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Tempo Etrusco

Gli Etruschi  contavano le ore del giorno  da mezzogiorno a mezzogiorno. 

Il mese  era scandito dalle fasi lunari 

L'anno iniziava con Marzo, il mese della rinascita primaverile.

I libri 'fatales', una sezione dei testi sacri, dividevano in cicli di sette anni sia la vita degli individui, sia quella dei popoli e delle nazioni.

I secoli, invece, non avevano una scadenza regolare.

Il passaggio da un secolo all'altro era segnato da eventi prodigiosi ed inconsueti.

Uno squillo di tromba in cielo, infine, secondo la profezia, doveva segnare l'irrevocabile tramonto della civiltà etrusca.

Altare Etrusco

La caratteristica principale dell'altare etrusco è quella di essere sopraelevato rispetto allo spazio circostante.

Gli altri elementi della struttura, invece, variano in relazione all'uso cui è destinato l'altare.

L'altare del santuario è imponente, decorato con modanature e talvolta con scene a rilievo ed orientato verso il settore dello spazio dove aveva la sua sede la divinità venerata nel santuario. 

L'altare, infatti, veniva utilizzato come ripiano per i sacrifici di animali.

Un caso particolare, esclusivamente etrusco, è l'altare per il culto delle divinità infere. 

Al centro del ripiano c'è un pozzo profondo per stabilire un collegamento con le realtà sotterranee e proprio in questo pozzo venivano gettate le offerte durante il rito sacro.

L'altare per la commemorazione degli antenati è un semplice ripiano per posare le offerte di cibi e bevande e poteva trovarsi all'interno della tomba, nella camera principale, o all'esterno, sul tumulo     

Cielo ed Inferi

La civiltà etrusca riteneva che ci fosse una sostanziale unità fra mondo celeste e mondo infero.

Non solo le divinità riuniscono in sè sia aspetti celesti sia aspetti infernali, ma anche i due mondi sono tra loro speculari e le loro gerarchie riflettono le gerarchie aristocratiche terrene.

Così l'aspetto infernale di Tinia, somma divinità celeste, viene individuato, sulla base del pantheon greco, in Aita che ha per sposa Phersipnai come Tinia ha per sposa Uni. 

Divinità della Natura   

Gli Etruschi pensavano che ogni realtà della natura fosse sotto il controllo e la protezione di una divinità. 

Selvans

Selvans dovette avere una grande importanza. Il suo nome compare per ben due volte sul Fegato di Piacenza ed è  inciso su numerose offerte votive. 

Uno dei quattro attributi di Selvans, "Sanchuneta", fa supporre che ilsuo ruolo sia quello di protettore dei confini, e ciò può spiegare la sua importanza, considerando che, nel mondo etrusco, la divisione dello spazio è atto sacro.

Fulmini 

Tutto il sapere etrusco riguardo ai fulmini era contenuto in una sezione dei testi sacri che, secondo la leggenda, era stata scritta dalla ninfa Vegoia.

Il sacerdote che si occupava dell'interpretazione dei fulmini era l'augure.

Egli prima di tutto cercava di individuare l'origine e la traiettoria del fulmine per sapere, sulla base della divisione dello spazio, quale divinita' avesse inviato ilmessaggio e se questo fosse positivo o negativo.

Poi, esaminando le caratteristiche del fulmine, gli effetti prodotti ed i luoghi o gli oggetti colpiti, poteva capire altri particolari del messaggio. Ad esempio, un fulmine proveniente da nord-est sta a significare che il messaggio proviene dalle divinità infernali e che non è favorevole.

Se poi il fulmine è caduto nel foro vuol dire che si preparano eventi sfavorevoli per i principi della città.

L'ultimo indispensabile compito dell'aruspice era l'espiazione e la sepoltura del fulmine per allontanarne gli effetti negativi.

Egli raccoglieva tutte le tracce lasciate dal passaggio del fulmine e le seppelliva in un luogo che veniva recintato e quindi consacrato alla divinità. 

Prima di richiudere il pozzo l'aruspice sacrificava su di esso un agnellino con due denti

Aruspicina 

Le radici dell'aruspicina, pratica divinatoria che consiste nell'esame delle interiora delle pecore sacrificate, si perdono nella leggenda.

Si narra, infatti, che l'autore dei testi sacri che contengono le norme per praticare l'aruspicina sia Tagete, nipote di Tinia, somma divinità dell'Etruria.

Il sacerdote, vestito del suo abito, si poneva nell'atteggiamento rituale che ci è tramandato dalle incisioni sul retro di due specchi. 

Con il piede su un sasso e l'aria attenta, consapevole dell'importanza del momento, il sacerdote esaminava il fegato della vittima, che teneva nella mano destra, secondo un preciso criterio che, come ci mostra il Fegato di Piacenza, era basato sulla divisione dello spazio e sulla corrispondenza all'interno di esso tra il microcosmo costituito dal fegato ed il macrocosmo del cielo, sede delle divinità.

Ogni segno trovato sull'organo poteva così essere attribuito ad una specifica divinità ed essere interpretato come positivo o negativo

Fegato di Piacenza 

Durante gli scavi nei siti etruschi sono stati rinvenuti molti modellini, in terracotta od in bronzo, di fegato di pecora. 

Il modellino in bronzo ritrovato nelle campagne piacentine è un caso particolare. Infatti la faccia superiore è divisa in quaranta caselle che contengono, incise, le abbreviazioni dei nomi delle divinità etrusche.

La faccia inferiore, invece, ha incisi due soli nomi, USILS e TIVR, sole e luna o, per estensione, giorno e notte, divisi da una linea che è stata interpretata come decumano, l'asse nord-sud, cioè, della divisione dello spazio.

Il Fegato di Piacenza, dunque, poteva essere uno strumento per l'insegnamento dell'aruspicina, oppure un pro-memoria per l'aruspice

Tempio 

La pianta del tempio etrusco era quasi quadrata e metà della sua superficie era occupata dalla cella, sulla fronte c'era un colonnato con otto colonne disposte su due file.

La cella poteva essere unica o triplice e le colonne sulla fronte erano di un tipo particolare detto "tuscanico", con un fusto in legno senza scanalature e con capitello circolare.

Il tetto a spiovente creava sulla fronte un timpano triangolare, ed al suo culmine si appoggiava la trave principale del tetto, dove erano collocate le statue acroteriali. 

Ai lati, al di sotto del tetto correvano degli assi sui quali si disponeva una copertura lignea di terracotte architettoniche.

I templi sorgevano su alti podii in pietra per accentuare il loro carattere di edificio sacro, più vicino al cielo.

Prevalse così l'architettura con prospettiva frontale, ed il podio divenne un elemento costruttivo autonomo, abbellito da una propria decorazione.

Il tempio "tuscanico" descritto da Vitruvio, presentava una pianta quadrata, su un alto basamento a podio che isolava e sollevava l'edificio rispetto all'area circostante. 

Tramite una gradinata sulla fronte si attraversava un pronao con colonne, per entrare quindi all'interno. Il tempio, orientato a sud, era in genere suddiviso in tre celle: quella centrale custodiva la statua di culto, le due laterali a volte erano vani aperti in comunicazione col pronao.

Tra i più noti vi è il tempio di Portonaccio a Veio, del 500 a.C., sacro a Minerva e forse anche ad Ercole ed Apollo. I muri e le colonne erano di tufo, la trabeazione ed il tetto a doppio spiovente erano in legno.

Il rivestimento era costituito da terracotte policrome eseguite a stampo e realizzate in una bottega guidata forse da Vulca, famoso artista veiente chiamato a Roma da Tarquinio il Superbo per decorare il tempio di Giove Capitolino.

Il tetto era coperto da tegole e coppi, alle cui estremità erano poste le antefisse a testa di gorgone, di satiro e di menade, e gocciolatoi a testa di leone. Sulla trave centrale erano collocate le statue acroteriali.

Altri tipi di templi si ricollegano agli ordini greci come il tempio B di Pyrgi, circondato da un colonnato e con un'unica cella.

Il tempio dell'Ara della Regina a Tarquinia presenta una cella suddivisa in tre ambienti successivi, e circondata da un colonnato sorgente da un imponente podio a gradini. 

Tomba a camera 

La tomba a camera è costituita da un ambiente costruito sul terreno, semisotterraneo o completamente scavato nel tufo, al quale si accede per mezzo di un lungo corridoio a gradini.

Il tetto della camera è scolpito a doppio spiovente imitando il tetto della capanna e le pareti sono talvolta decorate con pitture.

Lungo il perimetro della camera corre una banchina su cui venivano adagiati i defunti con gli oggetti di corredo che li accompagnavano, oppure si possono notare dei buchi sul pavimento per i sostegni dei sarcofagi.

La tomba a camera era pensata per accogliere la sepoltura di generazioni successive di una stessa famiglia, che riconoscevano come capostipite la coppia che aveva commissionato la costruzione della tomba stessa. Talvolta per il capostipite veniva ancora praticata l'incinerazione e l' urna che conteneva le sueceneri era posta al centro della tomba fra i letti funebri che accoglievano gli altri membri della famiglia.

Poteva accadere, però, che lo spazio a disposizione non fosse più sufficiente, ed allora venivano aperte camere secondarie o scavate altre tombe nello stesso tumulo.

Quando la tomba a camera era articolata in più ambienti, spesso quello centrale aveva la funzione di atrio.

Necropoli 

Un'area del territorio, non lontana dal centro abitato e molto più estesa, viene destinata alle sepolture.

La necropoli in origine ha una disposizione casuale, legata anche alla varietà dei tipi di tomba, e, come la città, può avere uno schema regolare o irregolare.

La necropoli della Banditaccia a Cerveteri si sviluppa ai lati di una via principale, sulla quale si affacciano disordinatamente gli ingressi dei tumuli.

Ma con le tombe a dado l'impianto della necropoli viene pianificato secondo lo schema della città a pianta regolare. 

Nella necropoli di Crocefisso del Tufo, a Volsinii, gli ingressi delle tombe si dispongono ordinatamente lungo le vie sepolcrali che si incrociano ortogonalmente, secondo una planimetria rigidamente prestabilita. Anche nelle necropoli rupestri dell'Etruria meridionale l'impianto è regolare. 

Le tombe, scavate nelle balze di tufo, presentano le facciate allineate ed emergenti dalla roccia.

Un'area nei pressi della città veniva riservata alla sepoltura. Il nome greco di quest'area, 'necropoli', evidenzia bene l'idea che ne ebbero tutti i popoli dell'antichità: la necropoli, la 'città dei morti', rappresenta come un doppio della città dei vivi.

Osservando la pianta delle necropoli etrusche si può notare come essa assomigli alla pianta di una città (di un'area urbana), talvolta regolare, quando sia frutto di una fondazione progettata, più spesso irregolare, quando sia frutto di un'evoluzione secolare.

Nell'ambito della 'città dei morti', la tomba rappresenta il parallelo della casa nella città dei vivi.

E così, infatti, gli Etruschi la intesero: come una dimora in cui il defunto in qualche modo sopravviveva circondato dagli oggetti che gli erano stati cari e confortato dal perenne ricordo della sua famiglia.  

Tagete

A  Tarquinia dalle viscere della terra sarebbe emerso il genio Tagete, che avrebbe insegnato agli Etruschi l'arte dell'aruspicina, che interpretava il volere degli dei osservando le viscere degli animali.

Area pubblica 

Gli Etruschi non avevano nelle loro città un luogo espressamente pensato come area di riunione pubblica, sul modello del foro nelle città romane.

Il centro vitale della città era l'area sacra nella quale sorgevano il tempio e tutti gli altri edifici per il culto.

L'assiduità etrusca nelle pratiche religiose fece sì che la piazza antistante il tempio, divenuta luogo di incontro di molta gente, fosse utilizzata per le riunioni pubbliche e per il mercato.

Un caso particolare è costituito dalla reggia, dove confluivano le funzioni dell'area pubblica, sacra e privata.

Residenza delle famiglie aristocratiche che esercitavano il loro potere nei piccoli centri, fu generalmente distrutta alla fine del VI sec. a.C., quando emersero i grandi centri urbani. 

 

La casa etrusca in origine aveva una o più stanze allineate di piccole dimensioni.

Nel VI sec.a.C. si afferma il tipo di casa a due o tre stanze affiancate, precedute da un vestibolo o da un portico posto in senso trasversale, con funzione di rappresentanza.

Numerosi esempi sono conservati ad Acquarossa, dove alcune case erano riccamente decorate come gli edifici sacri. C'erano acroteri con due teste mostruose sulla sommità del tetto, antefisse dipinte con palmette, gocciolatoi a testa di grifo, tegole dipinte con cavalli.

A Marzabotto, nel secolo successivo, le abitazioni sono inserite in isolati regolari, con un cortile seguito da un grande ambiente intorno al quale si disponevano le altre stanze.

Infine nel quartiere ellenistico di Roselle le case presentano ambienti intorno ad un cortile porticato.

Da questo schema può essere derivato il tipo di casa italica ad atrio.

Vita privata.

La casa era il centro della vita familiare e i cambiamenti che la sua struttura subì nelle varie epoche vennero dettati anche dalle modifiche nel carattere delle occupazioni domestiche.

La capanna villanoviana presentava un unico grande ambiente ellittico o quadrangolare: attorno al focolare gravitava la vita sociale ed esso si trovava al centro della casa. Oltre che servire alla cottura dei cibi era anche fonte di luce e di calore.

Dall'VIII-VII secolo nella casa in muratura la pianta si fece più articolata e l'arredo più raffinato:un grande vano trasversale fungeva da sala e si apriva sul retro in due o tre vani destinati al riposo. Per evitare incendi il focolare era separato dalle stanze private, nelle quali erano riposte le vesti ed altri effetti personali.

Dalla fine del III sec. si diffuse la casa ad atrio,dalla forma allungata: l'ingresso immetteva in un vasto ambiente col tetto ad impluvio. Da questo si poteva accedere al "tablino", la stanza di rappresentanza e di qui alla parte retrostante della casa,nella quale si trovavano le stanze della servitù, la cucina, gli orti ed i giardini. ed i giardini. ngata: l'ingresso immetteva in un vasto ambiente col tetto ad impluvio. Da questo si poteva accedere al "tablino", la stanza di rappresentanza e di qui alla parte retrostante della casa,nella quale si trovavano le stanze della servitù, la cucina, gli orti ed i giardini. iliare e i cambiamenti che la sua struttura subì nelle varie epoche vennero dettati anche dalle modifiche nel carattere delle occupazioni domestiche.

 

 

Dalla fine del III sec. si diffuse la casa ad atrio,dalla forma allungata: l'ingresso immetteva in un vasto ambiente col tetto ad impluvio. Da questo si poteva accedere al "tablino", la stanza di rappresentanza e di qui alla parte retrostante della casa,nella quale si trovavano le stanze della servitù, la cucina, gli orti ed i giardini.

Quando l'abitazione privata si trasformò, da semplice capanna in legno e paglia a pianta circolare,in una casa in muratura di pianta quadrangolare, gli elementi dell'arredo si moltiplicarono e si specializzarono per ogni ambiente:la camera da letto, la sala da banchetto, la cucina, il magazzino. 

Nella capanna villanoviana il focolare, al centro della casa, serviva a cuocere i cibi e ad illuminare e riscaldare l'abitazione.

In seguito, nella casa in muratura, il focolare fisso era usato solo d'inverno e nei giorni di maltempo. Infatti si preferiva cucinare all'aperto, disponendo i fornelli in nicchie di tufo scavate nelle pareti dei cortili.

Nel IV secolo le case delle famiglie facoltose disponevano di vasti ambienti destinati alla cottura dei cibi: qui i servi si adoperavano per allestire il banchetto e stavano appesi in bell'ordine alle pareti gli utensili da cucina.

Vie di comunicazione 

Gli Etruschi aprirono strade e piste lungo i declivi che costeggiavano i fiumi e crearono una efficiente rete stradale, poi sfruttata e potenziata dai Romani.

Le strade etrusche si adeguavano al territorio senza modificarlo, infatti a differenza delle vie romane non erano pavimentate, nè rettilinee e seguivano il corso sinuoso delle valli.

 

Testi sacri 

Nell'ambito della letteratura etrusca ebbe un grande spazio la compilazione di libri a contenuto religioso.

Le radici della sapienza religiosa etrusca affondano nella leggenda. 

Gli Etruschi, infatti, tendevano ad attribuire un'origine divina o comunque antichissima ai testi sacri fondamentali, quelli cioè che riguardano le pratiche divinatorie. 

Si narra che i libri sulla pratica dell'aruspicina avessero come base gli insegnamenti di Tagete, mentre i libri riguardanti l'interpretazione dei fulmini fossero opera della ninfa Vegoia.

Leggenda a parte, i primi nuclei dei testi sacri furono elaborati nei secoli dall'attività di generazioni di sacerdoti e furono conservati in forma scritta all'interno delle famiglie aristocratiche, da cui provenivano i  sacerdoti.

Un settore molto vasto ed articolato dei libri a contenuto religioso era quello che i Romani chiamarono 'Libri Rituales'. Erano raccolte di norme che regolavanoogni aspetto della vita pubblica, privata e religiosa, come testimoniano la Tegola di Capua e la Mummia di Zagabria, che sono raccolte di norme liturgiche in forma di calendario.

La grande influenza che la cultura etrusca ebbe, in ambito religioso, sulla nascente Roma, fece sì che nel II sec.a.C., su iniziativa del senato romano, fosse raccolto e sistemato per argomento tutto il sapere etrusco

Pomerio 

Fascia di terreno consacrata che correva all'interno ed all'esterno delle mura della città, sulla quale non era possibile nè costruire nè coltivare, nè seppellire i morti.

La tradizione voleva che il fondatore, dopo aver compiuto i riti di fondazione e aver scavato una piccola fossa, su cui veniva posto un altare e acceso un fuoco, tracciasse con l'aratro un solco rituale sul quale si dovevano costruire le mura.

La funzione originaria del pomerio era religiosa e militare: la mancanza di edifici all'interno del suo spazio rendeva più facile la difesa intorno all'abitato ed a ridosso delle mura.

Il pomerio era considerato il limite della città.

 

Cippi di confine 

Per segnare i confini gli Etruschi usavano dei cippi.

L'esempio più antico risale al V sec. a.C. e proviene da Spina. Si tratta di un semplice ciottolo reso liscio dall'azione continuata dell'acqua del Po, infissoverticalmente nel terreno e recante l'iscrizione "MI TULAR" che significa "Io (sono) il confine".

E' proprio l'iscrizione a chiarire di che tipo di confine si tratti. Infatti, mentre il TULAR SPURAL è il cippo che evidenziava i punti importanti all'interno della città, il TULAR RASNAL serviva a delimitare il territorio su cui la città esercitava il suo dominio.

In seguito i cippi furono tagliati a forma di parallelepipedo in diversi tipi di pietra ed in dimensioni maggiori per accogliere un'iscrizione più articolata.

Alcuni cippi provenienti da Fiesole e risalenti al I sec.a.C. recano incisi due nomi, dopo la formula consueta, che probabilmente sono quelli dei magistratiincaricati di definire i confini. Se, invece, all'iscrizione "Tular" segue il nome di una famiglia significa che quel cippo segnava il confine di una proprietà privata.

La profezia della ninfa Vegoia avvertiva che spostare un cippo di confine, sconvolgendo così tutto il meticoloso lavoro di divisione dello spazio operato al momento della fondazione, era un atto gravissimo.

Mura 

Le città dell'Etruria meridionale, in gran parte costruite su altopiani tufacei dalle pareti scoscese, non necessitarono inizialmente di fortificazioni.

Grandi mura circolari circondarono più spesso le città dell'Etruria settentrionale. Il materiale usato per la costruzione delle mura era a sud prevalentemente il tufo, squadrato in grandi blocchi, mentre a nord si adoperavano calcare, travertino e arenaria.

La maggior parte delle mura, sia nelle città a pianta irregolare sia nelle città a pianta regolare, risale al IV secolo, epoca in cui gli Etruschi affrontarono i Celti invasori ed i Romani.

Le mura comprendevano sempre una superficie più ampia di quella occupata dall'area urbana vera e propria: le cinte murarie di Tarquinia e di Volterra eranolunghe una decina di chilometri, sei o sette quella di  Veio, ed includevano sorgenti d'acqua e pascoli in previsione di assedi.

Le porte urbane erano costruite sfruttando con maestria la tecnica architettonica dell'arco e della volta, ed erano collocate sempre nei punti in cui la natura del terreno rendeva più facile il passaggio. 

Area sacra 

Nell'area urbana era riservato uno spazio per gli edifici sacri.

Il santuario era delimitato da mura, o segnalato da cippi, ed al suo interno si trovavano il tempio, altri edifici di culto, e fosse per custodire gli ex voto.

Davanti al tempio, all'aperto, sorgeva l'altare e la zona circostante era allestita a piazza e lastricata, per permettere alla popolazione di assistere ai sacrifici.

Spesso sull'acropoli sorgeva l'area sacra con il tempio consacrato alla divinità protettrice della città.

Ma i grandi centri avevano spesso anche un santuario extraurbano, situato presso crocevia commerciali o porti.

I santuari di Pyrgi e Gravisca godevano di extraterritorialità, erano soggetti a leggi divine e non dipendevano politicamente dalle vicine città di Caere e Tarquinia. Ospitavano commercianti di razze diverse, che veneravano varie divinità e fungevano anche da empori.

 

Area privata 

Nelle città a pianta irregolare, come Acquarossa, i quartieri di abitazione si raggruppavano spontaneamente senza un piano preordinato, costeggiati da strade curvilinee e disposti intorno a spazi aperti di forma irregolare.

Nelle città a pianta regolare, come Marzabotto, l'area privata era organizzata in isolati rettangolari, intervallati da vie che s'intersecavano ad angolo retto.

All'interno degli isolati le abitazioni si sviluppavano soprattutto in estensione e non avevano più di un piano. 

La casa etrusca aveva un cortile interno, accessibile dalla strada per mezzo di un lungo corridoio, sul quale si affacciavano gli ingressi. Nel cortile si trovava il pozzo per l'approvvigionamento idrico.

Nelle città che sorgono sulle colline spesso l'area privata occupa i terrazzamenti, come a Roselle.

Bonifiche

Autori classici e resti archeologici documentano opere di bonifica e canalizzazione per un migliore sfruttamento delle acque in agricoltura.

Gli Etruschi avrebbero tramandato ai Romani tramite l'arte della aruspicina norme per la divisione dei terreni e per lo scolo delle acque. Le prime opere realizzate a Roma per bonificare e rendere salubre la valle del Foro sono infatti attribuite a Tarquinio Prisco.

A Veio venne scavato nella roccia il" Ponte Sodo ", un tunnel lungo 70 m. e largo 3 m., che serviva ad evitare le inondazioni create in questo punto dal torrente Cremera, ed a facilitarne l'attraversamento.

Nella Pianura Padana gli Etruschi regolarono il ramo del Po e collegarono il ramo che passava per Adria con quello relativo alla citta' di Spina.

Resti evidenti di queste opere idrauliche sono i cunicoli.

Dodecapoli

Il territorio dell'Etruria comprendeva dodici città principali, ciascuna delle quali ospitava uno dei "popoli" etruschi che da essa prendeva il nome.

Dei rappresentanti eletti da ciascuna città si riunivano una volta l'anno a Volsinii per celebrare delle feste pan-etrusche presso il santuario del dio Tinia, veneratocome Voltumna.

Durante questi concilii venivano prese decisioni politiche ed era scelto un magistrato supremo di tutta l'Etruria, che aveva però compiti di carattere essenzialmente religioso: Livio lo definisce infatti "sacerdos", mentre altri documenti di età romana parlano di un "praetor Etruriae".

La struttura amministrativa della dodecapoli venne replicata anche nei territori colonizzati dagli Etruschi  fuori dall'Etruria vera e propria: esisteva infatti ancheuna dodecapoli delle colonie campane con capitale a Capua.

Facevano parte della dodecapoli originaria Cerveteri, Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia, Volsinii, Chiusi, Perugia, Cortona, Arezzo, Volterra, e Veio.

Quando quest'ultima venne conquistata dai Romani il suo posto nella dodecapoli venne preso da Populonia. 

Roma etrusca

Sotto i Tarquinii Roma assunse un assetto urbanistico più evoluto: venne eretto il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio e vennero creati una cinta di mura difensive ed uno spazio di pubblica riunione (il Foro).

La classe dirigente etrusca scelse a proprio quartiere residenziale una zona ai piedi del Campidoglio, soprannominata poi per questa ragione "Vicus Tuscus". Anche durante il regno dei Tarquinii il Latino rimase la lingua ufficiale di Roma.

Dopo la cacciata dell'ultimo re di questa stirpe, Tarquinio detto il Superbo, molte famiglie etrusche continuarono a vivere a Roma con incarichi prestigiosi fino ai primi decenni del V secolo a.C. 

Tarquinio Prisco, primo re etrusco a Roma, governò dal 616 al 578 a.C..

Durante il suo regno la città si estese sui sette colli, l'area del Foro venne urbanizzata e furono bonificate le valli paludose che si trovavano all'interno della cinta di mura.

La sua opera venne continuata dal genero Servio Tullio, forse scelto come suo successore dalla moglie di Tarquinio Prisco, 

La tradizione vuole che fosse Servio Tullio ad importare a Roma dall'Etruria il costume dei giochi ed a far costruire il Circo Massimo appositamente per queste gare, dopo aver fatto bonificare la Valle Murcia.

Divisione dello Spazio 

La civiltà etrusca riteneva che ci fosse una strettissima corrispondenza fra la realtà terrena, quella celeste e quella dell'oltretomba,basate tutte su di un sistema di orientamento comune.

L'orientamento era determinato dai quattro punti cardinali che, uniti da due rette, formavano i quattro settori fondamentali. 

Tenendo presente che l'orientamento doveva essere osservato ponendosi con la fronte a sud, la retta E-O delimitava la parte anteriore e quella posteriore dello spazio e la retta N-S la parte destra (sfavorevole) e la parte sinistra (di buon auspicio).

Ognuno dei quattro settori era suddiviso a sua volta in quattro parti. 

I complessivi sedici settori erano abitati dalle divinità disposte secondo la loro natura.

Il settore N-E, il settore propizio per eccellenza, era abitato dalle divinità celesti, e parallelamente il settore N-O, il più sfavorevole, dalle divinità infernali.

La divisione dello spazio si riproduceva esatta in ogni realtà sia che fosse piccola, come il fegato degli animali sacrificati per le pratiche divinatorie, sia che fosse grande come i cieli, e le sue sacre regole erano la base per la costruzione dei templi e delle tombe, per la fondazione delle città e per la dottrina della limitazione, che si diceva insegnata dalla ninfa Vegoia 

Tutto ciò richiede da parte dell’interprete una conoscenza meticolosa dello spazio celeste.Chiara è la descrizione che ne dà Plinio il Vecchio (Nat.hist. II 41): lo spazio celeste è diviso in quattro scomparti da due rette immaginarie perpendicolari che congiungono i quattro

punti cardinali; ciascuno scomparto è diviso a sua volta in quattro in modo da ottenere sedici sezioni: quelle a ponente erano considerate favorevoli,quelle a occidente sfavorevoli.

Marziano Capella (De nupt. Philol. et Merc. I 45-60), nel V secolo d.C. ribadisce questa divisione e indica le divinità che hanno sede in ciascuna sezione .

Lo spazio celeste cosi diviso e orientato, è un "tempio" nel senso tecnico che questa parola ebbe in latino.

Essa ha come punto di partenza la ricerca scrupolosa della volontà divina attuata con tutti i mezzi, dei quali i piu importanti e tradizionali sono la lettura e la interpretazione delle viscere degli animali ed in modo particolare del fegato (aruspicina), e la interpretazione dei fulmini.

L'una e I'altra scienza trovano i loro precedenti nel mondo orientale e specialmente mesopotamico, ma assumono in Etruria un carattere nazionale spiccatissimo, tanto che anche penetrando nel mondo religioso romano, pur cosi imbevuto di tradizioni etrusche, esse non saranno assimilate e conserveranno sempre la loro etichetta straniera. E curioso invece osservare che a Roma, come già presso gli Umbri, prevarrà la divinazione mediante la osservazione del volo degli uccelli (auspicio). Ma anch'essa rientravn probabilmente nell'ambito della disciplina etrusca, e precisamente nel ramo riguardante la lettura dei segni o prodigi degli dèi, i così detti ostenta.

Pur tra le molte lacune esistenti nello studio e nelle interpretazione dei singoli fatti religiosi propri della disciplina etrusca, il problema fondamentaie: - che attende la sua risoluzione è quello del significato di tutti questi fatti presi insieme e della visione del mondo divino e umano che ne risulta. Questi due mondi sono collegati fra loro intimamente, secondo un principio di partecipazione mistica e di indistinzione che richiama alla mentalità dei popoli primitivi. Per quanto possiamo intravvedere dalle fonti utilizzabili, molti aspetti della struttura spirituale etrusca, che appaiono oscuri se valutati sul metro del pensiero grecoromano, si spiegano alla

luce di questa classificazione in una sfera di concezioni religiose diverse'. Cielo e terra, realtà soprannaturale e realtà naturale, macrocosmo e microcosmo sembrano corrispondersi con palesi e segreti richiami entro un preordinato sistema unitario, nel quale I'orientamento e la divisione dello spazio assumono una importanza fondamentale. Le constatazioni fatte dagli studiosi moderni a tal proposito, e suscettibili di ulteriori sviluppi, hanno avuto come punto di partenza il raccostamento tra i nomi di divinità scritti nelle diverse caselle in cui appare suddivisa la superficie del fegato di bronzo di Piacenza e la partizione del cielo, con i suoi divini abitatori, secondo PLINIO (Nat. HisZ., 11, 54, 143) e MARZIANO CAPELLA (de nuptiis Mercuri et Philologiue, I, 45 sgg.) 2

Lo spazio 6( S;1CTO.,· orientato e suddiviso, risponde ad un concetto che in latino si esprime con ]a parola templum '. Esso riguarda il cielo, o un'area terrestre consacrata - come il recinto di un santuario, di una citta, di un'acropoli, ecc. --, ovvero anche una superficie assai pi~i piccola - ad esempio il fegato di un animale utilizzato per le pratiche divinatorie -, purché sussistano le condizioni dell'orientamento e della partizione secondo il modello celeste. L'orientamento è determinato dai quattro punti cardinali, congiunti da due rette incrociate, di cui quella nord-sud era chiamata cardo (con vocabolo prelatino) e quella est-ovest decumanus nella terminologia dell'urbanistica e della agrimensura romana che sappiamo strettamente collegate alla dottrina etrusco-italica. Posto idealmente lo spettatore nel punto d'incrocio delle due rette, con le spalle a settentrione, egli ha dietro di sé tutto lo spazio situato a nord del decumanus. Questa meta dello spazio totale si chiama appunto gparte posteriore, (pars postEca). L'altra metà che egli ha dinnanzi agli occhi, verso mezzogiorno, costituisce la .parte anteriore, (paTs antica). Una analoga bipartizione dello spazio si ha nel senso longitudinale del cardo: a sinistra il settore orientale, di buon auspicio (pars sinistra o fa?niliams); a destra il settore occidentale, sfavorevole (pars dextra o

caselle del bordo esterno (al;punto in numero di sedici) e nelle caselle interne (ad esse corrispondenti, seppure in maniera non del tutto chiara) del fegato di Piacenza. Tra i numi dei sedici campi celesti, citati da MARZIANO CAPELLA, e i nomi divini inscritti sul fegato esistono indubbie concordanze, ma non una corrispondenza assoluta, perché la originaria tradizione etrusca pervenne presumibilmente alterata nelle fonti del tardo scrittore romano, con qualche spostamento nelle sequenze. Ciò nonostante è possibile ricostruire un quadro approssimativo del sistema di ubicazione cosmica degli dèi secondo la dottrina etrusca (vedi la fig. a pag. 251). Esso ci mostra che le grandi divinità superiori, fortemente personalizzate e tendenzialmente favorevoli, si localizzavano nelle plaghe orientali del cielo, specie nel settore nord-est; le divinita della terra e della natura si collocavano verso mezzogiorno; le divinità infernali e del fato, paurose ed inesorabili, si supponevano abitare nelle tristi regioni deli'occaso, segnatamente nel settore nord-ovest, considerato come il piu nefasto.

La posizione dei segni che si manifestano in cielo (fulmini, volo di uccelli, apparizioni prodigiose) indica da qual nume proviene agli uomini il messaggio e se esso è di buono o di cattivo augurio. Indipendentemente dal punto di ori- gine, una complicata casistica riguardante le caratteristiche del segnale (per esempio la formn, il colore, I'effetto del fulmine, o il gi01.170 della sua caduta) aiuta a precisarne In natura: se si tratti cioè di un richiamo amichevole, o di un ordine, o di un annuncio senza speranza e cosi via. Lo stesso valore esortativo o profetico hanno le speciali caratteristiche presentate dal fegato di un animale sacrificato, preso in esame dalI'aruspice, secondo una corrispondenza delle sue singole parti con i settori celesti. Cosi I'«arte fulguratoria, e I'aruspicina, le due forme tipiche della divinazione etrusca, appaiono strettamente collegate; né fa meraviglia che esse possano essere state esercitate da un medesimo personaggio, come quel L. Cafate di cui si rinvenne a Pesaro I'epitafio bilingue e che fu appunto haruspex (in etrusco netYzjis) e fulguriator (cioè interprete ~p; hllm;n; · in Ptn~Prn tnrtnl)t frontac o tmctnvt?)'.

Uguali norme devono aver presieduto all'osservazione divinatoria del volo degli uccelli, come intravvediamo specialmente da fonti umbre (Tavole di Gubbio) e latine. A tal proposito ha speciale importanza lo spazio terrestre d'osservazione, e cioè il templum augurale, con il suo orientamento e le sue partizioni, cui senza dubbio si ricollega la disposizione non soltanto dei recinti sacri, ma dello stesso ternpio vero e proprio, cioè I'edificio sacro contenente il simulacro divino, che in Etruria appare di regola orientato verso sud o sud-est, con una pars antica che corrisponde alla facciata ed al colonnato ed una pars posticn rappresentata dalla cella o dalle celle. E del pari le regole sacre dell'orientamento si osservano (almeno idealmente) nella planimetria delle citta - concreto esempio monumentale è Marzabotto in Emilia -, e nella partizione dei campi.

In tutte queste concezioni e queste pratiche, come in generale nelle manifestazioni rituali etrusche, si ha I'impressione di un abbandono, quasi di una abdicazione dell'attivita spirituale umana di fronte alla divinita: che si rivela nella duplice ossessione della conoscenza e della attuazione della volontà divina, e cioè da un lato nello sviluppo delle pratiche divinatorie, da un altro lato nella rigida minuziosità del culto. Cosi anche radempimento o la violazione delle leggi divine, nonché le riparazioni attuate attraverso i riti espiatorii, sembrano essere soprattutto formali, al di fuori di un autentico valore etico', secondo concezioni largamente diffuse nel mondo antico, che però appaiono soprattutto accentuate nella religiosità etrusca. Ma è possibile che almeno gli aspetti piu rigidi di questo formalismo si siano definiti soltanto nella fase ~nale della civilta etrusca, e precisamente nell'ambito di quelle classi sacerdotali le cui elaborazioni rituali e teologiche trovarono la loro espressione nei libri sacri, forse favorite - e magari inconsciamente - dal desiderio dei sacerdoti stessi di accentrare nelle loro mani la interpretazione della volontà divina e quindi la direzione della vita spirituale della nazione.

Un altro aspetto, che si ricollega alla mentalità primitiva degli Etruschi, è la interpretazione illogica e mistica dei fenomeni naturali, che persistendo sino in età molto recente viene a contrastare in maniera drammatica con la razionalità scientifica dei Greci. A questo proposito è particolarmente significativo e rivelatore un passo di SENECA (Quaest. nat., 11, 32, 2) a proposito dei fulmini: Iloc inter nos et Tuscos... interest: nos putarnus, quia 1·Lubes collisae sunt, fulmina enzitti; ipsi existimant nubes colUcEi, ut fulm~na emittantnr; nam, cum omnia ad deum ref.erant, in ea opinione sunt, tanquam non, quh facta sunt, significent, sed quia sEgnificatura sunt, fiant. (La differenza fra noi [cioè il mondo ellenistico-romano] e gli Etruschi... è questa: che

noi riteniamo che i fulmini scocchino in seguito all'urto delle nubi; essi credono che le nubi si urtino per far scoccare i fulmini; tutto infatti attribuendo alla divinità, sono indotti ad opinare non già che le cose abbiano un significato in quanto avvengono, ma piuttosto che esse avvengano perché debbono avere un significato...).

Come nell'Oriente antico, anche in Etruria scienza teolog;ica e scienza profana non erano separate; divino e terreno, sovrannaturale e naturale, cielo e terra erano concepiti come un tutto strettamente connesso. Ogni impresa o azione umana doveva essere in armonia con il cosmo; rivolto al cielo era quindi ogni sforzo dei sacerdoti di investigare la sacra disciplina conformemente alla volontà dei numi

L'orientamento e la divisione dello spazio erano dunque della massima importanza, per il vaticinio dal fegato animale come per la fondazione di un tempio, per I'interpretazione di un meteorite come per la misurazione del terreno e la delimitazione di giardini e campi.

Cielo e terra erano divisi in quattro zone da due grandi assi invisibili, con direzione nord-sud ed est-ovest. Cardo si chiamava nella traduzione latina la retta nord-sud, decumanus I'asse trasversale determinato dal sorgere e calar del sole.

Ogni rito importante, o~ni azione cultuale ruotava dunque attorno a tale spazio celeste e terreno, con le sue divisioni ben delimitate, il quale solo rendeva possibile al sacerdote di investigare e intendere i sepni dati dai superni.

E in armonia con esso dovevano essere tutte le attività sacrali o profane intraprese sulla terra:

poiché la buona e la malasorte, pensavano gli etruschi, stavano immutabili ed eterne, stabilite dalle cosmiche dimore dei numi, nelle quattro regioni.

Di queste, I'orientale era considerata di buon auspicio, poiché in essa si erano stabiliti gli dei propizi all'uomo; e soprattutto quella nordorientale, che prometteva la fortuna. Nel settore sud g-overnavano le divinità della terra e della natura; nelle squallide regioni d'occidente, invece (e particolarmente nel quarto fra nord e ovest, il piu sinistro), dimoravano gli esseri spaventosi e implacabili del mondo infero e del fato.

Nessuna città etrusca crebbe mai a casaccio, come accozzaglia progressivamente crescente di abitazioni umane. I loro fondaton fornirono agli italici, prima vissuti in abitazioni sorte disordinatamente, le norme fondamentali della costruzione di una città ancorata nel culto.

La città fondata secondo ie leggi sacrali costituiva in Etruria una minuscola cellula del Tutto, armonicamente inserita in un ordine governato e determinato dai numi, onnicomprensivo.

I1 viso rivolto a sud, stabilito in cielo il nord-sud e I'est-ovest, diceva il sacerdote: a: auesto sia il mio davanti, questo il mio dietro; la mia sinistra e la mia destra.. Quindi incedeva solenne per il cardo e il decumano col suo liluus, il bastone pastoràle che Roma ereditò dall'Etruria e che ancor o~gi portano i vescovi delle chiese cattolica, anglicana e luterana di Svezia.

Nel punto in cui doveva sorgere il centro di una nuova città, si scavava una fossa molto profonda, quasi un pozzo, che fungeva d leqame fra il mondo dei vivi e quello dei morti, e conduceva alle potenze dell'abisso. La si ricopriva poi di grandi lastre di pietra.

Come la volta celeste, di cui sembrava costituire la controparte sotterranea, fu chiamata mundus e considerata, a quanto informa Varrone, la ~ porta degl'inferi ». Tutt'intorno venivano quindi tracciati, con una cerimonja solenne, in vasto cerchio i confini secondo i riti prescntti.

In un giorno stabilito attraverso preeagi favorevoli, dicono notizie di Catone e di Varrone, il fondatore, vestito della toga, agpioga a un aratro, dal vomere di puro rame, un toro bianco a destra e una vacca bianca a sinistra. Egli traccia quindi un solco, guidando la vacca all'interno e tiene il vomere obliquo in maniera che le zolle siano rivoltate verso I'interno.

La terra ammucchiata a questo modo indica le future mura della città, il solco il vallo. Nei luoghi stabiliti per le porte I'aratro viene alzato, perché le porte sono cosa profana, le mura invece sacra, così come tutto lo spazio definito dal solco, il templum urbano.

Oltre alla posizione del mundus, cardo e decumano, croce sacrale, stabilivano quella ben precisa delle porte e delle vie, deg-li altan, templi ed edifici.

« Sulla poderosa acropoli, i templi,, dice Raymond Bloch, ~ erano orientati per I'appunto in direzione nord-sud, perché gli dei dalle loro nicchie potessero abbracciare con sguardo protettore tutta la città di cui reg;gevano i destini., E solo quando una città avesse consacrato tre templi, strade e porte, era considerata fondata secondo la legge.

A Marzabotto, vicino Bologna (la «Misa» fondata nel vI secolo a.C., I'unica città schiettamente etrusca tratta sinora metodicamente alla luce), è comparsa una rete stradale orientata appunto secondo le regioni celesti. Dinanzi a un tempio si trovò anche un mundus.

I romani impararono e fecero propn i riti etruschi per ~a fondazione di città.

I1 ricordo della fondazione di una città secondo il costume etrusco - more etrusco - si riflette nella leggenda romana. Romolo per fondare Roma, informa Plutarco, fece venire uomini dall'Etruna che lo iniziarono come nei misteri religiosi e scandirono la procedura secondo i riti e ]e prescrizioni sacre. Come la leggendana urbs guadrata - la città che si pretendeva sorta sul Palatino - era considerata fondata su prescrizione etrusca, cosi anche I'accampamento romano nspecchia chiaramente il modello etrusco.

Come «una delle cose helle e importanti» descrive Polibio I'accampamento che i legionari ronlani costruivano con la massima accuratezza nelle loro spedizioni, sera per sera.

Essi lo disponevano secondo un piano preciso: trovato il terreno adatto, il tnbuno vi piantava una bandiera bianca come punto di riferimento, secondo il quale doveva esser articolato tutto I>accampamento.

I1 posto segnato con la bandiera, il praetorium, veniva occupato dalla tenda del comandante con le insegne della legione.

Subito dopo si tracciavano due strade rettilinee, che s'incrociavano ad angolo retto dinanzi al praetorium.

La via principalis correva dritta in direzione nord-sud, corrispondendo così al cardo delle città, e portava alle due porte principali; I'altra si stendeva, come il decumano, da ovest a est.

L'influsso della cosmologia ntuale etrusca si rivela anche nell'importanza annessa alle porte nell'accampamento romano: quella verso levante - i buoni auspici venivano da oriente - la porta praetoria, godeva fama di portafortuna, onde attraverso di essa i legionari uscivano a battaglia; quella verso ponente, la porta decumana, era invece considerata portasfortuna, e da essa venivan fatti passare i condannati a morte per I'esecuzione.

Anche la fossa intorno era costruita more etrusco. Durante i lavori di fortificazione si ammucchiava la terra verso I'interno a fornlare un terrapieno (agger), chiuso da una palizzata (vallum).

Molte città romane di confine furono in seguito costruite secondo tale modello, con I'unica differenza che, in luogo del terrapieno originano, si avevano mura di pietra o di mattoni.

Esempi di costruzione geometrica a pianta rettangolare offrono Torino e Timgad nel Nordafrica, fondata da Traiano nel Ioo d.C. al marg·ine del Sahara.

Ogni tipo di terreno - latifondi, campi coltivati e piantagioni sottostava in Etruria a leggi sacre.

Due ricordi leggendari raccontano come esse furono un giorno rivelate. A Tarquinia si raccontava che Tagete stesso avesse insegnato a Tarchon le regole della limitatio, la misurazione del terreno; ]e quali poi sarebbero state tramandate in un codice dal titolo latino di «Liber qui inscribitur terrae iuris Etruriae », cioe un codice di diritto agrario.

La concezione del divino nel mondo etrusco si differenzia profondamente da quella greca: I'uomo, infatti, provava un senso di infinita inferiorità di fronte alla potenza degli dei. Una minuziosa e rigidissima disciplina cultuale regolava i rapporti tra uomo e dio, la cui volontà doveva essere conosciuta, per essere scmpolosamente osservata, attraverso I'interpretazione delle viscere degli animali (soprattutto del fegato) e dei fulmini. Singolarissimo e interessante riferimento anche per le vicende architettoniche etn~sche è la partizione che si usava per suddividere uno spazio sacro:

lo schema si chiamava templum e poteva essere applicato al cielo, a un luogo sacro, ma anche a una cittj o a un santuario, come a un fegato osservato per trarne auspici (fig. 30).

I quattro punti cardinali erano uniti da due rette che venivano a incrociarsi ortogonalmente: da nord a sud correva il cardo, da est a ovest il decumano (i termini verranno poi usati nell'agrimensura e urbanistica romana, mostrando la loro connessione con la radice culturale ern~sca e italica). Si venivano a costituire due parti davanti e dietro il centro ideale: a sud la parte antica, a nord la parte postica, mentre, considerando la divisione in senso op posto, a est si aveva la sezione di buon auspicio (paus familiavis o sinistuu) e a ovest quella sfavorevole (pavs hostilis o dextva).

Questo schema, che poi si suddivideva ulteriormente lasciando sedici spazi per le diverse divinità, serviva per interpretare presagi (fulmini, volo degli uccelli), ma trovava eco anche nella costruzione dei templi.

Importante fu la determinazione delI'acropoli, stabilita come luogo sacro, spazio pubblico comune a tutta la cittadinanza. Qui è probabile che si osservasse il volo degli uccelli la cui interpretazione veniva tradotta in auspici. Sull'acropoli, a partire dal VI secolo a.C., incominciarono a comparire i primi templi.

La pianta d~ tempio mostra i caratteri tipici del mo numento sacro etmsco, così come lo de scrive Vitruvio. Netta era la divisione il due parti orizzontali: la parte antistant (pavs antica), che faceva da pronaos col colonne (qui forse due), precedeva 1 pavs postica divisa in tre sezioni, forse tr celle o un naos con due vani lateral aperti, chiamati da Vitruvio alae

la tradizione romana, testi che documentano la prassi seguita dagli Etruschi nella fondazione delle città.

Secondo Cicerone i libri sacri degli Etruschi si dividevano in tre parti - di cui I'ultima costituita aai · Libri rituales · -.

Festo precisa: · Rituales nominatur Etruscorum lit>ri in quibus praescriptum est quo ritu condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua sanctitate muri, quo iure portae... ». Questi contenevano elencate quindi le re~ole ed i riti rélativi alla fondazione della città, al suo sistema di aifesa ed alla consacrazione degli edifici, riti giunti alla conoscenza dei romani e a noi trasmessi da vari scrittori (Catone «Origines·; Ovi-dio ·Fasti· IV, 825; Varrone «De re rustica» [I a). I trattati posteriori dei gromatici romani e soprattutto il « De limitibus costruendis » di Igino specificano i dettagli della tecnica etrusca.

Non sta a noi ora fare un'indagine critica dei testi, studio filologico che rientra nel campo della storia delle religioni: ci limiteremo a riferire, benchè sia molto nota ormai, la prassi seguita dagli Etruschi per la fondazione delle loro città, quantunque sia indubbio che la tradizione romana non sia scevra di qualche aggiunta e variante.

La fondazione delle città presso eli Etruschi era preceduta, secondo le ~orme dettate dai sacerdoti e dagli aruspici, dalla creazione del Mundus, pozzetto di forma tronco-conica (altare degli dei inferi, in contrapposizione all'ara consacrata agli Dei del cielo) nel quale si versava il sangue delle vittime o si deponevano le primizie delle stagioni.

Tre volte all'anno, nei giorni consacrati agli Dei infernali,;eniva aperto, togliendo il lapis ma-nalis che lo coprivn.

Nel giorno fissato dagli aruspici si tracciava il sulcus primigenius con un aratro dalla punta di bronzo trainato da una mucca e da un toro bianchi. La terra doveva riversarsi all'interno ed il solco interrompersi in corrispondenza delle porte.

Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetudine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinnto alla residenza veniva diviso (limitatio) in quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la «groma».

Secondo il rito, la fondazione delle città si svoIgeva al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il «Decumanus·, era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis denrtnrrnn~lmpntp rrl nPPl~mRnllS Prl incrociantesi con

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La terra doveva riversarsi all'interno ed il solco interrompersi in corrispondenza delle porte. Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetudine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinato alla residenza veniva diviso (limitatio) in quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la groma ·. Secondo il rito, la fondazione delle citd si svalgeva al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il «Decumanus», era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis decursum». Ortogonalmente al Decumanus ed incrociantesi con

questo nel centro della città si tracciava I'altra arteria fondamentale detta «Cardo· o via cardinale. Altre strade di minore larghezza, tracciate parallelamente a queste, formavano delle insulae rettangolari.

L'orientamento del sistema stradale variava da città a città entro certi limiti in dipendenza del giorno della cerimonia di fondazione.

Infatti, svolgendosi I'atto di fondazione al mattino, orientando il decumano sul punto di levata del sole ne veniva una variazione di orientamento secondo la stagione in cui la cittj era fondata.

Però questa regola non si riscontra in tutte le città che gli scavi hanno messo in luce.

Vuelle soprattutto situate su alture oppure sul punto di confluenza di varie colline seguono le linee naturali del terreno.

Mentre per alcuni scrittori il solco sarebbe stato il primo atto di fondazione della città, per altri, per es. Igino, il tracciato interno avrebbe preceduto la determinazione del limite esterno della città.

È probabile invece che il sulcus primigenius facesse parte del rito plu antico, quando, secondo I'uso, il limite delle città era costituito da una cinta circolare, forma piu facilmente eseguibile di qualsiasi altra e le porte dovevano essere in numero di tre (epoca compresa fra il X e 1'VIII sec. a. C.).

Quando, forse verso il sec. VII, fu introdotto il rito dell'orientazione delle strade, la cerimonia del solco rimase subordinata alla limitazione.

Però, mentre il pomerium interno determinava la forma regolare della città, le mura potevano anche segmre un tracciato meno regolare.

Su questo Frontino così si esprime: « Se la natura del terreno lo permette, ci si deve attenere alla regola, in caso contrario conviene seguire I'accidentalità del terreno·. Certo è che dall'analisi dei testi romani non è facile distinguere con esattezza quanto faccia veramente parte della tradizione etrusca e quanto invece sia dovuto alla rielaborazione della leggenda o agli studi teorici dei gromatici

Fra le cinte di mura che si conoscono la maggior parte ha tracciato vario.

Forme tendenti all'ovale si riscontrano a Rossel le, Faleri-Novi.

Contorni irregolarissimi presentano Volterra, Pe rugia, Veio e Tarquinia.

Pochissime sono le città aventi le mura con tracciato quasi regolare (Ansedonia, Cortona, Saturnia).

Ciò che assume invece fondamentale importanza dal punto di vista urbanistico è il tracciato ortogonale-della rete stradale che, già in uso presso i popoli indigeni della nostra penisola, assunse presso gli Etruschi con la limitatio un carattere ben chiaro e preciso, realizzato con tecnica ed arte meravigliose (Marzabotto, Norba, Veio, Fondi)

Marzabotto, La città il cui piano non è vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrazpposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusche.

Accanto ad un tipico adattamento al terreno, come nel caso di Vetulonia, le cui mura dell'arce sono incastrate nella cinta medievale e le cui vie si rivelano tort~lose, esempio questo caratteristico delle città di collina, troviamo Marzabotto: la città etrusca per antonomasia, quella il cui piano non vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrapposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusehe

Marzabotto (VI sec.) distrutta dai Galli e poi abbandonata, oggi in parte ridotta dall'erosione del Reno, era difesa da una cinta fortificata di cui resta la porta orientale. Al di sopra della città I'acropoli con tre santuari, uno a cella unica, due a cella triplice. Appare chiaro in essa non solo lo schema impostato sul cardo e sul decumanus e determinato da insulae rettangolari, ma anche la tecnica seguita nelle opere stradali: vie ampie pavimentate, bordate di marciayiedi e dotate di uno sviluppato sistema di canalizzazione laterale. Le abitazioni, di cui restano solo le fondamenta in pietra a secco, erano costruite con mattoni cotti o con fango; caratteristici i comlilessi di piccoli locali raggruppati intorno ad una corte interna.

Questo rappresentn. I'esempio plu tipico; Veio, Felsina, Vetulonia, Capua, romanizzate, presentano caratteri ed elementi non sempre puri. Ercolano e Pompei etrusche non sono identificabili.

Non possiamo dire con certezza se i Fori che appaiono nella maSSior parte di questi centri siano veramente di origine e di impianto romano; sembra però, anche dagli studi piu recenti, che negli schemi etruschi il foro manchi e che piuttosto il centro civile e spirituale delle città sia rappresentato dal tempio.

Ogni città doveva possedere un luoao elevato (acropoli), interno od esterno alle mura, sul quale innalzare i templi e svolgere i riti dell'aruspicina, un luogo « qui ab omni parte aspici vel ex quo omnls pars videri potest»

Fuori delle porte della città oppure sopra una collina vicina si stendevano le necropoli. All'interno era proibito seppellire o brucinre cadaveri; solo nell'epoca della decadenza le tombe giunsero fino a ridosso delle mura.

Premessa: I principi dell'urbanistica etrusca furono direttamente adottati dai Romani, i quali vi riconobbero la via di minor resistenza a risolvere un problema pratico ed in ciò rivelarono una caratteristica inconfondibile del loro spirito: I'amore all'ordine ed all'armonia non mai avulso da un senso realistico delle cose immediato ed in ogni caso determinante.

Roma stessa è di fondazione etrusca. Secondo la tradizione intorno al Palatino si riunirono per sinecismo genti latine di origine diversa e la città fu fondata E~ etrusco ritu». Solo Plutarco accenna al solco circolare mentre tutti gli altri autori sono concordi nel confermare la forma quadrata del solco. Tacito accenna ad un Pomerium trapezoidale ai piedi del Palatino e Plinio ricorda le tre porte priInitive: Mugona, di Caco, Romana. Dalle fonti romane, le quali a loro volta non sono che un'eco della tradizione, si deduconoa", nella complessità degli accenni, i caratteri fondamentali sviluppo della tecnica etrusca nei suoi aspetti successivi, che si completano nel quadro urbano sia col tracciato del decumano (via Sacra Antica) e del cardo (Porta Ianualis - Porta Romana) sia con la destinazione ad acropoli del Campidoglio.

Le origini di Roma confermano mirabilnente la continuità dell'urbanistica etrusca con quella romana. Fu poi compito di Roma perfezionare la tecnica etrusca secondo le proprie tendenze ed esigenze. La conservazione quasi religiosa che i Romani fecero del contenuto dei Libri Rituales etruschi e le opere dei castramensores romani, che costituiscono il perfezionamento delle norme dettate nei Libri Rituales, dimostrano tale continuità documentata ancor piu evidentemente dal chiaro e copioso materiale a disposizione dei nostri studi diretti: accampamenti militari, città che dagli accampamenti fiorirono, impianto delle colonie, centuriazione. Già Norba e Fondi, le città volsche romanizzate nel IV secolo denotano I'applicazione di principi etruschi, meno rigidi nella prima, sorta in collina con cinta poligonale e con piano impostato su un asse orientato NE-SO, chiari e schematici nella seconda, sorta in pianura, a cinta cluadrangolare e con piano perfettamente ortogonale, orientato NO-SE ed impostato sul decumano costituito dalla Via Appia

L'inauguratio con I'orientamento e la delimitazione del templum (che secondo alcune fonti rappresenterebbe il territorio urbano, secondo altre il luogp dal quale trarre gli auspici), il sulcus primigenius, il tracciato del pomerium sono presupposti rituali sui quali si basavano nella pratica le cerimonie di fondazione e le ricorrenze religiose a queste riferite, presupposti coi quali praticamente I'effettivo tracciato delle città non sempre concorda. All'atto di fondazione e per opera dei gromatici seguiva la limitatio interna basata su criteri determinanti di orto~onalità: ci si trova davanti ad uno schema rigido ma nella sua logica chiarezza perfetto ed esattamente rispondente al complesso ordine di esigenze alle quali doveva soddisfare e alle possibilità tecniche dei mensores e dei legionari che dovevano di volta in volta realizzarlo.

diretti dell'urbanistica romana, con la castrametatio nacque I'urbanistica romana vera e propria, I'urbanistica come disciplina senza empirismi, senza fantasie mistiche, senza approssimazioni.

Resta comunque accertato che, se alla base dell'urbanistica romana stette I'elemento religioso assimilato dagli Etruschi col concetto importantissimo di limitazione, nella pratica e nell'attuazione ebbe un peso determinante un'altra forza vitale: I'organizzazione militare, la quale del resto non solo fissò per la fondazione particolari schemi di facile attuazione ma anche, diffondendo prima le insegne di Roma e garantendo poi la civiltà ~di questa in tutta la vastità delllmpero, determinò veramente un'unita urbanistica in tutto il mondo romano.

Base dell'impostazione era, come presso gli Etruschi, il tracciato dei due assi fondamentali, I'uno orientato da levante ad occidente chiamato ·Decumanus· (di larghezza variabile dai 14 ai 15 metri; eccezionalmente poteva arrivare ai 30 metri), I'altro, normale al primo, orientato da settentrione a mezzogiorno denominato « Cardo» (con larghezza di 7-8 metri). Strade minori con larghezza minima anche di m. 2,50, parallele a questi due assi, poste tra loro alla distanza variabile dai 60 ai 70 metri completavano la rete viaria determinando insulae quadrate o rettangolari che trovano riscontro nella centuriazione delle colonie e nelle strigae e scamna del suolo demaniale delle provincie. Va però notato che mentre nelle città il cardo rispetto al decumano aveva una funzione secondaria, nel campo, almeno nei primi tempil aveva la funzione di asse principale (da cui anche il nome ad esso conferito di ~via principalis») e solo piu tardi la larghezza dei due assi cardo e decumano sembra si sia uniformata sui 80 piedi mentre all'inizio il decumano era di 50 piedi ed il cardo di 100. Ai punto di intersezione dei due assi principali troviamo nel campo il praetorium nella città il foro.

Tuttavia questa regola fondamentale ebbe applicazioni diverse: in alcune città ci troviamo di fronte a piu decumani e a piu cardi principali o per lo meno a piu assi principali, in altre, è questo il caso di Aosta, a una riduzione del reticolo stradale con la conseguenza di isolati molto estesi (m. 143 X 181). Così la posizione del foro non fu sempre baricentrica ma la sua localizzazione fu spesso spostata e con regola costante presso il porto nelle città marittime..

I1 pomerio e le mura costituivano il limite della città. È da osservare che il pomerio, nato da principi di ordine spirituale come barriera religiosa, ai quali si aggiunsero ovviamente interessi di ordine pratico, venne poi a costituire una zona di respiro dell'abitato, pur mantenendo le sue funzioni primitive.

I1 perfetto orientamento non era però sempre seguito. Le città sorte vicino a fiumi, laghi, mare o collina presentano una evidente aderenza alla configurazione del terreno: il aecumano era tracciato parallelamenté alle curve di livello ed il cardo ad esso normale seguiva le Iinee di maggiore pendenza. Per questo anche si notano orientamenti vari delle città, dovuti eminentemente alla natura dei luoghi e non certnmente, secondo le affermazioni del La\·edan ed i calcoli del Tiele, alla diversità della stagione in cui vennero fondate ed al conseguente punto di levata del sole. Con questo tuttavia non si vuole negare I'apporto alla tecnica dell'orientamento dato dai gromatici, i quali nei loro trattati insistettero sempre sul concetto dell'orientamento basato non solo sulI'oriente reale ma anche su quello piu preciso, pure se meno facilmente realizzabile, dell'onentamento equinoziale ed auspicarono una uniformità di delimitazione in tutto I'impero basata appunto sul secondo metodo di orientamento.

I romani consideravar~o i confini della proprietà come una cosa sacra. La città, il campo militare, il territorio erano limitati a somiglianza delle linee celesti da linee, tracciate dal1'Augure col lituus, che si tagliavano ortogonalrnente ed erano orientate secondo i quattro punti cardinali, proiezione Jul suolo del Templum sacro. A11'Augure succedette I'agrimensore (mensor) detto anche gromatico, dal nome dello strumento che serviva per tracciare gli allineamenti ortogonali.

L’agro pubblico e soprattutto il terreno conquistato, prima di essere assegnato in proprietà a privati oppure dato in affitto o a decima, veniva diviso per (limites in centuriis », cioi: in appezzamenti quadrati di circa 50 ettari limitati da linee rette equidistanti tra loro m.'ilO e parallele a due lir~ee maestre, intersecantisi ad angolo retto nel punto centrale della limitazione, chiamate: decumanus maziml~s quella diretta da levante a ponente (ab orienle ad occasum sccnn<llrmsolis decursum) e Cardo solis decursum) e Cardo marimus quella diretta da setfentrione a Inezzogiorno.Sulle linee principali (lirnites) venivano costruite le strade pubbliche fiancheggiate da fossi. Ogni cIuadrato dicevasi centuria I>erchè formata da 100 parcelle (sortes) di due iugeri ciascuna; superficie cIuesta assegnata in origine ad ognuna delle famiglie dei coloni.

In alcuni luoghi furono tracciate anche centurie rettangolari di 120 iugeri (Cremona), di 640 iugeri (Luceria), di 400 iugeri (Emerita - Spagna).

I termini o lapides posti agli incroci dei limites portavano I'indicazione dell'autore della misurazione e i dati di riferimento gromatici.

L'incrocio del cardo massimo col decumano massimo determinava cIuattro s partes , che, rispetto al misuratore posto all'incrocio dei due assi e rivolto nella direzione orientale del decumano, prendevano il nome di: regio dextrnfn eitrata e regio sinistrnln citrala quelle che si trovavano davanti 9 lui e rispettivamente a destra o a sinistra del decumano; regio dexIratu ultrala e regio sinistrutn ultrtrta quelle che si trovavano dietro a lui rispettivamente a destra o a sinistra del decumano.

La larghezza del decumano max. variava da 30 a 40 piedi mentre ]a larghezza del cardo max. variava da 20 a 30 picdi. I cardi e i decumani minori avevano una larghezza da 12 a lj piedi.

I1 Brizio ed altri attribuiscono agli Etruschi i'introduzione, coi riti di fondazione delle città, del concetto di limitazione; il Lavedan ammette una remota influenza orientale dei riti, nell'orientazione e nella limitazione e nella ortogonalità del tracciato, distinguendo molto esattamente gli esempi etn~schi dal sec. X all'VIII (città sorte già secondo piano prestabilito con solco primigenio a forma circolare) e gli esempi successivi dal sec. VIII al VI, posteriori ad una seconda immigrazione, che denotano I'introduzione dell'uso della groma nel vecchio sistema, del cardo e del decumanus e conseguentemente I'introduzione del sistema quadrangolare.

I1 Cultrera è del parere che gli usi Etruschi siano il prodotto di una assimilazione di forme locali gla esistenti. Secondo lui la popolazione dell'Etruria si componeva di indigeni e di immigrati e la poca diffusione della lingua fa credere che la grande maggioranza fosse indigena, retta da una minoranza che in parte portò usi, leggi, costumi propri, in parte accettò e codificò usi locali. Per quanto riguarda lo schema ortogonale del tracciato urbano sarebbe alquanto dubbia una importazione dall'Asia Minore in quanto che al tempo dell'emigrazione etrusca questi schemi erano già caduti in disuso colj e non sarebbero stati ripresi che ai tempi di Ippodamo.

A testimonianza di questa tesi vi sono i perimetri irregolari della maggior parte delle città etrusche che presuppongono, date anche le accidentalità del terreno, tracciati irregolari; nè si hanno esempi di opere di livellamento. Anche la leggenda del mito di Tages starebbe a dimostrare che gli Etruschi non avrebbero portato con sè I'uso della limitazione ma bensì avrebbero appresa I'aruspicina e le regole del tracciato urbano quando vennero a trovarsi a contatto delle popolazioni indigene.

Di fronte ad un problema così complesso quale è quello delI'origine e della formazione dell'urbanistica etrusca ed a teorie tanto differenti è lecito ed anche logico ammettere una specie di contaminazione fra la tradizione, le tendenze innate ed ancestrali del popolo etrusco e gli usi delle popolazioni con le quali gli Etruschi si trovarono a contatto nelle loro sedi di stanzia ebmento in Italia. Da bC,eo! sintesi, nella quale i diversi fattori ideali e materiali ebbero un’influenza i cui limiti non sono nè possono essere precisabili, nacque il complesso originalissimo e nuovo dell'urbanistica etrusca. 

Tutto ciò nchiede da parte dell’interprete una conoscenza meticolosa dello spazio celeste.Chiara è la descrizione che ne dà Plinio il Vecchio (Nat.hist. II 41): lo spazio celeste è diviso in quattro scomparti da due rette immaginarie perpendicolari che congiungono i quattro

punti cardinali; ciascuno scomparto è diviso a sua volta in quattro in modo da ottenere sedici sezioni: quelle a ponente erano considerate favorevoli,quelle a occidente sfavorevoli.

Marziano Capella (De nupt. Philol. et Merc. I 45-60), nel V secolo d.C. ribadisce questa divisione e indica le divinità che hanno sede in ciascuna sezione .

Lo spazio ceieste cosi diviso e orientato, è un "tempio" nel senso tecnico che questa parola ebbe in latino.

Essa ha come punto di partenza la ricerca scrupolosa della volontà divina attuata con tutti i mezzi, dei quali i piu importanti e tradizionali sono la lettura e la interpretazione delle viscere degli animali ed in modo particolare del fegato (aruspicina), e la interpretazione dei fulmini.

L'una e I'altra scienza trovano i loro precedenti nel mondo orientale e specialmente mesopota117iCO', ma assumono in Etruria un carattere nazionale spiccatissimo, tanto che anche penetrando nel mondo religioso romano, pur cosi imbevuto di tradizioni etrusche, esse non saranno assimilate e conserveranno sempre la loro etichetta straniera. E curioso invece osservare che a Roma, come già presso gli Umbri, prevarrà la divinazione mediante la osservazione del volo degli uccelli (auspicio). Ma anch'essa rientravn probabilmente nell'ambito della disciplina etrusca, e precisamente nel ramo riguardante la lettura dei segni o prodigi degli dèi, i così detti ostenta.

Pur tra le molte iacune esistenti nello studio e nellj interpretazione dei singoli fatti religiosi propri della disciplina etrusca, il problema fondamentaie: - che attende la sua risoluzione è quello del significato di tutti questi fatti presi insieme e della visione del mondo divino e umano che ne risulta. Questi due mondi sono collegati fra loro intimamente, secondo un principio di partecipazione mistica e di indistinzione.che richiama alla mentalità dei popoli primitivi. Per quanto possiamo intravvedere dalle fonti utilizzabili, molti aspetti della struttura spirituale etrusca, che appaiono oscuri se valutati sul metro del pensiero grecoromano, si spiegano alla

luce di questa classificazione in una sfera di concezioni religiose diverse'. Cielo e terra, realtà soprannaturale e realtà naturale, macrocosmo e microcosmo sembrano corrispondersi con palesi e segreti richiami entro un preordinato sistema unitario, nel quale I'orientamento e la divisione dello spazio assumono una importanza fondamentale. Le constatazioni fatte dagli studiosi moderni a tal proposito, e suscettibili di ulteriori sviluppi, hanno avuto come punto di partenza il raccostamento tra i nomi di divinità scritti nelle diverse caselle in cui appare suddivisa la superficie del fegato di bronzo di Piacenza e la partizione del cielo, con i suoi divini abitatori, secondo PLINIO (Nat. HisZ., 11, 54, 143) e MARZIANO CAPELLA (de nuptiis Mercuri et Philologiue, I, 45 sgg.) 2

Lo spazio 6( S;1CTO.,· orientato e suddiviso, risponde ad un concetto che in latino si esprime con ]a parola templum '. Esso riguarda il cielo, o un'area terrestre consacrata - come il recinto di un santuario, di una citta, di un'acropoli, ecc. --, ovvero anche una superficie assai pi~i piccola - ad esempio il fegato di un animale utilizzato per le pratiche divinatorie -, purché sussistano le condizioni dell'orientamento e della partizione secondo il modello celeste. L'orientamento è determinato dai quattro punti cardinali, congiunti da due rette incrociate, di cui quella nord-sud era chiamata cardo (con vocabolo prelatino) e quella est-ovest decumanus nella terminologia dell'urbanistica e della agrimensura romana che sappiamo strettamente collegate alla dottrina etrusco-italica. Posto idealmente lo spettatore nel punto d'incrocio delle due rette, con le spalle a settentrione, egli ha dietro di sé tutto lo spazio situato a nord del decumanus. Questa meta dello spazio totale si chiama appunto gparte posteriore, (pars postEca). L'altra metà che egli ha dinnanzi agli occhi, verso mezzogiorno, costituisce la .parte anteriore, (paTs antica). Una analoga bipartizione dello spazio si ha nel senso longitudinale del cardo: a sinistra il settore orientale, di buon auspicio (pars sinistra o fa?niliams); a destra il settore occidentale, sfavorevole (pars dextra o

caselle del bordo esterno (al;punto in numero di sedici) e nelle caselle interne (ad esse corrispondenti, seppure in maniera non del tutto chiara) del fegato di Piacenza. Tra i numi dei sedici campi celesti, citati da MARZIANO CAPELLA, e i nomi divini inscritti sul fegato esistono indubbie concordanze, ma non una corrispondenza assoluta, perché la originaria tradizione etrusca pervenne presumibilmente alterata nelle fonti del tardo scrittore romano, con qualche spostamento nelle sequenze. Ciò nonostante è possibile ricostruire un quadro approssimativo del sistema di ubicazione cosmica degli dèi secondo la dottrina etrusca (vedi la fig. a pag. 251). Esso ci mostra che le grandi divinità superiori, fortemente personalizzate e tendenzialmente favorevoli, si localizzavano nelle plaghe orientali del cielo, specie nel settore nord-est; le divinita della terra e della natura si collocavano verso mezzogiorno; le divinità infernali e del fato, paurose ed inesorabili, si supponevano abitare nelle tristi regioni deli'occaso, segnatamente nel settore nord-ovest, considerato come il piu nefasto.

La posizione dei segni che si manifestano in cielo (fulmini, volo di uccelli, apparizioni prodigiose) indica da qual nume proviene agli uomini il messaggio e se esso è di buono o di cattivo augurio. Indipendentemente dal punto di ori- gine, una complicata casistica riguardante le caratteristiche del segnale (per esempio la formn, il colore, I'effetto del fulmine, o il gi01.170 della sua caduta) aiuta a precisarne In natura: se si tratti cioè di un richiamo amichevole, o di un ordine, o di un annuncio senza speranza e cosi via. Lo stesso valore esortativo o profetico hanno le speciali caratteristiche presentate dal fegato di un animale sacrificato, preso in esame dalI'aruspice, secondo una corrispondenza delle sue singole parti con i settori celesti. Cosi I'«arte fulguratoria, e I'aruspicina, le due forme tipiche della divinazione etrusca, appaiono strettamente collegate; né fa meraviglia che esse possano essere state esercitate da un medesimo personaggio, come quel L. Cafate di cui si rinvenne a Pesaro I'epitafio bilingue e che fu appunto haruspex (in etrusco netYzjis) e fulguriator (cioè interprete ~p; hllm;n; · in Ptn~Prn tnrtnl)t frontac o tmctnvt?)'.

Uguali norme devono aver presieduto all'osservazione divinatoria del volo degli uccelli, come intravvediamo specialmente da fonti umbre (Tavole di Gubbio) e latine. A tal proposito ha speciale importanza lo spazio terrestre d'osservazione, e cioè il templum augurale, con il suo orientamento e le sue partizioni, cui senza dubbio si ricollega la disposizione non soltanto dei recinti sacri, ma dello stesso ternpio vero e proprio, cioè I'edificio sacro contenente il simulacro divino, che in Etruria appare di regola orientato verso sud o sud-est, con una pars antica che corrisponde alla facciata ed al colonnato ed una pars posticn rappresentata dalla cella o dalle celle. E del pari le regole sacre dell'orientamento si osservano (almeno idealmente) nella planimetria delle citta - concreto esempio monumentale è Marzabotto in Emilia -, e nella partizione dei campi.

In tutte queste concezioni e queste pratiche, come in generale nelle manifestazioni rituali etrusche, si ha I'impressione di un abbandono, quasi di una abdicazione dell'attivita spirituale umana di fronte alla divinita: che si rivela nella duplice ossessione della conoscenza e della attuazione della volontà divina, e cioè da un lato nello sviluppo delle pratiche divinatorie, da un altro lato nella rigida minuziosità del culto. Cosi anche radempimento o la violazione delle leggi divine, nonché le riparazioni attuate attraverso i riti espiatorii, sembrano essere soprattutto formali, al di fuori di un autentico valore etico', secondo concezioni largamente diffuse nel mondo antico, che però appaiono soprattutto accentuate nella religiosità etrusca. Ma è possibile che almeno gli aspetti piu rigidi di questo formalismo si siano definiti soltanto nella fase ~nale della civilta etrusca, e precisamente nell'ambito di quelle classi sacerdotali le cui elaborazioni rituali e teologiche trovarono la loro espressione nei libri sacri, forse favorite - e magari inconsciamente - dal desiderio dei sacerdoti stessi di accentrare nelle loro mani la interpretazione della volontà divina e quindi la direzione della vita spirituale della nazione.

Un altro aspetto, che si ricollega alla mentalità primitiva degli Etruschi, è la interpretazione illogica e mistica dei fenomeni naturali, che persistendo sino in età molto recente viene a contrastare in maniera drammatica con la razionalità scientifica dei Greci. A questo proposito è particolarmente significativo e rivelatore un passo di SENECA (Quaest. nat., 11, 32, 2) a proposito dei fulmini: Iloc inter nos et Tuscos... interest: nos putarnus, quia 1·Lubes collisae sunt, fulmina enzitti; ipsi existimant nubes colUcEi, ut fulm~na emittantnr; nam, cum omnia ad deum ref.erant, in ea opinione sunt, tanquam non, quh facta sunt, significent, sed quia sEgnificatura sunt, fiant. (La differenza fra noi [cioè il mondo ellenistico-romano] e gli Etruschi... è questa: che

noi riteniamo che i fulmini scocchino in seguito all'urto delle nubi; essi credono che le nubi si urtino per far scoccare i fulmini; tutto infatti attribuendo alla divinità, sono indotti ad opinare non già che le cose abbiano un significato in quanto avvengono, ma piuttosto che esse avvengano perché debbono avere un significato...).

Come nell'Oriente antico, anche in Etruria scienza teolog;ica e scienza profana non erano separate; divino e terreno, sovrannaturale e naturale, cielo e terra erano concepiti come un tutto strettamente connesso. Ogni impresa o azione umana doveva essere in armonia con il cosmo; rivolto al cielo era quindi ogni sforzo dei sacerdoti di investigare la sacra disciplina conformemente alla volontà dei numi

L'orientamento e la divisione dello spazio erano dunque della massima importanza, per il vaticinio dal fegato animale come per la fondazione di un tempio, per I'interpretazione di un meteorite come per la misurazione del terreno e la delimitazione di giardini e campi.

Cielo e terra erano divisi in quattro zone da due grandi assi invisibili, con direzione nord-sud ed est-ovest. Cardo si chiamava nella traduzione latina la retta nord-sud, decumanus I'asse trasversale determinato dal sorgere e calar del sole.

Ogni rito importante, o~ni azione cultuale ruotava dunque attorno a tale spazio celeste e terreno, con le sue divisioni ben delimitate, il quale solo rendeva possibile al sacerdote di investigare e intendere i sepni dati dai superni.

E in armonia con esso dovevano essere tutte le attività sacrali o profane intraprese sulla terra:

poiché la buona e la malasorte, pensavano gli etruschi, stavano immutabili ed eterne, stabilite dalle cosmiche dimore dei numi, nelle quattro regioni.

Di queste, I'orientale era considerata di buon auspicio, poiché in essa si erano stabiliti gli dei propizi all'uomo; e soprattutto quella nordorientale, che prometteva la fortuna. Nel settore sud g-overnavano le divinità della terra e della natura; nelle squallide regioni d'occidente, invece (e particolarmente nel quarto fra nord e ovest, il piu sinistro), dimoravano gli esseri spaventosi e implacabili del mondo infero e del fato.

Nessuna città etrusca crebbe mai a casaccio, come accozzaglia progressivamente crescente di abitazioni umane. I loro fondaton fornirono agli italici, prima vissuti in abitazioni sorte disordinatamente, le norme fondamentali della costruzione di una città ancorata nel culto.

La città fondata secondo ie leggi sacrali costituiva in Etruria una minuscola cellula del Tutto, armonicamente inserita in un ordine governato e determinato dai numi, onnicomprensivo.

I1 viso rivolto a sud, stabilito in cielo il nord-sud e I'est-ovest, diceva il sacerdote: a: auesto sia il mio davanti, questo il mio dietro; la mia sinistra e la mia destra.. Quindi incedeva solenne per il cardo e il decumano col suo liluus, il bastone pastoràle che Roma ereditò dall'Etruria e che ancor o~gi portano i vescovi delle chiese cattolica, anglicana e luterana di Svezia.

Nel punto in cui doveva sorgere il centro di una nuova città, si scavava una fossa molto profonda, quasi un pozzo, che fungeva d leqame fra il mondo dei vivi e quello dei morti, e conduceva alle potenze dell'abisso. La si ricopriva poi di grandi lastre di pietra.

Come la volta celeste, di cui sembrava costituire la controparte sotterranea, fu chiamata mundus e considerata, a quanto informa Varrone, la ~ porta degl'inferi ». Tutt'intorno venivano quindi tracciati, con una cerimonja solenne, in vasto cerchio i confini secondo i riti

prescntti.

In un giorno stabilito attraverso preeagi favorevoli, dicono notizie di Catone e di Varrone, il fondatore, vestito della toga, agpioga a un aratro, dal vomere di puro rame, un toro bianco a destra e una vacca bianca a sinistra. Egli traccia quindi un solco, guidando la vacca all'interno e tiene il vomere obliquo in maniera che le zolle siano rivoltate verso I'interno.

La terra ammucchiata a questo modo indica le future mura della città, il solco il vallo. Nei luoghi stabiliti per le porte I'aratro viene alzato, perché le porte sono cosa profana, le mura invece sacra, così come tutto lo spazio definito dal solco, il templum urbano.

Oltre alla posizione del mundus, cardo e decumano, croce sacrale, stabilivano quella ben precisa delle porte e delle vie, deg-li altan, templi ed edifici.

« Sulla poderosa acropoli, i templi,, dice Raymond Bloch, ~ erano orientati per I'appunto in direzione nord-sud, perché gli dei dalle loro nicchie potessero abbracciare con sguardo protettore tutta la città di cui reg;gevano i destini., E solo quando una città avesse consacrato tre templi, strade e porte, era considerata fondata secondo la legge.

A Marzabotto, vicino Bologna (la «Misa» fondata nel vI secolo a.C., I'unica città schiettamente etrusca tratta sinora metodicamente alla luce), è comparsa una rete stradale orientata appunto secondo le regioni celesti. Dinanzi a un tempio si trovò anche un mundus.

I romani impararono e fecero propn i riti etruschi per ~a fondazione di città.

I1 ricordo della fondazione di una città secondo il costume etrusco - more etrusco - si riflette nella leggenda romana. Romolo per fondare Roma, informa Plutarco, fece venire uomini dall'Etruna che lo iniziarono come nei misteri religiosi e scandirono la procedura secondo i riti e ]e prescrizioni sacre. Come la leggendana urbs guadrata - la città che si pretendeva sorta sul Palatino - era considerata fondata su prescrizione etrusca, cosi anche I'accampamento romano nspecchia chiaramente il modello etrusco.

Come «una delle cose helle e importanti» descrive Polibio I'accampamento che i legionari ronlani costruivano con la massima accuratezza nelle loro spedizioni, sera per sera.

Essi lo disponevano secondo un piano preciso: trovato il terreno adatto, il tnbuno vi piantava una bandiera bianca come punto di riferimento, secondo il quale doveva esser articolato tutto I>accampamento.

I1 posto segnato con la bandiera, il praetorium, veniva occupato dalla tenda del comandante con le insegne della legione.

Subito dopo si tracciavano due strade rettilinee, che s'incrociavano ad angolo retto dinanzi al praetorium.

La via principalis correva dritta in direzione nord-sud, corrispondendo così al cardo delle città, e portava alle due porte principali; I'altra si stendeva, come il decumano, da ovest a est.

L'influsso della cosmologia ntuale etrusca si rivela anche nell'importanza annessa alle porte nell'accampamento romano: quella verso levante - i buoni auspici venivano da oriente - la porta praetoria, godeva fama di portafortuna, onde attraverso di essa i legionari uscivano a battaglia; quella verso ponente, la porta decumana, era invece considerata portasfortuna, e da essa venivan fatti passare i condannati a morte per I'esecuzione.

Anche la fossa intorno era costruita more etrusco. Durante i lavori di fortificazione si ammucchiava la terra verso I'interno a fornlare un terrapieno (agger), chiuso da una palizzata (vallum).

Molte città romane di confine furono in seguito costruite secondo tale modello, con I'unica differenza che, in luogo del terrapieno originano, si avevano mura di pietra o di mattoni.

Esempi di costruzione geometrica a pianta rettangolare offrono Torino e Timgad nel Nordafrica, fondata da Traiano nel Ioo d.C. al marg·ine del Sahara.

Ogni tipo di terreno - latifondi, campi coltivati e piantagioni sottostava in Etruria a leggi sacre.

Due ricordi leggendari raccontano come esse furono un giorno rivelate. A Tarquinia si raccontava che Tagete stesso avesse insegnato a Tarchon le regole della limitatio, la misurazione del terreno; ]e quali poi sarebbero state tramandate in un codice dal titolo latino di «Liber qui inscribitur terrae iuris Etruriae », cioe un codice di diritto agrario.

La concezione del divino nel mondo etrusco si differenzia profondamente da quella greca: I'uomo, infatti, provava un senso di infinita inferiorità di fronte alla potenza degli dei. Una minuziosa e rigidissima disciplina cultuale regolava i rapporti tra uomo e dio, la cui volontà doveva essere conosciuta, per essere scmpolosamente osservata, attraverso I'interpretazione delle viscere degli animali (soprattutto del fegato) e dei fulmini. Singolarissimo e interessante riferimento anche per le vicende architettoniche etn~sche è la partizione che si usava per suddividere uno spazio sacro:

lo schema si chiamava templum e poteva essere applicato al cielo, a un luogo sacro, ma anche a una cittj o a un santuario, come a un fegato osservato per trarne auspici (fig. 30).

I quattro punti cardinali erano uniti da due rette che venivano a incrociarsi ortogonalmente: da nord a sud correva il cardo, da est a ovest il decumano (i termini verranno poi usati nell'agrimensura e urbanistica romana, mostrando la loro connessione con la radice culturale ern~sca e italica). Si venivano a costituire due parti davanti e dietro il centro ideale: a sud la parte antica, a nord la parte postica, mentre, considerando la divisione in senso op posto, a est si aveva la sezione di buon auspicio (paus familiavis o sinistuu) e a ovest quella sfavorevole (pavs hostilis o dextva).

Questo schema, che poi si suddivideva ulteriormente lasciando sedici spazi per le diverse divinità, serviva per interpretare presagi (fulmini, volo degli uccelli), ma trovava eco anche nella costruzione dei templi.

Importante fu la determinazione delI'acropoli, stabilita come luogo sacro, spazio pubblico comune a tutta la cittadinanza. Qui è probabile che si osservasse il volo degli uccelli la cui interpretazione veniva tradotta in auspici. Sull'acropoli, a partire dal VI secolo a.C., incominciarono a comparire i primi templi.

La pianta d~ tempio mostra i caratteri tipici del mo numento sacro etmsco, così come lo de scrive Vitruvio. Netta era la divisione il due parti orizzontali: la parte antistant (pavs antica), che faceva da pronaos col colonne (qui forse due), precedeva 1 pavs postica divisa in tre sezioni, forse tr celle o un naos con due vani lateral aperti, chiamati da Vitruvio alae

la tradizione romana, testi che documentano la prassi seguita dagli Etruschi nella fondazione delle città.

Secondo Cicerone i libri sacri degli Etruschi si dividevano in tre parti - di cui I'ultima costituita aai · Libri rituales · -.

Festo precisa: · Rituales nominatur Etruscorum lit>ri in quibus praescriptum est quo ritu condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua sanctitate muri, quo iure portae... ». Questi contenevano elencate quindi le re~ole ed i riti rélativi alla fondazione della città, al suo sistema di aifesa ed alla consacrazione degli edifici, riti giunti alla conoscenza dei romani e a noi trasmessi da vari scrittori (Catone «Origines·; Ovi-dio ·Fasti· IV, 825; Varrone «De re rustica» [I a). I trattati posteriori dei gromatici romani e soprattutto il « De limitibus costruendis » di Igino specificano i dettagli della tecnica etrusca.

Non sta a noi ora fare un'indagine critica dei testi, studio filologico che rientra nel campo della storia delle religioni: ci limiteremo a riferire, benchè sia molto nota ormai, la prassi seguita dagli Etruschi per la fondazione delle loro città, quantunque sia indubbio che la tradizione romana non sia scevra di qualche aggiunta e variante.

La fondazione delle città presso eli Etruschi era preceduta, secondo le ~orme dettate dai sacerdoti e dagli aruspici, dalla creazione del Mundus, pozzetto di forma tronco-conica (altare degli dei inferi, in contrapposizione all'ara consacrata agli Dei del cielo) nel quale si versava il sangue delle vittime o si deponevano le primizie delle stagioni.

Tre volte all'anno, nei giorni consacrati agli Dei infernali,;eniva aperto, togliendo il lapis ma-nalis che lo coprivn.

Nel giorno fissato dagli aruspici si tracciava il sulcus primigenius con un aratro dalla punta di bronzo trainato da una mucca e da un toro bianchi. La terra doveva riversarsi all'interno ed il solco interrompersi in corrispondenza delle porte.

Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetudine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinnto alla residenza veniva diviso (limitatio) in quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la «groma».

Secondo il rito, la fondazione delle città si svoIgeva al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il «Decumanus·, era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis denrtnrrnn~lmpntp rrl nPPl~mRnllS Prl incrociantesi con

genius c~n un aratro dalla' p~n I~n aratro dalla puntadi bronzo trainato da una mucca e da un toro bianchi.

La terra doveva riversarsi all'interno ed il solco interrompersi in corrispondenza delle porte. Tracciato il solco, sul quale sarebbero state innalzate le mura, era consuetudine presso gli Etruschi lasciare lungo questo, sia verso I'interno che verso I'esterno, uno spazio libero (spatium ubi nec habitari nec arari fas erat) chiamato Pomerium, adatto in caso di pericolo alla manovra dei difensori.

I1 terreno destinato alla residenza veniva diviso (limitatio) in quattro regioni da due strade ortogonali tracciate mediante la groma ·. Secondo il rito, la fondazione delle citd si svalgeva al mattino ed il tracciato delle strade fondamentali era stabilito in relazione al punto di levata del sole. Precisamente I'arteria principale della città, il «Decumanus», era orientata sul punto di levata di esso, traendo il suo nome da ·secundum solis decursum». Ortogonalmente al Decumanus ed incrociantesi con

questo nel centro della città si tracciava I'altra arteria fondamentale detta «Cardo· o via cardinale. Altre strade di minore larghezza, tracciate parallelamente a queste, formavano delle insulae rettangolari.

L'orientamento del sistema stradale variava da città a città entro certi limiti in dipendenza del giorno della cerimonia di fondazione.

Infatti, svolgendosi I'atto di fondazione al mattino, orientando il decumano sul punto di levata del sole ne veniva una variazione di orientamento secondo la stagione in cui la cittj era fondata.

Però questa regola non si riscontra in tutte le città che gli scavi hanno messo in luce.

Vuelle soprattutto situate su alture oppure sul punto di confluenza di varie colline seguono le linee naturali del terreno.

Mentre per alcuni scrittori il solco sarebbe stato il primo atto di fondazione della città, per altri, per es. Igino, il tracciato interno avrebbe preceduto la determinazione del limite esterno della città.

È probabile invece che il sulcus primigenius facesse parte del rito plu antico, quando, secondo I'uso, il limite delle città era costituito da una cinta circolare, forma piu facilmente eseguibile di qualsiasi altra e le porte dovevano essere in numero di tre (epoca compresa fra il X e 1'VIII sec. a. C.).

Quando, forse verso il sec. VII, fu introdotto il rito dell'orientazione delle strade, la cerimonia del solco rimase subordinata alla limitazione.

Però, mentre il pomerium interno determinava la forma regolare della città, le mura potevano anche segmre un tracciato meno regolare.

Su questo Frontino così si esprime: « Se la natura del terreno lo permette, ci si deve attenere alla regola, in caso contrario conviene seguire I'accidentalità del terreno·. Certo è che dall'analisi dei testi romani non è facile distinguere con esattezza quanto faccia veramente parte della tradizione etrusca e quanto invece sia dovuto alla rielaborazione della leggenda o agli studi teorici dei gromatici

Fra le cinte di mura che si conoscono la maggior parte ha tracciato vario.

Forme tendenti all'ovale si riscontrano a Rossel le, Faleri-Novi.

Contorni irregolarissimi presentano Volterra, Pe rugia, Veio e Tarquinia.

Pochissime sono le città aventi le mura con tracciato quasi regolare (Ansedonia, Cortona, Saturnia).

Ciò che assume invece fondamentale importanza dal punto di vista urbanistico è il tracciato ortogonale-della rete stradale che, già in uso presso i popoli indigeni della nostra penisola, assunse presso gli Etruschi con la limitatio un carattere ben chiaro e preciso, realizzato con tecnica ed arte meravigliose (Marzabotto, Norba, Veio, Fondi)

Marzabotto, La città il cui piano non è vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrazpposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusche.

Accanto ad un tipico adattamento al terreno, come nel caso di Vetulonia, le cui mura dell'arce sono incastrate nella cinta medievale e le cui vie si rivelano tort~lose, esempio questo caratteristico delle città di collina, troviamo Marzabotto: la città etrusca per antonomasia, quella il cui piano non vincolato da preoccupazioni di adattamento al terreno ed i cui resti, scevri da sovrapposizioni posteriori, manifestano la vera applicazione nella pratica delle teorie etrusehe

Marzabotto (VI sec.) distrutta dai Galli e poi abbandonata, oggi in parte ridotta dall'erosione del Reno, era difesa da una cinta fortificata di cui resta la porta orientale. Al di sopra della città I'acropoli con tre santuari, uno a cella unica, due a cella triplice. Appare chiaro in essa non solo lo schema impostato sul cardo e sul decumanus e determinato da insulae rettangolari, ma anche la tecnica seguita nelle opere stradali: vie ampie pavimentate, bordate di marciayiedi e dotate di uno sviluppato sistema di canalizzazione laterale. Le abitazioni, di cui restano solo le fondamenta in pietra a secco, erano costruite con mattoni cotti o con fango; caratteristici i comlilessi di piccoli locali raggruppati intorno ad una corte interna.

Questo rappresentn. I'esempio plu tipico; Veio, Felsina, Vetulonia, Capua, romanizzate, presentano caratteri ed elementi non sempre puri. Ercolano e Pompei etrusche non sono identificabili.

Non possiamo dire con certezza se i Fori che appaiono nella maSSior parte di questi centri siano veramente di origine e di impianto romano; sembra però, anche dagli studi piu recenti, che negli schemi etruschi il foro manchi e che piuttosto il centro civile e spirituale delle città sia rappresentato dal tempio.

Ogni città doveva possedere un luoao elevato (acropoli), interno od esterno alle mura, sul quale innalzare i templi e svolgere i riti dell'aruspicina, un luogo « qui ab omni parte aspici vel ex quo omnls pars videri potest»

Fuori delle porte della città oppure sopra una collina vicina si stendevano le necropoli. All'interno era proibito seppellire o brucinre cadaveri; solo nell'epoca della decadenza le tombe giunsero fino a ridosso delle mura.

Premessa: I principi dell'urbanistica etrusca furono direttamente adottati dai Romani, i quali vi riconobbero la via di minor resistenza a risolvere un problema pratico ed in ciò rivelarono una caratteristica inconfondibile del loro spirito: I'amore all'ordine ed all'armonia non mai avulso da un senso realistico delle cose immediato ed in ogni caso determinante.

Roma stessa è di fondazione etrusca. Secondo la tradizione intorno al Palatino si riunirono per sinecismo genti latine di origine diversa e la città fu fondata E~ etrusco ritu». Solo Plutarco accenna al solco circolare mentre tutti gli altri autori sono concordi nel confermare la forma quadrata del solco. Tacito accenna ad un Pomerium trapezoidale ai piedi del Palatino e Plinio ricorda le tre porte priInitive: Mugona, di Caco, Romana. Dalle fonti romane, le quali a loro volta non sono che un'eco della tradizione, si deduconoa", nella complessità degli accenni, i caratteri fondamentali sviluppo della tecnica etrusca nei suoi aspetti successivi, che si completano nel quadro urbano sia col tracciato del decumano (via Sacra Antica) e del cardo (Porta Ianualis - Porta Romana) sia con la destinazione ad acropoli del Campidoglio.

Le origini di Roma confermano mirabilnente la continuità dell'urbanistica etrusca con quella romana. Fu poi compito di Roma perfezionare la tecnica etrusca secondo le proprie tendenze ed esigenze. La conservazione quasi religiosa che i Romani fecero del contenuto dei Libri Rituales etruschi e le opere dei castramensores romani, che costituiscono il perfezionamento delle norme dettate nei Libri Rituales, dimostrano tale continuità documentata ancor piu evidentemente dal chiaro e copioso materiale a disposizione dei nostri studi diretti: accampamenti militari, città che dagli accampamenti fiorirono, impianto delle colonie, centuriazione. Già Norba e Fondi, le città volsche romanizzate nel IV secolo denotano I'applicazione di principi etruschi, meno rigidi nella prima, sorta in collina con cinta poligonale e con piano impostato su un asse orientato NE-SO, chiari e schematici nella seconda, sorta in pianura, a cinta cluadrangolare e con piano perfettamente ortogonale, orientato NO-SE ed impostato sul decumano costituito dalla Via Appia

L'inauguratio con I'orientamento e la delimitazione del templum (che secondo alcune fonti rappresenterebbe il territorio urbano, secondo altre il luogp dal quale trarre gli auspici), il sulcus primigenius, il tracciato del pomerium sono presupposti rituali sui quali si basavano nella pratica le cerimonie di fondazione e le ricorrenze religiose a queste riferite, presupposti coi quali praticamente I'effettivo tracciato delle città non sempre concorda. All'atto di fondazione e per opera dei gromatici seguiva la limitatio interna basata su criteri determinanti di orto~onalità: ci si trova davanti ad uno schema rigido ma nella sua logica chiarezza perfetto ed esattamente rispondente al complesso ordine di esigenze alle quali doveva soddisfare e alle possibilità tecniche dei mensores e dei legionari che dovevano di volta in volta realizzarlo.

diretti dell'urbanistica romana, con la castrametatio nacque I'urbanistica romana vera e propria, I'urbanistica come disciplina senza empirismi, senza fantasie mistiche, senza approssimazioni.

Resta comunque accertato che, se alla base dell'urbanistica romana stette I'elemento religioso assimilato dagli Etruschi col concetto importantissimo di limitazione, nella pratica e nell'attuazione ebbe un peso determinante un'altra forza vitale: I'organizzazione militare, la quale del resto non solo fissò per la fondazione particolari schemi di facile attuazione ma anche, diffondendo prima le insegne di Roma e garantendo poi la civiltà ~di questa in tutta la vastità delllmpero, determinò veramente un'unita urbanistica in tutto il mondo romano.

Base dell'impostazione era, come presso gli Etruschi, il tracciato dei due assi fondamentali, I'uno orientato da levante ad occidente chiamato ·Decumanus· (di larghezza variabile dai 14 ai 15 metri; eccezionalmente poteva arrivare ai 30 metri), I'altro, normale al primo, orientato da settentrione a mezzogiorno denominato « Cardo» (con larghezza di 7-8 metri). Strade minori con larghezza minima anche di m. 2,50, parallele a questi due assi, poste tra loro alla distanza variabile dai 60 ai 70 metri completavano la rete viaria determinando insulae quadrate o rettangolari che trovano riscontro nella centuriazione delle colonie e nelle strigae e scamna del suolo demaniale delle provincie. Va però notato che mentre nelle città il cardo rispetto al decumano aveva una funzione secondaria, nel campo, almeno nei primi tempil aveva la funzione di asse principale (da cui anche il nome ad esso conferito di ~via principalis») e solo piu tardi la larghezza dei due assi cardo e decumano sembra si sia uniformata sui 80 piedi mentre all'inizio il decumano era di 50 piedi ed il cardo di 100. Ai punto di intersezione dei due assi principali troviamo nel campo il praetorium nella città il foro.

Tuttavia questa regola fondamentale ebbe applicazioni diverse: in alcune città ci troviamo di fronte a piu decumani e a piu cardi principali o per lo meno a piu assi principali, in altre, è questo il caso di Aosta, a una riduzione del reticolo stradale con la conseguenza di isolati molto estesi (m. 143 X 181). Così la posizione del foro non fu sempre baricentrica ma la sua localizzazione fu spesso spostata e con regola costante presso il porto nelle città marittime..

I1 pomerio e le mura costituivano il limite della città. È da osservare che il pomerio, nato da principi di ordine spirituale come barriera religiosa, ai quali si aggiunsero ovviamente interessi di ordine pratico, venne poi a costituire una zona di respiro dell'abitato, pur mantenendo le sue funzioni primitive.

I1 perfetto orientamento non era però sempre seguito. Le città sorte vicino a fiumi, laghi, mare o collina presentano una evidente aderenza alla configurazione del terreno: il aecumano era tracciato parallelamenté alle curve di livello ed il cardo ad esso normale seguiva le Iinee di maggiore pendenza. Per questo anche si notano orientamenti vari delle città, dovuti eminentemente alla natura dei luoghi e non certnmente, secondo le affermazioni del La\·edan ed i calcoli del Tiele, alla diversità della stagione in cui vennero fondate ed al conseguente punto di levata del sole. Con questo tuttavia non si vuole negare I'apporto alla tecnica dell'orientamento dato dai gromatici, i quali nei loro trattati insistettero sempre sul concetto dell'orientamento basato non solo sulI'oriente reale ma anche su quello piu preciso, pure se meno facilmente realizzabile, dell'onentamento equinoziale ed auspicarono una uniformità di delimitazione in tutto I'impero basata appunto sul secondo metodo di orientamento.

I romani consideravar~o i confini della proprietà come una cosa sacra. La città, il campo militare, il territorio erano limitati a somiglianza delle linee celesti da linee, tracciate dal1'Augure col lituus, che si tagliavano ortogonalrnente ed erano orientate secondo i quattro punti cardinali, proiezione Jul suolo del Templum sacro. A11'Augure succedette I'agrimensore (mensor) detto anche gromatico, dal nome dello strumento che serviva per tracciare gli allineamenti ortogonali.

L’agro pubblico e soprattutto il terreno conquistato, prima di essere assegnato in proprietà a privati oppure dato in affitto o a decima, veniva diviso per (limites in centuriis », cioi: in appezzamenti quadrati di circa 50 ettari limitati da linee rette equidistanti tra loro m.'ilO e parallele a due lir~ee maestre, intersecantisi ad angolo retto nel punto centrale della limitazione, chiamate: decumanus maziml~s quella diretta da levante a ponente (ab orienle ad occasum sccnn<llrmsolis decursum) e Cardo solis decursum) e Cardo marimus quella diretta da setfentrione a Inezzogiorno.Sulle linee principali (lirnites) venivano costruite le strade pubbliche fiancheggiate da fossi. Ogni cIuadrato dicevasi centuria I>erchè formata da 100 parcelle (sortes) di due iugeri ciascuna; superficie cIuesta assegnata in origine ad ognuna delle famiglie dei coloni.

In alcuni luoghi furono tracciate anche centurie rettangolari di 120 iugeri (Cremona), di 640 iugeri (Luceria), di 400 iugeri (Emerita - Spagna).

I termini o lapides posti agli incroci dei limites portavano I'indicazione dell'autore della misurazione e i dati di riferimento gromatici.

L'incrocio del cardo massimo col decumano massimo determinava cIuattro s partes , che, rispetto al misuratore posto all'incrocio dei due assi e rivolto nella direzione orientale del decumano, prendevano il nome di: regio dextrnfn eitrata e regio sinistrnln citrala quelle che si trovavano davanti 9 lui e rispettivamente a destra o a sinistra del decumano; regio dexIratu ultrala e regio sinistrutn ultrtrta quelle che si trovavano dietro a lui rispettivamente a destra o a sinistra del decumano.

La larghezza del decumano max. variava da 30 a 40 piedi mentre ]a larghezza del cardo max. variava da 20 a 30 picdi. I cardi e i decumani minori avevano una larghezza da 12 a lj piedi.

I1 Brizio ed altri attribuiscono agli Etruschi i'introduzione, coi riti di fondazione delle città, del concetto di limitazione; il Lavedan ammette una remota influenza orientale dei riti, nell'orientazione e nella limitazione e nella ortogonalità del tracciato, distinguendo molto esattamente gli esempi etn~schi dal sec. X all'VIII (città sorte già secondo piano prestabilito con solco primigenio a forma circolare) e gli esempi successivi dal sec. VIII al VI, posteriori ad una seconda immigrazione, che denotano I'introduzione dell'uso della groma nel vecchio sistema, del cardo e del decumanus e conseguentemente I'introduzione del sistema quadrangolare.

I1 Cultrera è del parere che gli usi Etruschi siano il prodotto di una assimilazione di forme locali gla esistenti. Secondo lui la popolazione dell'Etruria si componeva di indigeni e di immigrati e la poca diffusione della lingua fa credere che la grande maggioranza fosse indigena, retta da una minoranza che in parte portò usi, leggi, costumi propri, in parte accettò e codificò usi locali. Per quanto riguarda lo schema ortogonale del tracciato urbano sarebbe alquanto dubbia una importazione dall'Asia Minore in quanto che al tempo dell'emigrazione etrusca questi schemi erano già caduti in disuso colj e non sarebbero stati ripresi che ai tempi di Ippodamo.

A testimonianza di questa tesi vi sono i perimetri irregolari della maggior parte delle città etrusche che presuppongono, date anche le accidentalità del terreno, tracciati irregolari; nè si hanno esempi di opere di livellamento. Anche la leggenda del mito di Tages starebbe a dimostrare che gli Etruschi non avrebbero portato con sè I'uso della limitazione ma bensì avrebbero appresa I'aruspicina e le regole del tracciato urbano quando vennero a trovarsi a contatto delle popolazioni indigene.

Di fronte ad un problema così complesso quale è quello delI'origine e della formazione dell'urbanistica etrusca ed a teorie tanto differenti è lecito ed anche logico ammettere una specie di contaminazione fra la tradizione, le tendenze innate ed ancestrali del popolo etrusco e gli usi delle popolazioni con le quali gli Etruschi si trovarono a contatto nelle loro sedi di stanzia ebmento in Italia. Da bC,eo! sintesi, nella quale i diversi fattori ideali e materiali ebbero un’influenza i cui limiti non sono nè possono essere precisabili, nacque il complesso originalissimo e nuovo dell'urbanistica etrusca.

 L'architettura domestica e quella religiosa hanno origini e caratteristiche comuni. Delle forme assunte dalla casa si tratterà piu avanti parlando della vita etrusca'. I1 tempio che da principio si identifica, come nel mondo paleoellenico, con la casa rettangolare con tetto a spioventi e senza portico (documentata da modellini votivi e dai resti di un edificio scoperto sull'acropoli di Veio) assume poi forme piu complesse parzialinente parallele a quelle del tempio greco. I1 tipo che VITRUVIO (de archit. Iv, 7) attribuisce agli Etruschi è caratterizzato da una pianta di larghezza poco inferiore alla lunghezza, con la metà anteriore occupata dal portico colonnato e la meta posteriore costituita da tre celle, per tre diverse divinità, o da una sola cella fiancheggiata da due alae o aperti. Resti di monumenti scavati

Pyrgi, ad Orvieto, a Fiesole, a Marzabotto dimostrano che questo schema ebbe effettivamente una vasta e durevole diffusione in Etruria dalI'età arcaica sino a quella ellenistica: esso appare anche a Roma nel tempio di Giove Capitolino, la cui prima edificazione risale ai tempi della dinastia etrusca dei Tarquini. Ma senza dubbio si costruivano anche edifici sacri piu vicini, nel loro schema, al tempio greco, e cioè con pianta rettangolnre allungata e colonne in facciata (prostilo) o addirittura con colonnato continuo su tutti i quattro lati (perirtero): esempi cospicui

ambulacri a Veio, a Pyrgi, acl Orvieto, a Fiesole, a Mnrzabotto dimostrano che questo schema ebbe effettivamente una vasta e durevole diffusione in Etruria dalI'età arcaica sino a quella ellenistica: esso appare anche a Roma nel tempio di Giove Capitolino, la cui prima edificazione risale ai tempi della dinastia etrusca dei Tarquini. Ma senza dubbio si costruivano anche edifici sacri piu vicini, nel loro schema, al tempio greco, e cioè con pianta rettangolnre allungata e colonne in facciata (prostilo) o addirittura con colonnato continuo su tutti i quattro lati (periptero): esempi cospicui

ne sono il tempio piu antico di Pyrgi e quello del1"'Ara della neginn" a Tarquinia. La originalità dei templi etruschi non consiste comunque tanto nella loro concezione planimetrica quanto piuttosto nel materiale, nelle proporzioni e nelle forme dell'alzato, nel genere della decorazione. Si è già detto che, all'infuori delle fondazioni, essi dovevano essere costruiti di materiali leggeri, con impiego del legno per le ossature portanti e per la travatura. Ciò comporta uno sviiuppo relativamente limitato in altezza (quale appunto risulta dalle misure del tempio "tuscanico" secondo VITRUVIO), larghi intercolumni, tetto ampio con notevole sporgenza laterale delle gronde. La travatura lignea esige una protezione con elementi compatti ma leggeri: donde I'uso universale di rivestimenti di terracotta policroma', che si sviluppano in vivaci sistemi decorativi geometrici e figurati con placche di copertura longitudinale o terminale delle travi, cornici, ornati della estremità dei coppi (antefisse) e delle sovrastrutture del tetto (acroteri). RZvestimenti di ?nelallo (VITRUVIO, 11, 3, 5) deObono considerarsl eccezionnli e li,nilnti a piccoli edijici di specinle ricchezza.

I1 frontoae era in origine aperto, lasciando visibili in facciata le strutture della gabbia del tetto; solo piu tardi si adottò il tipo del frontone chiuso, decorato con una composizione figurata come nei templi greci.

Queste varie caratteristiche del tempio etrusco trovano indubbi riscontri nella primitiva architettura greca e, come si è detto, parziali paralleli nel tempio greco arcaico e classico. La differenza sta nel fatto che il tempio greco sin dal vIr secolo av. Cr. tende a trasformarsi in un edificio monumentale pressoché interamente costruito di pietra, con una sua propria ed inconfondibile evoluzione delle forme architettoniche; mentre il tempio etrusco resta sostanzialmente fedele alle tradizioni dell'architettura lignea. sino alla piena età ellenistica, accentuando, se mai, I'esuberanza decorativa dei rivestimenti di terracotta. I quali offrono, specialmente nel vI e v secolo, varieta di concezioni e sviluppi: per esempio nel tipo delle lastre di copertura longitudinale dei travi che possono formare fregi f~gurati continui a rilievo di ispirazione greco-orientale (cosi detta "prima fase» o "fase ionica") o possono invece presentare una semplice ornamentazione dipinta con forte sviluppo della sovrastante cornice in aggetto, come nei sistemi decorativi fittili della Grecia propria e delle colonie dell'Italia Meridionale e della Sicilia ("seconda fase" o "fase arcaica"). Quest'ultimo tipo si afferma a partire dalla fine del vI secolo, in coincidenza con il momento di maggiore splendore dello sviluppo dei templi etruschi, caratterizzato anche dalle antefisse a conchiglia, dalle decorazioni frontali a rilievo distribuite sulle placche di nvestimento delle testate dei travi lunghi, dai grandi acroteri figurati: esempi caratteristici il tempio di Veio e i templi di Pyrgi: Lo schema decorativo così formato sarà poi seguito con poche modifi zioni nei secoli successivi. La sola novita r vante è I'introduzione del frontone chiuso corato con una composizione figurata unica ~ maniera greca, di terracotta e in altorilie esso appare già forse nel v secolo, ma è noto soprattutto a partire dal Iv secolo Tarquinia, a Talamone, a Luni ("terza fase' "fase ellenistica"). Parlando delle forme e rivestimenti del tempio etrusco, non si può 1 scurare il fatto fondamentale che i medes: caratteri e sviluppi si riscontrano nei templi territorio falisco e laziale e, sia pure con qc che differenza, in Campania: talché può parl~ di una comune civiltà architettonica dell'It~ tirrenica a settentrione dell'area direttame: toccata dalla colonizzazione greca'. L'affermc del tipo del tempio di pietra, in sostituzic delle tradizionali strutture lignee (sotto I'influ greco, ma pur sempre con forme peculiari), a' luogo progressivamente, sotto I'inffusso dei n delli greci, nel corso del Iv secolo e dell'età lenistica 2

2 Colonne di p2etra in luogo di coloane liynee sembn -(t attestate nel aue templt di Pyrgt: cfr. Archeologfa C

Cal'· VIII - Letteratura e arti

I1 predominio di elementi di ispirazione arcaica anche in opere di età molto recente si osserva del resto in tutti i motivi della decorazione architettonica etrusca, quali appaiono nelle costruzioni di pietra ed in quelle di legno e terracotta, e nelle loro innumerevoli riproduzioni ed imitazioni dell'arte funeraria e votiva. VITRUVIO parla di un "ordine tuscanico" distinto dagli ordini dorici, ionici e corinzio dell'architettura greca. Esso era caratterizzato da un tipo di colonna che si vede effettivamente impiegato nei monumenti romani e rappresenta una variante della colonna dorica, con la stessa forma rti capitello ma con il fusto liscio e con un basamento. La sua origine etrusca è provata da testimonianze che risalgono all'età arcaica: di questa forma era, verisimilmente, la maggior Darte delle colonne lignee dei templi e degli edifici civili. Si tratta in realta di una sopravvivenza ed elaborazione del tipo detto "protodorico" (fornito di plinto sagomato, con fusto senza scanalature e sensibilmente rigonfio, con capitello a cuscino bombato), che nel mondo greco primitivo era stato prestissimo sostituito dalla colonna dorica vera e propria. Ma accanto a questo tipo vediamo diffuso in Etruria anche un genere di colonne e di pilastn con capitello a volute floreali, semplici e composite, che trova la sua ispirauone nei capitclli orientali siro-ciprioti e nei cupitelli cosi detti "colici" dell:1 Glecia orientale': genere, aIlch'esso, precocemente scomparso

1 A. CIascA, I1 capitello detto eolico in Etruria, 1962.

Etruscologia

nel mondo -eco, con I'affermarsi del capitello ionico. Modanature di impronta arcaica, con dadi, cordoni, "campane", "gole", appaiono dominanti nella sagoma di basamenti e coronamenti di edifici, altari, cippi, ecc.; mentre la incorniciatura di porte e di finestre sottolinea gli stipiti sui lati del vano rastremato verso 1Qlto e il sovrapposto architrave sporgente che, in epoca piu evoluta, si piega alle estremità nelle caratteristiche « orecchiette ». La ornamentazione rion figurata delle cornici, dei coronamenti e degli altri elementi delle sovrastrutture degli edifici appare dominata da motivi a foglie stilizzate, trecce, palmette e fiori di loto, spirali, meandri, ecc., di prevnlente ispirazione ionica. I1 sistema del fregio dorico con metope alternate a triglifi sembra diffondersi soltanto dopo il Iv secolo; ma spesso, in luogo dei triglifi, s'incontrano veri e propri pilastrini ]

I documenti dell'arte figurata in Etruria provengono quasi esclusivamente dai santuan e dalle tombe. Ciò non si deve soltanto alle circostanze di conservazione e di scoperta. La ispirazione religiosa e funeraria della produzione artistica sembra in vero qui, piu che altrove, prevalente su quella profana: mancnno, in ogni caso, pressoché totalmente le testimonianze di un'arte moaumentale intesa ad

L Se questn sia zLna pnrticolnre trnsfonnazione elruscn, in senso «veristico», o nltcR'essct una persistenzn di modelli protoellenici, non è lacile aecidere. Per la seconda ipotesi clr. P. ZANCANI I\IONTUORO, in Palladio, IV, 1940, p. 49 sgg.

Cap. VIII - Letteratura e arti

esaltare o commemorare nvvenimenti storici o benemerenze civiche, come nella grecità classica e nel rnondo ellenistico e romano. Si I>otrebbe, a questo proposito, istituire un certo parallelo con la prevalente ispirazione reiigiosa della letteratura. D'altro canto i tenaci legami dell'arte con la religione e le predisposizioni generalmente concrete - vorremmo dire utilitarie della mentalità degli Etruschi ostacolano nettamente quel processo che si avverte, piu o meno definito, nel mondo greco verso una considerazione autonoma del fenomeno artistico, quale attività non soltanto pratica ed etica, ma anche estetica. Questa incapacitj di avvicinarsi ad una valutazione delïarte come arte - comune del resto a tutte le civiltà preclassiche - spiega perché la produzione figurata etrusca conservi generalmente un carattere applicato, artigianale, decorativo e non assurga, se non eccezionalmente, al livello di quella che suol definirsi "grande arte": e cioè alïopera personale di artisti consapevoli delle loro capacità creative e socialmente apprezzati. Di un solo artefice etrusco ci è pervenuto, infatti, il ricordo attraverso la tradizione letteraria (VARRONE, in PLINIO, XXXV, 157): e cioè del modellatore Vulca, di origine veiente, che lavorò pure a Roma nel vI secolo.

Una breve rassegna delle categorie di monumenti superstiti secondo le loro tecniche potrà Phi:ll.il.P nllF~StP rnnsid~rn7inn; nrpliminar; T.1

di Salerno al sud. L'Etruria non ha ancora cominciato la sua as~ a grande potenza; la sua età dell'oro non è ancora nata!

Tre porte immettono in ogni città, fra cui superbi ornament saranno in Jeguito tre edifici sacri: templi, primi nel paese tempio etrusco C una creazione a sé. Dà un'impresslone di pesan za e di robustezza, è largo e quasi quadrato. Alla base c'C un mo religioso spesso consacrato a una triade divina, contiene quindi che tre nicchie per il culto. Le colonne di tipo dorico, ma con zoccolo, orlano sempre e soltanto la fronte. Vitruvio, architett ingegnere del tempo di Augusto che poté ancora vedere con i I occhi gli edifici sacri degli etruschi, li descrive come «severi e n sicci, con un tetto sporgente e un frontone pure aggettante retto robuste colonne».

I greci non costruivano così. Non classici, di una maestà arca i templi d'Etruria echeggiano modelli del vicino Oriente. A Kho bad sull'Eufrate, la metropoli del re assiro Sargon 11, venne alla 1 un rilievo dell'vIrI secolo raffigurante un tempio: si trovava a Un - uno stato sul lago Van vicino all'Ararat della Bibbia - e mol una somiglianza sbalorditiva con il tempio etrusco: costruito su alto basamento, presenta sul davanti quattro colonne sorreggenti tetto-frontone piatto e triangolare sopra il vestibolo.

Anche in Etruria il tempio si levava sopra un alto podio, e v accedeva, solo dalla parte anteriore, per una scala. Altrimenti chc Grecia, non v'era una cella da cingere con gradini da ogni lato. chitettura e rilievi si conformavano quindi all'entrata unica: sic a un palcoscenico, il tempio si presentava frontalmente in tl il suo ornato alla vista dei fedeli.

« Tutto il peso era posto nella facciata, » nota il professor Raymc Bloch, «il che porta a un radicale mutamento di prospettiva. L chitetto greco pensava al monumento come a un tutto, quindi I dava particolare risalto a una parte sulle altre; in Etruria, e tardi a Roma, contano meno la struttura generale e le proporzi del tempio che non I'effetto prodotto dalla parte frontale sul < dente o sullo spettatore. Questo viene a determinare una profor caratteristica dell'architettura italiana: la tendenza a perseguire effetto decorativo immediato. »

L'aspetto incredibilmente variopinto e mosso della decorazic - che nulla ha in comune con I'armonia dell'Ellade classica - o tribuirà poi a rafforzare I'elemento esotico dell'edificio sacrale et sco. Statue colorate di divinità a grandezza naturale e rivestime in rilievo di terracotta ornano frontone, sommità e cornicione c

i'ampio tetto; motivi di loto e di palmette abbelliscono il profilo del tetto; fregi variopinti, sui quali procedono teorie di esseri favolosi, combattono guerrieri o danzano strettamente intrecciati sileni e ninfe, adornano le pareti. Teste di menadi e di meduse, di geni e demoni, guardano dalle antefisse, piccoli e grandi tegoli frontali.

D'uno splendore stridente di rosso, bianco, blu, marrone e violetto, popolano il tempio figure d'una inquietante mitologia, in una vera orgia di forme e di colori, in atteggiamenti minacciosi, gli occhi fissi in un'espressione malvagia, i denti arrotati in una smorfia. Domina qui una fantasia sbngliata, rivelatrice di una voglia di favoloso che accosta al grottesco il sinistro e il terrificante.

Con il loro santuano gli etruschi hanno offerto un modello a tutta 1'Italia: e il primo grande e celeberrimo tempio di Roma - quello di Giove Capitolino - costruito da architetti etruschi, pomposo di colon e preziosamente adorno, avrà appunto tale forma. Piu di cinque secoli dopo - tramontata ormai da tempo la potenza gloriosa d'Etruria - gli ultimi resti di questa fastosa e superba architettura sacrale continuano a suscitare ammirazione. «Di terracotta erano infatti le piu famose immagini delle divinità,, scrive Plinio il Vecchio, pieno d'entusiasmo, nel I secolo d.C. « Ancor oggi se ne trovano alcune in parecchi luog·hi. In Roma stessa e nelle borgate vicine si vedono tuttora sui frontoni dei templi mirabili lavori scmidiruti, conservati con piu cura dell'oro a causa dell'arte e della loro particolare imponenza. »

Anche gli edifici pubblici e le ville sono, come i templi, affrescati a vari colori e adorni di rilievi e di terrecotte. E anche la loro architettura non è greca: si è diffuso un tipo di casa assolutamente nuovo, la celebre casa ad atrio antenata della casa romana.

Un vestibolo coperto, in cui la luce cade dall'alto e I'a< vana si raccoglie in una vasca - I'atrio - accoglie il visitat porta alla stanza principale, di faccia all'entrata, dove sta per il fuoco e per I'acqua. Accanto, a destra e a sinistra, I due altri vani. I1 tetto a frontone è retto da colonne. « Ne zioni, » scrive degli etruschi Diodoro Siculo al tempo di « essi crearono I'atrio per bandire il chiasso dei servi. » I1 ml struttivo si rifà anche qui, come nel tempio etrusco, a forme toniche del vicino Oriente, in Asia minore e in Siria.

La denominazione romana di atrium tuscanicum consel7· il nome dei suoi creatori; e pure il termine atrium è di ori~ sca: significa « cortile, o anche « porto », e si trova in alc nimi. «Hatria», si chiamava una città etrusca alle foci che diede il nome al mare su cui s'affacciava, 1'Adriatico.

La disciplina etrusca conosceva probabilmente tre tipi di libri sul destino: i libri Hauruspicini, che trasttavano del vaticinio mediante I'esame del fegato delle vittime sacrificaliI'esame del fegato delle vittime sacrificali; i lib7i fulgtlrales, che si occupavano dell'interpretazione dei fulmini; e i libn ritualcs, che abbracciavano un campo vasto e molteplice, comprendendo leggi cultuali, prescnzioni per la fondazione di città - secondo enumera Festo - consacrazione dei luoghi sacnficali e dei templi, e inviolabilità dei recinti. Inoltre leggi sopra le porte cittadine, la divisione in tnbu, curie e centurie; la composizione e I'organizzazione delI'esercito e tutto quanto ripuarda la pace e la guerra.

Dei libn ntuali facevano inoltre parte anche i libri fatales, sulla divisione del tempo e la durata della vita degli uomini e dei popoli; i libn' ache7ontici, sul mondo dell'aldilà e i riti della salvazione; e infine regole delucidatorie di miracoli e simboli, ostentaria, che stabilivano le penitenze da affrontare per stornare un malanno e proplzlarsl le divinità.

Una dottrina tanto varia e onnicomprensiva abbisognava di uno studio lungo e severo. Sorsero così scuole particolari (fra le quali si distinse per fama sin dall'inizio quella di Tarquinia), che provvedevano a questo tipo di cultura specializzata. Erano ben piu che seminari per sacerdoti in senso moderno: dato il complesso dei loro compiti erano per così dire delle università con le loro varie facoltà. Accanto alle le~gi religiose - alla teologia, cioè - il piano di studi comprendeva anche la mediazione di un sapere immenso e profondo indispensabile all'ufficio sacerdotale, che andava dall'astronomia e meteorologia alla zoologia e alla botanica, fino alla geologia e alI'idraulica, nella quale si specializzavano gli aquilices, cioè i consulenti per i progetti idraulici. Competeva loro inoltre il repenmento delte falde acquifere e lo scavo dei pozzi, la costruzione di canaii, la canalizzazione e I'approwipionamento di acqua potabile alle città e I'irrigazione e il drenaggio dei campi; oltre allo sbarramento di laghi artificiali e a volte persino sotterranei, e agli impianti di scolo dei laghi naturali. Collaboravano in queste opere collegi saceidotali dotati di speciali conoscenze nel campo dello scavo di cunicoli sotterranei e nel traforo dei monti.

Come nell'Oriente antico, anche in Etruria scienza teolog;ica e scienza profana non erano separate; divino e terreno, sovrannaturale e naturale, cielo e terra erano concepiti come un tutto strettamente connesso. Ogni impresa o azione umana doveva essere in armonia con il cosmo; rivolto al cielo era quindi ogni sforzo dei sacerdoti di investigare la sacra disciplina conformemente alla volontà dei numi. L'orientamento e la divisione dello spazio erano dunque della massima importanza, per il vaticinio dal fegato animale come per la

fondazione di un tempio, per I'interpretazione di un meteorite come per la misurazione del terreno e la delimitazione di giardini e campi.

Cielo e terra erano divisi in quattro zone da due grandi assi invisibili, con direzione nord-sud ed est-ovest. Cardo si chiamava nella traduzione latina la retta nord-sud, decumanus I'asse trasversale determinato dal sorgere e calar del sole. Ogni rito importante, o~ni azione cultuale ruotava dunque attorno a tale spazio celeste e terreno, con le sue divisioni ben delimitate, il quale solo rendeva possibile al sacerdote di investigare e intendere i sepni dati dai superni. E in armonia con esso dovevano essere tutte le attività sacrali o profane intraprese sulla terra: poiché la buona e la malasorte, pensavano gli etruschi, stavano immutabili ed eterne, stabilite dalle cosmiche dimore dei numi, nelle quattro regioni.

Di queste, I'orientale era considerata di buon auspicio, poiché in essa si erano stabiliti gli dei propizi all'uomo; e soprattutto quella nordorientale, che prometteva la fortuna. Nel settore sud g-overnavano le divinità della terra e della natura; nelle squallide regioni d'occidente, invece (e particolarmente nel quarto fra nord e ovest, il piu sinistro), dimoravano gli esseri spaventosi e implacabili del mondo infero e del fato.

Nessuna città etrusca crebbe mai a casaccio, come accozzaglia progressivamente crescente di abitazioni umane. I loro fondaton fornirono agli italici, prima vissuti in abitazioni sorte disordinatamente, le norme fondamentali della costruzione di una città ancorata nel culto. La città fondata secondo ie leggi sacrali costituiva in Etruria una minuscola cellula del Tutto, armonicamente inserita in un ordine governato e determinato dai numi, onnicomprensivo.

I1 viso rivolto a sud, stabilito in cielo il nord-sud e I'est-ovest, diceva il sacerdote: a: auesto sia il mio davanti, questo il mio dietro; la mia sinistra e la mia destra.. Quindi incedeva solenne per il cardo e il decumano col suo liluus, il bastone pastoràle che Roma ereditò dall'Etruria e che ancor o~gi portano i vescovi delle chiese cattolica, anglicana e luterana di Svezia.

Nel punto in cui doveva sorgere il centro di una nuova città, si scavava una fossa molto profonda, quasi un pozzo, che fungeva da

leqame fra il mondo dei vivi e quello dei morti, e conduceva alle potenze dell'abisso. La si ricopriva poi di grandi lastre di pietra.

Come la volta celeste, di cui sembrava costituire la controparte sotterranea, fu chiamata mundus e considerata, a quanto informa Varrone, la ~ porta degl'inferi ». Tutt'intorno venivano quindi tracciati, con una cerimonja solenne, in vasto cerchio i confini secondo i riti

prescntti. In un giorno stabilito attraverso preeagi favorevoli, dicono notizie di Catone e di Varrone, il fondatore, vestito della toga, agpioga a un aratro, dal vomere di puro rame, un toro bianco a destra e una vacca bianca a sinistra. Egli traccia quindi un solco, guidando la vacca all'interno e tiene il vomere obliquo in maniera che le zolle siano rivoltate verso I'interno. La terra ammucchiata a questo modo indica le future mura della città, il solco il vallo. Nei luoghi stabiliti per le porte I'aratro viene alzato, perché le porte sono cosa profana, le mura invece sacra, così come tutto lo spazio definito dal solco, il templum urbano.

Oltre alla posizione del mundus, cardo e decumano, croce sacrale, stabilivano quella ben precisa delle porte e delle vie, deg-li altan, templi ed edifici. « Sulla poderosa acropoli, i templi,, dice Raymond Bloch, ~ erano orientati per I'appunto in direzione nord-sud, perché gli dei dalle loro nicchie potessero abbracciare con sguardo protettore tutta la città di cui reg;gevano i destini., E solo quando una città avesse consacrato tre templi, strade e porte, era considerata fondata secondo la legge.

A Marzabotto, vicino Bologna (la «Misa» fondata nel vI secolo a.C., I'unica città schiettamente etrusca tratta sinora metodicamente alla luce), è comparsa una rete stradale orientata appunto secondo le regioni celesti. Dinanzi a un tempio si trovò anche un mundus.

I romani impararono e fecero propn i riti etruschi per ~a fondazione di città. I1 ricordo della fondazione di una città secondo il costume etrusco - more etrusco - si riflette nella leggenda romana. Romolo per fondare Roma, informa Plutarco, fece venire uomini dall'Etruna che lo iniziarono come nei misteri religiosi e scandirono la procedura secondo i riti e ]e prescrizioni sacre. Come la leggendana urbs guadrata - la città che si pretendeva sorta sul Palatino - era considerata fondata su prescrizione etrusca, cosi anche I'accampamento romano nspecchia chiaramente il modello etrusco.

Come «una delle cose helle e importanti» descrive Polibio I'accampamento che i legionari ronlani costruivano con la massima accuratezza nelle loro spedizioni, sera per sera. Essi lo disponevano secondo un piano preciso: trovato il terreno adatto, il tnbuno vi piantava una bandiera bianca come punto di riferimento, secondo il quale doveva esser articolato tutto I>accampamento. I1 posto segnato con la bandiera, il praetorium, veniva occupato dalla tenda del co-

mandante con le insegne della legione. Subito dopo si tracciavano due strade rettilinee, che s'incrociavano ad angolo retto dinanzi al

praetorium. La via principalis correva dritta in direzione nord-sud,

corrispondendo così al cardo delle città, e portava alle due porte principali; I'altra si stendeva, come il decumano, da ovest a est.

L'influsso della cosmologia ntuale etrusca si rivela anche nell'importanza annessa alle porte nell'accampamento romano: quella verso levante - i buoni auspici venivano da oriente - la porta praetoria, godeva fama di portafortuna, onde attraverso di essa i legionari uscivano a battaglia; quella verso ponente, la porta decumana, era invece considerata portasfortuna, e da essa venivan fatti passare i condannati a morte per I'esecuzione.

Anche la fossa intorno era costruita mo7e etrusco. Durante i lavori di fortificazione si ammucchiava la terra verso I'interno a fornlare un terrapieno (agger), chiuso da una palizzata (vallum). Molte città romane di confine furono in seguito costruite secondo tale modello, con I'unica differenza che, in luogo del terrapieno originano, si avevano mura di pietra o di mattoni. Esempi di costruzione geometrica a pianta rettangolare offrono Torino e Timgad nel Nordafrica, fondata da Traiano nel Ioo d.C. al marg·ine del Sahara.

Ogni tipo di terreno - latifondi, campi coltivati e piantagioni sottostava in Etruria a leggi sacre. Due ricordi leggendari raccontano come esse furono un giorno rivelate. A Tarquinia si raccontava che Tagete stesso avesse insegnato a Tarchon le regole della limitatio, la misurazione del terreno; ]e quali poi sarebbero state tramandate in un codice dal titolo latino di «Liber qui inscribitur terrae iuris Etruriae », cioe un codice di diritto agrario.

Prima di esaminare le vicende artistiche dell'Etruria, occorre ricordare alcuni aspetti fondamentali della religione di questo popolo. Su tutta la civiltj etrusca incombeva infatti il peso della religione che dominava molti aspetti dell'esistenza quotidiana. La concezione del divino nel mondo etrusco si differenzia profondamente da quella greca: I'uomo, infatti, provava un senso di infinita inferiorità di fronte alla potenza degli dei. Una minuziosa e rigidissima disciplina cultuale regolava i rapporti tra uomo e dio, la cui volontà doveva essere conosciuta, per essere scmpolosamente osservata, attraverso I'interpretazione delle viscere degli animali (soprattutto del fegato) e dei fulmini. Singolarissimo e interessante riferimento anche per le vicende architettoniche etn~sche è la partizione che si usava per suddividere uno spazio sacro: lo schema si chiamava templum e poteva essere applicato al cielo, a un luogo sacro, ma anche a una cittj o a un santuario, come a un fegato osservato per trarne auspici (fig. 30). I quattro punti cardinali erano uniti da due rette che venivano a incrociarsi ortogonalmente: da nord a sud correva il cardo, da est a ovest il decumano (i termini verranno poi usati nell'agrimensura e urbanistica romana, mostrando la loro connessione con la radice culturale ern~sca e italica). Si venivano a costituire due parti davanti e dietro il centro ideale: a sud la parte antica, a nord la parte postica, mentre, considerando la divisione in senso op posto, a est si aveva la sezione di buon auspicio (paus familiavis o sinistuu) e a ovest quella sfavorevole (pavs hostilis o dextva). Questo schema, che poi si suddivideva ulteriormente lasciando sedici spazi per le diverse divinità, serviva per interpretare presagi (fulmini, volo degli uccelli), ma trovava eco anche nella costruzione dei templi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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