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Tutto ciò nchiede da parte dell’interprete una conoscenza meticolosa dello spazio celeste.

Chiara è la descrizione che ne dà Plinio il Vecchio (Nat.hist. II 41): lo spazio celeste è diviso in quattro scomparti da due rette immaginarie perpendicolari che congiungono i quattro

punti cardinali; ciascuno scomparto è diviso a sua volta in quattro in modo da ottenere sedici sezioni: quelle a ponente erano considerate favorevoli,quelle a occidente sfavorevoli.

Marziano Capella (De nupt. Philol. et Merc. I 45-60), nel V secolo d.C. ribadisce questa divisione e indica le divinità che hanno sede in ciascuna sezione .

Lo spazio ceieste cosi diviso e orientato, è un "tempio" nel senso tecnico che questa parola ebbe in latino.

 

Essa ha come punto di partenza la ricerca scrupolosa della volontà divina attuata con tutti i mezzi, dei quali i piu importanti e tradizionali sono la lettura e la interpretazione delle viscere degli animali ed in modo particolare del fegato (aruspicina), e la interpretazione dei fulmini.

L'una e I'altra scienza trovano i loro precedenti nel mondo orientale e specialmente mesopota117iCO', ma assumono in Etruria un carattere nazionale spiccatissimo, tanto che anche penetrando nel mondo religioso romano, pur cosi imbevuto di tradizioni etrusche, esse non saranno assimilate e conserveranno sempre la loro etichetta straniera. E curioso invece osservare che a Roma, come già presso gli Umbri, prevarrà la divinazione mediante la osservazione del volo degli uccelli (auspicio). Ma anch'essa rientravn probabilmente nell'ambito della disciplina etrusca, e precisamente nel ramo riguardante la lettura dei segni o prodigi degli dèi, i così detti ostenta.

Pur tra le molte iacune esistenti nello studio e nellj interpretazione dei singoli fatti religiosi propri della disciplina etrusca, il problema fondamentaie: - che attende la sua risoluzione è quello del significato di tutti questi fatti presi insieme e della visione del mondo divino e umano che ne risulta. Questi due mondi sono collegati fra loro intimamente, secondo un principio di partecipazione mistica e di indistinzione.che richiama alla mentalità dei popoli primitivi. Per quanto possiamo intravvedere dalle fonti utilizzabili, molti aspetti della struttura spirituale etrusca, che appaiono oscuri se valutati sul metro del pensiero grecoromano, si spiegano alla

luce di questa classificazione in una sfera di concezioni religiose diverse'. Cielo e terra, realtà soprannaturale e realtà naturale, macrocosmo e microcosmo sembrano corrispondersi con palesi e segreti richiami entro un preordinato sistema unitario, nel quale I'orientamento e la divisione dello spazio assumono una importanza fondamentale. Le constatazioni fatte dagli studiosi moderni a tal proposito, e suscettibili di ulteriori sviluppi, hanno avuto come punto di partenza il raccostamento tra i nomi di divinità scritti nelle diverse caselle in cui appare suddivisa la superficie del fegato di bronzo di Piacenza e la partizione del cielo, con i suoi divini abitatori, secondo PLINIO (Nat. HisZ., 11, 54, 143) e MARZIANO CAPELLA (de nuptiis Mercuri et Philologiue, I, 45 sgg.) 2

Lo spazio 6( S;1CTO.,· orientato e suddiviso, risponde ad un concetto che in latino si esprime con ]a parola templum '. Esso riguarda il cielo, o un'area terrestre consacrata - come il recinto di un santuario, di una citta, di un'acropoli, ecc. --, ovvero anche una superficie assai pi~i piccola - ad esempio il fegato di un animale utilizzato per le pratiche divinatorie -, purché sussistano le condizioni dell'orientamento e della partizione secondo il modello celeste. L'orientamento è determinato dai quattro punti cardinali, congiunti da due rette incrociate, di cui quella nord-sud era chiamata cardo (con vocabolo prelatino) e quella est-ovest decumanus nella terminologia dell'urbanistica e della agrimensura romana che sappiamo strettamente collegate alla dottrina etrusco-italica. Posto idealmente lo spettatore nel punto d'incrocio delle due rette, con le spalle a settentrione, egli ha dietro di sé tutto lo spazio situato a nord del decumanus. Questa meta dello spazio totale si chiama appunto gparte posteriore, (pars postEca). L'altra metà che egli ha dinnanzi agli occhi, verso mezzogiorno, costituisce la .parte anteriore, (paTs antica). Una analoga bipartizione dello spazio si ha nel senso longitudinale del cardo: a sinistra il settore orientale, di buon auspicio (pars sinistra o fa?niliams); a destra il settore occidentale, sfavorevole (pars dextra o

caselle del bordo esterno (al;punto in numero di sedici) e nelle caselle interne (ad esse corrispondenti, seppure in maniera non del tutto chiara) del fegato di Piacenza. Tra i numi dei sedici campi celesti, citati da MARZIANO CAPELLA, e i nomi divini inscritti sul fegato esistono indubbie concordanze, ma non una corrispondenza assoluta, perché la originaria tradizione etrusca pervenne presumibilmente alterata nelle fonti del tardo scrittore romano, con qualche spostamento nelle sequenze. Ciò nonostante è possibile ricostruire un quadro approssimativo del sistema di ubicazione cosmica degli dèi secondo la dottrina etrusca (vedi la fig. a pag. 251). Esso ci mostra che le grandi divinità superiori, fortemente personalizzate e tendenzialmente favorevoli, si localizzavano nelle plaghe orientali del cielo, specie nel settore nord-est; le divinita della terra e della natura si collocavano verso mezzogiorno; le divinità infernali e del fato, paurose ed inesorabili, si supponevano abitare nelle tristi regioni deli'occaso, segnatamente nel settore nord-ovest, considerato come il piu nefasto.

La posizione dei segni che si manifestano in cielo (fulmini, volo di uccelli, apparizioni prodigiose) indica da qual nume proviene agli uomini il messaggio e se esso è di buono o di cattivo augurio. Indipendentemente dal punto di ori- gine, una complicata casistica riguardante le caratteristiche del segnale (per esempio la formn, il colore, I'effetto del fulmine, o il gi01.170 della sua caduta) aiuta a precisarne In natura: se si tratti cioè di un richiamo amichevole, o di un ordine, o di un annuncio senza speranza e cosi via. Lo stesso valore esortativo o profetico hanno le speciali caratteristiche presentate dal fegato di un animale sacrificato, preso in esame dalI'aruspice, secondo una corrispondenza delle sue singole parti con i settori celesti. Cosi I'"arte fulguratoria, e I'aruspicina, le due forme tipiche della divinazione etrusca, appaiono strettamente collegate; né fa meraviglia che esse possano essere state esercitate da un medesimo personaggio, come quel L. Cafate di cui si rinvenne a Pesaro I'epitafio bilingue e che fu appunto haruspex (in etrusco netYzjis) e fulguriator (cioè interprete ~p; hllm;n; · in Ptn~Prn tnrtnl)t frontac o tmctnvt?)'.

Uguali norme devono aver presieduto all'osservazione divinatoria del volo degli uccelli, come intravvediamo specialmente da fonti umbre (Tavole di Gubbio) e latine. A tal proposito ha speciale importanza lo spazio terrestre d'osservazione, e cioè il templum augurale, con il suo orientamento e le sue partizioni, cui senza dubbio si ricollega la disposizione non soltanto dei recinti sacri, ma dello stesso ternpio vero e proprio, cioè I'edificio sacro contenente il simulacro divino, che in Etruria appare di regola orientato verso sud o sud-est, con una pars antica che corrisponde alla facciata ed al colonnato ed una pars posticn rappresentata dalla cella o dalle celle. E del pari le regole sacre dell'orientamento si osservano (almeno idealmente) nella planimetria delle citta - concreto esempio monumentale è Marzabotto in Emilia -, e nella partizione dei campi.

In tutte queste concezioni e queste pratiche, come in generale nelle manifestazioni rituali etrusche, si ha I'impressione di un abbandono, quasi di una abdicazione dell'attivita spirituale umana di fronte alla divinita: che si rivela nella duplice ossessione della conoscenza e della attuazione della volontà divina, e cioè da un lato nello sviluppo delle pratiche divinatorie, da un altro lato nella rigida minuziosità del culto. Cosi anche radempimento o la violazione delle leggi divine, nonché le riparazioni attuate attraverso i riti espiatorii, sembrano essere soprattutto formali, al di fuori di un autentico valore etico', secondo concezioni largamente diffuse nel mondo antico, che però appaiono soprattutto accentuate nella religiosità etrusca. Ma è possibile che almeno gli aspetti piu rigidi di questo formalismo si siano definiti soltanto nella fase ~nale della civilta etrusca, e precisamente nell'ambito di quelle classi sacerdotali le cui elaborazioni rituali e teologiche trovarono la loro espressione nei libri sacri, forse favorite - e magari inconsciamente - dal desiderio dei sacerdoti stessi di accentrare nelle loro mani la interpretazione della volontà divina e quindi la direzione della vita spirituale della nazione.

Un altro aspetto, che si ricollega alla mentalità primitiva degli Etruschi, è la interpretazione illogica e mistica dei fenomeni naturali, che persistendo sino in età molto recente viene a contrastare in maniera drammatica con la razionalità scientifica dei Greci. A questo proposito è particolarmente significativo e rivelatore un passo di SENECA (Quaest. nat., 11, 32, 2) a proposito dei fulmini: Iloc inter nos et Tuscos... interest: nos putarnus, quia 1·Lubes collisae sunt, fulmina enzitti; ipsi existimant nubes colUcEi, ut fulm~na emittantnr; nam, cum omnia ad deum ref.erant, in ea opinione sunt, tanquam non, quh facta sunt, significent, sed quia sEgnificatura sunt, fiant. (La differenza fra noi [cioè il mondo ellenistico-romano] e gli Etruschi... è questa: che

noi riteniamo che i fulmini scocchino in seguito all'urto delle nubi; essi credono che le nubi si urtino per far scoccare i fulmini; tutto infatti attribuendo alla divinità, sono indotti ad opinare non già che le cose abbiano un significato in quanto avvengono, ma piuttosto che esse avvengano perché debbono avere un significato...).

Come nell'Oriente antico, anche in Etruria scienza teolog;ica e scienza profana non erano separate; divino e terreno, sovrannaturale e naturale, cielo e terra erano concepiti come un tutto strettamente connesso. Ogni impresa o azione umana doveva essere in armonia con il cosmo; rivolto al cielo era quindi ogni sforzo dei sacerdoti di investigare la sacra disciplina conformemente alla volontà dei numi

L'orientamento e la divisione dello spazio erano dunque della massima importanza, per il vaticinio dal fegato animale come per la fondazione di un tempio, per I'interpretazione di un meteorite come per la misurazione del terreno e la delimitazione di giardini e campi.

Cielo e terra erano divisi in quattro zone da due grandi assi invisibili, con direzione nord-sud ed est-ovest. Cardo si chiamava nella traduzione latina la retta nord-sud, decumanus I'asse trasversale determinato dal sorgere e calar del sole.

Ogni rito importante, o~ni azione cultuale ruotava dunque attorno a tale spazio celeste e terreno, con le sue divisioni ben delimitate, il quale solo rendeva possibile al sacerdote di investigare e intendere i sepni dati dai superni.

E in armonia con esso dovevano essere tutte le attività sacrali o profane intraprese sulla terra:

poiché la buona e la malasorte, pensavano gli etruschi, stavano immutabili ed eterne, stabilite dalle cosmiche dimore dei numi, nelle quattro regioni.

Di queste, I'orientale era considerata di buon auspicio, poiché in essa si erano stabiliti gli dei propizi all'uomo; e soprattutto quella nordorientale, che prometteva la fortuna. Nel settore sud g-overnavano le divinità della terra e della natura; nelle squallide regioni d'occidente, invece (e particolarmente nel quarto fra nord e ovest, il piu sinistro), dimoravano gli esseri spaventosi e implacabili del mondo infero e del fato.

Nessuna città etrusca crebbe mai a casaccio, come accozzaglia progressivamente crescente di abitazioni umane. I loro fondaton fornirono agli italici, prima vissuti in abitazioni sorte disordinatamente, le norme fondamentali della costruzione di una città ancorata nel culto.

La città fondata secondo ie leggi sacrali costituiva in Etruria una minuscola cellula del Tutto, armonicamente inserita in un ordine governato e determinato dai numi, onnicomprensivo.

I1 viso rivolto a sud, stabilito in cielo il nord-sud e I'est-ovest, diceva il sacerdote: a: auesto sia il mio davanti, questo il mio dietro; la mia sinistra e la mia destra.. Quindi incedeva solenne per il cardo e il decumano col suo liluus, il bastone pastoràle che Roma ereditò dall'Etruria e che ancor o~gi portano i vescovi delle chiese cattolica, anglicana e luterana di Svezia.

Nel punto in cui doveva sorgere il centro di una nuova città, si scavava una fossa molto profonda, quasi un pozzo, che fungeva d leqame fra il mondo dei vivi e quello dei morti, e conduceva alle potenze dell'abisso. La si ricopriva poi di grandi lastre di pietra.

Come la volta celeste, di cui sembrava costituire la controparte sotterranea, fu chiamata mundus e considerata, a quanto informa Varrone, la ~ porta degl'inferi ". Tutt'intorno venivano quindi tracciati, con una cerimonja solenne, in vasto cerchio i confini secondo i riti

prescntti.

In un giorno stabilito attraverso preeagi favorevoli, dicono notizie di Catone e di Varrone, il fondatore, vestito della toga, agpioga a un aratro, dal vomere di puro rame, un toro bianco a destra e una vacca bianca a sinistra. Egli traccia quindi un solco, guidando la vacca all'interno e tiene il vomere obliquo in maniera che le zolle siano rivoltate verso I'interno.

La terra ammucchiata a questo modo indica le future mura della città, il solco il vallo. Nei luoghi stabiliti per le porte I'aratro viene alzato, perché le porte sono cosa profana, le mura invece sacra, così come tutto lo spazio definito dal solco, il templum urbano.

Oltre alla posizione del mundus, cardo e decumano, croce sacrale, stabilivano quella ben precisa delle porte e delle vie, deg-li altan, templi ed edifici.

" Sulla poderosa acropoli, i templi,, dice Raymond Bloch, ~ erano orientati per I'appunto in direzione nord-sud, perché gli dei dalle loro nicchie potessero abbracciare con sguardo protettore tutta la città di cui reg;gevano i destini., E solo quando una città avesse consacrato tre templi, strade e porte, era considerata fondata secondo la legge.

A Marzabotto, vicino Bologna (la "Misa" fondata nel vI secolo a.C., I'unica città schiettamente etrusca tratta sinora metodicamente alla luce), è comparsa una rete stradale orientata appunto secondo le regioni celesti. Dinanzi a un tempio si trovò anche un mundus.

I romani impararono e fecero propn i riti etruschi per ~a fondazione di città.

I1 ricordo della fondazione di una città secondo il costume etrusco - more etrusco - si riflette nella leggenda romana. Romolo per fondare Roma, informa Plutarco, fece venire uomini dall'Etruna che lo iniziarono come nei misteri religiosi e scandirono la procedura secondo i riti e ]e prescrizioni sacre. Come la leggendana urbs guadrata - la città che si pretendeva sorta sul Palatino - era considerata fondata su prescrizione etrusca, cosi anche I'accampamento romano nspecchia chiaramente il modello etrusco.

Come "una delle cose helle e importanti" descrive Polibio I'accampamento che i legionari ronlani costruivano con la massima accuratezza nelle loro spedizioni, sera per sera.

Essi lo disponevano secondo un piano preciso: trovato il terreno adatto, il tnbuno vi piantava una bandiera bianca come punto di riferimento, secondo il quale doveva esser articolato tutto I>accampamento.

I1 posto segnato con la bandiera, il praetorium, veniva occupato dalla tenda del comandante con le insegne della legione.

Subito dopo si tracciavano due strade rettilinee, che s'incrociavano ad angolo retto dinanzi al praetorium.

La via principalis correva dritta in direzione nord-sud, corrispondendo così al cardo delle città, e portava alle due porte principali; I'altra si stendeva, come il decumano, da ovest a est.

L'influsso della cosmologia ntuale etrusca si rivela anche nell'importanza annessa alle porte nell'accampamento romano: quella verso levante - i buoni auspici venivano da oriente - la porta praetoria, godeva fama di portafortuna, onde attraverso di essa i legionari uscivano a battaglia; quella verso ponente, la porta decumana, era invece considerata portasfortuna, e da essa venivan fatti passare i condannati a morte per I'esecuzione.

Anche la fossa intorno era costruita more etrusco. Durante i lavori di fortificazione si ammucchiava la terra verso I'interno a fornlare un terrapieno (agger), chiuso da una palizzata (vallum).

Molte città romane di confine furono in seguito costruite secondo tale modello, con I'unica differenza che, in luogo del terrapieno originano, si avevano mura di pietra o di mattoni.

Esempi di costruzione geometrica a pianta rettangolare offrono Torino e Timgad nel Nordafrica, fondata da Traiano nel Ioo d.C. al marg·ine del Sahara.

Ogni tipo di terreno - latifondi, campi coltivati e piantagioni sottostava in Etruria a leggi sacre.

Due ricordi leggendari raccontano come esse furono un giorno rivelate. A Tarquinia si raccontava che Tagete stesso avesse insegnato a Tarchon le regole della limitatio, la misurazione del terreno; ]e quali poi sarebbero state tramandate in un codice dal titolo latino di "Liber qui inscribitur terrae iuris Etruriae ", cioe un codice di diritto agrario.

La concezione del divino nel mondo etrusco si differenzia profondamente da quella greca: I'uomo, infatti, provava un senso di infinita inferiorità di fronte alla potenza degli dei. Una minuziosa e rigidissima disciplina cultuale regolava i rapporti tra uomo e dio, la cui volontà doveva essere conosciuta, per essere scmpolosamente osservata, attraverso I'interpretazione delle viscere degli animali (soprattutto del fegato) e dei fulmini. Singolarissimo e interessante riferimento anche per le vicende architettoniche etn~sche è la partizione che si usava per suddividere uno spazio sacro:

lo schema si chiamava templum e poteva essere applicato al cielo, a un luogo sacro, ma anche a una cittj o a un santuario, come a un fegato osservato per trarne auspici (fig. 30).

I quattro punti cardinali erano uniti da due rette che venivano a incrociarsi ortogonalmente: da nord a sud correva il cardo, da est a ovest il decumano (i termini verranno poi usati nell'agrimensura e urbanistica romana, mostrando la loro connessione con la radice culturale ern~sca e italica). Si venivano a costituire due parti davanti e dietro il centro ideale: a sud la parte antica, a nord la parte postica, mentre, considerando la divisione in senso op posto, a est si aveva la sezione di buon auspicio (paus familiavis o sinistuu) e a ovest quella sfavorevole (pavs hostilis o dextva).

Questo schema, che poi si suddivideva ulteriormente lasciando sedici spazi per le diverse divinità, serviva per interpretare presagi (fulmini, volo degli uccelli), ma trovava eco anche nella costruzione dei templi.

Importante fu la determinazione delI'acropoli, stabilita come luogo sacro, spazio pubblico comune a tutta la cittadinanza. Qui è probabile che si osservasse il volo degli uccelli la cui interpretazione veniva tradotta in auspici. Sull'acropoli, a partire dal VI secolo a.C., incominciarono a comparire i primi templi.

La pianta d~ tempio mostra i caratteri tipici del mo numento sacro etmsco, così come lo de scrive Vitruvio. Netta era la divisione il due parti orizzontali: la parte antistant (pavs antica), che faceva da pronaos col colonne (qui forse due), precedeva 1 pavs postica divisa in tre sezioni, forse tr celle o un naos con due vani lateral aperti, chiamati da Vitruvio alae

la tradizione romana, testi che documentano la prassi seguita dagli Etruschi nella fondazione delle città.

Secondo Cicerone i libri sacri degli Etruschi si dividevano in tre parti - di cui I'ultima costituita aai · Libri rituales · -.

Festo precisa: · Rituales nominatur Etruscorum lit>ri in quibus praescriptum est quo ritu condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua sanctitate muri, quo iure portae... ". Questi contenevano elencate quindi le re~ole ed i riti rélativi alla fondazione della città, al suo sistema di aifesa ed alla consacrazione degli edifici, riti giunti alla conoscenza dei romani e a noi trasmessi da vari scrittori (Catone "Origines·; Ovi-dio ·Fasti· IV, 825; Varrone "De re rustica" [I a). I trattati posteriori dei gromatici romani e soprattutto il " De limitibus costruendis " di Igino specificano i dettagli della tecnica etrusca.

Non sta a noi ora fare un'indagine critica dei testi, studio filologico che rientra nel campo della storia delle religioni: ci limiteremo a riferire, benchè sia molto nota ormai, la prassi seguita dagli Etruschi per la fondazione delle loro città, quantunque sia indubbio che la tradizione romana non sia scevra di qualche aggiunta e variante.

La fondazione delle città presso eli Etruschi era preceduta, secondo le ~orme dettate dai sacerdoti e dagli aruspici, dalla creazione del Mundus, pozzetto di forma tronco-conica (altare degli dei inferi, in contrapposizione all'ara consacrata agli Dei del cielo) nel quale si versava il sangue delle vittime o si deponevano le primizie delle stagioni.

Tre volte all'anno, nei giorni consacrati agli Dei infernali,;eniva aperto, togliendo il lapis ma-nalis che lo coprivn.

Nel giorno fissato dagli aruspici si tracciava il sulcus primigenius con un aratro dalla punta di bronzo trainato da una mucca e da un toro bianchi. La terra doveva riversarsi all'interno ed il solco interrompersi in corrispondenza delle porte.

Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetudine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinnto alla residenza veniva diviso (limitatio) in quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la "groma".

Secondo il rito, la fondazione delle città si svoIgeva al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il "Decumanus·, era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis denrtnrrnn~lmpntp rrl nPPl~mRnllS Prl incrociantesi con

genius c~n un aratro dalla' p~n I~n aratro dalla puntadi bronzo trainato da una mucca e da un toro bianchi.

La terra doveva riversarsi all'interno ed il solco interrompersi in corrispondenza delle porte. Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetudine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinato alla residenza veniva diviso (limitatio) in quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la groma ·. Secondo il rito, la fondazione delle citd si svalgeva al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il "Decumanus", era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis decursum". Ortogonalmente al Decumanus ed incrociantesi con

questo nel centro della città si tracciava I'altra arteria fondamentale detta "Cardo· o via cardinale. Altre strade di minore larghezza, tracciate parallelamente a queste, formavano delle insulae rettangolari.

L'orientamento del sistema stradale variava da città a città entro certi limiti in dipendenza del giorno della cerimonia di fondazione.

Infatti, svolgendosi I'atto di fondazione al mattino, orientando il decumano sul punto di levata del sole ne veniva una variazione di orientamento secondo la stagione in cui la cittj era fondata.

Però questa regola non si riscontra in tutte le città che gli scavi hanno messo in luce.

Vuelle soprattutto situate su alture oppure sul punto di confluenza di varie colline seguono le linee naturali del terreno.

Mentre per alcuni scrittori il solco sarebbe stato il primo atto di fondazione della città, per altri, per es. Igino, il tracciato interno avrebbe preceduto la determinazione del limite esterno della città.

È probabile invece che il sulcus primigenius facesse parte del rito plu antico, quando, secondo I'uso, il limite delle città era costituito da una cinta circolare, forma piu facilmente eseguibile di qualsiasi altra e le porte dovevano essere in numero di tre (epoca compresa fra il X e 1'VIII sec. a. C.).

Quando, forse verso il sec. VII, fu introdotto il rito dell'orientazione delle strade, la cerimonia del solco rimase subordinata alla limitazione.

Però, mentre il pomerium interno determinava la forma regolare della città, le mura potevano anche segmre un tracciato meno regolare.

Su questo Frontino così si esprime: " Se la natura del terreno lo permette, ci si deve attenere alla regola, in caso contrario conviene seguire I'accidentalità del terreno·. Certo è che dall'analisi dei testi romani non è facile distinguere con esattezza quanto faccia veramente parte della tradizione etrusca e quanto invece sia dovuto alla rielaborazione della leggenda o agli studi teorici dei gromatici

Fra le cinte di mura che si conoscono la maggior parte ha tracciato vario.

Forme tendenti all'ovale si riscontrano a Rossel le, Faleri-Novi.

Contorni irregolarissimi presentano Volterra, Pe rugia, Veio e Tarquinia.

Pochissime sono le città aventi le mura con tracciato quasi regolare (Ansedonia, Cortona, Saturnia).

Ciò che assume invece fondamentale importanza dal punto di vista urbanistico è il tracciato ortogonale-della rete stradale che, già in uso presso i popoli indigeni della nostra penisola, assunse presso gli Etruschi con la limitatio un carattere ben chiaro e preciso, realizzato con tecnica ed arte meravigliose (Marzabotto, Norba, Veio, Fondi)

Marzabotto, La città il cui piano non è vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrazpposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusche.

Accanto ad un tipico adattamento al terreno, come nel caso di Vetulonia, le cui mura dell'arce sono incastrate nella cinta medievale e le cui vie si rivelano tort~lose, esempio questo caratteristico delle città di collina, troviamo Marzabotto: la città etrusca per antonomasia, quella il cui piano non vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrapposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusehe

Marzabotto (VI sec.) distrutta dai Galli e poi abbandonata, oggi in parte ridotta dall'erosione del Reno, era difesa da una cinta fortificata di cui resta la porta orientale. Al di sopra della città I'acropoli con tre santuari, uno a cella unica, due a cella triplice. Appare chiaro in essa non solo lo schema impostato sul cardo e sul decumanus e determinato da insulae rettangolari, ma anche la tecnica seguita nelle opere stradali: vie ampie pavimentate, bordate di marciayiedi e dotate di uno sviluppato sistema di canalizzazione laterale. Le abitazioni, di cui restano solo le fondamenta in pietra a secco, erano costruite con mattoni cotti o con fango; caratteristici i comlilessi di piccoli locali raggruppati intorno ad una corte interna.

Questo rappresentn. I'esempio plu tipico; Veio, Felsina, Vetulonia, Capua, romanizzate, presentano caratteri ed elementi non sempre puri. Ercolano e Pompei etrusche non sono identificabili.

Non possiamo dire con certezza se i Fori che appaiono nella maSSior parte di questi centri siano veramente di origine e di impianto romano; sembra però, anche dagli studi piu recenti, che negli schemi etruschi il foro manchi e che piuttosto il centro civile e spirituale delle città sia rappresentato dal tempio.

Ogni città doveva possedere un luoao elevato (acropoli), interno od esterno alle mura, sul quale innalzare i templi e svolgere i riti dell'aruspicina, un luogo " qui ab omni parte aspici vel ex quo omnls pars videri potest"

Fuori delle porte della città oppure sopra una collina vicina si stendevano le necropoli. All'interno era proibito seppellire o brucinre cadaveri; solo nell'epoca della decadenza le tombe giunsero fino a ridosso delle mura.

Premessa: I principi dell'urbanistica etrusca furono direttamente adottati dai Romani, i quali vi riconobbero la via di minor resistenza a risolvere un problema pratico ed in ciò rivelarono una caratteristica inconfondibile del loro spirito: I'amore all'ordine ed all'armonia non mai avulso da un senso realistico delle cose immediato ed in ogni caso determinante.

Roma stessa è di fondazione etrusca. Secondo la tradizione intorno al Palatino si riunirono per sinecismo genti latine di origine diversa e la città fu fondata E~ etrusco ritu". Solo Plutarco accenna al solco circolare mentre tutti gli altri autori sono concordi nel confermare la forma quadrata del solco. Tacito accenna ad un Pomerium trapezoidale ai piedi del Palatino e Plinio ricorda le tre porte priInitive: Mugona, di Caco, Romana. Dalle fonti romane, le quali a loro volta non sono che un'eco della tradizione, si deduconoa", nella complessità degli accenni, i caratteri fondamentali sviluppo della tecnica etrusca nei suoi aspetti successivi, che si completano nel quadro urbano sia col tracciato del decumano (via Sacra Antica) e del cardo (Porta Ianualis - Porta Romana) sia con la destinazione ad acropoli del Campidoglio.

Le origini di Roma confermano mirabilnente la continuità dell'urbanistica etrusca con quella romana. Fu poi compito di Roma perfezionare la tecnica etrusca secondo le proprie tendenze ed esigenze. La conservazione quasi religiosa che i Romani fecero del contenuto dei Libri Rituales etruschi e le opere dei castramensores romani, che costituiscono il perfezionamento delle norme dettate nei Libri Rituales, dimostrano tale continuità documentata ancor piu evidentemente dal chiaro e copioso materiale a disposizione dei nostri studi diretti: accampamenti militari, città che dagli accampamenti fiorirono, impianto delle colonie, centuriazione. Già Norba e Fondi, le città volsche romanizzate nel IV secolo denotano I'applicazione di principi etruschi, meno rigidi nella prima, sorta in collina con cinta poligonale e con piano impostato su un asse orientato NE-SO, chiari e schematici nella seconda, sorta in pianura, a cinta cluadrangolare e con piano perfettamente ortogonale, orientato NO-SE ed impostato sul decumano costituito dalla Via Appia

L'inauguratio con I'orientamento e la delimitazione del templum (che secondo alcune fonti rappresenterebbe il territorio urbano, secondo altre il luogp dal quale trarre gli auspici), il sulcus primigenius, il tracciato del pomerium sono presupposti rituali sui quali si basavano nella pratica le cerimonie di fondazione e le ricorrenze religiose a queste riferite, presupposti coi quali praticamente I'effettivo tracciato delle città non sempre concorda. All'atto di fondazione e per opera dei gromatici seguiva la limitatio interna basata su criteri determinanti di orto~onalità: ci si trova davanti ad uno schema rigido ma nella sua logica chiarezza perfetto ed esattamente rispondente al complesso ordine di esigenze alle quali doveva soddisfare e alle possibilità tecniche dei mensores e dei legionari che dovevano di volta in volta realizzarlo.

diretti dell'urbanistica romana, con la castrametatio nacque I'urbanistica romana vera e propria, I'urbanistica come disciplina senza empirismi, senza fantasie mistiche, senza approssimazioni.

Resta comunque accertato che, se alla base dell'urbanistica romana stette I'elemento religioso assimilato dagli Etruschi col concetto importantissimo di limitazione, nella pratica e nell'attuazione ebbe un peso determinante un'altra forza vitale: I'organizzazione militare, la quale del resto non solo fissò per la fondazione particolari schemi di facile attuazione ma anche, diffondendo prima le insegne di Roma e garantendo poi la civiltà ~di questa in tutta la vastità delllmpero, determinò veramente un'unita urbanistica in tutto il mondo romano.

Base dell'impostazione era, come presso gli Etruschi, il tracciato dei due assi fondamentali, I'uno orientato da levante ad occidente chiamato ·Decumanus· (di larghezza variabile dai 14 ai 15 metri; eccezionalmente poteva arrivare ai 30 metri), I'altro, normale al primo, orientato da settentrione a mezzogiorno denominato " Cardo" (con larghezza di 7-8 metri). Strade minori con larghezza minima anche di m. 2,50, parallele a questi due assi, poste tra loro alla distanza variabile dai 60 ai 70 metri completavano la rete viaria determinando insulae quadrate o rettangolari che trovano riscontro nella centuriazione delle colonie e nelle strigae e scamna del suolo demaniale delle provincie. Va però notato che mentre nelle città il cardo rispetto al decumano aveva una funzione secondaria, nel campo, almeno nei primi tempil aveva la funzione di asse principale (da cui anche il nome ad esso conferito di ~via principalis") e solo piu tardi la larghezza dei due assi cardo e decumano sembra si sia uniformata sui 80 piedi mentre all'inizio il decumano era di 50 piedi ed il cardo di 100. Ai punto di intersezione dei due assi principali troviamo nel campo il praetorium nella città il foro.

Tuttavia questa regola fondamentale ebbe applicazioni diverse: in alcune città ci troviamo di fronte a piu decumani e a piu cardi principali o per lo meno a piu assi principali, in altre, è questo il caso di Aosta, a una riduzione del reticolo stradale con la conseguenza di isolati molto estesi (m. 143 X 181). Così la posizione del foro non fu sempre baricentrica ma la sua localizzazione fu spesso spostata e con regola costante presso il porto nelle città marittime..

I1 pomerio e le mura costituivano il limite della città. È da osservare che il pomerio, nato da principi di ordine spirituale come barriera religiosa, ai quali si aggiunsero ovviamente interessi di ordine pratico, venne poi a costituire una zona di respiro dell'abitato, pur mantenendo le sue funzioni primitive.

I1 perfetto orientamento non era però sempre seguito. Le città sorte vicino a fiumi, laghi, mare o collina presentano una evidente aderenza alla configurazione del terreno: il aecumano era tracciato parallelamenté alle curve di livello ed il cardo ad esso normale seguiva le Iinee di maggiore pendenza. Per questo anche si notano orientamenti vari delle città, dovuti eminentemente alla natura dei luoghi e non certnmente, secondo le affermazioni del La\·edan ed i calcoli del Tiele, alla diversità della stagione in cui vennero fondate ed al conseguente punto di levata del sole. Con questo tuttavia non si vuole negare I'apporto alla tecnica dell'orientamento dato dai gromatici, i quali nei loro trattati insistettero sempre sul concetto dell'orientamento basato non solo sulI'oriente reale ma anche su quello piu preciso, pure se meno facilmente realizzabile, dell'onentamento equinoziale ed auspicarono una uniformità di delimitazione in tutto I'impero basata appunto sul secondo metodo di orientamento.

I romani consideravar~o i confini della proprietà come una cosa sacra. La città, il campo militare, il territorio erano limitati a somiglianza delle linee celesti da linee, tracciate dal1'Augure col lituus, che si tagliavano ortogonalrnente ed erano orientate secondo i quattro punti cardinali, proiezione Jul suolo del Templum sacro. A11'Augure succedette I'agrimensore (mensor) detto anche gromatico, dal nome dello strumento che serviva per tracciare gli allineamenti ortogonali.

L’agro pubblico e soprattutto il terreno conquistato, prima di essere assegnato in proprietà a privati oppure dato in affitto o a decima, veniva diviso per (limites in centuriis ", cioi: in appezzamenti quadrati di circa 50 ettari limitati da linee rette equidistanti tra loro m.'ilO e parallele a due lir~ee maestre, intersecantisi ad angolo retto nel punto centrale della limitazione, chiamate: decumanus maziml~s quella diretta da levante a ponente (ab orienle ad occasum sccnn<llrmsolis decursum) e Cardo solis decursum) e Cardo marimus quella diretta da setfentrione a Inezzogiorno.

Sulle linee principali (lirnites) venivano costruite le strade pubbliche fiancheggiate da fossi. Ogni cIuadrato dicevasi centuria I>erchè formata da 100 parcelle (sortes) di due iugeri ciascuna; superficie cIuesta assegnata in origine ad ognuna delle famiglie dei coloni.

 

In alcuni luoghi furono tracciate anche centurie rettangolari di 120 iugeri (Cremona), di 640 iugeri (Luceria), di 400 iugeri (Emerita - Spagna).

I termini o lapides posti agli incroci dei limites portavano I'indicazione dell'autore della misurazione e i dati di riferimento gromatici.

L'incrocio del cardo massimo col decumano massimo determinava cIuattro s partes , che, rispetto al misuratore posto all'incrocio dei due assi e rivolto nella direzione orientale del decumano, prendevano il nome di: regio dextrnfn eitrata e regio sinistrnln citrala quelle che si trovavano davanti 9 lui e rispettivamente a destra o a sinistra del decumano; regio dexIratu ultrala e regio sinistrutn ultrtrta quelle che si trovavano dietro a lui rispettivamente a destra o a sinistra del decumano.

La larghezza del decumano max. variava da 30 a 40 piedi mentre ]a larghezza del cardo max. variava da 20 a 30 picdi. I cardi e i decumani minori avevano una larghezza da 12 a lj piedi.

I1 Brizio ed altri attribuiscono agli Etruschi i'introduzione, coi riti di fondazione delle città, del concetto di limitazione; il Lavedan ammette una remota influenza orientale dei riti, nell'orientazione e nella limitazione e nella ortogonalità del tracciato, distinguendo molto esattamente gli esempi etn~schi dal sec. X all'VIII (città sorte già secondo piano prestabilito con solco primigenio a forma circolare) e gli esempi successivi dal sec. VIII al VI, posteriori ad una seconda immigrazione, che denotano I'introduzione dell'uso della groma nel vecchio sistema, del cardo e del decumanus e conseguentemente I'introduzione del sistema quadrangolare.

I1 Cultrera è del parere che gli usi Etruschi siano il prodotto di una assimilazione di forme locali gla esistenti. Secondo lui la popolazione dell'Etruria si componeva di indigeni e di immigrati e la poca diffusione della lingua fa credere che la grande maggioranza fosse indigena, retta da una minoranza che in parte portò usi, leggi, costumi propri, in parte accettò e codificò usi locali. Per quanto riguarda lo schema ortogonale del tracciato urbano sarebbe alquanto dubbia una importazione dall'Asia Minore in quanto che al tempo dell'emigrazione etrusca questi schemi erano già caduti in disuso colj e non sarebbero stati ripresi che ai tempi di Ippodamo.

A testimonianza di questa tesi vi sono i perimetri irregolari della maggior parte delle città etrusche che presuppongono, date anche le accidentalità del terreno, tracciati irregolari; nè si hanno esempi di opere di livellamento. Anche la leggenda del mito di Tages starebbe a dimostrare che gli Etruschi non avrebbero portato con sè I'uso della limitazione ma bensì avrebbero appresa I'aruspicina e le regole del tracciato urbano quando vennero a trovarsi a contatto delle popolazioni indigene.

Di fronte ad un problema così complesso quale è quello delI'origine e della formazione dell'urbanistica etrusca ed a teorie tanto differenti è lecito ed anche logico ammettere una specie di contaminazione fra la tradizione, le tendenze innate ed ancestrali del popolo etrusco e gli usi delle popolazioni con le quali gli Etruschi si trovarono a contatto nelle loro sedi di stanzia ebmento in Italia. Da bC,eo! sintesi, nella quale i diversi fattori ideali e materiali ebbero un’influenza i cui limiti non sono nè possono essere precisabili, nacque il complesso originalissimo e nuovo dell'urbanistica etrusca.

 

 

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