevoli caratteristiche, come I'alto podium dei templi, prima affermazione del principio del verticalismo nell'Europa occidentale, e la tomba circolare; ambedue queste forme derivano dalle primitive terremare, e ad esse gli Etrnschi attribuirono importanza monumentale.

~ 3. ~empio di Giove Cccpitoli·no. - I1 primo tempio costruito dagli Etruschi in Roma tenne sempre il posto piu eminente tra gli altri, sino alla fine del dominio pagano della città. Esso si ergeva sul Campidoglio ed era dedicato alla suprenla triade Etrusca degli Dei : Giove, Giunone e Minerva (fig. 10). A questo culto Capitolino della triade celeste corrisponde la triade terrestre di Cerere, I~iber e Libera, il cui tempio sorgeva presso il Circo Massimo.

I resti grandiosi del tempio Clapitolino sono tuttora visibili nel giardino del Palazzo Caffarelli. La parziale demolizione del Palazzo permette oggi di vedere chiaramente che la parte ancora esistente è il podium del tempio originale dei Tarquini' La soprastruttura calcolata a circa 204><188 piedi Italici, ì:

~corn]>arsa senza lasciare alcuna traccia, sicchè non ci rimanr che ricostrnirla sctcondo la classica tlescrizione di un tempio Toscano in Vitrovio c clallc vcstigia di vari Capitolia, sorti jn epoca piu tarda in diverse parti tl'Italia, ad imitazione del Campidoglio Rornano. Un vestibolo spazioso con tre colonne latcrali <: sei di fronte conduceva alle tre celle parallelt·, le cluali insjemt formavano un quadrato' I1 tenlpio Capitolino fu ripetutamente distrutto dal fuoco ma sempre fu riedificato secondo i piano oriffinale anche se i particolari ne vennero volta a voltzl modificatI. La decorazione I>rilnitiva era nclla terracotta viva cemente colorats, carattcristica drll'arte E:trusco-T~atina. Una quadriffa di trrracottn stnva sopra la cusliide, Ina in quell'epoca

 

 

 

 

 

 

 

 

L'architettura domestica e quella religiosa hanno origini e caratteristiche comuni. Delle forme assunte dalla casa si tratterà piu avanti parlando della vita etrusca'. I1 tempio che da principio si identifica, come nel mondo paleoellenico, con la casa rettangolare con tetto a spioventi e senza portico (documentata da modellini votivi e dai resti di un edificio scoperto sull'acropoli di Veio) assume poi forme piu complesse parzialinente parallele a quelle del tempio greco. I1 tipo che VITRUVIO (de archit. Iv, 7) attribuisce agli Etruschi è caratterizzato da una pianta di larghezza poco inferiore alla lunghezza, con la metà anteriore occupata dal portico colonnato e la meta posteriore costituita da tre celle, per tre diverse divinità, o da una sola cella fiancheggiata da due alae o aperti. Resti di monumenti scavati

Pyrgi, ad Orvieto, a Fiesole, a Marzabotto dimostrano che questo schema ebbe effettivamente una vasta e durevole diffusione in Etruria dalI'età arcaica sino a quella ellenistica: esso appare anche a Roma nel tempio di Giove Capitolino, la cui prima edificazione risale ai tempi della dinastia etrusca dei Tarquini. Ma senza dubbio si costruivano anche edifici sacri piu vicini, nel loro schema, al tempio greco, e cioè con pianta rettangolnre allungata e colonne in facciata (prostilo) o addirittura con colonnato continuo su tutti i quattro lati (perirtero): esempi cospicui

ambulacri a Veio, a Pyrgi, acl Orvieto, a Fiesole, a Mnrzabotto dimostrano che questo schema ebbe effettivamente una vasta e durevole diffusione in Etruria dalI'età arcaica sino a quella ellenistica: esso appare anche a Roma nel tempio di Giove Capitolino, la cui prima edificazione risale ai tempi della dinastia etrusca dei Tarquini. Ma senza dubbio si costruivano anche edifici sacri piu vicini, nel loro schema, al tempio greco, e cioè con pianta rettangolnre allungata e colonne in facciata (prostilo) o addirittura con colonnato continuo su tutti i quattro lati (periptero): esempi cospicui

ne sono il tempio piu antico di Pyrgi e quello del1"'Ara della neginn" a Tarquinia. La originalità dei templi etruschi non consiste comunque tanto nella loro concezione planimetrica quanto piuttosto nel materiale, nelle proporzioni e nelle forme dell'alzato, nel genere della decorazione. Si è già detto che, all'infuori delle fondazioni, essi dovevano essere costruiti di materiali leggeri, con impiego del legno per le ossature portanti e per la travatura. Ciò comporta uno sviiuppo relativamente limitato in altezza (quale appunto risulta dalle misure del tempio "tuscanico" secondo VITRUVIO), larghi intercolumni, tetto ampio con notevole sporgenza laterale delle gronde. La travatura lignea esige una protezione con elementi compatti ma leggeri: donde I'uso universale di rivestimenti di terracotta policroma', che si sviluppano in vivaci sistemi decorativi geometrici e figurati con placche di copertura longitudinale o terminale delle travi, cornici, ornati della estremità dei coppi (antefisse) e delle sovrastrutture del tetto (acroteri). RZvestimenti di ?nelallo (VITRUVIO, 11, 3, 5) deObono considerarsl eccezionnli e li,nilnti a piccoli edijici di specinle ricchezza.

I1 frontoae era in origine aperto, lasciando visibili in facciata le strutture della gabbia del tetto; solo piu tardi si adottò il tipo del frontone chiuso, decorato con una composizione figurata come nei templi greci.

Queste varie caratteristiche del tempio etrusco trovano indubbi riscontri nella primitiva architettura greca e, come si è detto, parziali paralleli nel tempio greco arcaico e classico. La differenza sta nel fatto che il tempio greco sin dal vIr secolo av. Cr. tende a trasformarsi in un edificio monumentale pressoché interamente costruito di pietra, con una sua propria ed inconfondibile evoluzione delle forme architettoniche; mentre il tempio etrusco resta sostanzialmente fedele alle tradizioni dell'architettura lignea. sino alla piena età ellenistica, accentuando, se mai, I'esuberanza decorativa dei rivestimenti di terracotta. I quali offrono, specialmente nel vI e v secolo, varieta di concezioni e sviluppi: per esempio nel tipo delle lastre di copertura longitudinale dei travi che possono formare fregi f~gurati continui a rilievo di ispirazione greco-orientale (cosi detta "prima fase" o "fase ionica") o possono invece presentare una semplice ornamentazione dipinta con forte sviluppo della sovrastante cornice in aggetto, come nei sistemi decorativi fittili della Grecia propria e delle colonie dell'Italia Meridionale e della Sicilia ("seconda fase" o "fase arcaica"). Quest'ultimo tipo si afferma a partire dalla fine del vI secolo, in coincidenza con il momento di maggiore splendore dello sviluppo dei templi etruschi, caratterizzato anche dalle antefisse a conchiglia, dalle decorazioni frontali a rilievo distribuite sulle placche di nvestimento delle testate dei travi lunghi, dai grandi acroteri figurati: esempi caratteristici il tempio di Veio e i templi di Pyrgi: Lo schema decorativo così formato sarà poi seguito con poche modifi zioni nei secoli successivi. La sola novita r vante è I'introduzione del frontone chiuso corato con una composizione figurata unica ~ maniera greca, di terracotta e in altorilie esso appare già forse nel v secolo, ma è noto soprattutto a partire dal Iv secolo Tarquinia, a Talamone, a Luni ("terza fase' "fase ellenistica"). Parlando delle forme e rivestimenti del tempio etrusco, non si può 1 scurare il fatto fondamentale che i medes: caratteri e sviluppi si riscontrano nei templi territorio falisco e laziale e, sia pure con qc che differenza, in Campania: talché può parl~ di una comune civiltà architettonica dell'It~ tirrenica a settentrione dell'area direttame: toccata dalla colonizzazione greca'. L'affermc del tipo del tempio di pietra, in sostituzic delle tradizionali strutture lignee (sotto I'influ greco, ma pur sempre con forme peculiari), a' luogo progressivamente, sotto I'inffusso dei n delli greci, nel corso del Iv secolo e dell'età lenistica 2

2 Colonne di p2etra in luogo di coloane liynee sembn -(t attestate nel aue templt di Pyrgt: cfr. Archeologfa C

Cal'· VIII - Letteratura e arti

I1 predominio di elementi di ispirazione arcaica anche in opere di età molto recente si osserva del resto in tutti i motivi della decorazione architettonica etrusca, quali appaiono nelle costruzioni di pietra ed in quelle di legno e terracotta, e nelle loro innumerevoli riproduzioni ed imitazioni dell'arte funeraria e votiva. VITRUVIO parla di un "ordine tuscanico" distinto dagli ordini dorici, ionici e corinzio dell'architettura greca. Esso era caratterizzato da un tipo di colonna che si vede effettivamente impiegato nei monumenti romani e rappresenta una variante della colonna dorica, con la stessa forma rti capitello ma con il fusto liscio e con un basamento. La sua origine etrusca è provata da testimonianze che risalgono all'età arcaica: di questa forma era, verisimilmente, la maggior Darte delle colonne lignee dei templi e degli edifici civili. Si tratta in realta di una sopravvivenza ed elaborazione del tipo detto "protodorico" (fornito di plinto sagomato, con fusto senza scanalature e sensibilmente rigonfio, con capitello a cuscino bombato), che nel mondo greco primitivo era stato prestissimo sostituito dalla colonna dorica vera e propria. Ma accanto a questo tipo vediamo diffuso in Etruria anche un genere di colonne e di pilastn con capitello a volute floreali, semplici e composite, che trova la sua ispirauone nei capitclli orientali siro-ciprioti e nei cupitelli cosi detti "colici" dell:1 Glecia orientale': genere, aIlch'esso, precocemente scomparso

1 A. CIascA, I1 capitello detto eolico in Etruria, 1962.

Etruscologia

nel mondo -eco, con I'affermarsi del capitello ionico. Modanature di impronta arcaica, con dadi, cordoni, "campane", "gole", appaiono dominanti nella sagoma di basamenti e coronamenti di edifici, altari, cippi, ecc.; mentre la incorniciatura di porte e di finestre sottolinea gli stipiti sui lati del vano rastremato verso 1Qlto e il sovrapposto architrave sporgente che, in epoca piu evoluta, si piega alle estremità nelle caratteristiche " orecchiette ". La ornamentazione rion figurata delle cornici, dei coronamenti e degli altri elementi delle sovrastrutture degli edifici appare dominata da motivi a foglie stilizzate, trecce, palmette e fiori di loto, spirali, meandri, ecc., di prevnlente ispirazione ionica. I1 sistema del fregio dorico con metope alternate a triglifi sembra diffondersi soltanto dopo il Iv secolo; ma spesso, in luogo dei triglifi, s'incontrano veri e propri pilastrini ]

I documenti dell'arte figurata in Etruria provengono quasi esclusivamente dai santuan e dalle tombe. Ciò non si deve soltanto alle circostanze di conservazione e di scoperta. La ispirazione religiosa e funeraria della produzione artistica sembra in vero qui, piu che altrove, prevalente su quella profana: mancnno, in ogni caso, pressoché totalmente le testimonianze di un'arte moaumentale intesa ad

L Se questn sia zLna pnrticolnre trnsfonnazione elruscn, in senso "veristico", o nltcR'essct una persistenzn di modelli protoellenici, non è lacile aecidere. Per la seconda ipotesi clr. P. ZANCANI I\IONTUORO, in Palladio, IV, 1940, p. 49 sgg.

Cap. VIII - Letteratura e arti

esaltare o commemorare nvvenimenti storici o benemerenze civiche, come nella grecità classica e nel rnondo ellenistico e romano. Si I>otrebbe, a questo proposito, istituire un certo parallelo con la prevalente ispirazione reiigiosa della letteratura. D'altro canto i tenaci legami dell'arte con la religione e le predisposizioni generalmente concrete - vorremmo dire utilitarie della mentalità degli Etruschi ostacolano nettamente quel processo che si avverte, piu o meno definito, nel mondo greco verso una considerazione autonoma del fenomeno artistico, quale attività non soltanto pratica ed etica, ma anche estetica. Questa incapacitj di avvicinarsi ad una valutazione delïarte come arte - comune del resto a tutte le civiltà preclassiche - spiega perché la produzione figurata etrusca conservi generalmente un carattere applicato, artigianale, decorativo e non assurga, se non eccezionalmente, al livello di quella che suol definirsi "grande arte": e cioè alïopera personale di artisti consapevoli delle loro capacità creative e socialmente apprezzati. Di un solo artefice etrusco ci è pervenuto, infatti, il ricordo attraverso la tradizione letteraria (VARRONE, in PLINIO, XXXV, 157): e cioè del modellatore Vulca, di origine veiente, che lavorò pure a Roma nel vI secolo.

Una breve rassegna delle categorie di monumenti superstiti secondo le loro tecniche potrà Phi:ll.il.P nllF~StP rnnsid~rn7inn; nrpliminar; T.1

di Salerno al sud. L'Etruria non ha ancora cominciato la sua as~ a grande potenza; la sua età dell'oro non è ancora nata!

Tre porte immettono in ogni città, fra cui superbi ornament saranno in Jeguito tre edifici sacri: templi, primi nel paese tempio etrusco C una creazione a sé. Dà un'impresslone di pesan za e di robustezza, è largo e quasi quadrato. Alla base c'C un mo religioso spesso consacrato a una triade divina, contiene quindi che tre nicchie per il culto. Le colonne di tipo dorico, ma con zoccolo, orlano sempre e soltanto la fronte. Vitruvio, architett ingegnere del tempo di Augusto che poté ancora vedere con i I occhi gli edifici sacri degli etruschi, li descrive come "severi e n sicci, con un tetto sporgente e un frontone pure aggettante retto robuste colonne".

I greci non costruivano così. Non classici, di una maestà arca i templi d'Etruria echeggiano modelli del vicino Oriente. A Kho bad sull'Eufrate, la metropoli del re assiro Sargon 11, venne alla 1 un rilievo dell'vIrI secolo raffigurante un tempio: si trovava a Un - uno stato sul lago Van vicino all'Ararat della Bibbia - e mol una somiglianza sbalorditiva con il tempio etrusco: costruito su alto basamento, presenta sul davanti quattro colonne sorreggenti tetto-frontone piatto e triangolare sopra il vestibolo.

Anche in Etruria il tempio si levava sopra un alto podio, e v accedeva, solo dalla parte anteriore, per una scala. Altrimenti chc Grecia, non v'era una cella da cingere con gradini da ogni lato. chitettura e rilievi si conformavano quindi all'entrata unica: sic a un palcoscenico, il tempio si presentava frontalmente in tl il suo ornato alla vista dei fedeli.

" Tutto il peso era posto nella facciata, " nota il professor Raymc Bloch, "il che porta a un radicale mutamento di prospettiva. L chitetto greco pensava al monumento come a un tutto, quindi I dava particolare risalto a una parte sulle altre; in Etruria, e tardi a Roma, contano meno la struttura generale e le proporzi del tempio che non I'effetto prodotto dalla parte frontale sul < dente o sullo spettatore. Questo viene a determinare una profor caratteristica dell'architettura italiana: la tendenza a perseguire effetto decorativo immediato. "

L'aspetto incredibilmente variopinto e mosso della decorazic - che nulla ha in comune con I'armonia dell'Ellade classica - o tribuirà poi a rafforzare I'elemento esotico dell'edificio sacrale et sco. Statue colorate di divinità a grandezza naturale e rivestime in rilievo di terracotta ornano frontone, sommità e cornicione c

i'ampio tetto; motivi di loto e di palmette abbelliscono il profilo del tetto; fregi variopinti, sui quali procedono teorie di esseri favolosi, combattono guerrieri o danzano strettamente intrecciati sileni e ninfe, adornano le pareti. Teste di menadi e di meduse, di geni e demoni, guardano dalle antefisse, piccoli e grandi tegoli frontali.

D'uno splendore stridente di rosso, bianco, blu, marrone e violetto, popolano il tempio figure d'una inquietante mitologia, in una vera orgia di forme e di colori, in atteggiamenti minacciosi, gli occhi fissi in un'espressione malvagia, i denti arrotati in una smorfia. Domina qui una fantasia sbngliata, rivelatrice di una voglia di favoloso che accosta al grottesco il sinistro e il terrificante.

Con il loro santuano gli etruschi hanno offerto un modello a tutta 1'Italia: e il primo grande e celeberrimo tempio di Roma - quello di Giove Capitolino - costruito da architetti etruschi, pomposo di colon e preziosamente adorno, avrà appunto tale forma. Piu di cinque secoli dopo - tramontata ormai da tempo la potenza gloriosa d'Etruria - gli ultimi resti di questa fastosa e superba architettura sacrale continuano a suscitare ammirazione. "Di terracotta erano infatti le piu famose immagini delle divinità,, scrive Plinio il Vecchio, pieno d'entusiasmo, nel I secolo d.C. " Ancor oggi se ne trovano alcune in parecchi luog·hi. In Roma stessa e nelle borgate vicine si vedono tuttora sui frontoni dei templi mirabili lavori scmidiruti, conservati con piu cura dell'oro a causa dell'arte e della loro particolare imponenza. "

Anche gli edifici pubblici e le ville sono, come i templi, affrescati a vari colori e adorni di rilievi e di terrecotte. E anche la loro architettura non è greca: si è diffuso un tipo di casa assolutamente nuovo, la celebre casa ad atrio antenata della casa romana.

Un vestibolo coperto, in cui la luce cade dall'alto e I'a< vana si raccoglie in una vasca - I'atrio - accoglie il visitat porta alla stanza principale, di faccia all'entrata, dove sta per il fuoco e per I'acqua. Accanto, a destra e a sinistra, I due altri vani. I1 tetto a frontone è retto da colonne. " Ne zioni, " scrive degli etruschi Diodoro Siculo al tempo di " essi crearono I'atrio per bandire il chiasso dei servi. " I1 ml struttivo si rifà anche qui, come nel tempio etrusco, a forme toniche del vicino Oriente, in Asia minore e in Siria.

La denominazione romana di atrium tuscanicum consel7· il nome dei suoi creatori; e pure il termine atrium è di ori~ sca: significa " cortile, o anche " porto ", e si trova in alc nimi. "Hatria", si chiamava una città etrusca alle foci che diede il nome al mare su cui s'affacciava, 1'Adriatico.

La disciplina etrusca conosceva probabilmente tre tipi di libri sul destino: i libri Hauruspicini, che trasttavano del vaticinio mediante I'esame del fegato delle vittime sacrificaliI'esame del fegato delle vittime sacrificali; i lib7i fulgtlrales, che si occupavano dell'interpretazione dei fulmini; e i libn ritualcs, che abbracciavano un campo vasto e molteplice, comprendendo leggi cultuali, prescnzioni per la fondazione di città - secondo enumera Festo - consacrazione dei luoghi sacnficali e dei templi, e inviolabilità dei recinti. Inoltre leggi sopra le porte cittadine, la divisione in tnbu, curie e centurie; la composizione e I'organizzazione delI'esercito e tutto quanto ripuarda la pace e la guerra.

Dei libn ntuali facevano inoltre parte anche i libri fatales, sulla divisione del tempo e la durata della vita degli uomini e dei popoli; i libn' ache7ontici, sul mondo dell'aldilà e i riti della salvazione; e infine regole delucidatorie di miracoli e simboli, ostentaria, che stabilivano le penitenze da affrontare per stornare un malanno e proplzlarsl le divinità.

Una dottrina tanto varia e onnicomprensiva abbisognava di uno studio lungo e severo. Sorsero così scuole particolari (fra le quali si distinse per fama sin dall'inizio quella di Tarquinia), che provvedevano a questo tipo di cultura specializzata. Erano ben piu che seminari per sacerdoti in senso moderno: dato il complesso dei loro compiti erano per così dire delle università con le loro varie facoltà. Accanto alle le~gi religiose - alla teologia, cioè - il piano di studi comprendeva anche la mediazione di un sapere immenso e profondo indispensabile all'ufficio sacerdotale, che andava dall'astronomia e meteorologia alla zoologia e alla botanica, fino alla geologia e alI'idraulica, nella quale si specializzavano gli aquilices, cioè i consulenti per i progetti idraulici. Competeva loro inoltre il repenmento delte falde acquifere e lo scavo dei pozzi, la costruzione di canaii, la canalizzazione e I'approwipionamento di acqua potabile alle città e I'irrigazione e il drenaggio dei campi; oltre allo sbarramento di laghi artificiali e a volte persino sotterranei, e agli impianti di scolo dei laghi naturali. Collaboravano in queste opere collegi saceidotali dotati di speciali conoscenze nel campo dello scavo di cunicoli sotterranei e nel traforo dei monti.

Come nell'Oriente antico, anche in Etruria scienza teolog;ica e scienza profana non erano separate; divino e terreno, sovrannaturale e naturale, cielo e terra erano concepiti come un tutto strettamente connesso. Ogni impresa o azione umana doveva essere in armonia con il cosmo; rivolto al cielo era quindi ogni sforzo dei sacerdoti di investigare la sacra disciplina conformemente alla volontà dei numi. L'orientamento e la divisione dello spazio erano dunque della massima importanza, per il vaticinio dal fegato animale come per la

fondazione di un tempio, per I'interpretazione di un meteorite come per la misurazione del terreno e la delimitazione di giardini e campi.

Cielo e terra erano divisi in quattro zone da due grandi assi invisibili, con direzione nord-sud ed est-ovest. Cardo si chiamava nella traduzione latina la retta nord-sud, decumanus I'asse trasversale determinato dal sorgere e calar del sole. Ogni rito importante, o~ni azione cultuale ruotava dunque attorno a tale spazio celeste e terreno, con le sue divisioni ben delimitate, il quale solo rendeva possibile al sacerdote di investigare e intendere i sepni dati dai superni. E in armonia con esso dovevano essere tutte le attività sacrali o profane intraprese sulla terra: poiché la buona e la malasorte, pensavano gli etruschi, stavano immutabili ed eterne, stabilite dalle cosmiche dimore dei numi, nelle quattro regioni.

Di queste, I'orientale era considerata di buon auspicio, poiché in essa si erano stabiliti gli dei propizi all'uomo; e soprattutto quella nordorientale, che prometteva la fortuna. Nel settore sud g-overnavano le divinità della terra e della natura; nelle squallide regioni d'occidente, invece (e particolarmente nel quarto fra nord e ovest, il piu sinistro), dimoravano gli esseri spaventosi e implacabili del mondo infero e del fato.

Nessuna città etrusca crebbe mai a casaccio, come accozzaglia progressivamente crescente di abitazioni umane. I loro fondaton fornirono agli italici, prima vissuti in abitazioni sorte disordinatamente, le norme fondamentali della costruzione di una città ancorata nel culto. La città fondata secondo ie leggi sacrali costituiva in Etruria una minuscola cellula del Tutto, armonicamente inserita in un ordine governato e determinato dai numi, onnicomprensivo.

I1 viso rivolto a sud, stabilito in cielo il nord-sud e I'est-ovest, diceva il sacerdote: a: auesto sia il mio davanti, questo il mio dietro; la mia sinistra e la mia destra.. Quindi incedeva solenne per il cardo e il decumano col suo liluus, il bastone pastoràle che Roma ereditò dall'Etruria e che ancor o~gi portano i vescovi delle chiese cattolica, anglicana e luterana di Svezia.

Nel punto in cui doveva sorgere il centro di una nuova città, si scavava una fossa molto profonda, quasi un pozzo, che fungeva da

leqame fra il mondo dei vivi e quello dei morti, e conduceva alle potenze dell'abisso. La si ricopriva poi di grandi lastre di pietra.

Come la volta celeste, di cui sembrava costituire la controparte sotterranea, fu chiamata mundus e considerata, a quanto informa Varrone, la ~ porta degl'inferi ". Tutt'intorno venivano quindi tracciati, con una cerimonja solenne, in vasto cerchio i confini secondo i riti

prescntti. In un giorno stabilito attraverso preeagi favorevoli, dicono notizie di Catone e di Varrone, il fondatore, vestito della toga, agpioga a un aratro, dal vomere di puro rame, un toro bianco a destra e una vacca bianca a sinistra. Egli traccia quindi un solco, guidando la vacca all'interno e tiene il vomere obliquo in maniera che le zolle siano rivoltate verso I'interno. La terra ammucchiata a questo modo indica le future mura della città, il solco il vallo. Nei luoghi stabiliti per le porte I'aratro viene alzato, perché le porte sono cosa profana, le mura invece sacra, così come tutto lo spazio definito dal solco, il templum urbano.

Oltre alla posizione del mundus, cardo e decumano, croce sacrale, stabilivano quella ben precisa delle porte e delle vie, deg-li altan, templi ed edifici. " Sulla poderosa acropoli, i templi,, dice Raymond Bloch, ~ erano orientati per I'appunto in direzione nord-sud, perché gli dei dalle loro nicchie potessero abbracciare con sguardo protettore tutta la città di cui reg;gevano i destini., E solo quando una città avesse consacrato tre templi, strade e porte, era considerata fondata secondo la legge.

A Marzabotto, vicino Bologna (la "Misa" fondata nel vI secolo a.C., I'unica città schiettamente etrusca tratta sinora metodicamente alla luce), è comparsa una rete stradale orientata appunto secondo le regioni celesti. Dinanzi a un tempio si trovò anche un mundus.

I romani impararono e fecero propn i riti etruschi per ~a fondazione di città. I1 ricordo della fondazione di una città secondo il costume etrusco - more etrusco - si riflette nella leggenda romana. Romolo per fondare Roma, informa Plutarco, fece venire uomini dall'Etruna che lo iniziarono come nei misteri religiosi e scandirono la procedura secondo i riti e ]e prescrizioni sacre. Come la leggendana urbs guadrata - la città che si pretendeva sorta sul Palatino - era considerata fondata su prescrizione etrusca, cosi anche I'accampamento romano nspecchia chiaramente il modello etrusco.

Come "una delle cose helle e importanti" descrive Polibio I'accampamento che i legionari ronlani costruivano con la massima accuratezza nelle loro spedizioni, sera per sera. Essi lo disponevano secondo un piano preciso: trovato il terreno adatto, il tnbuno vi piantava una bandiera bianca come punto di riferimento, secondo il quale doveva esser articolato tutto I>accampamento. I1 posto segnato con la bandiera, il praetorium, veniva occupato dalla tenda del co-

mandante con le insegne della legione. Subito dopo si tracciavano due strade rettilinee, che s'incrociavano ad angolo retto dinanzi al

praetorium. La via principalis correva dritta in direzione nord-sud,

corrispondendo così al cardo delle città, e portava alle due porte principali; I'altra si stendeva, come il decumano, da ovest a est.

L'influsso della cosmologia ntuale etrusca si rivela anche nell'importanza annessa alle porte nell'accampamento romano: quella verso levante - i buoni auspici venivano da oriente - la porta praetoria, godeva fama di portafortuna, onde attraverso di essa i legionari uscivano a battaglia; quella verso ponente, la porta decumana, era invece considerata portasfortuna, e da essa venivan fatti passare i condannati a morte per I'esecuzione.

Anche la fossa intorno era costruita mo7e etrusco. Durante i lavori di fortificazione si ammucchiava la terra verso I'interno a fornlare un terrapieno (agger), chiuso da una palizzata (vallum). Molte città romane di confine furono in seguito costruite secondo tale modello, con I'unica differenza che, in luogo del terrapieno originano, si avevano mura di pietra o di mattoni. Esempi di costruzione geometrica a pianta rettangolare offrono Torino e Timgad nel Nordafrica, fondata da Traiano nel Ioo d.C. al marg·ine del Sahara.

Ogni tipo di terreno - latifondi, campi coltivati e piantagioni sottostava in Etruria a leggi sacre. Due ricordi leggendari raccontano come esse furono un giorno rivelate. A Tarquinia si raccontava che Tagete stesso avesse insegnato a Tarchon le regole della limitatio, la misurazione del terreno; ]e quali poi sarebbero state tramandate in un codice dal titolo latino di "Liber qui inscribitur terrae iuris Etruriae ", cioe un codice di diritto agrario.

Prima di esaminare le vicende artistiche dell'Etruria, occorre ricordare alcuni aspetti fondamentali della religione di questo popolo. Su tutta la civiltj etrusca incombeva infatti il peso della religione che dominava molti aspetti dell'esistenza quotidiana. La concezione del divino nel mondo etrusco si differenzia profondamente da quella greca: I'uomo, infatti, provava un senso di infinita inferiorità di fronte alla potenza degli dei. Una minuziosa e rigidissima disciplina cultuale regolava i rapporti tra uomo e dio, la cui volontà doveva essere conosciuta, per essere scmpolosamente osservata, attraverso I'interpretazione delle viscere degli animali (soprattutto del fegato) e dei fulmini. Singolarissimo e interessante riferimento anche per le vicende architettoniche etn~sche è la partizione che si usava per suddividere uno spazio sacro: lo schema si chiamava templum e poteva essere applicato al cielo, a un luogo sacro, ma anche a una cittj o a un santuario, come a un fegato osservato per trarne auspici (fig. 30). I quattro punti cardinali erano uniti da due rette che venivano a incrociarsi ortogonalmente: da nord a sud correva il cardo, da est a ovest il decumano (i termini verranno poi usati nell'agrimensura e urbanistica romana, mostrando la loro connessione con la radice culturale ern~sca e italica). Si venivano a costituire due parti davanti e dietro il centro ideale: a sud la parte antica, a nord la parte postica, mentre, considerando la divisione in senso op posto, a est si aveva la sezione di buon auspicio (paus familiavis o sinistuu) e a ovest quella sfavorevole (pavs hostilis o dextva). Questo schema, che poi si suddivideva ulteriormente lasciando sedici spazi per le diverse divinità, serviva per interpretare presagi (fulmini, volo degli uccelli), ma trovava eco anche nella costruzione dei templi.

La tradizione degli studi etruschi sembra aver privilegiato I'analisi delle città dei morti rispetto a quelle dei vivi, approfondendo I'aspetto di questa civiltà comunemente inteso come il piu affascinante. In realtà, analizzando la storia dell'E~ruscologia, risultano numerosi gli studi sull'urbanistica e sull'architettura pubblica, religiosa e privata, senza tuttavia che si sia pervenuti finora a risultati esaurienti e chiarificatori. I1 fatto può essere spiegato tenendo presente che le particolari forme della religiosità etrusca portavano a privilegiare il monumento funerario: in realtà, in una società aristocratica la tomba diventava caratte-

ristica delle famiglie gentilizie, che in essa celebravano pubblicamente la pro-

pna stlrpe.

Per quanto riguarda I'urbanistica possiamo comunque notare che alcune città etmsche presentavano imponenti Ilnte difensi~e, i cui resti si vedono ancor oggi a Rosselle, Tarquinia, Volsinii, Vetulonia, Volterra, Chiusi, Cortona, Pen~gia, Fiesole, Arezzo. Per realizzare queste cinte (darabili tra il VI e il IV secolo a.C.) si costmirono muri possenti fatti di blocchi di pietra, prima disposti secondo I'ordine poligonale (parete composta da pietre parzialmente squadrate e giuntate a secco), poi elevati in opera quadrata (massi squadrati disposti a filari sovrapposti). A Rosselle si nota I'impiego di mattoni crudi (cotti al sole). E interessan~e inoltre notare che per le mu rAmP InrliP nPT ]P ?I~iP rACrnlii~ni

vengono usate pietre locali, ma m~iil marmo; le Yicine cauecai(l~rara inominciarono infatti a essere sfn~ttatrsalo nel periodo romana. Nelle cinte si aprivano porte che, nel caso di Volterra (fig 31) e Perugia, mostrano ancor oggi aperture ad arco. Si tratta di una stmttura architettonica di origine orientale, che gli Etruschi realizzavano con pietre, opportunamente tagliate a cuneo, che si reggevano per contrasto; la pietra centrale che teneva unite e a contatto tutte le altre era detta chiave.

L'arco etrusco si presenta come una

netta deviazione rispetto all'architettura 'greca, da sempre impostata sull'incrocio di colonna e trabeazione. Esso, inoltre, sta alla base degli sviluppi della grande architettura romana che, negli anni successivi, proprio partendo dall'arco, rivoIiiiinnn I'arrhirprriir~ rlP1 mnnrln Rnrirn

L'esempio finora piu chiaro di cui disponiamo per lo studio dell'urbanistica etmsca è rappresentato da Marzabotto, che è spesso stata considerata testimonianza valida per tut~e le altre città delle quali non abbiamo altrettanto sicure notizie. Posta sul fiume Reno, in prossimità di un guado, sulla strada che dal centro dell'Etruria conduceva all'antica Felsina (Bologna), Marzabotto venne rifondata su un piu antico centro all'inizio del V secolo a.C.; la città fu abbandonata alla fine del IV secolo a.C., pochi anni dopo essere caduta nelle mani dei Galli. Marzabotto presentava solo un aggere (bastione in terra), nel quale sono state ritrovate due porte. Al suo interno, la città mostrava una rigorosa partizione: una strada principale, che correva da nord a sud, era intersecata ortogonalmente da tre strade che creavano otto regioni, a

loro volta suddivise da vie in direzione nord-sud in isolati che venivano così ad assumere una forma rettangolare allungata (fig. 32). Le strade principali erano larghe ben 15 m (5 m di carreggiata e 5 m per i due marciapiedi laterali), mentre Le vie secondarie 5 m. Non è stato rinvenuto un vero centro, una piazza, ma i monumenti religiosi (templi e altari) erano posti su un'acropoli situata a nord-est ed erano orientati secondo la direzione nord-sud con le fronti verso meridione. È evidente che questo schema richiama molto da vicino quello greco, di origine ippodamea, dominaro dalla partizione che determinava isolati di forma rettangolare. Del resto le città greche fondate in Italia presentavano schemi ippodamei, indicando la diffusione di questo tipo di organizzazione urbanistica. D'altra parte non si può non rilevare

la funzione assiale dell'arteria nord-sud che poi, nel mondo romano, si incrocera con la perpendicolare centrale formando il sistema urbanistico fondamentale latino, basato appunto sull'incrocic di cardo e decumano.

Scarsi sono i resti di case ecrusche: notizie indirette sono fornite dalle tombe che, come si vedrà, riprendevano la struttura della casa. A San Giovenale, vicino a Cerveteri (Caere), sono state ritrovate antiche case appartenenti al VII sfcolo a.C.; in cluesta fase scomparvero le capanne ancora in uso nel Villanoviano e furono realizzate nuove abitazioni in mattoni crudi e sostegni lignei che si ergevano su una base in opera quadrata; il tetto venne solo in un secondo tempo ricoperto da tegole di argilla. Queste prime abitazioni erano costituite da forme e piante molto semplici, nelle quali lo

spazio interno era sempre strettamente connesso con un cortile.

Agli ultimi anni del VII secolo a.C., vanno datati i resti trovati ad Acquarossa, presso Viterbo. Vediamo definirsi, in queste testimonianze archeologiche, un tipo di casa che era organizzata sulla successione di tre vani, posti uno accanto all'altro, di cui quello centrale poteva fungere da vestibolo (fig. 33). Esisteva, tuttavia, un tipo di dimora nella quale le tre stanze affiancate erano precedute da un corridoio posto nel senso della larghezza: in tal caso esso fungeva da vestibolo e rendeva la pianta della casa assimilabile a un quadrato. La descrizione del tempio etrusco mostrerà la connessione dell'edificio sacro con questo tipo di residenza. Da questa antica struttura abitativa si sviluppò una casa che risultò, come specificano gli stessi autori latini

(Varrone, Vitruvio), la base della dimora pompeiana. A Murlo (Siena), dove è stata rltrovata una sterminata quantità di terracotte architettoniche (fig. 34 a e b), si sono rinvenuti i resti di un edificio che è stato interpre~ato come residenza signorile, palazzo di carattere anche pubblico, con un piccolo tempio al suo interno. La costn~zione, databile intorno al 580 a.C., al di là dei problemi di interpretazione ancora aperti, si organizzava comunque attorno a un cortile, in parte colonnato (fig. 35). A Marzabotto, case della prima metà del V secolo a.C. mostrano una forma che era la diretta ascendente della domus pompeiana. Alcuni esempi (fig. 36 a e b) presentano un impianto con uno stretto corridoio che dava su un cortile compluviato (con soffitto aperto e tetto inclinato in modo da permettere lo scorrimento e il

convogliamento dell'acqua piovana) che sul fondo presentava un vano aperto sul cortile e ambienti laterali: immediato è il richiamo all'atvium con il tablinum e le alae della casa romana.

Importante fu la determinazione delI'acropoli, stabilita come luogo sacro, spazio pubblico comune a tutta la cittadinanza. Qui è probabile che si osservasse il volo degli uccelli la cui interpretazione veniva tradotta in auspici. Sull'acropoli, a partire dal VI secolo a.C., incominciarono a comparire i primi templi.

A Veio, nella località di Portonaccio, gli scavi hanno messo in luce un notevole monumento sacro che raccoglie in sé tutti i caratteri del tempio etrusco completo. Su un'ampia terrazza sorgeva il santuario, dedicato a Menerva e forse anche ad Apollo e a Eracle (a divinità di origine etmsca che si erano contaminatee mescolate a contatto con I'Olimp greco). II tempio (databile al 500 a.C aveva forma quadrata, con lato da 18,5 rr misura ricavabile dalle fondazioni i: blocchi di pietra squadrati. La pianta d~ tempio mostra i caratteri tipici del mo numento sacro etmsco, così come lo de scrive Vitruvio. Netta era la divisione il due parti orizzontali: la parte antistant (pavs antica), che faceva da pronaos col colonne (qui forse due), precedeva 1 pavs postica divisa in tre sezioni, forse tr celle o un naos con due vani lateral aperti, chiamati da Vitruvio alae. Quest; stessa forma è visibile, per esempio, ne tempio del Belvedere a Orvieto (IV-II secolo a.C., fig. 37). Tale schema mo stra evidente la derivazione del templc etrusco dalla forma dell'antica cas; a tre stanze. L'alzaro di questi edifici che spesso erano costruiti in material

facilmente deperibili (terracotta, mattoni crudi, legno, pietrame), è ricostruibile solo attraverso i dati di scavo, le fonti storiche e i confronti con i modelli votivi. A Portonaccio, i muri e le colonne erano realizzati in tufo; le colonne pre sentavano I'ordine tuscanico, così come lo definisce Vitruvio, con capitello simile a quello dorico, fusto liscio e basamento. Tutte le parti del tempio erano ricoperte di terracotta, come divenne tipico dell'architettura templare etrusca, con profonda diversificazione dagli edifici religiosi greci; lastre variamente decorate (antepagmentu) ricoprivano la trabeazione e i lati del frontone (fig. 38); cornici terminali (sima) lavorate a traforo completavano i timpani; antefisse (fig. 39), decorazioni che erano poste ai limiti dello spiovente del tetto, nascondevano i v~ni ~pllp tP<Tnl~ T~li

acroteri, statue a tutto tondo di coronamento, erano generalmente posti ai vertici del frontone e al culmine del tetto. La costn~zione si presentava quindi come totalmente originale rispetto a ogni precedente architettura religiosa e soprattutto diversa da quella greca.

A Portonaccio, particolarmente interessanti sono le statue acroteriali che completavano il tetto, realizzate in terracotta a misura piu grande del vero e originariamente collocate lungo il columen (trave principale del tetto, fig. 40). L'uso di porre statue di divinità sopra al tempio equivaleva a indicare un temenos celeste, a precisare lo spazio degli dei. La presenza delle divinità, determinata dai loro simulacri, assicurava protezlone al luogo sacro sottostante. A Portonaccio, quattro grandi statue ornavano il tetro: Apollo (fig. 41), Euacle con la

cewu (fig. 42), Hevmes (fig. 43), Latonl con Apollo bambino che uccide il serpen te Pitone (fig. 44). Sembra che le imma gini dovessero essere osservate di profilc e ciò spiega i loro atteggiamenti. Esisteva inoltre una ben determinata sintass del racconto che legava le figure tra loro che faceva loro assumere atteggiament facilmente comprensibili considerandc le esigenze della narrazione, non sem plicisticamente spicgabili come devia zioni o incomprensioni dei modelli greci. Si tratta dunque di opere create da ur maestro che raggiunse alti livelli di qua lità artistica e tecnica, attivo a Veio, cen tro famoso per la produzione plastic~ della terracotta. Questo coroplasta indi ca chiaramente i legami che sempre in tercorsero tra arte etn~sca e greca, ir particolare ionica. I1 nusso e lo scambic continuo con i centri eolici, ionici, dell~

isole e della costa dell'Asia Minore d~ terminò opere come 1'Apollo di Veio: u houvus greco, dalle forme delicate e sf~ mate della statuaria ionica, che tuttavi si ~rasforma in un dio impegnato in u racconto finalizzato a precisi e loca scopi religiosi. Nel coroplasta di Portc naccio è forse riconoscibile VULCA, aTt sta veiente famosissimo, I'unico del qu~ le sia rimasto il nome, ricordato da P1 nio (Nut. Hist., XXXV, 157) come I'esi cutore delle decorazioni in terracotta dc tempo di Giove Capitolino di Rom; opera completata, secondo la tradizic ne, nel primo anno della Repubblic (509 a.C.).

Molti altri resti di edifici templari p~ lesano sensibili differenze e deviazioI dal modello ora presentato. Ad esempi a Pyrgi, il tempio 8 (circa 510 a.C.), pri sentava una peristasi completa (fig. 45

accanto ad esso, il tempio A (eretto nel 460 a.C.) mostrava, come del resto tutti i templi etn~schi, il frontone vuoto, con altorilievi che coprivano la testata del columen e i mutuli (testate delle travi, fig. 46): qui I'altorilievo riportava episodi della leggenda dei Sette contro Tebe. In seguito, dal III secolo a.C., il frontone venne chiuso con decorazioni fittili sempre ad altorilievo (fig. 47), secondo modalità che si avvicinavano a quelle delI'architettura greca. Altro carattere fondamentale del tempio era lo sviluppo del podio sul quale si ergeva il monumento. I1 podio, che incominciò a comparire nel IV-III secolo a.C., è ancor oggi visibile nel grandioso tempio dell'Ara della Regina a Tarquinia dove I'edificio sacro era sollevato da un poderoso basamento alto fino a 7,20 m (prima metà IV secolo a.C.) (fig. 48).

Solamente verso la fine del VI1 secolo e la prima meta di quello successivo appaiono i primi edifici di culto tipici della cultura etrusca, come quello scoperto a Veio nella zona della "Piazza d'Armi", sicura mente costituito da un unico ambiente, con un soffitto ligneo coperto da tegole ed altri elementi decorativi in terracotta.

Durante il primo quarto del VI secolo il primitivo nucleo dell';lfro dision di Gravisca, presso il porto di Tarquinia, presenta una piccola sala a pianta quasi quadrata con una suddivisione interna ed un in gresso. Nel corso del secolo il tempio si trasformò in un edificio ret tangolare, non rispondente ad una specifica tipologia, destinato ad ac copliere la statua di culto, e in cui le cerimonie religiose venivano ce lebrate nella zona che ospitava I'altare.

Gli scavi hanno permesso di confermare I'esattezza del modello di tempio etrusco descrittoci da Vitruvio, costruito a partire dal VI seco lo a.C. I tipi principali sono tre: a cella unica, a tre celle e ad ali latera li. II primo, derivato dagli esempi piu antichi a sala unica, presenta talvolta colonne in facciata.

Un tempio tipico del VI secolo è quello di Giove Capitolino, consi derato tra i maggiori dell'epoca ed edificato sul Campidoglio. Secondo fonti letterarie ~a costruzione, iniziata da Tarquinio Prisco e comple tata da Tarquinio il Superbo, fu inaugurata dai Drimi consoli della Re pubblica romana nel 509 a.C.

Distrutto da un incendio ne11'83 a.C., e ricostruito da Catulo a par tire dal 69 a.C., questo tempio era costituito da tre celle, ciascuna del-le quali destinata ad una divinit8 della triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva. Era costruito su un podio, e il pronao presentava sei colonne in facciata e tre in profondita che proseguivano ai lati formando una successione di sei colonne lungo i fianchi.

La datazione dell'edificio sembra confermata dal ritrovamento dei templi di Pyrgi, il porto di Caere. II piu antico di essi, il tempio B, ha s un'unica cella quasi quadrata, con quattro colonne disposte su due file sulla fronte e sei nei lati piu lunghi. I1 temaio A, noto per le sculture s conservate, aveva tre celle con quattro colonne sulla facciata. Attorno a questi templi si estendeva un'area abbastanza ampia che si apriva probabilmente verso il mare ed in cui si trovavano alcuni edifici religiosi collegati con il santuario, che costituiva il centro del culto. Sembra che nel periodo arcaico i templi etruschi sorgessero su un'area sa-

cra, urbana ed extraurbana, protetta talvolta da mura. All'esterno del santuario, e di fronte ad esso, si innalzava I'altare dove venivano sacri ficati gli animali. Le altre costruzioni erano disposte in funzione della piazza che circondava I'edificio. Generalmente la facciata e il tetto erano decorati con sculture monumentali, come il gruppo di terrecotte

532 architettoniche del Tempio di Portonaccio a Veio; tra di esse si distin guono le statue, piu grandi del naturale, conservate a Roma al Museo di Villa Giulia, rappresentanti la lotta di Herakles ed AT>ollo ed altri episodi del ciclo dell'eroe.

La decorazione architettonica del tempio etrusco comprende, in ge nere, lastre di rivestimento, con raffigurazioni animali inizialmente e piu tardi con personaggi. L'architrave presenta motivi floreali, mentre il tetto ed il suo culmine, protetto da tegole piane, L ornato con ante F~sse a forma di testa. Non sempre il frontone era decorato e I'orna mentazione plastica generale era completata da acroteri.

I santuari extraurbani sorgevano in prossimità di crocevia o di luo ghi di scambi commerciali come i porti (Pyrgi-Caere, Gravisca Tarquinia, S. Omobono-Roma) e, per tutelare le singole attivit~, ogni popolazione erigeva templi o edifici dedicati alle proprie divinità. Le offerte erano calcolate secondo una percentuale sugli scambi effettua ti; sono stati ritrovati però anche ex voto ed offerte di statue in bronzo e di ceramiche. Per garantire la loro funzione questi santuari sorgeva no in terra di nessuno.

Alla fine del V secolo, malgrado i mutamenti sociali avvenuti, il tempio conservò la pianta tradizionale, mentre la decorazione acqui stò forme piu monumentali. A questo periodo, e piu precisamente agli inizi del IV secolo a.C., appartiene il Trmpio dell'ilcropoli di Tarqui-

536 nia, conosciuto con il nome di Ara della Regina. All'interno di un complesso monumentale, si trova il tempio costituito da un edificio a cella unica divisa in tre parti: I'ingresso, la cella propriamente detta e un ambiente sul fondo; due corridoi laterali fiancheggiano la cella ed il pronao, che probabilmente presentava due o quattro colonne. Alcu ne iscrizioni ricordano I'esistenza di un collegio sacerdotale, deposita rio dei misteri del culto frno ad epoca imperiale. A questo stesso pe riodo appartiene il Tfmpio di FalPrii Veteres (Civita Castellana).

Uno dei templi etruschi, gia perb di età ellenistica, meglio conserva537 to è quello di Fiesole, del tipo a cella unica ed ali, preceduto da una 535 facciata molto semplice con due colonne in antis.

Nell'ultima fase del periodo ellenistico la decorazione ricopre com pletamente la zona del frontone; ne è un esempio caratteristico il Tempio di Tctlrtmone, i cui frammenti sono conservati al Museo Ar cheologico di Firenze. Sulla base di studi e di restauri recenti, la rico struzione proposta riunisce i resti che si riferiscono al mitico episodio della guerra dei Sette contro Tebe. Oltre a questa, si conservano poche altre testimonianze di tale tipologia decorativa: quella di VEtulonia e del Trmpio del Belvedere a Orvieto.

Con I'epoca ellenistica furono apportati nuovi cambiamenti alle strutture del tempio ed ai recinti sacri. 1 santuari extraurbani persero la loro funzione nell'ambito degli scambi commerciali; tuttavia una delle trasformazioni piu profonde fu di tipo strutturale e riguardò la colonna. Questa, con capitello dorico, echino, abaco e base, anche se

priva di scanalature, tipica degli edifici del periodo arcaico, ~ nota con il nome di colonna tuscanica, ed era ancora diffusa in età ellenistica insieme ad altri tipi.

Tra tutti si affermb la colonna con capitello a volute oblique che risalgono dalla parte bassa, e che ~ caratterizzata, come il tipo a volute unite al listello superiore del capitello, da una corona di foglie dal delicato disegno, dalle quali emergono teste umane.

 

 

la tradizione romana, testi che documentano la prassi seguita dagli

Etruschi nella fondazione delle città.

Secondo Cicerone i libri sacri degli Etruschi si dividevano in

tre parti - di cui I'ultima costituita aai · Libri rituales · -. Festo precisa: · Kituales nominatur Etruscorum lit>ri in quibus prae-

scriptum est quo ritu condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua

sanctitate muri, quo iure portae... ". Questi contenevano elencate quindi le re~ole ed i riti rélativi alla fondazione della città, al suo sistema di aifesa ed alla consacrazione degli edifici, riti giunti alla conoscenza dei romani e a noi trasmessi da vari scrittori (Catone "Origines·; Ovi-dio ·Fasti· IV, 825; Varrone "De re rustica" [I a). I trattati posteriori dei gromatici romani e soprattutto il " De limitibus costruendis " di Igino specificano i dettagli

della tecnica etrusca.

Non sta a noi ora fare un'indagine critica dei testi, studio filo-

logico che rientra nel campo della storia delle religioni: ci limiteremo a riferire, benchè sia molto nota ormai, la prassi seguita dagli Etruschi per la fondazione delle loro città, quantunque sia indubbio che la tradizione romana non sia scevra di cjualche ag-

giunta e variante.

La fondazione delle città presso eli Etruschi era preceduta,

secondo le ~orme dettate dai sacerdoti e dagli aruspici, dalla creazione del Mundus, pozzetto di forma tronco-conica (altare degli dei inferi, in contrapposizione all'ara consacrata agli Dei del cielo) nel quale si versava il sangue delle vittime o si deponevano le primizie delle stagioni. Tre volte all'anno, nei giorni consacrati agli Dei infernali,;eniva aperto, togliendo il lapis ma-

nalis che lo coprivn.

Nel giorno fissato dagli aruspici si tracciava il sulcus primi-

genius con un aratro dalla punta di bronzo trainato da una mucca e da un toro bianchi. La terra doveva riversarsi all'interno ed il

solco interrompersi in corrispondenza delle porte. Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetudine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo

alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinnto alla residenza veniva diviso (limitatio) in quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la "groma". Secondo il rito, la fondazione delle città si svoIgeva al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il "Decumanus·, era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis denrtnrrnn~lmpntp rrl nPPl~mRnllS Prl incrociantesi con

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solco interrompersi in corrispondenza delle porte. Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetu-

dine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari

nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo

alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinato alla residenza veniva diviso (limitatio) in

quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la U groma ·. Secondo il rito, la fondazione delle citd si svalgeva

al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il "Decumanus", era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis decursum". Ortogonalmente al Decumanus ed incrociantesi con

questo nel centro della città si tracciava I'altra arteria fondamentale detta "Cardo· o via cardinale. Altre strade di minore lar-

ghezza, tracciate parallelamente a queste, formavano delle insu-

lae rettangolari.

L'orientamento del sistema stradale variava da città a città

entro certi limiti in dipendenza del giorno della cerimonia di fondazione. Infatti, svolgendosi I'atto di fondazione al mattino, orientando il decumano sul punto di levata del sole ne veniva una variazione di orientamento secondo la stagione in cui la cittj era fondata. Però questa regola non si riscontra in tutte le città che gli scavi hanno messo in luce. Vuelle soprattutto situate su alture

oppure sul punto di confluenza di varie colline seguono le linee naturali del terreno.

Mentre per alcuni scrittori il solco sarebbe stato il primo atto di fondazione della città, per altri, per es. Igino, il tracciato interno avrebbe preceduto la determinazione del limite esterno della città. È probabile invece che il sulcus primigenius facesse parte del rito plu antico, quando, secondo I'uso, il limite delle città era costituito da una cinta circolare, forma piu facilmente eseguibile di qualsiasi altra e le porte dovevano essere in numero di tre (epoca compresa fra il X e 1'VIII sec. a. C.).

Quando, forse verso il sec. VII, fu introdotto il rito dell'orientazione delle strade, la cerimonia del solco rimase subordinata alla limitazione. Però, mentre il pomerium interno determinava la forma regolare della città, le mura potevano anche segmre un tracciato meno regolare. Su questo Frontino così si esprime: " Se la natura del terreno lo permette, ci si deve attenere alla regola, in caso contrario conviene seguire I'accidentalità del terreno·. Certo è che dall'analisi dei testi romani non è facile distinguere con esattezza quanto faccia veramente parte della tradizione etrusca e quanto invece sia dovuto alla rielaborazione della leggenda

o agli studi teorici dei gromatici.

Fra le cinte di mura che si conoscono la maggior parte ha tracciato vario. Forme tendenti all'ovale si riscontrano a Rossel le, Faleri-Novi. Contorni irregolarissimi presentano Volterra, Pe rugia, Veio e Tarquinia. Pochissime sono le città aventi le mura con tracciato quasi regolare (Ansedonia, Cortona, Saturnia).

Ciò che assume invece fondamentale importanza dal punto di vista urbanistico è il tracciato ortogonale-della rete stradale che, già in uso presso i popoli indigeni della nostra penisola, as sunse presso gli Etruschi con la limitatio un carattere ben chiaro e preciso, realizzato con tecnica ed arte meravigliose (Marzabotto, Norba, Veio, Fondi)

Marzabotto, La città il cui piano non è vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrazpposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusche.

Accanto ad un tipico adattamento al terreno, come nel caso di Vetulonia, le cui mura dell'arce sono incastrate nella cinta medievale e le cui vie si rivelano tort~lose, esempio questo caratteristico delle città di collina, troviamo Marzabotto: la città etrusca per antonomasia, quella il cui piano non vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrapposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusehe.

Marzabotto (VI sec.) distrutta dai Galli e poi abbandonata, oggi in parte ridotta dall'erosione del Reno, era difesa da una cinta fortificata di cui resta la porta orientale. Al di sopra della città I'acropoli con tre santuari, uno a cella unica, due a cella triplice. Appare chiaro in essa non solo lo schema impostato sul cardo e sul decumanus e determinato da insulae rettangolari, ma anche la tecnica seguita nelle opere stradali: vie ampie pavimentate, bordate di marciayiedi e dotate di uno sviluppato sistema di canalizzazione laterale. Le abitazioni, di cui restano solo le fondamenta in pietra a secco, erano costruite con mattoni cotti o con fango; caratteristici i comlilessi di piccoli locali raggruppati intorno ad una corte interna.

Questo rappresentn. I'esempio plu tipico; Veio, Felsina, Vetulonia, Capua, romanizzate, presentano caratteri ed elementi non sempre puri. Ercolano e Pompei etrusche non sono identificabili.

Non possiamo dire con certezza se i Fori che appaiono nella maSSior parte di questi centri siano veramente di origine e di impianto romano; sembra però, anche dagli studi piu recenti, che negli schemi etruschi il foro manchi e che piuttosto il centro civile e spirituale delle città sia rappresentato dal tempio.

Ogni città doveva possedere un luoao elevato (acropoli), interno od esterno alle mura, sul quale innalzare i templi e svolgere i riti dell'aruspicina, un luogo " qui ab omni parte aspici vel ex quo omnls pars videri potest"

Fuori delle porte della città oppure sopra una collina vicina si stendevano le necropoli. All'interno era proibito seppellire o brucinre cadaveri; solo nell'epoca della decadenza le tombe giunsero fino a ridosso delle mura.

Premessa: I principi dell'urbanistica etrusca furono direttamente adottati dai Romani, i quali vi riconobbero la via di minor resistenza a risolvere un problema pratico ed in ciò rivelarono una caratteristica inconfondibile del loro spirito: I'amore all'ordine ed all'armonia non mai avulso da un senso realistico delle cose immediato ed in ogni caso determinante.

Roma stessa è di fondazione etrusca. Secondo la tradizione intorno al Palatino si riunirono per sinecismo genti latine di origine diversa e la città fu fondata E~ etrusco ritu". Solo Plutarco accenna al solco circolare mentre tutti gli altri autori sono concordi nel confermare la forma quadrata del solco. Tacito accenna ad un Pomerium trapezoidale ai piedi del Palatino e Plinio ricorda le tre porte priInitive: Mugona, di Caco, Romana. Dalle fonti romane, le quali a loro volta non sono che un'eco della tradizione, si deduconoa", nella complessità degli accenni, i caratteri fondamentali sviluppo della tecnica etrusca nei suoi aspetti successivi, che si completano nel quadro urbano sia col tracciato del decumano (via Sacra Antica) e del cardo (Porta Ianualis - Porta Romana) sia con la destinazione ad acropoli del Campidoglio. Anche I'esecuzione di opere pubbliche come la Cloaca Massima e il Carcere Mamertino avvenne secondo la tecnica etrusca. I1 Foro rappresenta il punto di incontro e I'organo del Septimontium costituito per sinecismo.

Le origini di Roma confermano mirabilnente la continuità dell'urbanistica etrusca con quella romana. Fu poi compito di Roma perfezionare la tecnica etrusca secondo le proprie tendenze ed esigenze. La conservazione quasi religiosa che i Romani fecero del contenuto dei Libri Rituales etruschi e le opere dei castramensores romani, che costituiscono il perfezionamento delle norme dettate nei Libri Rituales, dimostrano tale continuità documentata ancor piu evidentemente dal chiaro e copioso materiale a disposizione dei nostri studi diretti: accampamenti militari, città che dagli accampamenti fiorirono, impianto delle colonie, centuriazione. Già Norba e Fondi, le città volsche romanizzate nel IV secolo denotano I'applicazione di principi etruschi, meno rigidi nella prima, sorta in collina con cinta poligonale e con piano impostato su un asse orientato NE-SO, chiari e schematici nella seconda, sorta in pianura, a cinta cluadrangolare e con piano perfettamente ortogonale, orientato NO-SE ed impostato sul decumano costituito dalla Via Appia.

L'inauguratio con I'orientamento e la delimitazione del templum (che secondo alcune fonti rappresenterebbe il territorio urbano, secondo altre il luogp dal quale trarre gli auspici), il sulcus primigenius, il tracciato del pomerium sono presupposti rituali sui quali si basavano nella pratica le cerimonie di fondazione e le ricorrenze religiose a queste riferite, presupposti coi quali praticamente I'effettivo tracciato delle città non sempre concorda. All'atto di fondazione e per opera dei gromatici seguiva la limitatio interna basata su criteri determinanti di orto~onalità: ci si trova davanti ad uno schema rigido ma nella sua logica chiarezza perfetto ed esattamente rispondente al complesso ordine di esigenze alle quali doveva soddisfare e alle possibilità tecniche dei mensores e dei legionari che dovevano di volta in volta realizzarlo. Se nell'Etruria troviamo f;li antecedenti diretti dell'urbanistica romana, con la castrametatio nacque I'urbanistica romana vera e propria, I'urbanistica come disciplina senza empirismi, senza fantasie mistiche, senza approssimazioni.

Resta comunque accertato che, se alla base dell'urbanistica romana stette I'elemento religioso assimilato dagli Etruschi col concetto importantissimo di limitazione, nella pratica e nell'attuazione ebbe un peso determinante un'altra forza vitale: I'organizzazione militare, la quale del resto non solo fissò per la fondazione particolari schemi di facile attuazione ma anche, diffondendo prima le insegne di Roma e garantendo poi la civiltà ~di questa in tutta la vastità delllmpero, determinò veramente un'unita urbanistica in tutto il mondo romano.

Base dell'impostazione era, come presso gli Etruschi, il tracciato dei due assi fondamentali, I'uno orientato da levante ad occidente chiamato ·Decumanus· (di larghezza variabile dai 14 ai 15 metri; eccezionalmente poteva arrivare ai 30 metri), I'altro, normale al primo, orientato da settentrione a mezzogiorno denominato " Cardo" (con larghezza di 7-8 metri). Strade minori con larghezza minima anche di m. 2,50, parallele a questi due assi, poste tra loro alla distanza variabile dai 60 ai 70 metri completavano la rete viaria determinando insulae quadrate o rettangolari che trovano riscontro nella centuriazione delle colonie e nelle strigae e scamna del suolo demaniale delle provincie. Va però notato che mentre nelle città il cardo rispetto al decumano aveva una funzione secondaria, nel campo, almeno nei primi tempil aveva la funzione di asse principale (da cui anche il nome ad esso conferito di ~via principalis") e solo piu tardi la larghezza dei due assi cardo e decumano sembra si sia uniformata sui 80 piedi mentre all'inizio il decumano era di 50 piedi ed il cardo di 100. Ai punto di intersezione dei due assi principali troviamo nel campo il praetorium nella città il foro. Tuttavia questa regola fondamentale ebbe applicazioni diverse: in alcune città ci troviamo di fronte a piu decumani e a piu cardi principali o per lo meno a piu assi principali, in altre, è questo il caso di Aosta, a una riduzione del reticolo stradale con la conseguenza di isolati molto estesi (m. 143 X 181). Così la posizione del foro non fu sempre baricentrica ma la sua localizzazione fu spesso spostata e con regola costante presso il porto nelle città marittime..

I1 pomerio e le mura costituivano il limite della città. È da osservare che il pomerio, nato da principi di ordine spirituale come barriera religiosa, ai quali si aggiunsero ovviamente interessi di ordine pratico, venne poi a costituire una zona di respiro dell'abitato, pur mantenendo le sue funzioni primitive.

I1 perfetto orientamento non era però sempre seguito. Le città sorte vicino a fiumi, laghi, mare o collina presentano una evidente aderenza alla configurazione del terreno: il aecumano era tracciato parallelamenté alle curve di livello ed il cardo ad esso normale seguiva le Iinee di maggiore pendenza. Per questo anche si notano orientamenti vari delle città, dovuti eminentemente alla natura dei luoghi e non certnmente, secondo le affermazioni del La\·edan ed i calcoli del Tiele, alla diversità della stagione in cui vennero fondate ed al conseguente punto di levata del sole. Con questo tuttavia non si vuole negare I'apporto alla tecnica dell'orientamento dato dai gromatici, i quali nei loro trattati insistettero sempre sul concetto dell'orientamento basato non solo sulI'oriente reale ma anche su quello piu preciso, pure se meno facilmente realizzabile, dell'onentamento equinoziale ed auspicarono una uniformità di delimitazione in tutto I'impero basata appunto sul secondo metodo di orientamento.

Grande importanza attribuirono i Romani al luogo di fondazione affinchè questo fosse salubre (Vitruvio,LL.: I e VIII) ed in ottima posizione dal punto di vista geografico e per gli approvigionamenti.

I romani consideravar~o i confini della proprietà come una cosa sacra. La città, il campo militare, il territorio erano limitati a somiglianza delle linee celesti da linee, tracciate dal1'Augure col lituus, che si tagliavano ortogonalrnente ed erano orientate secondo i <Iuattro I>unti cardinali, proiezione Jul suolo del Templum sacro. A11'Augure succedette I'agrimensore (mensor) detto anche gromatico, dal nome dello strumento che serviva per tracciare gli allineamenti ortogonali.

I~"agro Dubblico e soprattutto il terreno conquistato, prima di essere assegnato in DroprietB a privati oppure dato in affitto o a decima, veniva diviso per (limites in centuriis ", cioi: in appezzamenti <Iuadrati di circa 50 ettari limit9ti da linee rette e<luidistanti tra loro m.'ilO e parallele a due lir~ee maestre, intersecantisi ad angolo retto nel punto centrale della limitazione, chiamate: decumanus maziml~s quella diretta da levante a ponente (ab orienle ad occasum sccnn<llrmsolis decursum) e Cardo solis decursum) e Cardo marimus quella diretta da setfentrione a Inezzogiorno.

Sulle linee principali (lirnites) venivano costruite le strade pubbliche fiancheggiate da fossi. Ogni cIuadrato dicevasi centuria I>erchè formata da 100 parcelle (sortes) di due iugeri ciascuna; superficie cIuesta assegnata in origine ad ognuna delle famiglie dei coloni.

In alcuni luoghi furono tracciate anche centurie rettangolari di 120 iugeri (Cremona), di G40 iugeri (Luceria), di 400 iugeri (Emerita - Spagna).

I termini o Inpides posti agli incroci dei limites portavano I'indicazione dell'autore della misurazione e i dati di riferimento gromatici.

L'incrocio del cardo massimo col decumano massimo determinava quattro <Il>artes P che, rispetto al misuratore posto all'incrocio dci due assi e rivolto nella direzione orientale del decumano, prendevano il nome di: regio rlexfrrrfn cifratn e regio sinistrntn citrata quelle che si trovavano davanti a lui e risI>ettivamente a destra o a sinistra del decumano; regio clertrata I<ltratcc e regio sinistrulu ultral" quelle che si trovavano dietro a lui rispettivamente a destra o a sinistra del decumano.

La larghezza del decumano max. variava da 30 a 40 piedi mentre ]a larghezza del cardo max. variava da 20 a 30 picdi. I cardi e i decumani minori avevano una larghezza da 12 a lj piedi.

iugeri (Cremona), di 640 iugeri (Luceria), di 400 iugeri (Emerita - Spagna).

I termini o lapides posti agli incroci dei limites portavano I'indicazione dell'autore della misurazione e i dati di riferimento gromatici.

L'incrocio del cardo massimo col decumano massimo determinava cIuattro s partes , che, rispetto al misuratore posto all'incrocio dei due assi e rivolto nella direzione orientale del decumano, prendevano il nome di: regio dextrnfn eitrata e regio sinistrnln citrala quelle che si trovavano davanti 9 lui e rispettivamente a destra o a sinistra del decumano; regio dexIratu ultrala e regio sinistrutn ultrtrta quelle che si trovavano dietro a lui rispettivamente a destra o a sinistra del decumano.

La larghezza del decumano max. variava da 30 a 40 piedi rnentre la largheLza del cardo max. variava da 20 a 30 piedi. I cardi e i decumani minori avevano una larghezza da 12 a lj piedi.

L'assegnazione del suolo conquiJtato ai milites variava in relazione alla produttivitj del terreno ed alle benemerenze degli occupanti. Kella zona di Aquileia ai pedites furono asJegnati 50 iugeri di terreno mentre ai cenluriones e agli erluites - rispettivamente - 100 e 140 iugeri cia-

scuno.

.4 Parma furono asJegnate solo sortes di 8 iugeri e in Calabria 15 iugeri ai pediles e 50 iugeri agli eguiies.

greco piu tardi.

 

Gli Etruschi si trovarono quindi a contatto col mondo italico prima e con quello greco più taqrdi.

Ne consegue naturalmente il problema entro quale misura essi abbiano espresso in forme concrete I'apporto dato dalle loro lontane origini, siano esse orientali o autoctone, ed entro quale limite abbiano accettato o assimilato elementi italici o della Magna Grecia. I1 LuRli ammette un contatto dei popoli italici e quindi degli Etrus~ili con la Magna Grecia, contatto molto tardivo che portò ad una certa unificazione di schemi già analoghi ma nati e sviluppati indipendentemente, secondo rincipi differenti. I1 Brizio ed altri attribuiscono agli Etruschi i'introduzione,

coi riti di fondazione delle città, del concetto di limitazione; il Lavedan ammette una remota influenza orientale aei riti, nell'orientazione e nella limitazione e nella ortogonalità del tracciato, distinguendo molto esattamente gli esempi etn~schi dal sec. X all'VIII (città sorte già secondo piano prestabilito con solco primigenio a forma circolare) e gli esempi successivi dal sec. VIII al VI, posteriori ad una seconda immigrazione, che denotano I'introduzione dell'uso della groma nel vecchio sistema, del cardo e del decumanus e conseguentemente I'introduzione del sistema quadrangolare. I1 Cultrera è del parere che gli usi Etruschi siano il prodotto di una assimilazione di forme locali gla esistenti. Secondo lui la popolazione dell'Etruria si componeva di indigeni e di immigrati e la poca diffusione della lingua fa credere che la grande maggioranza fosse indigena, retta da una minoranza che in parte portò usi, leggi, costumi propri, in parte accettò e codificò usi locali. Per quanto riguarda lo schema ortogonale del tracciato urbano sarebbe alquanto dubbia una importazione dall'Asia Minore in quanto che al tempo dell'emigrazione etrusca questi schemi erano già caduti in disuso colj e non sarebbero stati ripresi che ai tempi di Ippodamo. A testimonianza di questa tesi vi sono i perimetri irregolari della maggior parte delle città etrusche che presuppongono, date anche le accidentalità del terreno, tracciati irregolari; nè si hanno esempi di opere di livellamento. Anche la leggenda del mito di Tages starebbe a dimostrare che gli Etruschi non avrebbero portato con sè I'uso della limitazione ma bensì avrebbero appresa I'aruspicina e le regole del tracciato urbano quando vennero a trovarsi a contatto delle popolazioni indigene.

Di fronte ad un problema così complesso quale è quello delI'origine e della formazione dell'urbanistica etrusca ed a teorie tanto differenti è lecito ed anche logico ammettere una specie di contaminazione fra la tradizione, le tendenze innate ed ancestrali del popolo etrusco e gli usi delle popolazioni con le quali gli Etruschi si trovarono a contatto nelle loro sedi di stanzia ebmento in Italia. Da bC,eo! sintesi, nella quale i diversi fattori ideali e materiali ebbero un’influenza i cui limiti non sono nè possono essere precisabili, nacque il complesso originalissimo e nuovo dell'urbanistica etrusca.I centri italici preromani del Lazio, come del resto delle altre reglonl, ebbero funzione, pm che di città vera e propria, di asilo fortificato in caso di incursione nemica, senza un piano determinato all'interno delle mura. Sta di fatto invece che gli Etruschi poterono assimilare la tendenza all'ortogonalità derivata dall'uso invalso ed ampiamente diffuso in Italia sia attraverso le terremare, sia attraverso gli esempi villanovjani.

La romanizzazione della penisola non ci permette di avere a nostra disposizione come oggetto di studio elementi italici. Anche gli esempi Falisci sopra citati e quelli Volsci rintracciabili, se non a fondi, a Norba romanizzata nel IV secolo, sono ~cPR,q scarsi ed incerti perchè ne possiamo dedurre delle caratt

Un contatto con la Magna Grecia è provato per ragioni di indole sia geografica sia storica. Ampi scambi commerciali e frecjuentissimi rapporti ebbero luogo fra gli Etruschi e la Magna Grecia (Sibari) che servì da ponte ideale non solo con la Grecia ma anche con 1'Asia h/Iinore. Significativo è pure il fatto che Cere e Spina possedevano un " tesoro " a Delfi.`E nota nel campo delle arti figurative I'influenza Greca in periodo arcaico dal VI sec. alla p'ima metà del V e piu tardi (ma siamo già in periodo etruscoromano) in età ellenistica.

Evidentemente non si può escludere a priori un contatto coi Greci in campo urbanistio, anche se non lo si può provare su basi rigidamente scientifiche. Le probabili influenze greche non debbono intendersi a detrimento della originalità della urbanistica etrusca, che ebbe una fisionomia tutta sua.

Ma la parte in cui la religiosità etrusca si manifesta in modo piu genuino è la cosi detta disciplina: cioè il complesso delle norme che regolano i rapporti fra gli dèi e gli uomini2 Essa ha come punto di partenza la ricerca scrupolosa della volontà divina attuata con tutti i mezzi, dei quali i piu importanti e tradizionali sono la lettura e la interpretazione delle viscere degli animali ed in modo particolare del fegato (aruspicina), e la interpretazione dei fulmini.

L'una e I'altra scienza trovano i loro precedenti nel mondo orientale e specialmente mesopota117iCO', ma assumono in Etruria un carattere nazionale spiccatissimo, tanto che anche penetrando nel mondo religioso romano, pur cosi imbevuto di tradizioni etrusche, esse non saranno assimilate e conserveranno sempre la loro etichetta straniera. E curioso invece osservare che a Roma, come già presso gli Umbri, prevarrà la divinazione mediante la osservazione del volo degli uccelli (auspicio). Ma anch'essa rientravn probabilmente nell'ambito della disciplina etrusca, e precisamente nel ramo riguardante la lettura dei segni o prodigi degli dèi, i così detti ostenta. Alla disciplina appartengono inoltre le minuziose norme rituali dei sacrifici e delle cerimonie, la dottrina dei termini prefissi per ~li uomini e per gli stati (alla quale si ricollegn la cronologia religiosa dei " secoli ")e le credenze e le prescrizioni relative alla vita ultraterrena.

Pur tra le molte iacune esistenti nello studio e nellj interpretazione dei singoli fatti religiosi propri della disciplina etrusca, il problema fondamentaie: - che attende la sua risoluzione è quello del significato di tutti questi fatti presi insieme e della visione del mondo divino e umano che ne risulta. Questi due mondi sono collegati fra loro intimamente, secondo un principio di partecipazione mistica e di indistinzione.che richiama alla mentalità dei popoli primitivi. Per quanto possiamo intravvedere dalle fonti utilizzabili, molti aspetti della struttura spirituale etrusca, che appaiono oscuri se valutati sul metro del pensiero grecoromano, si spiegano alla luce di questa classificazione in una sfera di concezioni religiose diverse'. Cielo e terra, realtà soprannaturale e realtà naturale, macrocosmo e microcosmo sembrano corrispondersi con palesi e segreti richiami entro un preordinato sistema unitario, nel quale I'orientamento e la divisione dello spazio assumono una importanza fondamentale. Le constatazioni fatte dagli studiosi moderni a tal proposito, e suscettibili di ulteriori sviluppi, hanno avuto come punto di partenza il raccostamento tra i nomi di divinità scritti nelle diverse caselle in cui appare suddivisa la superficie del fegato di bronzo di Piacenza e la partizione del cielo, con i suoi divini abitatori, secondo PLINIO (Nat. HisZ., 11, 54, 143) e MARZIANO CAPELLA (de nuptiis Mercuri et Philologiue, I, 45 sgg.) 2

Lo spazio 6( S;1CTO.,· orientato e suddiviso, risponde ad un concetto che in latino si esprime con ]a parola templum '. Esso riguarda il cielo, o un'area terrestre consacrata - come il recinto di un santuario, di una citta, di un'acropoli, ecc. --, ovvero anche una superficie assai pi~i piccola - ad esempio il fegato di un animale utilizzato per le pratiche divinatorie -, purché sussistano le condizioni dell'orientamento e della partizione secondo il modello celeste. L'orientamento è determinato dai quattro punti cardinali, congiunti da due rette incrociate, di cui quella nord-sud era chiamata cardo (con vocabolo prelatino) e quella est-ovest decumanus nella terminologia dell'urbanistica e della agrimensura romana che sappiamo strettamente collegate alla dottrina etrusco-italica. Posto idealmente lo spettatore nel punto d'incrocio delle due rette, con le spalle a settentrione, egli ha dietro di sé tutto lo spazio situato a nord del decumanus. Questa meta dello spazio totale si chiama appunto gparte posteriore, (pars postEca). L'altra metà che egli ha dinnanzi agli occhi, verso mezzogiorno, costituisce la .parte anteriore, (paTs antica). Una analoga bipartizione dello spazio si ha nel senso longitudinale del cardo: a sinistra il settore orientale, di buon auspicio (pars sinistra o fa?niliams); a destra il settore occidentale, sfavorevole (pars dextra o

selle del bordo esterno (al;punto in numero di sedici) e nelle caselle interne (ad esse corrispondenti, seppure in maniera non del tutto chiara) del fegato di Piacenza. Tra i numi dei sedici campi celesti, citati da MARZIANO CAPELLA, e i nomi divini inscritti sul fegato esistono indubbie concordanze, ma non una corrispondenza assoluta, perché la originaria tradizione etrusca pervenne presumibilmente alterata nelle fonti del tardo scrittore romano, con qualche spostamento nelle sequenze. Ciò nonostante è possibile ricostruire un quadro approssimativo del sistema di ubicazione cosmica degli dèi secondo la dottrina etrusca (vedi la fig. a pag. 251). Esso ci mostra che le grandi divinità superiori, fortemente personalizzate e tendenzialmente favorevoli, si localizzavano nelle plaghe orientali del cielo, specie nel settore nord-est; le divinita della terra e della natura si collocavano verso mezzogiorno; le divinità infernali e del fato, paurose ed inesorabili, si supponevano abitare nelle tristi regioni deli'occaso, segnatamente nel settore nord-ovest, considerato come il piu nefasto.

La posizione dei segni che si manifestano in cielo (fulmini, volo di uccelli, apparizioni prodigiose) indica da qual nume proviene agli uomini il messaggio e se esso è di buono o di cattivo augurio. Indipendentemente dal punto di ori-

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gine, una complicata casistica riguardante le caratteristiche del segnale (per esempio la formn, il colore, I'effetto del fulmine, o il gi01.170 della sua caduta) aiuta a precisarne In natura: se si tratti cioè di un richiamo amichevole, o di un ordine, o di un annuncio senza speranza e cosi via. Lo stesso valore esortativo o profetico hanno le speciali caratteristiche presentate dal fegato di un animale sacrificato, preso in esame dalI'aruspice, secondo una corrispondenza delle sue singole parti con i settori celesti. Cosi I'"arte fulguratoria, e I'aruspicina, le due forme tipiche della divinazione etrusca, appaiono strettamente collegate; né fa meraviglia che esse possano essere state esercitate da un medesimo personaggio, come quel L. Cafate di cui si rinvenne a Pesaro I'epitafio bilingue e che fu appunto haruspex (in etrusco netYzjis) e fulguriator (cioè interprete ~p; hllm;n; · in Ptn~Prn tnrtnl)t frontac o tmctnvt?)'.

Uguali norme devono aver presieduto all'osservazione divinatoria del volo degli uccelli, come intravvediamo specialmente da fonti umbre (Tavole di Gubbio) e latine. A tal proposito ha speciale importanza lo spazio terrestre d'osservazione, e cioè il templum augurale, con il suo orientamento e le sue partizioni, cui senza dubbio si ricollega la disposizione non soltanto dei recinti sacri, ma dello stesso ternpio vero e proprio, cioè I'edificio sacro contenente il simulacro divino, che in Etruria appare di regola orientato verso sud o sud-est, con una pars antica che corrisponde alla facciata ed al colonnato ed una pars posticn rappresentata dalla cella o dalle celle. E del pari le regole sacre dell'orientamento si osservano (almeno idealmente) nella planimetria delle citta - concreto esempio monumentale è Marzabotto in Emilia -, e nella partizione dei campi.

In tutte queste concezioni e queste pratiche, come in generale nelle manifestazioni rituali etrusche, si ha I'impressione di un abbandono, quasi di una abdicazione dell'attivita spirituale umana di fronte alla divinita: che si rivela nella duplice ossessione della conoscenza e della attuazione della volontà divina, e cioè da un lato nello sviluppo delle pratiche divinatorie, da un altro lato nella rigida minuziosità del culto. Cosi anche radempimento o la violazione delle leggi divine, nonché le riparazioni attuate attraverso i riti espiatorii, sembrano essere soprattutto formali, al di fuori di un autentico valore

etico', secondo concezioni largamente diffuse nel mondo antico, che però appaiono soprattutto accentuate nella religiosità etrusca. Ma è possibile che almeno gli aspetti piu rigidi di questo formalismo si siano definiti soltanto nella fase ~nale della civilta etrusca, e precisamente nell'ambito di quelle classi sacerdotali le cui elaborazioni rituali e teologiche trovarono la loro espressione nei libri sacri, forse favorite - e magari inconsciamente - dal desiderio dei sacerdoti stessi di accentrare nelle loro mani la interpretazione della volontà divina e quindi la direzione della vita spirituale della nazione.

Un altro aspetto, che si ricollega alla mentalità primitiva degli Etruschi, è la interpretazione illogica e mistica dei fenomeni naturali, che persistendo sino in età molto recente viene a contrastare in maniera drammatica con la razionalità scientifica dei Greci. A questo proposito è particolarmente significativo e rivelatore un passo di SENECA (Quaest. nat., 11, 32, 2) a proposito dei fulmini: Iloc inter nos et Tuscos... interest: nos putarnus, quia 1·Lubes collisae sunt, fulmina enzitti; ipsi existimant nubes colUcEi, ut fulm~na emittantnr; nam, cum omnia ad deum ref.erant, in ea opinione sunt, tanquam non, quh facta sunt, significent, sed quia sEgnificatura sunt, fiant. (La differenza fra noi [cioè il mondo ellenistico-romano] e gli Etruschi... è questa: che

noi riteniamo che i fulmini scocchino in seguito all'urto delle nubi; essi credono che le nubi si urtino per far scoccare i fulmini; tutto infatti attribuendo alla divinità, sono indotti ad opinare non già che le cose abbiano un significato in quanto avvengono, ma piuttosto che esse avvengano perché debbono avere un significato...).

La mistica unità del mondo celeste e del mondo terrestre si estende verisimilmente anche al mondo sotterraneo, nel quale è localizzato, secondo le dottrine etrusche piu evolute, il reame dei morti.

Per la costruzione del tempio - la tradizione romana non lo nasconde - Tarquinio fece venire artigiani da ogni parte dell'Etruria: specialisti, artisti dotati, coroplasti, capomastri e scultori che 1>Etruna possedeva in gran numero. La gente locale - contadini ancorainesperti - forniva ia manovalanza. Tutti coloro che non erano addetti al servizio militare, Tarquinio "li costrinse a fare lavori nella città ".

Di un artefice etrusco, indimenticabile maestro, sappiamo oggi il nome e conosciamo anche le opere. Nel corso di scavi a Veio, nel I9'6, vennero in luce sull'acropoli i frammenti delle piu belle terrecotte mai trovate in Etruria. Una di esse, dipinta e di un'altezza superiore all'umano, rappresenta Apollo.

L'immagine del dio aveva adornato il pinnacolo del tempio. Oltre all'Apollo, vennero in luce i frammenti di due altre terrecotte superbe: quella figurante una donna con in braccio un bimbo e una statua del dio Ermes. Tutte rivelano senz'altro'la stessa mano oeniale di un artista straordinario; tutte provengono dall'atélier di un celebre coroplasta etrusco: Vulca di Veio.

D_uesto maestro fu chiamato a Roma da Tarquinio il Superbo. Una breve notizia di Plinio il Vecchio informa che il re aveva fatto venire da Veio Vulca, per scolpire la statua di Giove per il tempio capitòlino. auesta fu fatta di argilla e ripetutamente verniciata di minio; perché di argilla erano allora i piìl famosi simulacri delle divinità. auest'arte era praticata specialmente in Etruria.

Da Veio proveniva anche la quadriga d'argilla che ornava il fronto,, del tempio. Ce ne parla una leggenda narrata da Plutarco. La massa argillosa s'era tanto gonfiata dur~nte la cottura nel forno, da

far pensare a un miracolo. Gli aruspici, interrogati, vaticinarono eterna grandezza alla città cui sarebbe toccata la quadriga; onde i veienti, saputolo, ricusarono di portarla a Roma e vi avrebbero poi ronsentito solo per un segno dei numi.

Officine come quelle del grande Vulca avevano da tempo raggiunto in Etruria una straordinaria maestria, soprattutto nella creazione di opere plastiche. Producevano le lastre di terracotta destinate a ornare come fregi i frontoni dei templi e le ville dei notabili. Insuperate furono altresì nella cottura di grandi statue d'argilla. Anche questa era una novità per Roma: gli abitanti della penisola appenninica infatti, non altrimenti dei greci ancora ai tempi di Omero, avevano conosciuto e adorato fin qui solo dèi non raffigurati.

" Mediante opere di sostruzione ", apprendiamo, " la rupe fu arginata ed elevata. " Durante i lavori si verificò un evento emozionante: gettate ormai le fondamenta e la buca essendo molto profonda, si trovò "una testa umana". Tarquinio allofa, "ordinato agli operai di sospendere la scavo, e fatti venire gli aruspici locali, li interrogò sul significato di quel se,ano". Poiché essi non erano inprado di dare alcuna spiegazione e attribuivano d'altro lato agli etruschi la scienza di tali cose, egli s'informò quale fosse il migliore e piu dotato indovino etrusco e gli spedì dei messi.

I quali tornarono con la spiegazione del celebre ari~spice, che suonava così: "Annunciate ai vostri concittadini che il fato vuole, che il luogo dove avete trovato la testa diventi il capo di tutta 1'Italia.,

" na questo momento, " scrive Dionigi, " la rupe Tarpea fu chiamata Capitolina, poiché i romani chiamano c<IPut la testa. "

Questa vuol essere una pia leggenda, inserita ncll'altra della fondazione di Roma. Livio la cita, a ragion veduta: i suoi lettori, cinquecento anni dopo, potevano riferire quel caput solo all'impero roInano. Per Tarquinio il Superbo, invece, la profezia doveva suonare nel senso che la città etrusca sul Tevere sarebbe divenuta signora ben altrimenti della Lega dei Dodici Popoli. Allora, infatti, la sipnoria etrusca si stendeva dalle Alpi al golfo di Salerno; e la Roma della storia futura non esisteva ancora. Solo cosi si capisce lo zelo del re per il contenuto del vaticinio: "Quando Tarquinio ebbe udito ciò dai messi, incitò seriamente g·li operai al lavoro. "

Con I'edificio voluto da Tarquinio il Superbo sul Campidoglio facevano jl loro ingresso sul Tevere I'arte e I'architettura sacrale etrusche. Alte sopra il foro esse coroneranno I'opera fino allora compiuta per diffondere la civiltà.

Modello del nuovo edificio sacro furono i templi d'Etruria, le cui regole sacrali decisero anche della nuova costruzione avviata in nva al Tevere, delle sue proporzioni come della sua forma, dell'interno come dell'esterno. Queste regole, non le greche!

" Fu costruito su un alto basamento, con una circonferenza di quattro iugeri, e ciascun lato di circa duecento piedi, " testimonia Dionigi; ~ e fra lunghezza e larghezza v>è il piccolo divario di neppure quindici piedi. Sul davanti, verso sud, [aveva] una triplice fila di colonne e una duplice ai lati. Nell'interno, trp cclle parallele con pareti divisorie comuni, " destinate ad accogliere una triade divina "sotto un frontone e un tetto ". Anche le divinità introdotte da Tarquinio il Superbo nel nuovo tempio venivano dall'Etruria!

Quali erano?

Null'altre che Giove, Giuhone e Minerva come suonò poi il loro

nome romano, ma a nord del ?'evere era ben diverso.

Giove qui era Tinia, sommo dei numi e centro del pantheon tusco, venerato in ogni città etrusca come signore degli dèi, che parlava per mezzo del fulmine e che un fulmine simbolico reggeva in mano. Nelle processioni solenni i lucumoni portavano la sua corona, La sua tunica e la sua toga. Nel mese lunare etrusco (fatto proprio poi dai romani), il giorno di mezzo, quando il satellite terrestre versa piena la suíl luce, gli era consacrato, col nome di Idus.

Insieme con Tinia, erano venerate nei lempli dei tirreni le dee Uni e Menvra - la Juno e la Minerva di Roma. Si sa di loro santuan in numerose città dell>Etruna. A Veio la dea Uni aveva il soprannome di Regina; come segno della sua signona portava la lancia che, nella simbologia del diritto romano antico, valse Piu tardi come segno dell'imperiunz e del municipium. Le era sacra la luna.

II tempio di Giove Capitolino, fotto erigere dal sourano etrusco Targuinio il Superbo, a Roma, verso la fine del VI secnlo a.C. Visibili [e tre celle cultuoli: la mediana sacra o Giove, [e altre a Giunone e Minerva. Sul davanti, trc file di sei co[onne ciascu'na. II pinnacolo era adorno di una guadriga di terracotta con Giove, QruPPo proueniente da Veio. Sorto piu di mezzo secolo prima del ce[ebre Partetlone, il tempio era uno dei piu Qrandi e piu belli dell'orea mediterranea, e divenne il modello dei templi ~omani. Merzo millennio dopo furono costruiti, in epoca imperiale, edifici delle stesse proponioni. Nella

pinnta, a destra è uisibi[e il profilo delle tre ce[le culluali all'interno. S>pntrav? sollanto suI darranti. Ricoslruzione in base ai dati degli autori classici.

Menvra la si trova raffigurat~ in molti specchi bronzei etruschi, ed era anch'essa una dea di primo rango. Le sue feste cadevano per gli etruschi in marzo, il quinto giomo dopo le idi; accolte dai romani, venivano celebrate col nome di Quinquatrus, termine equivoco che sembrerebbe indicare una durata di cinque giorni.'

Un tempio imponente, unico, venne a compimento tra le mani

esperte degli architetti e artefici etruschi piu di mezzo secolo avanti il tanto ammirato Partenone di Atene. Esso sorse quando i greci consacravano sull'acropoli le loro kòrai, figure di fanciulla dal delicato sorriso; nel decennio in cui, sull'altra sponda del Mediterraneo, risorgeva, per ordine del potente re persiano Ciro, un altro famoso tempio della storia: quello di Salomone a Gerusalemme, distrutto nell'agosto del 568 a.C. dai babilonesi e preso a ricostruire dagli ebrei, tornati dalla cattività, nell'anno 520·

L'edificio che s'ergeva sul Campidoglio non temeva confronti: coi suoi superbi fregi colorati e il frontone e le pareti decorate di terrecotte, apparteneva ai piu belli del mondo d'allora, e ai piu grandi.

Piu piccolo quello di Gerusalemme, largo solo trentun metri e mezzo; ed è comprensibile: degli esuli che tornavano nella loro terra devastata, non potevano avere, come sempre accade, molto danaro. hla anche fra i piu celebri e celehrati templi greci sorti pill tardi, solo pochi erano in grado di sostenere il confronto col sacrano etrusco sul Tevere, anche solo a conJiderarne la fronte, fosse il tempio di Artemide a Efeso o 1'Heràion di Samo o I'Olympièion di Atene sacro ;ì %eus o quello d'Agrigento. I1 piu piccolo, largo solo quarantadue metri e novanta, era I'Olympièion di Atene; il piu grande, cinquantacinque metri, 1'Artemision di Efeso, una delle sette meraviglie del mondo. I1 tempio tiberino misurava cinquantatré metri e ventotto.

E tuttavia cinge questo edificio un alone di tragedia e d'amara ironia. II tempio capitolino infatti, monumento dell'arte e della religione etrusche, edificato pel momento dell'apice della potenza etrusCa, non era destinato a servire coloro che I'avevano ideato e costruito: né a celebrarne in futuro la grandezza e le gesta. Un inspiegabile capriccio della sorte volle altrimenti.

II tempio di Giove capitolino diviene il tempio ufficiale di un altro popolo, un popolo che non costruiva, che non trovava piacere nell'operare pacifico e culturale dei pionieri etruschi: un popolo, anzi, che conquista e distrugge, che crea uno stato militare temuto nel mondo intero. I1 tempio <:o~truito dagli etruschi divenne il simbolo della potenza romana, cardine dell'ideologia religiosa dello stato.

Per piu di mezzo millennio esso accoglierà, dopo guerre e spedizioni sanguinose di conquista, le offerte di ringraziamento durante i grandi trionfi. E i nomi delle città etrusche sottomesse saranno i primi a vedere trascinati qui come bottino i tesori a loro sottratti!

Che il tempio iosse opera etrusca, Roma non volle mai riconoscerlo né ammetterlo ufficialmente; anzi cercò con ogni mezzo di soffocarlonella sua tradizione. E ricorse a un trucco abbastanza grossolano.

Tarquinio il Superbo (nota Dionigi conformandosi alla descnzione data da Livio)" approntò gran parte del tempio. Compir I'opera, tuttavia, non poté, perché fu cacciato prima dal regno,. La consacrazione ufficiale dell'edificio venne fissata dalla tradizione, per motivi di prestigio e d'interesse politico, al r3 settembre del 509 a.C.: data in cui, appunto, la signoria etrusca a Roma non esisteva ormai piu. E la posterità vi prestò fede, dandola per scontata.

Anche su tale punto soltanto da poco la scienza è riuscita a ridi-

mensionare e a rettificare. Le ricerche piu recenti dimostrano infatti sicuramente che Lucio Tarquinio il Superbo non si limitò a costruire il tempio capitolino, ma lo consacrò di persona. Un altro esempio di falso smascherato.

I1 tempio etrusco del Campidoglio resta il massimo di Roma sino alla fine della repubblica, modello di innumerevoli altri templi nella città stessa, quello della Fortuna come della Mater Matuta, quello di Castore e Polluce nel Foro, di Cerere ai piedi dell'Aventino, e di numerosi altri nelle colonie.

Anche questi sono di legno e adorni di rilievi e statue di terracotta: solo in epoca imperiale fa il suo ingresso il gusto greco con i suoi edifici rivestiti di marmo e adorni d'ori.

Con I'espansione romana il culto capitolino si diffonde altresì fra i paesi e le genti sottomesse. Tarcluinio il Superbo mai avrebbe potuto immaginare il significato che nella storia mondiale doveva acquisire I'opera da lui coRtruita: Tinia-Giove divenne una divinità mondiale. Nessun altro edificio restò tanto e tanto a lungo legato alla storia romana, e le soppravvisse! Bruciato ne11'83 a.C., risorse ad opera di Silla che.depredò per I'occasione di colonne il celebre tempio di Zeus Olimpio ad Atene. Infine, dopo ripetuti incendi, I'imperatore Domiziano lo fece ricostruire splendidamente ne11'85 d.C. E allorché il gigantesco impero sprofondò sotto I'impeto dei nuovi popoli del nord, il duce gotico Stilicone ne strappò le piastre d'oro delle porte, e il re dei vandali Genserico, durante il sacco di Roma, ne fece asportare le tegole rivestite d'ofo del tetto.

I1 tempio continuò tuttavia a vivere come rovina, ed è ancora testimoniato nel v secolo dell'èra cristiana. In quest'epoca, però, il tempio della triade pagana, dopo un millennio di esistenza, aveva perso ormai il suo sienificato: una nuova reliaione, la cristiana,

Come osserva Richard Krautheimer nel suo saggio ormai classico sul tempio etrusco di Alberti, I'autore del De re aedificatovia condivideva con molti altri fiorentini un'ammirazione immoderata per il mondo etrusco': Alberti cita in particolare la mole leggendaria degli edifici etruschi e la venerazione che i primi abitanti dell'Etruria riservavano all'arte architettonica: i templi etruschi incarnavano le antiche verità della loro fede'. Per la magnificenza della costruzione, Alberti continua, gli etruschi erano quasi pari agli egizianii. Per quanto se ne sa oggi, I'immaginazione di Alberti era for se troppo generosa.

Tuttavia nell'antica Roma si trovavano alcuni edifici imponenti e sontuosi, e che erano detti etruschi. Ad esempio secondo Axel Boethius la descrizione tipologica del tempio etrusco in Vitruvio sarebbe basata su uno dei piu grandi templi romani, il tempio di Giove Capitolino, ricostruito dopo un incendio nell'anno 83 a.C.' Vitruvio stesso (De avchitectuua, III.3.5) descrive specificamente questo edificio come un tempio etrusco. Con un fronte di 162 piedi, il tempio precedente, costruito nel VI secolo a.C., era stato uno dei piu grandi del suo tempo. Cicerone (Actio secunda in Vevvem, 4, 31) interpreta I'incendio che aveva distrutto il tempio antico come un monito - forse una manifestazione diretta del volere divino per la costruzione di un nuovo edificio, ancora piu ricco. Apparentemente, I'indicazione non fu disattesa5

Inoltre, indipendentemente dal grado di magnificenza, templi di questn genere - tre celle, coper~ura in legno erano frequenti nei campidogli dell'età imperiale. Gli edifici erano relativamente bassi di profilo, con ampi intercolumni e profondi portici prostili: nelle parole di Vitruvio, di forme "varicae, barycephalae, humiles, latae" (Dc avchitectuua, II1.3.5: le colonne distanti, la parte superio re pesante, bassi, larghi) - Vitruvio sembra meno entusiasta di Leon Battista Alberti. A differenza di Alberti, Vitruvio aveva visto molti di questi edifici. In effetti è stato sovente sostenuto, fra gli altri da Krautheimer, che la descrizione albertiana del tempio etrusco sarebbe indipendente da quella di Vitruvio, o incompatibile. Cercherò di dimostrare che le considerazioni dl Alberti (De re aed., VIII.4) non sono tanto un'antitesi quanto una correzione cruciale del passo vitruviano, che si trova, con una certa simmetria, al settimo capitolo del quarto libro, e recita (cito il testo latino nell'edizione Loeb)": "Locus, in quo aedis constituetur, cum habuerit in longitudine sex partes, una adempta reliquum quod erit, latitudini detur. Longitudo autem dividatur bipertito, et quae pars erit interior, cellarum spatiis designetur, quae erit proxima fronti, columnarum dispositione relinquatur. Item latitudo dividatur in partes

X. Ex his ternae partes dextra ac sinistra cellis minoribus, sive ibi al[i]ae futurae sunt, dentur; reliquae quattuor mediae aedi attribuantur," ecc. (L'area in cui edificare il tempio avrà sei parti in lunghezza e cinque in larghezza. La lunghezza sia divisa in due parti, delle quali la parte piu interna sarà riservata agli spazi delle celle, mentre la parte verso il fronte verrà lasciata per la disposizione delle c9lonne. Parimenti si divida la larghezza in dieci parti. Di queste, tre parti a destra e a sinistra saranno riservate alle celle piu piccole, e le rimanenti quattro parti saranno assegnate al santuario centrale)/

Si osservi che Vitruvio, malgrado I'opinione di molti interpreti, non dice affatto che il rettangolo di proporzioni 6:S debba dividersi "bipertito" in due parti ugualix. Vitruvio usa questo avverbio solo due volte: qui, e in ITI.1, dove dice che I'arte di costruire si divide "bipertito" tra fortificazioni ed edifici pubblici da una parte, e dalI'altra edifici privati. Questo non implica necessariamente una bisezione fra due parti uguali; né la nozione mi sembra ragionevolmente inerente a nessun'altra occorrenza del termine registrata nell'Oxford Latin Dictionary.

In breve (e il punto è cruciale per la mia argomentazione) Vitruvio potrebbe aver avuto in mente non la divisione illustrata nella figura la sinistra, ma ad esempio quella sulla destra: un rettangolo di proporzioni 5:4 per I'area della cella, e 5:2 per il portico. È vero che nella realtà i templi etruschi erano sovente divisi in due metà ugualig, ma non è questo il punto: il problema qui è cercare di capire come Alberti, che, si è detto, forse non aveva mai visto un tempio etrusco, potrebbe aver interpretato il testo vitruviano'0. Come dimostrerò, Alberti immaginava il tempio etrusco secondo il diagramma di destra nella ill. 1- cioè diviso in due parti diseguali.

I1 passo successivo, come si ricorderà, è la divisione della larghezza del rettangolo superiore in dieci parti uguali. Le quattro parti centrali, indicate 4m nella ill. 2, formano la cella principale del tempio; le tre parti rimanenti su ciascun lato, indicate 3m (m in corsivo per distinguere da m, che indica il modulo maggiore), formano le due celle laterali, leggermente piu strette (cellae minores).

I1 testo vitruviano, in conclusione, è chiaro, e facilmente traducibile in un diagramma; e in realtà, con i suoi tre santuari lon~itudinali, il risultato è conforme alle ricostruzioni moderne della pianta di numerosi templi etruschi (ill. 3, 4, 5).

È vero che a Lanuvium (ill. 4) Vitruvio è stato usato come fonte per la restituzione, per cui la corrispondenza messa in evidenza dall'immagine potrebbe essere unfeedbach. In ogni caso la pianta è ora restituita secondo la proporzione 6:S. In altri templi etruschi sitrovano altri schemi, come ad esempio a pianta quadrata di Cosa, pubblicata da Frank Brown (ill. 5)"

In realtà, il Campidoglio di Cosa vale come esempio di entrambe le soluzioni. In sé, la pianta del tempio è un rettangolo di proporzioni 4:3, e le porte delle celle sono quasi alla metà della lunghezza del lato: in questo senso, il tempio è "bipertito" in parti uguali. Ma i muri laterali della cella avanzano in corrispondenza delle due colonne interne del portico, che sono dunque in antis, e in questo modo, in una vista laterale, il rapporto cella-portico avrebbe anche approssimato il rapporto 4:2, rapporto che, come si è visto, il testo vitruviano non permette di escludere.

In conclusione, la proporzione vitruviana di 6:5 si ritrova facil mente nell'area di pianta effettiva di numerosi templi etruschi, do ve pure non mancano esempi di portici che occupano 1/2, 1/4, 2/5, o altre frazioni piu piccole della lunghezza totale. CTn'altra prova è il portico del tempio di Mater Matuta, a Cosa, che è 1/6 della profondità totale'L

Ma tutto questo non è che lo sfondo su cui collocare il tempio etrusco descritto da Alberti. Questo è il testo latino (De ve aed., VII.4): "Nunnullis in templis hinc atque hinc vetusto Etruscorum more pro lateribus non tribunal, sed cellae minusculae habendae sunt. Eorum haec fiet ratio. Aream sibi sumpsere, cuius longitudo, in partes divisa sex, una sui parte latitudinem excederet; ex ipsa longitudine partes dabant duas latitudini porticus, quae quidem pro vestibulo templi extabat; reliquum dividebant in partes tris, quae trinis cellarum latitudinibus darentur. Rursum latitudinem ipsam templi dividebant in partes decem; ex his dabant partes tris cellis in dextram et totidem tris cellis in sinistram positis; mediae vero ambulationi quattuor reliquebant. Ad caput templi unum medianasque ad cellas hinc atque hinc aliud tribunal adigebant."

E questa è la versione di Rykwert, Leach e Tavernor: "Talvolta si trovano dei templi che, seguendo I'antica usanza etrusca, hanno piccole cappelle lungo i muri su entrambi i lati, invece di una tribuna [abside]. Questi templi sono disposti come segue: in pianta la loro lunghezza, divisa in sei, è di una parte piu lunga della larghezza. Un portico, che serve da vestibolo al tempio, occupa due parti di quella lunghezza; il resto è diviso in tre, per ottenere I'ampiezza di ciascuna delle tre cappelle. Poi la larghezza del tempio è divisa in dieci parti, di cui tre si danno alla cappella [alle cappelle]'' di destra, ed analogamente a sinistra, e le quattro rimanenti parti si danno alla navata nel centro. Una tribuna è aggiunto all'estremità del tempio, ed alla cappella mediana su entrambi i lati""

Alberti riprende in tegralmente da Vitruvio la divisione schema-

tica in tre parti: non solo il rapporto in pianta di 6:S, ma anche il rapporto fra cella e portico di 4:2, che il testo vitruviano non esclude, e i due sistemi modulari che ho indicato con m e m, dove m 1/2 m, 5m e 6m definiscono il rettangolo esterno e 3m+4m+3m le suddivisioni verticali delle tre camere'5. Due conclusioni di Krautheimer devono quindi essere prese con precauzione. Non c'è motivo per credere, come Krautheimer sostiene, che la descrizione vitruviana del tempio etrusco dovesse necessariamente essere "incomprensibile per Alberti"'", né che "solo [corsivo mio] le pl·op"rzioni generali dell'area, sei per cinque"" fossero le stesse in Vitruvio e in Alberti. In entrambi i casi, è vero il coIltrario.

Ma Krautheimer osserva anche, giustamente, che Alberti si allontana da Vitruvio su due altri punti importanti: 1) Alberti intro duce tre celle suddivise orizzontalmen te su entrambi i lati della navata centrale, invece di una suddivisione verticale (per questo I'uso del plurale "cellis" invece del singolare "cellae" è cruciale nel testo citato); 2) Alberti aggiunge delle tribune, o absidi. Ritornerò su questi due punti fra poco. I due diagrammi della ill. 6 dimostrano in forma grafica - credo per la prima volta - la precisione dell'interpretazione del testo vitruviano in Alberti (cfr. ill. 1, 2, 6).

Ma ora torniamo alla gvandeuv delle costruzioni etrusche. Se condo Krautheimer, che ricostruisce una pianta quasi identica a quella illustrata qui nello schema di destra della ill. 7'o, i muri trasversali e le absidi del tempio etrusco albertiano nascerebbero dal tentativo di fondere il tipo vitruviano a tre celle con la pianta di alcune delle piu ricche strutture romano-etrusche di cui si è detto. I1 piu importante di questi prototipi non era il tempio di Giove Optimus Maximus, ma la basilica di Costantino e Massenzio; e in ef~etti la pianta di quest'ultimo edificio, come si conosce oggi, spiega due elementi nel tempio albertiano che non derivano da Vitruvio: le triple celle create dai muri trasversali sui due lati della navata, e le absidi'"

Ma ci sono delle differenze importanti. Innanzitutto I'area della basilica non è impostata su un rettangolo di proporzioni 6:S~ ma ~:3. I1 portico, se così si può chiamare, è molto stretto - solo 1/14 -irca della profondità totale dell'edificio - e non è colonnato. Inoltre, I'entrata su un lato sarebbe stata incompatibile con la nozione ilbertiana di simmetria: in quel punto ci vorrebbe piuttosto una erza abside, e, naturalmente, I'entrata principale dovrebbe essere lal portico. In compenso, il rapporto fra la larghezza dei due sisteni di celle laterali e la navata centrale segue I'indicazione vitruviala (3:4:3). È solo in questo, e non è molto, che la basilica di Mas;enzio può dirsi "etrusca" in termini vitruviani, cioè, conforme al-

In conclusione, si sono visti tre diversi fenomeni "etruschi": 1) la formula del tempio etrusco in Vitruvio, che Alberti ha interpretato; 2) I'interpretazione albertiana: Alberti aggiunge al modello di Vitruvio le cappelle laterali e le absidi; 3) alcuni edifici piu complessi che discendono geneticamente dal modello albertiano. Ri marrebbero da affrontare numerosi argomenti importanti: ad esempio, il tempio etrusco nell'interpretazione di altri vitruviani del Rinascimento, come Cesariano, Cosimo Bartoli o Daniele Barbaro; temi e motivi toscano-etruschi in questi autori, e in Serlio; il rapporto fra la pianta del tempio etrusco e I'ordine toscanico; infine, se si vuole, il piu vasto argomento del prestigio architettonico del mondo etrusco nella cultura rinascimentale. Se la mia ricostruzione nella figura 14 è giusta, bisognerebbe anche considerare una possibile influenza del tempio etrusco di Alberti sul barocco romano .

A questi cinque tipi canonici Leon Battista aggiunge poi (alla fine del capitolo IV del libro VII) il tempio tuscanico ("vetusto Etruscorum more") reinterpretando in chiave moderna la fabbrica delle "Tuscanicae Dispositiones" istituite nel libro IV del De architec-l tuva: I'edificio albertiano si articola su una pianta pressoché quadrata, lunga 6 "partes" e larga 5, suddivisa in una porzione "àntica" riservata al portico (detto anche "vestibulum", quindi pensabile sia come colonnato a giorno sia come atrio, come nartece chiuso) che occupa tutta la larghezza e 1/3 della lunghezza dell'edificio (è

cioè profondo 2 "partes") e una "postica" destinata a ospitare la cella: una navata centrale ("ambulatio") coronata da un'abside ("tribunal", ragionevolmente semicircolare) e da tre cappelle ("cellae minusculae", di impianto pressoché quadrato) per ciascuno dei due lati della navata medesima, la centrale delle quali (caplelle) è poi dotata di un'ulteriore abside ("tribunal") sulla parete ~i fondo (articolazione che fa, così, assumere al complesso postico ~n accentuato aspetto cruciforme). Dal punto di vista proporzionale, alla navata vengono attribuiti i 4/10 della larghezza globale iel tempio, riservando a ciascuna delle due terne di cappelle laterali una larghezza pari ai 3/10.

~ ]. L'Et,uiicL rrl ib Reiotimorltiu,,r rreb settimo srcolo. La cultura della primitiva colnuniti sul Xcptimontiulll- corrispondrntc all'ingrosso con I'etl dej -1>Pirni Rc - venne radicallncntr, nlodificata, si crcde, n~1 srttimo secolo e forse anchc prinla. all'al>parire deg·li E:truschi nella storia, i quali trasnriscro afili abitatori dri settc colli i prirni c·lelllcnti dnrevoli <li civilta. I Romani stesRi così pienalnentt· credevano nella originc· etrusca dclla loro citt$, che nornolo. il rel,ntato fontlatore della Korr,n c!trccdicLtrL del Pala-

tino, fu dctto a~crnct ~cfnato i limiti con riti picnanrcnte etruschi (Etrusco Inorc) ; in altrc I>arolc, tli averlc <lats la forlna quadrilatera clellc anticho colunic· tcfrrt·lllare. I'urc· la origilli tli clnrsto popolo Htraordinario sono avvolte i~l ~~11 Illistoro I,iì~ I>rofolldo di quelle di quallulquo altr~t clclle rai,zo clltr contribnirono ;r forrnare quclla corlll,lPssa u!lit~ che fu Iloll~a.

La teoria. piu univcrsahrlcntc accolta, chtr risalc a ~rodoto. desjgna gli Etruschi comc lm popolo asiatico, venuto dalla Lydia in scguito a, spostamenti ignoti alla storia, e avviatosi sulle coste occidentali tl'ltalia. ovc·, essendo d"tato di cultura evoluta, I>resto accjuistcì suprcnlazia su la piu rozza Fente italica. La data tlella. loro conll,arsa ill Italia. b stata varia~nene attribuita, al 1500 circa a. C'. da ~-itluarclo 1Meier, per esernpio, e al 1000 da Purt~ianglcr, il rlualo li farcbhe abbandonarc 1'Asia Mj,,,, nll'inixio drll'ct:i. del frrr<, ill Italia. IJiìI recenti ricc·rche

sernbrano rnostrarc che vi sia niente tli nettamentc, etrusco ill Etruria prima dcl nono secolo a. C'., rncntre alcuni autori lirnitano il ]ieriodo della esl>ansionc ctrusca ncll'ltalia ccntralc al settirno o wl sesto sccolo a. C.'

L'influcnza etrnsca a Ilonla ì· nn fatto accertato tli illlportanza capitale. ICla vi eran anchr ben altri popoli adcsso dimenticati oppuie co~npletanlentp posti nrll'ollll>ra dnlla maggior fama degli etruschi, il cui svilu~,l>o culturale deve avc·r effualmcnte avuto irnportanza per quello tli Rolna e dell'Italia. Tali erano, ad esempio, i Pabisci, #li antichi abitatori dell'aner Pal-cus, un distretto a nord di Roma, che aveva a Paleri Veteres (C)ivita Castellana) la sua capitale. È stato recenternente "sservato che le imponenti facciate di roccia delle tombe dell'Etruria centrale, alcune delle quali hanno traccie di ben scolpiti ornati, differiscono da quelle del tipo Faliscio (( che pur presentando qualche ammirevole ed oriRinale, sebbene raro esemplare di portali scolpiti, appartengono tutte alla forma a portiuo e differiscono dal preciso tipo ctrusco ". Cna scuola di moderna arUheologia effettivamentc ritienc chc gli Etruschi debhano piu ai Falisci di quanto questi vadan debitori a yuelli. Ueve ad ogni rnodo esservi stata una assoluta interpenetrazione delle dut· culture, ma al tempo in cui gli Etruschi escrcitan Ic loro influenze sul suolo rornano Uembra che alubiano assorbito i E'alisci, i quali sopravvivono nella storia 8olo tli nonle. Per un lungo periodo sembra che gli Etruschi si siarr contontati di restarp a nord del Tcvere, costretti forsc a qucsta I,osiziono tla cjuella sentinella avanzata clellc I>opolazioni Latino-Sabelliche che doveva trasformnrsi nclla citt~ di Konla. Etcconti scavi srnlbrano dimostrare che In cI>oca assal rolnota nhhian avanzato sino al Monte Mario, ovc anticllc tonll>~ r·truscht· o cluclle che appaiono come traccie di una colonia ctrusc·a furon trovate al diBopra delle ricordatr r"vine conlc datanti sl>parcntc·rnr,nte dall'ctj dcl Bronzo (p. B).

# 2. 1 ~Pnr~uilrii a Roma. - ~ì~ incerto quando o colne Rli Etnlschi precisamentc varcassero il Tt:vrre Ma ad una data che pnr tra smessaci dalla leggenda, seml>ra accordarsi abluastanza hcne coi fatti, troviamo la dinastia FJtruscu, cioè Tarrluini, dornlnantr a Roma in luogo drgli antichi rr dcl Septinlontium. Pnò darsi che il primo raggruppanlento Etrusco fosso sul (lampidoglio con i suoi ducl colli, località chc rimanr, intinla~ncnte connessa alla religione e alla storia Etrusca c non scllrlura aver costituito una parte integrale tlella I>rilllitiva citt8. I)i clui gli Etruschi gradatarnente si cliffusero sul Reptil!lontiuur, yiu mcdiante

pacifica penetrazione che violenta conquiuta, riunendolo in una sola città, suddivisa per scopo di governo, in quattro sezioni (la leggendaria città Serviana).

Essi circondarono la città di un pornaerium o fossato, tracciato come sempre dagli auguri, e probabilmente anche di mura di cinta, ogni tanto forato da porte allr, rluali possialno attribuire alcuni antichissimi pezzi di muratura nelle mura assai posteriori, già identificate come di Servio. Quando gli Etruschi ebbero dato forma materiale alla città, procedettero ad ornarla di tutti quei doni d'arte e d'architettura ch'essi avevano recato seco dai loro luoghi d'ori#ine. Ai rozzi bastioni di creta e alle palizzate di paglia o cannicci sostituirono mura di pietra ben lavorata, e alla prirnitiva caprtnr,n col foro centrale pel fumo del focolare, I'aedes o casa di solida pietra, con I'atrio aperto al cielo. Ma il dono mausirno che gli Etruschi fecero ai Romani fu quello del sistema teologico che gradatanlente superò ed assorbì la semplice, anirnistica religione dei prillli abitatori, i quali non conoscevano che il culto all'aperto di numina, entro sacri recinti. Gli dei introdotti daffli Etruschi richiedevano templi e sacrari, i quali insieme alle tombe o case dei defunti, sono le forme di costruzione alle quali I'uomo ha prodigato la sua massima ingegnosità artistica. Furono appunto gl; Etruschi i quali impressero all'architettura Romana molte delle sue piu durevoli caratteristiche, come I'alto podium dei templi, prima affermazione del principio del verticalismo nell'Europa occidentale, e la tomba circolare; ambedue queste forme derivano dalle primitive terremare, e ad esse gli Etrnschi attribuirono importanza monumentale.

~ 3. ~empio di Giove Cccpitoli·no. - I1 primo tempio costruito dagli Etruschi in Roma tenne sempre il posto piu eminente tra gli altri, sino alla fine del dominio pagano della città. Esso si ergeva sul Campidoglio ed era dedicato alla suprenla triade Etrusca degli Dei : Giove, Giunone e Minerva (fig. 10). A questo culto Capitolino della triade celeste corrisponde la triade terrestre di Cerere, I~iber e Libera, il cui tempio sorgeva presso il Circo Massimo.

I resti grandiosi del tempio Clapitolino sono tuttora visibili nel giardino del Palazzo Caffarelli. La parziale demolizione del Palazzo permette oggi di vedere chiaramente che la parte ancora esistente è il podium del tempio originale dei Tarquini' La soprastruttura calcolata a circa 204><188 piedi Italici, ì:

~corn]>arsa senza lasciare alcuna traccia, sicchè non ci rimanr che ricostrnirla sctcondo la classica tlescrizione di un tempio Toscano in Vitrovio c clallc vcstigia di vari Capitolia, sorti jn epoca piu tarda in diverse parti tl'Italia, ad imitazione del Campidoglio Rornano. Un vestibolo spazioso con tre colonne latcrali <: sei di fronte conduceva alle tre celle parallelt·, le cluali insjemt formavano un quadrato' I1 tenlpio Capitolino fu ripetutamente distrutto dal fuoco ma sempre fu riedificato secondo i piano oriffinale anche se i particolari ne vennero volta a voltzl modificatI. La decorazione I>rilnitiva era nclla terracotta viva cemente colorats, carattcristica drll'arte E:trusco-T~atina. Una quadriffa di trrracottn stnva sopra la cusliide, Ina in quell'epoca

 

 

La pcrdita della letteratura etrusca, che era essenzialmente di contenuto religioso, costituisce una una notevole limitazione alle nostre conoscenze di religione etrusca. Le testimonianze piu interessanti relative a questo settore appartengono llaa tradizione letteraria greca e latina di età tardo repubblicana e imperiale e alla tradizione figurata etrusca

Le opere letterarie trattano la religione etrusca non specificamente e organicamente, bensì sporadicamente e occasionalmente, inoltre sono rivolte a un

pubblico - greco e romano - che aveva esigenze e onentamenti culturali e

religiosi propri. Gli accenni al mondo etrusco hanno spesso il valore di un

nrifenmento dotto. Le opere figurate a prescindere dai soggetti specifici si rifanno si ad una tradizione effettiva locale ma anche a quella figurativa che può essere locale o allotria , , greca o romana a seconda dei periodi storici Pertanto, le testimonianze di queste ultime forme spesso finiscono per non essere dirette.

Gli Etruschi nell'antichità ebbero fama di popolo religiosissimo (Cic., De div.

I 42; Liv. V 1,6; ), ma tale fama si riferiva non tanto a un sentimento interiore quanto a un impegno e ad una professionalità nelle pratiche rituali.

La religione etrusca è fondata su rivelazioni. Di questo ci informano in maniera esplicita molti scrittori antichi, da Cicerone a Giovanni Lido:

Tagete,un bambino con la saggezza di un anziano, sarebbe spuntato dalla terra intorno a Tarquinia mentre un contadino arava nei campi e avrebbe parlato dell' "auruspicina a una grandissima folla richiamata dall'evento, con l' intento che i suoi insegnamenti fossero fissati per iscritto.

Il bambino-genietto in seguito sarà messo sullo stesso piano di filosofi che si erano occupati di religione, come Pitagora o Platone

Tutti questi precetti costituiscono la "disciplina", cioe un insieme di

norme che regolano il rapporto tra gli dei e gli uomini. Dovere primo degli

uomini è conoscere la volontà degli dei per poter adeguare a essa le proprie

azioni, volontà che si manifesta attraverso i fulmini le interiora degli animali, i prodigi

L' interpretazione di tali fenomeni compete a professionisti che hanno un ruolo di primaria importanza nella società etrusca.

Tutto ciò nchiede da parte dell'interprete una conoscenza meticolosa dello spazio celeste.

Chiara è la descrizione che ne dà Plinio il Vecchio (Nat.hist. II 41): lo spazio celeste è diviso in quattro scomparti da due rette immaginarie perpendicolari che congiungono i quattro

punti cardinali; ciascuno scomparto è diviso a sua volta in quattro in modo da ottenere sedici sezioni: quelle a onenre erano considerate favorevoli,

quelle a occidente sfavorevoli. Marziano Capella (De nupt. Philol. et Merc. I 45-60), nel V secolo d.C. ribadisce questa divisione e indica le divinità che hanno sede in ciascuna sezione .

Lo spazio ceieste cosi diviso e orientato, è un "tempio" nel senso tecnico che questa parola ebbe in latino.

 

 

 

 

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