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PROPORZIONI
LANTICHITÀ
Il concetto di ordine, e in particolare di ordine matematico, è alla base della nostra
confermazione psicofisica. Lo stesso corpo umano segue la legge della simmetria; le sue
due metà sono uguali, e più le sue proporzioni e forme sono perfette più ci sembra
bello.
La nostra interpretazione della natura è prevalentemente matematica: noi esprimiamo le
leggi che governano tutti i fenomeni, da quelli che ci sono più vicini a quelli
delluniverso, in termini matematici.
Pitagora credeva che lessenza e la verità ultima della struttura delluniverso
risiedesse in rapporti numerici e proporzionali ben determinati. Le sue convinzioni
trovavano sostegno nellosservazione che gli intervalli musicali consonanti
derivavano da rapporti fissi e invariabili, riscontrabili nelle corde degli strumenti
musicali.
Se si hanno due corde sottoposte alle stesse condizioni e una è lunga lesatta metà
dellaltra, pizzicandole si potrà notare che laltezza del suono emesso dalla
corda più corta è superiore di unottava al suono della corda più lunga: ossia il
rapporto 1:2 corrisponde ad un intervallo di ottava, o in greco Diapason.
Se la corda più corta viene a sua volta dimezzata otterremo unottava ancora
superiore, e il rapporto tra i due intervalli dottava può esprimersi come 1:2:4. Se
il rapporto tra le due corde è invece di 3:4, lintervallo è di una quarta o
Diatesseron, mentre ripetendo lesperimento con il rapporto di 2:3 lintervallo
è di una quinta o Diapente.
La scala musicale dei Greci consisteva di tre consonanze semplici, Diapason, Diatesseron,
Diapente, e due composte, Disdiapason e Diapasondiapente ovvero lottava, la quarta e
la quinta, la doppia ottava e lottava più la quinta (tripla).
Risulta quindi evidente che lintero sistema armonico greco era contenuto nei
rapporti 1:2:3:4. La scoperta che tutte le consonanze musicali possono esprimersi
matematicamente con i rapporti fra i primi quattro numeri interi e la scoperta della
stretta interrelazione di suono, spazio (la lunghezza della corda) e numeri debbono aver
stupefatto e affascinato Pitagora e i suoi accoliti: doveva sembrare loro di possedere la
chiave che permetteva di penetrare in regioni inesplorate dellarmonia universale.
Applicando la teoria pitagorica del "medio" ai rapporti dintervallo della
scala musicale greca, questultima ricevette una propria ragione dessere
matematica e logica. Per comprendere questo è importante operare una distinzione tra
rapporto e proporzione.
Il rapporto è una relazione tra due quantità, mentre la proporzione consiste in
unuguaglianza di rapporti tra due coppie di quantità. In altri termini, in un
autentico rapporto proporzionale debbono esserci almeno tre grandezze: due estremi e un
termine intermedio, solitamente chiamato il "medio".
È significativo che i tre principali tipi di proporzione, le cui proprietà vennero
pienamente riconosciute da Pitagora e dai suoi sucessori, determinano le consonanze della
scala musicale. La prima di queste è la cosidetta proporzione geometrica, nella quale il
primo termine sta al secondo come il secondo sta al terzo (1:2:4).
È quindi la proporzione geometrica a determinare lottava. Il secondo tipo è
chiamato proporzione aritmetica: qui il secondo termine sopravanza il primo con la stessa
quantità con cui il terzo sopravanza il secondo, come, ad esempio, nella proporzione
2:3:4.
In altri termini la proporzione aritmetica determina la suddivisione dellottava in
una quinta e una quarta. Il terzo tipo è chiamato proporzione armonica.
Tre termini sono tra loro in proporzione armonica quando la distanza dei due estremi dal
medio è una stessa frazione della loro quantità. Prendiamo ad esempio la proporzione
6:8:12. Il medio 8 è maggiore di 6 della terza parte di 6, ed è minore di 12 della terza
parte di 12. Questa è uninverzione del caso precedente, poiché 6:8:12 divide
lottava in una quarta e una quinta. In tal modo questi tre tipi di proporzione e le
consonanze musicali sono strettamente correlate.
Secondo il concetto pitagorico adottato e svillupato da Platone, lessenza del bello
consiste nellordine (tàxis), nella misura, nella proporzione (symmetrìa),
nellaccordo e nellarmonia. Esso venive inteso cioè in primo luogo come una
proprietà derivante da un accordo (disposizione, armonia) tra le parti, e in secondo
luogo come una proprietà numerica, adatta ad essere espressa in numeri (misura,
proporzione).
Nel Filebo, Platone dice che "...la misura infatti e la simmetria risultano dovunque
bellezza e virtù.", (Plat. Phil., 64 E). In questo dialogo lui sostiene che
lessenza del bello, come tutto ciò che è buono, sta nella misura e nella
proporzione.
Già nel Sofista, ritroviamo lo stesso concetto e il complemento negativo di esso, per cui
la "mancanza di armonia di misure è deformità ovunque sia",(Plat. Sof., 228
A).
Nel Timeo, parlando del rapporto tra bellezza e misura, Platone afferma che " tutto
ciò che è buono è bello, ed il bello non è privo di simmetria", (Plat. Tim., 87
C).
Questa dottrina pitagorica della misura e della proporzione comparve relativamente tardi
nella filosofia di Platone, ma ne divenne subito una caratteristica dominante.
Nel Timeo di Platone troviamo esposta la teoria che Dio compose lanima del mondo
secondo le leggi dellarmonia musicale, indicando così una serie di numeri che
reppresentano le sette parti dellanima: 1, 2, 3, 4, 9, 8, 27.
Diffati, " Cominciò poi a dividere così: prima tolse dal tutto una parte, dopo di
questa ne tolse una doppia di essa, e poi una terza ch'era una volta e mezzo la seconda e
tre volte la prima, una quarta, doppia della seconda, una quinta, tripla della terza, una
sesta, ottupla della prima, una settima, ventisette volte maggiore della prima."
(Plat. Tim. 35b)
Di questa conclusione nasce il lambda platonico 1, 2, 4, 8, e 1, 3, 9, 27, il quale forma
due proporzioni geometriche, che hanno come primo termine comune luno, e una ragione
del doppio nella prima serie, e una ragione del triplo nella seconda serie.
I Pitagorici ponevano i numeri in tutti le cose, facendoli lessenza immanente di
esse, invece per Platone i numeri sono trascendenti non potendo essere nelle cose. Platone
dopo aver costruito di là del sensibile il mondo intelligibile, accoglie dai Pitagorici
la concezione del numero come sostanza dellordine del cosmo che esplicita
lesistenza di un ordine entro il sensibile, e come questi, serve dei numeri per
esprimerlo.
Trasportando il fatto numerico in terreno filosofico pone tre gradi nellente, quello
perfetto dellintelligibile in sè, quello intermedio dellintelligibile nel
sensibile, e quello del sensibile. La trasformazione delle idee in numeri gli permetteva
di gettare un ponte, quello degli enti matematici, tra il mondo trascendente e il mondo
delle cose sensibili.
Già Aristotele, sia nella Poetica che nella Politica, sostiene che la bellezza dipende
dellordine e della grandezza. Nella Metafisica aggiunge una terza proprietà
generale della bellezza quando dice che essa dipende dalla simmetria "Le più alte
forme del bello sono lordine e la simmetria e il definito, e queste cose sono messe
sommamente in rilievo dalle scienze matematiche.", (Arist. Met., XII, 3, 1078a36), e
ancora, "Il vigore invero resiede nei tendini e nelle ossa; la bellezza invece sembra
essere una certa simmetria delle membra.", (Arist. Top, III, 1, 116b21).
Egli tende a porre su di uno stesso piano proporzione e ordine, riconoscendo alla bellezza
soltanto due proprietà principali: lordine (o proporzione) e la misura.
POLICLETO
Nel periodo storico dellarte greca che oggi chiamiamo "classico", artista
e teorico si identificavano nella stessa persona. Molti tra gli artisti di questo periodo,
non soltanto costruivano, scolpivano e dipingevano, ma scrivevano anche sullarte.
I loro trattati non consistevano soltanto in informazioni tecniche e in principî fondati
sullesperienza pratica, ma anche in discussioni generali intorno alle leggi, alla
simmetria e ai canoni dellarte che contenevano principî estetici che poteva servire
da "guida stabile" agli artisti contemporanei.
Policleto avendo "(...) istruito tutti noi in quello scritto sulla simmetria del
corpo rinsaldò il ragionamento con lopera, avendo creata una statua secondo i
dettami del ragionamento, ed avendo poi chiamata la stessa natura, come appunto lo
scritto, Canone." (Galen. de plac. Hipp. et Plat. 5, 3 162), può essere considerato
il primo esempio conosciuto di determinazione scritta della dottrina delle proporzioni
dellantichità.
Certamente sarebbe assai inesatto pretendere che egli per primo abbia concepito un sistema
di proporzione, visto che nel VI e V secolo la parola KANON " è sinonimo di metron;
è la misura, o lunità di misura; in un primo tempo empirica, come il piede, il
cubito o simili, poi numerica e numerico-ottica" ( FERRI).
Possibilmente questo canone era determinato da un modulo o unità di misura numerica che
serviva da misura comune, il quale moltiplicandosi da se stesso, produceva delle
combinazioni assai sicure, assai armoniche determinando per ogni parte del corpo le
proporzioni più belle.
Questa possibile conclusione è in un passo di Galeno: "(Crisippo) invece ritiene che
la bellezza non consista nella simmetria degli elementi ma in quella delle parti, del dito
in relazione col dito, e di tutti insieme in relazione al metacarpo e al carpo, e di
questi rispetto all'avambraccio, e dellavambraccio rispetto al braccio; e di tutti
essi rispetto al tutto, secondo quanto appunto è scritto nel Canone di Policleto. Infatti
egli, avendo istruito tutti noi in quello scritto sulla simmetria del corpo rinsaldò il
ragionamento con lopera, avendo creata una statua secondo i dettami del
ragionamento, ed avendo poi chiamata la stessa natura, come appunto lo scritto,
Canone." (Galen. de plac. Hipp. et Plat. 5, 3 162)
Il metodo matematico frazionario applicato ai problemi artistici e questo ordine di idee
traspare proprio una tradizione pitagorica. Unartista di quel secolo non poteva non
conoscere lestetica pitagorica, (fondata sulle proprietà dei numeri, corpi
perfetti, e principalmente sull'armonia musicale,) ed uno degli aforismi che
lantichità attribuiva a Policleto ci mostra proprio in lui un seguace di quelle
teorie.
Nei due seguenti passi che qui seguano possiamo capire bene quel che si intende:
"(...) Così che la sentenza detta dallo scultore Policleto dovrebbe essere
famigliare a chi esita: disse infatti che lottimo (la bellezza) è costituito nella
scala più piccola, di molti numeri". (Philo mechan. synt. IV, 1, p.49, 20).
"Perché, in ogni opera la bellezza si realizza per mezzo della simmetria ed armonia,
ad esempio attraverso molti numeri che convengono nel punto giusto, mentre il brutto ha
una immediata e improvvisa origine da un difetto casuale o da un eccesso
casuale;...." (Plut. Moralia I, 91)
Nasce così in greco il concetto della SYMMETRÌA, il quale già osservava Plinio che, in
latino un termine corrispondente non esiste esattamente " non habet latinum nomem
symmetria" (Plin., nat. hist. 34, 65 ).
La definizione esattava è data da Erone (Deff. 128) "simmetriche son dette le
quantità misurabile i con una misura unica; assimmetriche quelle che non ammettono una
misura comune". Non è da credere che questa legge solida della simmetria-analogia
sia un qualche cosa di negativo, sia una imposizione o un impacccio alla creazione
artistica greca.
Al contrario il principio del collegamento simmetrico ha profonde basi nellintimo
animo dei Greci, i quali, affermavano ed erano convinti che la natura sia attuazione e
mimesis di un sistema armonico di numeri, e quindi tutte le arti, inquanto mimesis
dellidea e della natura, anchesse siano espressoni di numeri in concordia con
la natura.
Lordine classico policleteo consisteva nel concretarsi visivo delle armonie
musicali, perché "...quelli intorno a cose stabile e certa e che risplende
all'intelletto, devono essere stabili e fermi e, per quanto si può, inconfutabili e
immobili, e niente di tutto questo deve mancare. Quelli poi intorno a cosa, che raffigura
quel modello ed è a sua immagine, devono essere verossimili e in PROPORZIONI* di quegli
altri: perché ciò che è l'essenza alla generazione, è la verità alla fede."
(Plat. Tim. 29b) .*(la sottolignatura è mia)
Nellimportante trattato De Architecttura di Vitruvio, il noto architetto di età
augustea, troviamo lunico passo della letteratura antica sul un sistema di
proporzione del corpo umano: " Infatti la natura ha composto il corpo umano in tal
modo che il viso, dal mento allalto della fronte ed alle più basse radici dei
capelli, fosse la decima parte (del corpo); parimente la mano stesa dalla giuntura alla
punta del ditto medio, altrettanto; il capo dal mento al vertice più alto, lottava
parte; insieme col collo, dalla sommità del petto allattacatura inferiore dei
capelli, la sesta parte, (dalla metà del petto) al vertice sommo la quarta parte. La
terza parte del viso, considerata in altezza, è dal mento alla base delle narici;
unaltra terza parte è costituita dal naso stesso, considerato dalla base delle
narici al punto di incrocio delle sopracciglia. E laltra terza parte va di lì alla
radice dei capelli. Il sesto dellaltezza del corpo è costituito dal piede, il
quarto dal cubito, e un altro quarto dal petto. Le quote di misura proporzionale le hanno
anche altre parti del corpo, e per mezzo di esse gli antichi pittori e scultori ottennero
immense lodi. Le membra dei templi, devono avere, con metodo simile, una perfetta
corrispondenza e concordanza di misure nelle singole parti con tutta la somma della
grandezza intera. Ugualmente è naturale che il centro del corpo sia lombelico;
poiché se un individuo si collocasse supino con mani e piede aperti, e si facesse centro
lombelico con un compasso delineando una circunferenza, le dita delle mani e dei
piedi sarebbero tangenti a quella. E come si trova nel corpo lo schema della
circunferenza, così si troverà in esso quello del quadrato. Infatti, misurando dal piano
dove poggiano i piedi alla cima del capo, e riportando la stessa misura alle mani aperte,
si troverà la stessa lunghezza, come avviene nel quadrato squadrato. Dunque, se la natura
ha composto in tal modo il corpo delluomo, che le membra singola e corrispondono in
proporzione alla intera somma figurata, sembra allora che gli antichi abbiano con buone
ragioni fissato che nellopera compiuta e perfeta deve esistere una esatta
corripondenza delle singole membra con la visione intera dellopera.(...).
E fecero di più (gli antichi); i calcoli delle misure che in ogni opera pare siano
necessari, li hano raccolti dalle membra del corpo, per esempio, il dito, il palmo, il
piede, il cubito, e li hanno distribuiti in un numero perfetto che i Greci chiamano
Teleon. Gli antichi hanno stabilito che il numero perfetto sia il dieci, perché è stato
trovato dal numero delle dita della mano." (Vitruv. De Archit. III, 1, 65)
Secondo lopinione di FERRI, i paragrafi di questo testo "costituisce un
interessante frammento di qualche trattato ellenistico sui canoni
della scultura. Che si tratti di fonte ellenistica può facilmente indursi dalla solita
mescolanza di espressioni e principi artistici del V secolo con altri evidentemente del IV
e seguenti."
Comunque sia, il testo vitruviano permette alcune osservazioni dindole teoretica di
notevole importanza. Anzitutto il punto di partenza per il calcolo della simmetria umana
è rappresentato dalle membra stessa nella loro compagine e corrisponsione. Non è scelto
un membro al posto di un altro.
Con ogni probabilità il modulo antropomorfico (diametro dellimoscapo, o cubito,
piede, stinco della persona) è stato in vigore in tutta lepoca arcaica, e solo
verso la metà del V secolo si è cercato un aproffondimento a causa dellinfluenza
pitagorica e perchè più comodo, del quantum numerico corripondente al membro
fisico-strutturale o umano.
Sebbene i greci eseguissero le loro opere in conformità alle proporzioni matematiche e
alle forme geometriche, in certi casi se ne scostarono.
Queste derivazioni sono troppo coerenti per non essere consapevoli, deliberate, ed
effettuate con una chiara intenzione estetica.
Diodoro Siculo scrisse che sotto questo aspetto larte greca differiva da quella
degli Egizi, che calcolavano le proporzioni senza tenere conto delle esigenze della vista.
I Greci ne tenevano conto, cercando di compensare le deformazioni ottiche. Loro davano
alle figure dipinte o scolpite forme irregolari, consapevoli che proprio per mezzo di
questo procedimento, esse sarebbero apparse regolari.
Luso della prospettiva come correzione ottica causò la grande polemica in Platone,
per il quale, il compito dellarte doveva essere "verità" per rapporto
alle Idee. Essa deve di necessità ricondurre il mondo visibile a forme immutabili,
generale ed eterna, rinunciando per tal modo a quella individualità ed originalità del
carattere delle sue creazioni.
"Questa (larte icastica) si trova specialmente quando uno realizza una
imitazione rapresentando il suo modello in modo da mantenerne le esatte proporzini in
lunghezza, larghezza e profondità, e, oltre a ciò, fornisce anche i colori che
convengono a ciascun particolare. Ma come? Forse che non cercano di fare ciò tutti coloro
che imitano qualcosa?
Direi che non lo facciano almeno tutti quelli che pretendono modellare o dipingere qualche
cosa di grande. Se riproducessero la reale proporzione di queste cose belle, sai che le
parti superiori ci apparirebbero troppo picolle e le parti inferiori troppo grandi,
poiché vediamo le une da vicino e le altre da lontano." (Plat. Protag. 356c)
Secondo una nota poesia di Giovanni Tzetzes, Fidias, considerando lapparente
rimpiccolirsi degli oggetti a grande altezza, avrebbe dato alla sua Atena proporzioni
obbiettivamente errate, perché si trattava di una scultura molta alta messa in una alta
base, e perciò appunto avrebbe riportato vittoria su Alcamene, ed è proprio sul punto
che egli fissa la sua polemica: luso della prospettiva.
Perciò Platone logicamente contrappone alla libera arte greca quella, sottoposta a canoni
degli Egiziani.
Infatti nella Legge scrisse: " Risulta che fin da tempi antichissimi fu conosciuto da
loro il discorso che noi ora stiamo dicendo, che cioè i giovini nello stato debbono
familiarizzarsi con le belle figure e le belle melodie. Essi le definorono, mostrarono nei
templi quali sono e come sono. Oltre a questo non era lecito nè a pittori nè ad altri
che rappresentassero figure e facessero altre simili opere darte, compierne di
diverse e nemmeno pensare altre da quelle della patria tradizione e per tutto il complesso
dell'arte musicale. Là tu potrai scoprire, osservando, pitture e sculture antiche di
diecimilla anni, non per modo di dire, ma realmente diecimilla anni, e sono nè peggiori
di quelle che ora state elaborate, prodotte con la stessa arte". (Plat. Legge II
656d, 656e, 657a)
Nel Sofista egli lancia la sua condanna secondo quale lartista crea simulacri
imprecisi e fallaci, che, per ingannare locchio nostro imperfetto, ingrandiscono
ciò chè picolo e rimpiccioliscono ciò chè grande, e allora lopera
dellartista accresce il turbamento dellanima nostra stando, per rapporto alla
verità, ad un livello inferiore che non quello del mondo sensibile. Anche da questo
frammento si può capire perché si aviccinassero meglio al suo ideale le opere di quegli
scultori e pittori egiziani, che non soltanto si mantenevano fedeli alle loro formule
immutabili, ma anche rifiutavano ogni concessione alla prospettiva.
IL PRIMO MEDIOEVO
I primi scrittori cristiani che dànno inizio alla filosofia cristiana, dànno inizio
anche allestetica cristiana. I padri greci e in particolare san Basilio, ed i padri
latini con alla testa Agostino, i primi si muovano da fonti greche, gli altri da fonti
romane, ma tutti hanno dimestichezze con le teorie degli antichi sullarte e sul
bello.
Infatti, questa è solo una delle fonti dellestetica dei padri della chiesa,
giustamente perchè laltra è costituita dalle loro specifiche concezioni cristiane
contenute nella Sacra Scrittura, anche se essa avesse finalità diversa da quella
estetica.
Il GENESIS contiene unenunciazione di grande importanza dal punto di vista estetico,
giacché concerne la bellezza del mondo. Il testo dice: " E Dio contemplò tutto
quello che aveva fatto e vide che era molto bello (kàlos)",(Genesis I 31).
Possiamo dunque individuare in questa espressione la nozione che il mondo è bello, ma
anche il concetto che esso è bello perchè, come un'opera darte, è la creazione
consapevole di un essere pensante. Il termine kàlos aveva una larga gamma di significati,
denotava la belleza non solo in senso estetico ma anche in senso morale e in generale,
tutto ciò che merita approvazione o suscita piacere.
I traduttori greci usando questo termine per esprimere lidea biblica che il mondo
era bene riuscito, introdussero nella Biblia un concetto greco concernente la bellezza del
cosmo.
La parte dellAntico Testamento che viene dato più spazio alla bellezza è il LIBRO
DELLA SAPIENZA. Il libro introduce unidea filosofica puramente greca (pitagorica e
platonica), di che Dio dispose " tutto secondo misura, numero e peso", (XI 21),
lasciando un chiaro segno del peso che linfluenza greca esercitò sulla stesura del
libro.
Il fatto che queste idee si trovassero nelle pagine della Sacra Scrittura fu di massima
importanza, perchè con lautorità del testo sacro si legittima la loro propagazione
che poi, diventeranno punti fondamentale per lestetica medievale.
Nel libro Corpus Dionysiacum, scritto nel V secolo da un autore neoplatonico oggi
riconosciuto come Pseudo-Dionigi, troviamo idee fondamentali che ebbero vastissima
influenza tanto nellestetica bizantina, come in quella medievale. Viene introdotto
nellestetica cristiana il concetto di bellezza assoluta a scapito della belleza
sensibile, dando ingresso al concetto dellemancipazione della bellezza sensibile da
quella assoluta. Da ciò deriva lattribuizione alla bellezza sensibile di un
significato simbolico, in quanto essa è una rappresentazione del bello assoluto.
IL MONDO BIZANTINO
Lestetica bizantina, religiosa e spiritualista, è una continuazione
dellestetica dei padri greci e dello Pseudo-Dionigi avendo come espressione più
pura la pittura.
Loggetto specifico della pittura bizantina è la rappresentazione della forma umana,
però il corpo umano è solo un simbolo per rappresentare lanima, il quale, viene
smaterializzato e ridotto alla forma più astratta.
Nei particolari anatomici il viso e specialmente gli occhi divengono il punto focale del
dipinto, come il torso lo era stato nella scultura greca. La figura del Cristo o dei santi
sono allungate, e quindi, come se fossero staccati dalla terra.
Eredici dei greci la teoria bizantina delle proporzioni coinvoglia i postumi della
tradizione classica nel fatto che ha realizzato il suo schema prendendo come punto di
partenza larticolazione organica del corpo umano e ammetendo il fatto che le parti
del corpo sono per nature distinte una dallaltra.
Il sistema dei moduli aveva come consequenza la semplificazione delle composizione delle
figure e favoriva lunità fra diverse opere. In breve tempo, il modulo esercitò un
influsso importante sullinsieme dellarte, e giustamente per il fatto che
costituiva un canone semplice e chiaro, simpose determinando una tradizione sicura.
Il modulo non poteva essere una semplice unità meccanica, visto
che se linsieme delle proporzioni aveva un senso, esso doveva esserne una parte.
Nella ricerca del nuovo canone (non più quello ellenistico), ci furono due idee di grande
importanza. La prima nasceva dalla concezione ellenistica ed era sopratutto influenzata
dal neoplatonismo. Luomo non può essere limitato alle sue dimensioni naturali: egli
è essenzialmente un essere "soprannaturale" e compito dellartista è di
farlo apparire come archetipo nelle sue relazioni con leterno. Per fare ciò, egli
si serve del cerchio come misura simbolica e del suo raggio che diviene modulo, dapprima
per la testa, poi per tutto il corpo. Laltra idea chiave è di ordine teologico e
spirituale.
Le icone in cui appaiano più chiaramente le struttura del cerchio, sono quelle del volto
del Signore: esse hanno unimportanza fondamentale per tutta liconografia.
Durante il tempo delliconosclatia, cosituivano per tutti i difensori delle icone la
giustificazione della loro dottrina.
Il fatto che, in queste icone, si erano conservati i tratti del Signore, dava ai cristiani
il diritto di rappresentare Dio e i santi nonostante la proibizione dellAntico
Testamento: ne trae origine tutta liconografia. Queste due idee formano così il
fondo misterioso di ogni icona: Dio è divenuto uomo e luomo si eleva verso
leternità.
Nel manuale dei monaci pittori del Monte Athos, redattato dal monaco Dionisio da Furnà,
il quale espone nel XVIII secolo (1730-34) una tradizione risalente al VIII secolo vi è
il capitolo del primo libro referente alla "Spiegazione delle misure del
naturale" che corrisponde ai canoni di proporzioni del corpo umano della pittura
bizantina del XII e XIII secolo. Infatti è scritto:
" Sappi, o scolaro, che al naturale tutto luomo è nove uova (aughé), cioè
nove misure, dalla fronte fino alla pianta del piede. E dapprima fai il primo uovo che
dividerai in tre, e disegna prima la fronte, poi il naso e, terza, la barba; i capelli
invece falli al di fuori delluovo un naso di nuovo misura dalla barba fino al naso
tre misure; ed alla distanza di due misure fai il mento, dopo una, la bocca, il collo
invece si fa lungo quanto un naso. Poi misura dal mento fino alla tre misure e fino al
ginocchio altre due ed al ginocchio togli la misura di un naso; ancora altre due misure
fino al tallone, da lì fino alla pianta del piede un naso e da lì fino alle unghie una
misure e dalla gola di nuovo fino allomero una misura; lo stesso anche per
laltra spalla. Alla rotondità della spalla togli un naso e misura fino al gomito
dalla parte interna una misura e poi unaltra fino alla pelle della mano; da là fino
all'estremità delle dita una misura. Quanto è un occhio, tanto è laltro in linea
retta; egualmente tanto è distante l'uno dallaltro. E quando la testa è di
profilo, ci vogliano dallocchio allorecchio la misura di due occhi; quando
invece è di fronte ci vuole un occhio; lorecchio deve essere come il naso; la vita
quattro nasi di largheza, quando è nudo, e, quando è vestito, un uovo e mezzo; la
cintura deve esere alla vita, là dove giunge il gomito."
Esso dimostra lorigene medievale del canone che con molta probalità è occidentale,
forse veneto-greca, come afferma ???????libro MAG.
Poichè la prima età bizantina si basa su di unanatomia ancora abbastanza correta,
possiamo suporre che anche la pratica degli artisti si valesse di distinzione anatomiche
poi andate perdute nellalto Medioevo, come ad esempio linserimento di un terzo
del volto per il collo, e di un altro analogo valore per laltezza del piede.
Nel manuale che liconografo Nicolas Grechny ricevette dai suoi antenati
vecchi-credenti, il canone è un po diverso da quello del Monte Athos soprattutto
per le numerose spiegazioni di ordine ascetico:
"La testa è uguale a un settimo della lunghezza totale del corpo dalla cima del
cranio al mento, si contano quattro lunghezze; dal mento alla clavicola, una lunghezza;
dalla clavicola alla fossetta del diaframma, tre lunghezze; da questo punto all'ombelico,
tre lunghezze; dallombelico al pube, ugualmente tre lunghezze. Dalla sommità del
cranio al pube, si contano quattordici 1unghezze, cioè la metà del corpo umano.
Ciò ha due significati:
a) solamente colui che ha il cuore puro entrerà nel regno dei cieli;
b) è nella carne che il cristiano impegna il combattimento più duro, ma anche il più
glorioso.
Le due braccia distese ,rappresentano, dalle punte delle dita di una mano allaltra:
ventotto lunghezze di naso corrispondenti alla lunghezza totale del corpo, ciò che
significa che si deve nutrire il corpo con il lavoro delle braccia. Inoltre, questa
larghezza delle due braccia distese è uguale a un lato del triangolo equilatero la cui
punta si situa un po al di sotto del tallone, e ciò significa che la Trinità di
Dio è stata restaurata in noi sulla croce."
A partire dal XlV secolo, in Russia. la figura umana si allunga. Per il Cristo di Teofane
la proporzione è di l:8; per quello di Novgorod è di 1:9 e i santi del maestro Dionigi
superano 1:10. I gomiti si trovano allaltezza di tre unità e non è il busto, ma la
parte inferiore e soprattutto le gambe che sono allungate.
Questa parte passa da quattro unità nel Cristo del XII secolo a sette in Dionigi.
Paragonando le figure tra loro, si constata che ogni epoca ha trovato un insieme armonioso
di proporzioni e ciò grazie al modulo utilizzato ogni volta diversamente. Per le
proporzioni del viso e dei suoi particolari, liconografo bizantino si è ugualmente
servito del modulo che corrisponde sempre alla lunghezza del naso.
Così la testa è iscritta in due cerchi, mentre laureola è spesso determinata da
un terzo.
Il centro dei cerchi è situato alla radice del naso, tra i due occhi. Questo è
probabilmente il motivo per cui questa parte del naso è modellata in maniera propria
allarte bizantina: essa è anche il centro della testa, sede della sapienza.
Tale schema aiutava lartista, senza condizionare strettamente il disegno, ma che si
rivela infine come un fondo misterioso del capolavoro, come uno dei segreti della sua
armonia.
Licona del Salvatore del Xll secolo, mostra questa struttura: il primo cerchio, che
ha per raggio la lunghezza del naso, segna lo spazio per gli occhi e la fronte. Il cerchio
di raggio pari a due moduli indica il volume della testa. Il nimbo invece non corrisponde
al terzo cerchio: è spostato vero il basso perchè circonda anche la barba e i capelli e
deve iscriversi nel formato nellicona.
Questultima, peraltro, è uno dei rari esempi di icona quadrata. Tale uso dei cerchi
concentrici ha una funzione altamente ieratica e simbolica, facendo concidere strettamente
la struttura del volto con la croce inserita nellaureola. La seconda icona, detta
"del Salvatore dalla barba umida", ne mostra una variante.
Probabilmente è a motivo dei grandi occhi che il viso è più grande del primo cerchio,
ma la testa si scrive perfettamente nel volume del secondo. Il nimbo è più piccolo anche
a causa delle dimensioni della tavola.
Sovente le pupille sono poste a metà del modulo dal centro del cerchio (radice del naso):
ne deriva un triangolo equilatero che conferisce al viso armonia e finezza.
Il volto di San Pantaleone, in unicona greca del XII secolo, sembra più grande dei
due precedenti. In realtà, il triangolo ha quasi le stesse proporzioni, ma si trova su di
un viso più piccolo e la distanza dagli occhi al centro supera leggermente la metà di un
modulo.
Fino allinizio del XVIII secolo, questo schema dei tre cerchi determina i volti in
molte icone. In seguito tale schema sembra essere dimenticato: linflusso
naturalistico dellOccidente simpone. I visi diventano pesanti e piatti,
perdono 1armonia e lo splendore delle icone antiche.
La rappresentazione dei volti visti di fronte non poneva troppi problemi allartista
del Medio Evo. Quella dei visi visti di tre quarti, per le teste inclinate, era più
difficile: il pittore, in effetti, non concepiva il soggetto come un organismo libero e
mobile nello spazio, ma come la sua proiezione su di un piano a due dimensioni sul quale
rappresentava vari aspetti del soggetto. Tali aspetti erano possibili solamente a partire
da diversi punti di vista.
Questa concezione "planimetrica" è tipica dellarte del Medio Evo a
Bisanzio come in Occidente; essa condurrà a fenomeni di prospettiva come la celebre
"prospettiva inversa".
Fra le numerose varianti di profili di tre quarti, dovute allinclinazione della
testa e alla posizione del centro dei cerchi, analizziamo due icone: quella della Madre di
Dio dei Dono di Teofane il Greco e quella dellArcangelo San Michele di Rublëv.
La testa copre esattamente lo spazio del cerchio a due moduli, come nel caso della vista
di prospetto. Se in questultimo caso il centro del cerchio, alla radice del naso, si
trovava in A, esso è ora trasportato in B, sul cerchio a un modulo.
Lasse del naso forma con lasse degli occhi un angolo retto, perché il volto
non è concepito in profondità (cioè in rilievo), ma in "planimetria".
Talvolta la distanza tra gli occhi e il centro B è diminuita, sovente è determinata come
nella vista di prospetto (1/2 modulo). Quindi la vista planimetrica è ancora accentuata.
Il mento e la fronte restano alla distanza di un modulo.
Dunque le misure verticali sono invariabili, mentre quelle orizzontali sono semplici
frazioni del modulo.
A dire il vero, numerose icone non sembrano strettamente conformi a queste teorie.
Pertanto è forse difficile sostenere che lo schema dei tre cerchi fu applicato a tutte le
icone e che fu applicato coscientemente, come afferma Panofsky.
Tuttavia numerose icone dipinte da maestri mostrano che fu utilizzato con precisione fino
al XVIII secolo restanto fedeli, per il legame della tradizione, a questa concezione
planimetrica. Il modulo dava loro quellunità e quellarmonia che facevano di
queste opere un riflesso del mondo invisibile. Linteresse di uno studio dei moduli
bizantini o dello schema dei tre cerchi è di permetteci laccesso al mondo ideale e
pressoché astratto dellestetica bizantina. Mondo ideale e astratto che non
significava mondo fuori della realtà.
Si vuol dire che le forme sono ristrutturate in modo da riflettere non lapparenza o
linvolucro materiale degli esseri, ma la loro essenza, nucleo spirituale, la loro
verità.
La teoria dello Pseudo-Dionigi contribuì anche alla venerazione dele immagini, poichè il
mondo sensibile veniva considerato un'emancipazione del divino.
SAN AGOSTINO
I principî fondamentali dellestetica cristiana vengono formulati dagli autori
latini in Occidente quasi conteporraneamente a quella ellaborata in Oriente dai Greci.
Agostino, vissuto un poco più tardi di quei padri greci che si erano interessati di
estetica, è il fondatore dellestetica cristiana occidentale. Egli praticamente è
il ponte che lega due epoche, due filosofie diverse: quella della cultura antica e quella
nuova cristiana.
Nel LIBRO DELLA SAPIENZA, Agostino prese lestetica del numero, peso e misura, e la
rielaborò al suo pensiero, affermando che, misura e numero garantiscono ordine e unità e
quindi la bellezza. Agostino esprime questa idea riferendosi ai tre concetti di
"modus, species, ordo", ossia, misura, forma e ordine, che a sua volta divenne
parte integrante del bagaglio di concetti dellestetica medievale.
Dopo la caduta dellimpero romano, lanalogia fra il corpo ed il tempio
sopravisse nelle chiese e nelle catedrali paleocristiane e medioevali, ma i tipi
costruttivi erano cambiati; gli archetipi divini, descritti della Bibbia, erano preposti
ala forma pagana e tradizionale del tempio. Allo stesso modo, la figura umana idealizzata
e anonima dellantichità doveva essere personificata.
Così Agostino nel DE CIVITATE DEI inserisce la suddivisione proporzionale della figura
umana in dieci parti in altezza e in sei parti di larghezza, forse considerando le braccia
aperte, e come modulo la larghezza di un fianco allaltro, il cui valore per era
forse di una testa.
E così è scritto: " Essa ( LArca di Noè ) è senza dubbio allegoria della
città di Dio esule nel tempo, cioè della Chiesa che ottiene la salvezza mediante il
legno nel quale fu appeso il Mediatore di Dio e degli uomini, luomo Gesù Cristo. Le
misure stesse della lunghezza altezza e larghezza dellarca simboleggiano il corpo
perché si ebbe lannunzio profetico che Gesù sarebbe venuto e venne in un vero
corpo umano. Difatti la lunghezza del corpo umano della sommità della testa ai piedi è
sei volte la larghezza da un fianco allaltro e diece volte laltezza, la cui
misura si ha nel fianco dal dorso alladdome. Quindi se misure luomo disteso,
supino o bocconi, è lungo dalla testa ai piedi sei volte più che largo da destra a
sinistra o da sinistra a destra e diece volte più che alto da terra. Per questo appunto
è stata costruita larca di trecento cubiti in lunghezza, cinquanta in larghezza e
trenta in altezza. Lapertura da un lato è la ferita con cui fu trafitto il costato
del Crocifisso. Per essa entrano quelli che vengano a Lui perché da lì sgorgono i
sacramenti con cui iniziati i credenti.
Lordine di costruirla con tavole di forma quadrata simboleggia la vita dei santi
stabile da ogni parte. Difatti da qualsiasi parte volterai un quadrato resterà
quadrato."
Più avante nel testo troviamo le descrizioni che prestegiano il corpo umano in
particolare quelle rispetto alla bellezza e simmetria del corpo:
"(...) laccordo di tutte le parti è così ritmico e attraente e si corrisponde
con tale limpida simmetria che non sai se nel formarlo è stato osservato di più il
criterio dellutilità che della bellezza. Difatti possiamo notare che nulla è stato
creato nel corpo per motivo di utilità che non abbia anche una nota di bellezza. Sarebbe
per noi più evidente se conoscessimo i ritmi delle dimensioni per cui tutte le componenti
sono tra di loro connesse e proporzionate.
"(...) nessuno ha osato ricercare i ritmi, di cui sto parlando e da cui si compone,
dentro e fuori, laccordo, che in greco, come se fosse uno strumento musicale, si
dice armonia (armonia) di tutto il corpo. Se potessero essere noti anche negli intestini ,
che non presentano alcuna attrattiva, darebbe tanto diletto la bellezza della proporzione
la quale, su giudizio dellintelligenza che impegna la vista, prevarrebbe su ogni
formosità apparente che piace alla vista."
Sembrerrebbe che con questo, Agostino voleva concludere dicendo che per una più profonda
comprensione di Dio e della perfezione delluniverso era necessario la conoscenza
delle esatte proporzioni delluomo.
VILLARD DE HONNECOURT
Nel medioevo, la geometria era unarte liberale, inspirata dallantichità, noti
principalmente agli architetti, ma anche dagli artisti. I principî matematici in vigore
dallantichità fino al tardo medioevo furono fondamentalmente quelli generali dei
quadrati e dei triangoli, sì che oltre a questi furono applicati anche principî più
specifici.
Nella rappresentazione degli oggetti, ma specialmente della forma umana, i pittori e gli
scultori usarono le figure geometriche. Numerosi esempi di ciò si possono vedere nel
famoso album dellarchitetto francese Villard de Honnecourt, che risale al XII
secolo.
Gli schemi geometrici vogliano essere di ausilio alla pittura e alla distribuzione
realistica dei principali punti di misura del corpo umano. Villard fa notare che egli usa
la geometria, per rendere più facile il suo lavoro. Le figure sono infatti tracciate in
base a una griglia geometrizzante che ne facilitava in qualque modo lesecuzione,
permettendo un coordinamento proporzionale e inorganico tra le varie parti. Ad esempio la
figura umana è spesso elaborata con una sovraposizione o accostamento di triangoli, il
volto è costruito con un cerchio, o un triangolo, o con una forma stellare, o con un
quadrato, a seconda delle esigenze. In alcuni fogli del suo album ci sono appositamente
indicate delle iscrizioni "metodo per rappresentare le figure", il che è
evidente la proposta didattica e normativa che forniva un sistema di approccio alla
costruzione semplificata del disegno attraverso un linguaggio intelligibile. Le sue
intezioni fondavano sulla convinzione che il mondo fosse costruito geometricamente, vale a
dire, dietro le apparenze esisteva una verità che veniva pienamente assolta da
configurazioni geometriche dotate di struttura geometrica ben definita e che, solo per
mezzo della geometria, larte poteva avvicinarsi alla realtà e diventare così più
vera e più bella giustamente perché si conciliava la struttura organica della figura e
della costruzione con le figure geometriche.
RISTORO D'AREZZO
Nel Medioevo anche nel tema del "Crocifisso", ancora si respirava una certa aria
di classicità. Sembra che il postulato dellhomo ad quadratus fosse implicito
nellidea dei pittori, tanto orientali quanto occidentali.
I Crocifissi cosidetti "CHRISTUS TRIUMPHANS" rappresentano bene questa idea.
Eugenio Battista (voce prop) afferma che "la maggior parte dei crocifissi, sia ad
occhi aperti che chiusi, sembra rispettare, in linea di massima, il sistema di
proporzionamento bizantino delle nove facce."
Nella tipologia del crocifisso "CHRISTUS PATIENS", il capo basso ed inclinato
praticamente limitava il collo, escludendolo addirittura, dando limpressione che la
testa fosse compattata nel tronco. Sulla fede di E. Battisti, "gli artisti ricorsero
alla soluzione di dividere la figura in nove parti così suddivise: una parte per la testa
(e non il viso), tre parti per il torso (una fino allo stomaco); due per le gambe fino al
ginocchio, una per i piedi. Le mani valgono una misura, mentre le braccia sfuggono, a
quanto sembra, ad ogni canoni."
Un caso importantissimo di ripresa delle idee vitruviane, anche perchè si colloca agli
inizi del Rinascimento toscano, è costituito dal crocifisso cimabuesco di Arezzo, il
quale sempre come afferma E. Battisti, segue il modulo delle 10 facce.
È probabilmente che tale notizia fu inserita anche nel testo di Ristoro dArezzo,
come possiamo presenziare nel passo che segue:
"E li savi disegnatori, alli quali fu dato e conceduto dalla natura a divisare e a
disegnare le cose del mondo, quando venieno a disegnare la figura delluomo,
dividevano lo spazio per 10 parti iguali; e della parte di sopra facieno lo viso, e da
indi in giù rimane nove cotanto; e per lo viso proporzionavano le mani, e li piedi, e lo
petto, e tutto lo corpo; e dal viso in giù rimanea nove parti iguali: sì che la figura
rimanea dieci parti iguali. E era veduto e conosciuto da loro la forma della figura bene
proporzionata e perfetta; e questo addivenia per la nobilità della immaginazione e
dellanima intellettiva, la quale fu fondata nelluomo. E la parte di sopra,
come lo capo, per intendere le cose del mondo e per quella nobilità fu proporzionato e
partito per lo maggior numero perfetto, come dieci; e imperciò ne risultava più bella
figura; e sel partieno per lo minore numero perfetto, come sei, diventa vano;
imperciò che l numero labbassava giù e volealo reducere alla figura
rotonda."
La sua testimonianza è particolarmente importante in quanto è probabilmente lunica
documentata in età ancora medioevale che collega la ripartizione di origine vitruviana a
problemi e finalità tipici della ricerca artistica.
Si deve a Cristoforo Landino la lode a Cimabue per essere lui il primo ad aver trovato la
simmetria delle figure, ed aver dato vida, originalità e naturalismo nella pittura ai
suoi tempi, lasciando a meno la tradizione bizantina: "Fu adunque el primo Ionni
fiorentino cognominato Cimabue che ritrovò e lineamenti naturali e la vera
proporzione, la quale e Greci chiamano simetria, e le figure ne superiori
pittori morte fece vive e di vari gesti, e gran fama lasciò di sé."
MICROCOSMO
Esiste un mito cosmogonico di origene iranica, in cui si narra la creazione del Primo
Uomo, " Vita Mortale", a somiglianza dell'universo: risplendente come il Sole,
di larghezza pari all'altezza, Vita Mortale ha per pelle il cielo, per carne la Terra, le
montagne per ossa, per vene i fiumi; il sangue del suo corpo è come le piante, il midollo
delle sue ossa come i minerali; " la sua testa è il più alto dei cieli, i suoi
occhi il Sole e la Luna, i suoi denti le stelle, le sue orecchie le finestre del cielo, e
le sue narici la brezza del paradiso cui dà acesso la bocca."
Questa grandiosa concezione del microcosmo, di cui esistono esempi analoghi nell'India
antica e nelle mitologie di altre razze, si conservò vitale e gnostico della tarda
antichità.
RINASCIMENTO
Il Rinascimento fu così definito per due diversi motivi, ed effettivamente il termine ha
due significati. In primo luogo il Rinascimento è stato ed è considerato la rinascita
dellumanità, la "renovatio hominis", in quanto luomo raggiunse in
esso un livello superiore di civiltà; in secondo luogo è stato ed è considerato la
rinascita del passato, della cultura, delle conoscenze e dellarte del passato, la
rinascita dellantichità classica, la "renovatio antiquitatis".
Gli uomini del Quattrocento e del Cinquecento, sentivano di avere rotto i ponti con un
brutto passato e di appartenere a unumanità "rinata". Questa
consapevolezza non è un evento eccezionale nella storia, spesso in certi momenti cruciali
gli uomini hanno pensato la stessa cosa; ad esempio i primi cristiani provavano il
medesimo sentimento. Gli stessi uomini del Rinascimento parlano della loro
"rinascita" però non usano molto spesso questo termine, ma solo
occasionalmente; esso non era universalmente accettato, diventerà di uso comune soltanto
nell0ttocento.
Il Rinascimento italiano guardò alla teoria dele proporzioni con incredibile interesse e
fede, però molto diversamente del Medioevo.
Lanalogia rinascimentale tra accordi udibili e proporzioni visibili era qualcosa di
più che una speculazione teoretica, e testimoni della fede profonda e solenna
nellarmonica struttura matematica di tutto il creato.
Esisteva uninterotta tradizione, fin dallantichità, secondo la quale
laritmetica (studio dei numeri), la geometria (studio dei rapporti spaziali),
lastronomia (studio dei moti dei corpi celesti) e la musica (studio dei moti colti
dallorecchio), costituivano insieme il "quadrivium" delle arti
matematiche.
A paragone di queste "arti liberali", la pittura, la scultura e
larchitettura erano considerate attività manuali. Per elevarle dal livello di arti
meccaniche a quello di arti liberali, occorreva loro un saldo fondamento teorico, vale a
dire matematico.
Questa trasformazione fu la grande conquista degli artisti del Quattrocento; e non
cè da stupirsi che essi si volgessero alla musica come allunica arte liberale
degna di rispetto, e studiassero la teoria musicale per trovarvi la chiave dei propri
problemi.
In tal modo, leducazione artistica comportò, come "conditio sine qua
non", la familiarità con la teoria musicale. Tale educazione dipendeva molto dallo
studio del TIMEO di Platone, degli ELEMENTI di Euclide e principalmente del DE
ARCHITECTURA di Vitruvio, il quale fu modello dinsegnamento per tutto il
Rinascimento.
È opinione comune che il gran libro di Vitruvio, sia stato riscoperto nel 1416 a S.
Gallo; ma, almeno ai dotti monaci, esso fu noto durante tutto il Medio Evo.
Dopo l "editio princeps" pubblicata a Roma a cura di Giovani Sulpicio da
Veroli tra il 1486 e il 1492, altre edizioni più autorevoli contribuirono alla diffusioni
del trattato vitruviano e quindi anche del suo sistema di proporzione.
Avevano certamente contribuito a questa attenzione per la teoria delle proporzioni alcuni
fattori:
la passione umanistica per un recupero filologico del testo vitruviano
linteresse pratico degli artisti per uno studio correto dellanatomia umana, in
funzioni di un maggiore naturalismo nella rappresentazione
la tendenza generale dei numerosi artisti italiani dopo il XV secolo, e a maggiore ragione
dei teorici dellarte, di elevare le arti dal rango di arti "mecaniche" a
quelle di "liberali" sostituendo così la pratica o rotina di botteghe con delle
norme e leggi stabili di una scienza. Quindi possiamo affermare che questa è la ragione
dei canoni proporzionali del corpo umano, ovvero la bellezza fondata su leggi stabile e
universale, fondata nella matematca, e nella musica e dunque a una categoria tra le arti
liberali.
Se mettiamo da parte loriginale tentativo fatto dallAlberti e di Leonardo,
possiamo affermare che il Quattrocento italiano non conobbe che due tipi di canoni di
proporzioni, ossia, quello di Vitruvio e laltro che fu attribuito a Varrone da
Guglielme Philander (1543) ma forse anche prima, sebbene per sbaglio, dallo spagnolo Diego
del Sagredo(1526).
CANONE DI VITRUVIO
Caso unico nella storia, il trattato di Vitruvio arriva ad avere effetti estesi sulla
pratica solo quindici secoli dopo che fu scritto, rimanendo a lungo, non tanto sconosciuto
o dimenticato, quanto utilizzato solo in piccole parti, con discontinuità e non per i
motivi ambiziosi che il suo autore si era proposto.
Si può classificare come discendenza diretta da Vitruvio tutti i canoni che presentano
come lunità la lunghezza totale del corpo, e che raggrupano le membra per ordine di
grandezza: quelli che misurano il terzo, poi la decima parte, poi o lottava o la
nona parte, il quarto di quella lunghezza, omettendo così i numeri primi, i quali non
rientrano nellarmonia dei numeri.
Le caratteristiche fondamentali di questo canone, ossia gli aspetti che lo definirono come
tradizione vitruviana, sono i seguenti:
le espressioni delle principali misure con delle frazioni dellaltezza totale del
corpo prese come unità.
limpiego preferenzialmente dei numeri pari fino al ventiquattro, comodo per la
moltiplicazione e la divisione, con leccessione del numero tre.
limitazione del sistema romano con loro unità: piede, palmo, cubito.
linscrizione delluomo in un cerchio avendo come centro lombelico e le
membra allargate di modo che i piedi e le mani fossero tangenti ad esso.
linscrizione delluomo con le braccia allargate in un quadrato perfetto di modo
che laltezza totale fosse uguale alla larghezza totale.
lesistenza di una pluralità di tipi umani canonici, in rapporto con i differenti
ordini canonici architettonici; il corpo umano è considerato come modelo
delledeficio perfetto.
lesistenza nella figura dellhomo bene figuratus della teoria aritmetica dei
corpi proporzionali che a sua volta sinspirò nella simbologia pitagorica dei numeri
e dellarmonia delluniverso.
Certi passi del testo di Vitruvio sulle proporzioni del corpo umano sono di difficile
comprensioni perchè non sono molto coerenti, nè abbastanza precisi e nemmeno sempre
conforme allosservazione.
Il testo è corrotto e le contraddizioni che vi sono presenti intrapprese argomenti di
molte critiche e polemiche che, già dal Rinascimento ove il testo fu letto ,analizzato e
commentato da autori diversi, ancora oggi vi sono delle revisioni ad essere fatte.
Elencherò qua sotto i passi di comprensione più difficile e le osservazioni e critiche
già fatte dagli autore rinascimentali su di essi, aggiungendo a volte qualche notizia
anchio.
La misura delle otto teste in altezza, non corrisponde con la misura delle dieci facce, se
consideriamo la misura della lunghezza del naso come modulo. Ciò vale a dire che un corpo
di dieci facce è anche costituito di trenta nasi di altezza e se fosse di otto teste
corrisponderebbe a trentadue nasi di altezza.
"dalla sommità del petto allattaccatura inferiore deli capelli, la sesta parte
(...)."
Laltezza del petto, ossia, dalla fossa giugulare fino allaltezza delle radici
dei capelli è un sesto dellaltezza totale, il che sarebbe impossibile. Leonardo
cambiò la misura vitruviana di 1/6 con quella di 1/7 dellaltezza totale per lo
spazio "dal di sopra del petto al nascimento de capegli" (V.I), e
considera invece la misura di 1/6 lo spazio "da la forciella della...somjtà del
petto o dal di sopra del petto alla somità del capo" (C.f. 358 R-a; V.I).
"il quarto (dellaltezza è costituito) dal cubito e un altro quarto dal
petto."
A questo passo Danielle Barbaro scrisse: "Il Filandro (Guglielme Philander)
avvertisce, et bene, che non può stare quello, che dice Vitruvio, che il petto sia la
quarta parte; et vuole, che quando Vitruvio dice, che il cubito sia la quarta parte, egli
intendeva non dalla giuntura del comito alla rascetta, ma dalla giuntura del comito alla
somità del dito di mezo."(Barbaro, de archit.,III, pag.110)
La proporzione del cubito è dal gomito alla estremità delle dita, è certamente esatta;
a riguardo il quarto del petto, credo che Vitruvio voleva dire con questi termini lo
spazio della larghezza tra le spalle.
"Il sesto dellaltezza del corpo è costituito del piede."
Sebbene Leonardo amette questa misura per il piede a un primo tempo (ad esempio in C.f.
358 R-a), più tarde però la cambierà con la misura di 1/7 dellaltezza totale
(V.I), riconoscendo nel piede misure minori.
Afferma G. Favaro(pag.176, nota 2) che Vitruvio e lAlberti dividendo laltezza
in 6 piedi, aludevano forse allunità di misura piuttosto che alla lunghezza reale
del piede.
"Ugualmente è naturale che il centro del corpo sia lombelico."
Questo è forse il più polemico dei postulati di Vitruvio. Lopinione che il centro
"naturale" del corpo è lombelico riflette forse una opinione
dHippocrate, che situò a quel livello il limite tra gli organi superiori e
inferiori ("definitio autem superiora partium et in inferiora corporum
umbilicus.").
Ma gli artisti non seguirono molto Vitruvio in questo postulato; già
nellantichità, Varro scriveva oppenendosi allidea che il centro
delluomo fosse nellombelico: "Umbilicum dictum aiunt ab umbilico nostro,
quod is medius locus sit terrarum, ut umbilicus in nobis; quod utrunque est falsum: neque
hic locus est terrarum medius neque noster umbilicus est hominis medium.
(...)"(Varro, De lingua latina, VII, 17)
Anche Villard dHonnecourt aveva disegnato uno schema della figura umana con il
centro nel pubis.????????
Tacitamente o no, quasi tutti i teorici trattatisti reggettavano questa idea vitruviana e
ponevano il centro del corpo nel pubis o più precisamente nella radice del peni. Tale
regola divienne accettata dalla maggioranza degli autori, tanto da quelli che seguivano il
canone vitruviano quanto da quello pseudo-varroniano.
Già lAlberti messe il centro del corpo umano del suo canone nella radice del peni.
"La altezza sino all'osso sotto il quale sta appiccata la natura......3 0 0".
Così abbiamo la critica a questo postulato vitruviano fatta da Lorenzo Ghiberti: "E
gli antichi posono il circolo e missono la statua virile supina dentro al circolo
distenendo le braccia e piedi dentro al circolo toccante solamente del palmo il dito di
mezzo e così de piedi tenendo le gambe aperte toccando ciascuna la parte del
circolo, la qual cosa mi pare difficile, però che luomo non si può tanto aprire
nelle gambe, esso possa toccare il circolo. Molto sapre luomo nelle braccia:
non si può tanto aprire ne piedi. Ancora non mi pare del centro sia il belico,
parmi debba essere dove è l membro genitale, e dove e nasce, o vero
ovè la inforcatura umana. Ancora mi pare il suo centro non possa in altro luogo
poter porsi altro che in detto luogo."
Leonardo fu lunico studioso che approffondì gli studi e verifiche in tale
postulato, e concluse dicendo: "Se tu apri tante le gambe che ttu chali da chapo, 1/4
di tua altezza, sappi chel cientro delle stremità delle aperte membra fia il
bellico e lo spatio che si truova in fra le gambe fia triangolo equilatero." (V.I)
In tale modo lintera figura umana poteva venire inscrita in un cerchio, avendo il
suo centro nellombelico. Ma Leonardo affermò anche che il centro, o la metà
delluomo coincideva con la radice del pene: "Il membro virile nasscie nel mezo
dellomo" (V.I).
Cesariano nella sua traduzione del testo di Vitruvio, secondo un disegno detto di
"Pietro paolo Sagazone nostro nobile patricio" rappresenta, in uno dei due
disegni che illustrano le proporzioni del corpo umano, un uomo con le membra stese in
forma di X che è inscritto in un cerchio dove il centro coincide con lombelico.
Nei disegni del Codex Huygens della Morgan Library di New York, ed anche quelli della
Church Library di Oxford, vi sono figure inscritti da due cerchi, ossia, tanto da quello
che ha il centro nellombilico quanto quello che ha il suo centro nel pubis, il che
dimostra unapproffondimento della teoria vitruviana, forse rippresa dagli studi di
Leonardo.
CANONE PSEUDO-VARRONIANO
I canoni pseudo-varroniani differono molto tra di loro a seconda del modo di intendere di
ogni teorico che lo scriveva. Laltezza totale di un corpo proporzionato secondo
questo tipo di canone, in media girava intorno delle nove facce, chiamate a volte
imprecisamente "testa".
Per faccia sintende lo stesso per Vitruvio, la misura dal mento alle radici dei
capelli.
Di solito otto facce si sovrappongono a delle distintive parti del corpo, ad esempio, una
faccia per il petto, due per gli stinchi; la nona è composta da diversi parti
intercalate.
Rispetto al sistema proporzionale vitruviano che aveva come obiettivo una divisione esatta
e regolare del corpo umano, tutte le varianti del sistema pseudo-varroniano sono più
interressate a distinguere in modo selettivo alcune parti della figura che sono: modulo
dellaltezza della sommità del capo che è dalla radice dei capelli all'apice,
modulo dellaltezza del collo, il modulo del ginocchio, modulo dellaltezza del
piedi, e secondo il Berra forse anche il modulo del gomito per il braccio. Nel canone
della citazione del Filandro ritenuta da Varrone e quello del manuale del Monte Athos, vi
sono citati come sottomoduli tutte le quattro parti del corpo umano, mentre sono da notare
come costante presenza il collo e il piede nei canoni degli altri tratattisti, con una
variazioni dei moduli della sommità del capo, del ginocchio, e forse quella del gomito.
Sono uguale a Vitruvio anche le divisioni in tre parti della faccia, la misura di una
faccia della mano, la doppia ripartizione delle spalle prese però la faccia come misura e
il postulato che la larghezza di unuomo con le braccia stese è uguale alla sua
altezza, essendo così possibile linscrizione del corpo umano in un quadrato
perfetto come ammetterono già Plinio "É stato osservato che in unuomo la
lunghezza dalla testa ai piedi è la stessa dellapertura delle braccia, calcolata
tra le punte delle due dita più lunghe;(...)"(Plinio, nat.. hist. ,VII, 77), ed
anche da Solinus "mensurae ratio bifariam conuenit: nam quantus manibus expansis
inter digitos longissimus modus est, tantum constat esse inter calces et uerticem. Ideoque
physici hominem minorem mundum indicauerunt." (Solinus, polyhistor, I, 87).
Nel corso del Cinquecento il canone pseudo-varriano o italo-bizantino viene riproposto da
alcuni autori che privilegiano una o laltra delle varianti quattrocentesche senza
apportare particolari modifiche: il Vasari, il Della Porta e il Borghini ad esempio
riprendono la modulazione proporzionale del Filarete, mentre lArmenini si rilaccia
alla suddivisioni del Gaurico.
Nella prima metà del Cinquecento i diversi sistemi proporzionali si presentavano già
svillupati secondo diversi tipologie, ma è nella seconda metà del cinquecento, che ci fu
un ripetuto approffondimento della teoria delle proporzioni sia a livelo teorico, nelle
sue diramazioni filosofiche, magiche, musicale, sia a livello di applicazioni pratiche e
di indicazioni artigianali, nelle sue implicazioni più manuale.
CENNINO CENNINI 1437
I primi anni del Quattrocento assistono allinizio del periodo storico noto come
Rinascimento. A conclusione della letteratura artistica medievale sta lultima
eredità letteraria del grande sviluppo della toscana nel trecento, il trattato di Cennino
Cennini risale circa il 1370-90, il quale è ancora medievale nelle sue finalità, nel
genere e nello stile.
Esso contiene infatti sopratutto precetti tecnici di bottega tramandati di generazione a
generazione. Troviamo anche una descrizione di un canone sulla proporzione del corpo
umano, molto analoga a quella del manuale per i pittori del Monte Athos, fatto che
indicherebbe ancora la forte presenza della tradizione bizantina sulle botteghe artistiche
di questo periodo.
"Nota che, innanzi più oltre vada, ti voglio dare a littera le misure
delluomo. Quelle della femmina lascio stare, perché non ha nessuna perfetta misura.
Prima, come ho detto di sopra, il viso è diviso in tre parti: cioè la testa, una; il
naso, laltra; e dal naso al mento, laltra. Dalla proda del naso per tutta la
lunghezza dellocchio, una di queste misure: dalla fine dellocchio per fine
allorecchie, una di queste misure: dalluno orecchio allaltro, un viso
per lunghezza: dal mento sotto il gozzo al trovare della gola, una delle tre misure: la
gola, lunga una misura: dalla forcella della gola alla sommità dellomero, un viso;
e così dallaltro omero: dallomero al gomito, un viso: dal gomito al nodo
della mano, un viso de una delle tre misure: la mano tutta per lunghezza, un viso: dalla
forcella della gola a quella del magone, o vero stomaco, un viso: dallo stomaco al
bellico, un viso: dal bellico al nodo della coscia, un viso: dalla coscia al ginocchio,
due visi: dal ginocchio al tallone della gamba, due visi: dal tallone alla pianta, una
delle tre misure: il piè, lungo un viso.
Tantè lungo l'uomo, quanto per il traverso, over le braccia, distenda; le braccia
con le mani, per fino a meza la coscia. È tutto luomo lungo otto visi e due delle
tre misure."
CANONE MICHELE SAVONAROLA 1442
Michele Savonarola compose verso il 1442 un libro intitulato Speculum Physiognomiae. Egli
fu medico e professore di medicina, perciò conosceva bene che Galeno fece delle
distinzioni tra le misure che interessavano allartista di quelle dunque che
soccupavano i medici (De Usu Partium, XVIII,1). Troviamo pertanto un capitolo
dedicato alle proporzioni del corpo umano intitulato De Simetria Hominis, basato in gran
parte, secondo la propria confessione dellautore, sulle informazioni ottenute dagli
artisti. Egli trovò che quelli dati dovevano essere completati e aggiunge delle
indicazioni sue credute, oppure attinse delle diversi fonti letterarie, o delle
interpretazioni fisiognomiche, filosofiche o mediche. Propose così le misure a sua volta
di differenti parti del corpo, per cui la sua conoscenza è senza interesse per la
pittura.
La principale novità è inttanto il suo pensiero dal tutto voltato a servirsi di principi
scientifici daltronde molto eterogeneo: la saggezza della natura cioè,
ladattamento degli organi alla loro funzioni, ci recita un gran ruolo citanto così
la degnità del numero tre.
La "mediocritas", ossia lequilibrio dei numeri e allo stesso tempo norme
alla fede ideale e statistica, è considerata tuttavia anche la preocupazioni della natura
in dare ai corpi e ai suoi organi, fra tutte le forme compatibili con le funzioni vitali,
quelle che si avvicinavano di più alla sfera o al semplice cerchio. Il canone ideali è
dunque, in principio, deduttibile piuttosto che osservabile, e Savonarola non esitò a
improverare i pittori che imitavano le imperfezioni della natura al posto di lavorare
secondo le misure giuste e ideali, posizioni di fondo abbastanza meravigliante che
anticipa a lungo lera del gusto ideale classico. Tuttavia lo stesso pensiero
"scientifico" che lui cercò di spiegare, con delle norme artigianali promosse
al rango delle verità ideali, lo condusse a constatare obbiettivamente le variazioni dei
canoni secondo le condizioni fisiologiche o geografiche.
"Longitudo autem hominis tocius mediocris ut experiencia et natura ipsa edocuit novem
est testarum per testam spacium intelligendo quod est a comissura coronali usque ad mentum
de termino ad terminum....."
"...brachij vero elongacio ab osse spatule ad flexuram cubiti testa una et media
signatur. A cubito ad medium manus tantundem spacium esse debet. Ex quibus accipitur
brachium manu cum tota trium cum semis esse testarum; Longitudo autem manus testam unam
occupat estque tocius corporis mensura ut hominem tante quantitatis esse inveniatur quanta
novies manus eius habetur; Longitudo vero totius digiti medij a primo nodo exterius
incipiendo media testa est...."
Nel trattato scritto da Michele Savonarola intitolato Speculum phisiognomiae, anche se non
dedicato tanto agli artisti ma sì ai problemi medici, c'è inserito un canone sulle
proporzioni del corpo umano Riprendendo probabilmente da fonti artistiche contemporanee,
egli ritiene che la figura umana debba essere divisa in nove faccie, l'ultima delle quali
formata dalle parti minori del collo, del ginocchio e del piede. La medesima misura
dell'altezza della figura, secondo le indicazioni vitruviane, va a cotituire, assieme al
busto, la lunghezza delle braccia, ciascuna delle quali è definita con tre moduli e
mezzo.
MARIO TACCOLA 1427-53
Un legame con la cultura medievale si percepisce ancora nella figura disegnata nel
trattato De ingeneis, elaborato dallartista Mariano di Jacopo da Siena detto il
Taccola.
Nel disegno è rappresentato unuomo visto frontalmente con le braccia distese lungo
il corpo,che è inserito in un cerchio, in un quadrato e uno strano triangolo, secondo una
struttura che, specchia la teoria vitruviana, ma che ha come obbiettivo principale il
riallacciamento alla cosmologia medievale delluomo come microcosmo.
Ci sono delle linee semicercolare e rette che definiscono una suddivisioni della figura in
otto parti, cioè se non contiamo la divisioni che va del mento alla fossa giugullare.
Alla base del disegno è scritto: "Ille qui nichil ingnorat me creavit. Et omnem
mensu(o)ram mecum habeo tam super celestium quam terrestium ac infernorum. Et qui se ipsum
inteligit multa inteligit. Et librum angelicum et naturalem in mente eius habet
asconditum:- Et infra etc."
CANONE LORENZO GHIBERTI 1447
Nel 1447-55, quasi negli stessi anni in cui lAlberti scrive il Dere aedificatoria,
Lorenzo Ghiberti lavora ai Commentari, nei quali inserisce brani di una propria traduzione
di estratti da Vitruvio.
La conclusione del suo libro "I COMMENTARI", è incompleta, ed è costituita dal
tentativo di una teoria delle proporzioni, tema questo che trovò non soltanto presso il
contemporaneo Alberti ma sopratutto presso quelli che vennero dopo. Qui pure il Ghiberti
dimostra di avere in pensiero originale e indipendente non soltanto egli critica la teoria
di Vitruvio, che è il punto di partenza di tutte queste ricerche, ma mette accanto a
quello vitruviano un altro canone che nel Rinascimento va sotto il nome di Varrone, ed è
evidentemente patrimonio dei vecchi laboratori, poiché compare anche in Gaurico e in
Durer e si può ricolegare persino al Cennini.
"Cominceremo allosso del capo, cominciando a dare a ciascuna la parte che ad
essa tocca per altezza o per larghezza, come i periti o perfetti ed antichi statuarii e
nobili pittori. Cominceremo: la testa porremo divisa in tre parti, cominciando lime
e radici de capelli per insino al cominciare delle ciglia è una, e per la prima
parte. La seconda parte è il naso e la terza è il mento, e questa è la fine della testa
ed è partita in nove parti e mezzo, secondo gli antichi statuarii. Molti sono che pongono
dieci e molte se ne trovano di nove e mezzo e questa è certamente la perfetta misura;
sono teste 9 1/2, divise in questa forma: in prima ella comincia da lima fronte
de capelli e porremo la testa, abbiamo una; porremo dalla forcella dela gola per
insino alla forcela del petto sono 2; e dalla forcella del petto per insino al bellico
sono 3; per insino alla natura sono 4. Dal pettignone insino a tutta la coscia sono teste
2 1/2; ciascuna coscia è lunga teste 2 1/6. Dalla congiuntura del ginocchio e tutta la
gamba per insino alla chiavatura del tallone, cioè la chiavatura dove comincia il piede,
sono teste 2. Tutta la gamba dalla chiavatura per insino in terra....è finita
laltezza della statua virile; e da terra per insino alla chiavatura del piede è una
mezza testa e una mezza dal mento alla forcella del petto. Abbiamo per altezza poste tutte
le misure della statua virile; veremo la larghezza di ciascuna sua parte; cominceremo alle
misure della testa e così esplicheremo per laltitudine ogni sua parte, partiremo in
quadri nove detta testa e daremo a ciascuno quella parte (che) tocca. In ciascheduna la
prima parte tocca alla fronte, la seconda tocca al naso, la terza si piglia per il mento.
I quadri che sono da ciascuna parte seguono gli occhi e così a ciascuna parte, se alloghi
quella parte, gli tocca in detti nove quadri allogati per detta testa dove toccano gli
orecchi di rimpetto agli occhi fuori de nove quadri. Ed ancora le cose sopra
allima fronte fuori dedetti nove quadri. Ciascheduna parte si ponga nel suo
lato, e così abiamo parito la testa in quadri nove, come è detto. Per laltitudine
e per lunghezza partiremo dalla forcella della gola per insino al mento, per quadri
medesimi della medesima grandezza sono quelli della testa, piglieremo tutta la gola in
detti quadri aremo partita in latitudine ed in altezza tutta la parte della gola :ora
piglieremo dalla forcella della gola per insino alla chiavatura della spalla. Ora
piglieremo la larghezza della spalla e così piglierò la largheza da luna spalla
allaltra; aremo la larghezza damendue, sarà teste due detta statua larga
nelle spalle. Ora piglieremo teste due ed una testa e uno 1/8, arà di latitudine cioè di
grossezza una testa e mezzo e così lunga. Tutta la mano è grossa una mezza testa, sono
tutte della statua. Si che da esse essere principio sono sopra alla terra. La larghezza
ne fianchi sarà nella cintura arà di larghezza grossezza una testa 1/8. La coscia
arà di latitudine il dosso del piede. Tutto il piede e così è lunga la gamba nella
polpa."
FILARETE 1453
Nel trattato scritto in volgare ed in forma narrativa, che lo scultore e architteto
Antonio Averlino detto il Filarete termina a Milano nel 1464, lispirazione
vitruviana si incontra con quella platonica proveniente dal Timeo e da un gruppo di
dialoghi che lautore può conoscere tramite un letterato greco della corte degli
Sforza.(pagliara p.19). Allinizio del trattato Filarete racconta che Dio creò
Luomo proporzionato in tutte le sue parti, ed aggiunge che il primo architetto usò
il corpo delluomo come suo modello di costruzione, ispirandosi da questo
allesposizione di Timeo del mito della creazione e collegando alla versione
cristiana per rafforzare lesposizione vitruviana sulle proporzioni. Però egli
prossegue nella direzione e scelta del canone pseudo-varroniano, sostenendo nel suo
Trattato di archittetura, che "la figura de l'omo che è bene proporzionato",
cioè luomo ideali che corrisponde ad Adamo creato direttamente da Dio deve aver
queste proporzioni:
"Misurorono tutto luomo e poi composono e partirono e accrebbono le misure, e
da essa tutte si dirivano; e così di queste misure tratteremo, secondo mi pare che le
trovassero e dirivassero loro origine. Il nostro principio, adunque, sarà della testa, e
così la partiremo in prima in quelle parti note e più principali; come è da credere che
loro prima in tre parti principali la partissero, così da noi ancora con quello ordine
seguiteremo. E di queste tre parti la prima credo fu il naso, come membro più noto a
dovere dipartire per misurare questa testa, e così trovarono che era lunga questa testa
tre di questi nasi, cioè: uno naso dal mento a esso naso, e detto naso per una parte, e
dalla fine del naso per infino al nascere de capegli è un altro naso. E così tutta
la forma dellocchio quanto è l naso, e dallocchio a lorecchie
ancora tanto lorecchie il quale sia ragionevole e quanto il naso è diritto dalla
faccia, cioè dalluno orecchie allaltro, di misura sono tre nasi, o vuoi dire
quanto è lunga la faccia.
E l tondo di sopra dalla testa è comunemente della misura duna testa e mezzo
pigliando la sua lunghezza, dico delle teste proporzionate. Ben sai che essendo
trasformate che queste misure non corrisponderanno. E acciò che intenda bene come da uomo
queste misure sono dirivate, io ti misurerò questa figura de luomo a membro a
membro, acciò che a membro a membro possa nel tuo edificio intendere bene ogni sua
misura. Sì che, come tho detto, la testa è una delle parti ed è membro della
persona; e l suo sostentaculo, cioè il collo, è la metà della lunghezza della sua
testa, el ragionevole; e da dove nasce il collo per infino giù allo stomaco, cioè il
petto, si è una testa; e da luna spalla a laltra per traverso sono due teste,
e dalla inforcatura infin su al petto sono due altre teste, sì che dal collo alla
nforcatura delle gambe sono tre teste. Dal principio della coscia per infino al
gino(cchio) sono due teste, e dalla punta del ginocchio infino al collo del piè sono due
teste, e dal collo del piè infino di sotto dalla pianta si è mezza testa, sì che, colla
mezza del collo e colla mezza del piè, viene a essere in tutto nove teste la figura de
luomo che è bene proporzionato.
E misurandolo per lo largo è quanto è lungo, o vuoi dire alto; e se misuri dove nasce il
braccio è due teste e mezzo per infino alla giuntura della mano, sì che, essendo due
teste e mezzo il braccio, e la mano distesa è quanto la testa, e l piè è ancora
della medesima misura, misurando di sopra e di sotto è una, sì che aprendo le braccia e
distendendo le mani, sarà nove teste come pellaltro verso."
Filarete ripropone per il braccio la stessa ripartizioni del Cennini con la piccola
variante di utillizzare per il sottomodulo del gomito 1/2 faccia invece di 1/3 di
faccia.?????
ALBERTI 1430-60
LAlberti sapeva bene di fare un lavoro pioneiristico scrivendo i suoi trattati
sullarte. Egli ammette infatti espressamente di porsi nuovi fini e di partire da
nuovi principî. Le sue opere sono lespressione di quei mutamenti che stavano per
avvenire nellarte e nello stesso tempo dànno lavvio ad essi. Uno dei suoi
concetti fondamentali è quello del bello. Egli si serve dellantico termine latino
"concinnitas", preso da Cicerone, che era poco conosciuto al di fuora
dellambito della retorica. Nel suo libro De re aedificatoria, egli definì la
bellezza in un passo che introduce il concetto della concinnitas così: "Definiremo
la bellezza come l'armonia tra tutte le membra, nell'unità di cui fan parte, fondata
sopra una legge precisa, per modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare se non
in peggio". (LEON BATTISTA ALBERTI VI De re aedif. 93v p.446)
Però sono nelle successive pagine egli ce lo presenta: "È compito e disposizione
della concinnitas lordinare secondo leggi precise le parti che altrimenti per
propria natura sarebbero ben distinte tra loro, di modo che il loro aspetto presenti una
reciproca concordinanza. Ecco perché, qualunque cosa noi percepiamo per via visiva o
auditiva o di altro genere, subbito avvertiamo ciò che risplende alla concinnitas. Per
isntinto naturale, infatti, noi aspiriamo al meglio, e al meglio ci accostiamo con
piacere...".
(La concinnitas) "abbraccia lintera vita delluomo e le sue leggi; preside
alla natura tutta quanta. Giacché, tutto ciò che si manifesta in natura è regolato
dalle norme delle concinnitas; e la natura non ha tendenza più forte che quella di far
sì che tutti i suoi prodotti riescano assolutamente perfetti. Ma un fine siffatto non
sarebbe mai raggiunto senza la simmetria, giacché in tal caso andrebbe perduto quel
superiore accordo tra le parti che è a ciò necessario. Una volta che queste nozioni
siano sufficientemente acquisite, potremo stabilire quanto segue. La bellezza è accordo e
armonia delle parti in relazione a un tutto al quale esse sono legate secondo un
determinato numero, delimitazione e collocazione, così come esige la concinnitas, cioè
la legge fondamentale e più esatta della natura."( L. B. Alberti, De re
aedificatoria, ?????)
Il bello è presente sia nella natura che nelle opere darti, ma dovunque esso si
manifesti, dipende dalla proporzione e dallarmonia e dallappropriata
disposizione delle parti.
Il suo trattato De Statua secondo Simonelli fu composto tra il 1432 e 1446 circa e redatto
originalmente in latino,come afferma anche ???????.
Nel libro Della Pittura vi è scritto: "a bene misurare uno animante si pigli uno
quale che suo membro col quale li altri si misurino". È la regola medesima che
troviamo impartita nel De Statua, con la differenza che lì a base della proporzine è
secondo insegna Vitruvio, la misura del piede.
TROVARE IL PASSO CHE LUI DÅ DELLUOMO TRE BRACCIA
Nel passo seguenti scrive lAlberti: "Vitruvio architecto misurava la larghezza
del homo coi piedi, amme pare cosa più degnia laltre membra si riferiscono al capo,
benché ò posto mente quasi comune in tutti li huomini che il piede tanto è lungo quanto
dal mento al coculuzzo del capo."
Ma veramente nel Della Statua la misura "a mento ad summam verticem capitis" non
è esattamente un piede, sebbene otto decimi di un piede. Sembrerebbe dunque, che il passo
del della Pittura rettificasse la misura precisa, data nel Della Statua per la
"maggior convenienza" della testa a questufficio di misura, adottando un
criterio di aprossimazione di misura, come lAlberti soggiunge, "quasi comune in
tutti li huomini". Tale conclusione è del Parrochi, il quale cerca di giustificare
lipotese che il Della Statua fosse antecedente al Della Pittura.
Ritornando al contesto del De Statua, secondo lAlberti la somiglianza si ottiene
nella statua "mediante due risoluzioni". A queste due risoluzioni
corrispondevano i due sistemi o regole per rilevarle, e cioè la misura (dimentio) e il
porre de termini (finitio). Scopo della "finitio" nella scultura era di
misurare i rapporti mutevoli tra le varie parti del corpo a seconda dei movimenti che
compie, mentre scopo della "dimentio" era quello di stabilire i rapporti
costanti.
"Le quali regole, come io dissi, son due, la misura ( dimensio) cioè, ed il porre
de termini (finitio). Trattaremo adunque primieramente della misura, la quale
certamente non è altro che una stabile e fermo e certo avvertimento e notamento, per il
quale si conosce e mette in numeri e misure, labitudine, proporzione e
corrispondenza, che hanno infra loro tutte le parti del corpo luna con laltra,
così per altezza come per grossezza, e quella che esse hanno ancora con tutta la
lunghezza di esso corpo." (LEON BATTISTA ALBERTI De Statua II )
"Il porre de termini è quel determinamento o stabelimento che si fa del tirare
tutte le linee, e dello svolgere, del fermare gli angoli, gli sfondi, i rilievi,
collocandogli tutti con vera e certa regola a luoghi loro. (...) Infra la misura e
il porre de termini, ci è questa differenza, che la misura va dietro, e ci dà e
piglia certe cose più comuni ed universali, le quali sono più fermamente e con più
stabilità insite nella natura ne corpi, come sono le lunghezze, e grossezze, e le
larghezze delle membra: e il porre de termini ci dà le momentanee varietà delle
membra causate dalle nuove attitudini, e movimenti delle parti, e ce ti insegna porre e
collocare." (LEON BATTISTA ALBERTI De Statua IV)
Con queste regole si poteva in primo luogo individuare qualsiasi punto della superficie
della statua anche coprendola. In secondo luogo si poteva fare di qualsiasi dimensione,
anche grande come una montagna, la terza caratteristica era che si poteva fare una metà
in un luogo e laltra metà in unaltro luogo. " Con questa regola si
potrà a grandissima distanza di tempo rifare una statua esattamente".
Una certa confusione sorge dalla terminologia di Alberti nelle misurazioni del De Statua
perchè egli sostituì il termine "gradus" della Tabulae Dimensionorum Hominis
per quello "unceola" nel suo "exempeda". Ed egli sempre usa
"gradus" per referire le divisioni del suo "finitorium" nel disco. Nel
primo contesto il "gradus" è lequivalente all "unceola",
nel secondo no. La "finitio" ricchiede unelaborato strumento chiamato
"finitorium" che lAlberti propone allo scultore per il misuramento ed il
proporzionalmento della statua, e che si assomiglia con lastrolabio che egli usò
per mappare la città di Roma.
Dal punto di vista strumentale, gli elementi del rudimentale apparecchio sono gli stessi:
un cerchio, unasticella ruotante imperniata al centro del cerchio e un filo a piombo
per garantire lorizzontalità del cerchio medesimo. I termini fondamentali
coincidono nei due testi: "horizon" e "radius". "ambitum circuli
istius extremanque circuitionem partes divido coequales similes partibus quas in
astrolabio iscribunt astronomi" (De Statua editato dal Janitschek in latino), e
" huius horizontis ambitum in partes divido coequales et numero sint octo et
quadraginta quas partes gradus appellabimus" (in L. Vagnetti, la "Descriptio
urbis Romae", in Università degli Studi di Genova-Istituto di elementi
di architettura e rilievo dei monumenti quaderno 1, ottobre 1968, pg.60) ed
anche il ragionamento procede paralello nei due testi. Le parti che si chiamano
"gradi", suddividono il cerchio in parti eguali, e a loro volta si suddividono
in parti minori, che si chiamano "minuti"; nella Descriptio, i minuti sono 4
(invece di 6) per ogni "grado" e 48 i "gradi" in tutto. Ma è facile
vedere la coincidenza grafica tra un orizzonte di 32 "gradi" di 6
"minuti" ciascuno, come nel De Statua. Dove semmai una più minuta ripartizioni
dei "gradi" deriva dalla necessità di una maggiore raffinatezza dello strumento
in relazioni alle grandi distanze, problema che nella verifica delle proporzioni della
statua e del corpo umano non si pone.
Difatto il suo strumento è una specie di "regolo" (regula) diviso in sei parti
che egli chiama "modine del piede" (exempeda) che deve essere della stessa
lunghezza della figura da misurare: "la lunghezza di tal regolo, noi la divideremo in
sei parti uguali, e dette parti chiameremo piedi (pedes), e dal nome de' piedi chiameremo
questo regolo il modine del piede (exempeda). Rivideremo poi di nuovo ciascuno di questi
piedi in dieci parti uguali, le quali parti piccole noi le chiameremo once (unceolae).
Sarà adunque tutta la lunghezza di questo modine sessanta di queste once. Di nuovo
rivideremo ciascuna di queste once in altre dieci parti uguali, le quali parti minori, io
chiamo minuti (minuta). Da queste divisioni ci averrà che tutto il modine sarà di sei
piedi, e questi piedi saranno seicento minuti, e ciascuno piede solo sarà cento
minuti." (LEON BATTISTA ALBERTI De Statua III )
"E perchè la cosa sia mediante gli esempi più manifesta, (...) ho preso questa
fatica, di descrivere cioè le misure principali che sono nell'uomo. E non le particolari
solo di questo o di quell'altro uomo; ma per quanto mi è stato possibile, voglio porre
quella esatta bellezza, concessa in dono dalla natura, e quasi, con certe determinate
porzione donata a molti corpi, e voglio metterla ancora in scritto, imitando colui che
avendo a fare apresso a Crotoniati la statua della Dea, andò scegliendo da diverse
Vergini, e più di tutte l'altre belle, le più eccelenti, e più rare, e più onorate
parti di bellezze che egli in quelle giovine vedesse, e le messe poi nella sua statua. In
questo medesimo modo io scelti molti corpi, tenuti da coloro che più sanno, belissimi, e
da tutti ho cavate le loro misure e proporzioni;delle quali avendo poi insieme fatto
comparazione, e lasciati da parte gli eccessi degli estremi, se alcuni ve ne fossero che
superassino, o fossero superati dagli altri, ho prese da diversi corpi e modelli, quelle
mediocrità, che mi son parse le più lodate. Misurate adunque le lunghezze, e le
larghezze, e le grossezze principali e più notabili, le ho trovate che sono così fatte.
Conciossiachè le lunghezze delle membra sono queste:" (LEON BATISTA ALBERTI De
Statua V)
(unceolae)
ALTEZZE DEL PAVIMENTO PIEDI GRADI MINUTi
La maggiore altezza sino al colo del piedi è........ _____ 3 ____
La altezza di fuori del tallone...................... _____ 2 2
La altezza di dentro del tallone....................... _____ 3 1
La altezza sino al ritiramento sotto la polpa..... _____ 8 5
La altezza sino al ritiramento
sotto il rilievo dellosso, che è sotto
il ginocchio dal lato di dentro..... 1 4 3
La altezza sino al musculo chè
nel ginocchio dal lato di fuora................. 1 7 0
La altezza sino a granelli ed alle natiche...... . 2 6 9
La altezza sino allosso sotto il quale
sta appiccata la natura............................. 3 0 0
La altezza sino alla appicatura della coscia...... 3 1 1
La altezza sino al bellico........................ 3 6 0
La altezza sino alla cintura...................... .. 3 7 9
La altezza sino alle poppe, e
forcella dello stomaco...... 4 3 5
La alteza sino alla fontanella della gola............. 5 0 0
La altezza sino al nodo del collo...................... 5 1 0
La altezza sino al mento................... ..... 5 2 0
La altezza sino allorecchio................................ 5 5 0
La altezza sino al principio
de capelli in fronte.......................... .......... 5 9 0
La altezza sino al dito di
mezzo della mano spenzoloni................... ..... 2 3 0
La altezza sino alla congiuntura di
detta mano pendente....................... 3 0 0
La altezza sino alla congiuntura
del gomito pendente.......................... . 3 8 5
La altezza sino allangolo
più alto della spalla......................... ............... 5 1 8
LE LARGHEZZE CHE SI MISURANO DALLA DESTRA ALLA SINISTRA
La maggior larghezza del piede........................ 0 4 2
La maggior larghezza del calcagno................... 0 2 3
La maggior larghezza infra sporti de talloni...... 0 2 4
Il ritiramento, o ristrignimento sopra i talloni....... 0 1 5
Il ritiramento del mezzo della
gamba sotto il musculo...... 0 2 5
La maggior grossezza al musculo della gamba..... 0 3 5
Il ritiramento sotto la grossezza
dellosso al ginocchio........ ..... 0 3 5
La maggior larghezza
dellosso del ginocchio........................ ... 0 4 0
Il ritiramento della coscia
sopra il ginocchio.............................. 0 3 5
La maggior larghezza al
mezzo della coscia...................... ......... 0 5 5
La maggior larghezza fra i mucoli
dellappiccatura della coscia............. ....... 1 1 1
La maggior larghezza fra amendui i fianchi
sopra lappiccatura della coscia............... .... ____ _____ _____
La maggior larghezza nel petto
fra lappiccatura delle braccia.......................... 1 1 5
La maggior larghezza fra le spalle................ .. 1 5 0
La largheza del collo........................................ _____ _____ _____
La larghezza fra le guance.................................. 0 4 8
La larghezza della palma della mano................ _____ _____ _____
LE LARGHEZE DEL BRACCIO, E LE GROSSEZZE SONO MEDIANTE I LORO MOTI DIVERSI, PUR COMUNEMENTE
SON QUESTE:
La larghezza del braccio
nellappiccatura della mano.............................. 0 2 3
La largheza del bracio
dal musculo, e gomito........................................ 0 3 2
La larghezza del braccio
di sopra sotto la spalla......................................... 0 4 0
LE GROSSEZE CHE SONO DALLE PARTI DINANZI A QUELLE DI DIETRO
La lunghezza che è dal
dito grosso al calcagno......................................... 1 0 0
La grosseza che è, dal collo del piede
allangolo del cal cagno........................................... 0 4 3
Il ritiramento sotto il collo del piede.......................... 0 3 0
Il ritiramento sotto il musculo
a mezzo della gamba............................................... 0 3 6
Dove il musculo della gamba
esce più in fuori......................................................... 0 4 0
Dove esce più in fuori
la padella del ginocchio............................................. 0 4 0
La maggior grosseza nella coscia................................ 0 6 0
Dalla natura allo sporto delle mele.............................. 0 7 5
Dal bellico alle reni....................................................... 0 7 0
Dove noi cinghiamo...................................................... 0 6 6
Dalle poppe agli sporti delle reni..................................... 0 7 5
Dal gorgozzule al nodo del collo............................... 0 4 0
Dalla fronte al di dietro del capo................................... 0 6 4
Dalla fronte al buco dellorecchio....................... _____ _____ _____
La grossezza del braccio
allappiccatura della mano..........................................._____ ______
_____
La grosezza del braccio
al musculo sotto il gomito........................... _____ _____ _____
La grossezza dal musculo
sotto lappiccatura del braccio ................................. _____ _____ _____
La maggior grossezza della mano.......................... ______ _____ _____
La grossezza delle spalle ........................................... 0 3 4 "
È probabile che lAlberti aveva in mente il suo "exempeda" per essere
usato in congiunzione con il braccio, se si considera la sua osservazione nel Della
Pittura che le membra di unuomo medio sono simmetricamente relatate in 3 braccia
daltezza in congiunzione con il precetto del De Statua che la figura umana è divisa
in 6 piedi. Sotto queste circunstanze ogni braccio è equivalente a due piedi albertiani
ed ogni "unceolae" è lequivalente ad uno soldo fiorentino.
La compatibilità matematica dei due sistemi è basata nella divisione del braccio in 20
soldi e consequentemente nella suddivisione del soldo in 12 denari (20:12=10:6=5:3)
Lexempeda è diviso in 6 piedi, e ogni piedi è suddiviso in 10 unceolae (6:10=3:5).
La semplicità del rapporto tra il sistema del braccio e lexempeda è chiaramente
dimostrato dal quattrino, il quale era la minore divisione generalmente usata del sistema
fiorentino.
Il rapporto tra un quattrino ed un braccio è di 60:1, quello tra lunceolae ed
lexempeda è pure 60:1; il rapporto tra un quattrino e 1/3 del braccio è 20:1, lo
stesso per un unceolae e 1/3 dellexempeda o due piedi albertiani; quello tra un
quattrino e 1/6 del braccio è 10:1, lo stesso è per ununceolae per un piede
albertiano.
Vi è una piccola tabella appesa in tre copie manoscritte del De Statua chiamata De
Componenda Statua o meglio, secondo lintitulatio negli altri manoscritti, Breve
Compendium De Componenda Statua, molto interessante per il nostro argomento sebbene sembra
essere un po corrotta dal suo compilatore. La tabella è basata nei manoscritti
Magliabechiano II. IV. 39, Riccardianus 927 e Ambrosianus 0.80 sup., e è stata pubblicata
dalla Simonelli.
" Aliae altitudines hominis a vestigio dimensae in partibus quinquaginta quattuor ut
puta quae gradus liceat appellari:
A mento ad summam radicem capillorum in fronte gr. 6
A vestigio ad summam radicem capillorum in fronte gr.54
Ad furculam iuguli gr.45
Latitudo in furcula iuguli gr.12
Ad mammillas et furculam stomachi gr.39
Ad umbilicum gr.33
Ad os sub quo pendet pubis gr.37
Ad medium coxae gr.21
Ad articulum qui est in genu gr.15
Ad medium tibiae gr.9
Ad collum pedis altitudo a vestigio gr.3
A vestigio capitis ad summus
verticem qui gradus additur propter eius gr.55
BONACCORSO GHIBERTI 1472
F. G. MARTINI 1486
"'E da sapere ch' el corpo è partito in parti nove overo in nove teste dal termine e
dependenzia della fronte e capelli a la stremità del mento. E per lo traverso delle
braccia è altre nove parti, delle quali quattro e mezzo se ne piglia, cioè dall'uno e
l'altro gobito."
pg.403-404 vol. II "In prima è da sapere che in due modi si può dividere, cioè in
parti nove et in parti sette. Quello di parti nove è: tutta laltezza della faccia,
dalla estremità del mento al nascimento de capelli è una parte; dalla forcina
della gola allo estremo petto unaltra, e da questa al nascimento de testicoli
è parti due, e da queste allostragolo del ginocchio due altre; le gambe insino in
sul collo del piè laltre due, che fanno il numero di otto; laltezza del piè
e diametro della gola fanno laltezza della nona, e queste è il partimento di tutto
il corpo. Di poi si parti la testa in tre equali parti."
"Altra misura e divisione del corpo pigliandosi laltezza di tutta la testa in
sette equali parti debba esser diviso."
Per trattare delle divisioni del corpo umano suggerite da Giorgio Martini, è interessante
anche analizzare i suoi disegni o appunti per fare una completa indagine del problema.
Il disegno del f.42v non corrisponde esattamente al testo della pagina 403-404, perchè la
misura dellaltezza dei piedi nel disegno (forse di 1/3 di faccia) è minore del
modulo di 1/2 faccia segnalata nel testo ed anche perchè essa resta fuori del conto delle
facce per laltezza totale. Inoltre per conformarsi al disegno il testo avrebbe
dovuto dire che la nona faccia indicata per ultima è costituita dalla somma tra misura
della gola e altezza della volta cranica, anziché altezza dei piedi.
Il disegno del f.21v referesi allo stesso tipo di canone, e si vede la misura
dellaltezza dei piedi che corrisponde a mezza faccia.
Però vi è anche la possibilità di leggere il disegno pensando analogamente al canone di
10 facce dellAgrippa. Ad esempio, se interpretiamo il disegno partendo dalla
sommità del capo vedremo che la prima faccia cade nella base del naso, la secondo da lì
alla fossa giugulare, e così via. Lunica differenza è che la misura dal ginocchio
fino alle caviglie nel testo dellAgrippa corrisponde a 3 facce, inquanto nel disegno
sarebbeno di 2 facce più la misura dellaltezza del piede (forse di 1/3 di faccia).
"Dipoi, siccome detto, che l'arte e misura del corpo umano tratta fusse, siccome dal
mento a la sommità della fronte, dove le radici de' capelli sono, sie l'ottava parte di
tutto el corpo, similmente la palma della mano a la giontura per enfin la stremità del
longo dito sie 'l medesimo dal mento insino a la sommità del capo la settima parte, dalla
sommità del petto per insino dove nascano i capelli la sesta parte. E da essa sommità
del petto al cimo del craneo la quarta parte. E da essa faccia ad infima parte del mento,
a le nara del naso è terza parte, dalle nare insino al fine del naso e 'l nascimento de'
cigli el simile. E da quel fine alla radice de' capelli è l'altra terza parte. El piè è
la sesta parte del corpo. El braccio e gobito la quarta parte. El piè quel
medesimo."
Il disegno del f.16v rappresenta un corpo nudo di uno giovane che camina suddiviso in otto
facce secondo la tradizione pseudo-varroniana, avendo come moduli per completare la nona
faccia, laltezza dei capelli, laltezza del collo. Laltezza dei piedi
prendo in considerazione con una certa cautella perchè risulta una misura di più della
metà faccia, ma in questo caso seguirò lo schema di questo disegno daccordo con
quello fatto da Berra vistocchè sembra che per Giorgio Martini laltezza dei piedi
è di 1/2 faccia.
Le misure della lunghezza dellarto superiore sono anche loro di difficile
interpretazione: non si sa esattamente quanto è la misura che va dallacromion al
gomito e da lì allarticolazione della mano; lunica affermazione che si può
fare è che il braccio dallacromion allarticolazione della mano si divide in
tre facce o parti uguali.
Totalmente diversi dal disegno sono le descrizioni del canone nel testo, le quali sono
metà del tipo di canone pseudo-varroniano e le altre metà sono vitruviane.
LEONARDO 1490
Il disegno della galleria di Venezia si basa infatti sulla teoria delle proporzioni,
formulata da Vitruvio secondo cui il corpo di proporzioni ideali è quello che può essere
inscritto in un cerchio e un quadrato. Tale disegno va dunque considerato non come una
illustrazione del microcosmo, ma come uno studio di proporzioni. Esso ha un significato
del tutto diverso da quelle figure dei manoscritti altomedievali poiché è il frutto non
di speculazioni cosmologiche, ma sì di una lunga serie di studi antropometrici. Leonardo
cercava di dimostrare la validità delle regole estetiche codificate dalla tradizione
vitruviana e perfino la approffondisce facendo starci l'uomo dentro al circulo e al
quadrato, eseguendo misure sui diversi corpi umani e mettendo a raffronto le loro
proporzioni. Però è molto probabile che Leonardo conoscesse e condividesse la dottrina
del Primo Uomo se aveva scritto: "L'omo è detto da li antichi mondo minore, e certo
dizione d'esso nome è bene collocata, imperò che, sì come l'omo è composto di terra,
acqua, aria, e foco, questo corpo della terra è il simigliante. Se l'omo ha in sé osso,
sostenitori e armatura della carne, il mondo ha i sassi, sostenitori delle terra; se l'omo
ha in sé il laco del sangue, dove cresce e dicresce il polmone nello alitare, il corpo
della terra ha il suo oceano mare, il quale ancora lui cresce e dicresce ogni sei ore per
lo alitare del mondo; se dal detto lago di sangue, deriva vene, che si vanno ramifacendo
per lo corpo umano, similmente il mare oceano empie il corpo della terra d'infine vene
d'acqua."
Nelle numerose pagine manoscrite, che in parte confluirono nel trattato della Pittura,
Leonardo studiò con grande attenzione l'anatomia per impadronirsi della sua estruttura e
per accertare le misure precise dele varie membra da mettere in relazione reciproca. Anche
se sappiamo tramite Luca Pacioli che Leonardo ha "posto fine a un degno libro de
pictura e movimenti humani", ciò che ci è pervenuto solamente sono tra i suoi fogli
numerosissimi citazioni, annotazioni, commenti, osservazioni, appunti su diversi sistemi
proporzionali.
Il disegno dell'uomo vitruviano di Venezia, rientra appunto non tanto come incondizionato
adequamento all'autorità di Vitruvio, quanto come momento di studio e especie di sintese
e aquizione del sistema proporzionale vitruviano che Leonardo aveva appreso e assimilato
con estrema esattezza ed intelligenza, anche rispetto agli altri che dopo di lui cercarono
di illustrare il testo dell'architetto romano.
Si ritiene che il foglio veneziano sia stato probabilmente utilizzato da Leonardo come
fontespizio di un trattato di architettura o di quello sui movimenti della figura umana.
Il disegno presenta una figura umana inscritta contemporaneamente in un cerchio con il
centro nell'ombelico e in un quadrato con il centro a livello dei genitali, con uno
straordinario effetto cinetico derivante dalla diversa posizione delle braccia e delle
gambe adattate alle figure geometriche. La novità del disegno sta anche nella brillante
idea di Leonardo di associare in un unico foglio le due figure vitruviane, risolvendo
così il problema del centro dell'uomo che aveva suscitato tante reazioni in diversi
commentatori. Leonardo non usò il metodo della quadratura; il cerchio del suo disegno non
è inscritto nel quadrato e nemmeno lo scrive, così le due figure geometriche sono
independente una dell'altra, con il punto comune nella base del quadrato. L'artista non
segue l'amico Pacioli che nel suo commentario della divina Proportione riteneva che il
cerchio, con il centro nell'ombelico, avrebbe dovuto "equalmente toccara la summita
del capo ele ponti deli deti medii dele mani e quelle deli deti grossi deli piedi",
interpretando Vitruvio secondo uno schema che ricorda la figura con le gambe e braccia
divaricate inscritta nel cerchio e nel quadrato di Francesco di Giorgio Martini, il quale
per inserire armonicamente la figura aanche nel cerchio deve presentare le braccia
allargate verso il basso e non verso l'alto come nel disegno di Leonardo. Da Vinci arrivò
perfino a scostare e in certa forma a correggere il testo di Vitruvio. Per questo ultimo
la sesta parte proporzionale del corpo iniziava nella base del collo (fosseta iugullare)
fino alle radice dei capelli, invece per Leonardo la sesta parte dell'altezza totale
giungeva fino alla sommità del capo. Egli aggiunse il modulo della settima parte
dell'altezza totale, così denominato da Giuseppe Favaro come piede leonardesco.
Circa la dottrina delle proporzioni, (Leonardo non la considera secondo il rigi do sistema
tradizionale, ma nelle sue mutazioni attraverso il moto; "vita in movimento" era
uno dei suoi principali postulati nella teoria come nella pratica.
È caratteristico negli studi di proporzioni umane di Leonardo che i rapporti
proporzionali sono, come di norma , espressi in una maniera insolita. Altri teorici invece
espressero le varie quantità come una frazione dellaltezza totale o come un
multiplo di una unità che poi è espresso in frazioni dellaltezza totale.
Solo definitivamente qualche tempo dopo Leonardo preferì esprimere le misure in rapporto
allaltezza totale o simile unità come "testa" o "faccia". Prima
però egli usava uno sistema che comparava vari parti della figura umana, erano loro
collegate o no una con laltra da un punto di vista anatomico, e esprimeva rapporti
proporzionali in equazioni come ad esempio:
"a.b., b.c, c.d, d.e sono simile o uguali....", oppure "a.b.c.d sono simile
o uguali....(x)", oppure "tanto è da a. a b...,altrettanto è b. a c.",
oppure "a.b entra (x) volte in c.d, (x) volte in d.e, e
(x) volte in e.f."
Più che il testo riprodotto e commentato, sono le incisioni con figure proporzionali a
costituire una sorta di catena di trasmissione interpretativa della teoria vitruviana
relativa allantropometria. Le figure insirite dai vari curatori del primo
Cinquecento nel testo vitruviano sono lontane dalla precisione e arguzia del disegno di
Leonardo e solitamento non riprendono la geniale idea di questo artista di associare
insieme al corpo delluomo, il cerchio e il quadrato, identificando i due centri del
corpo umano rispetivamente nellombelico e nei genitale.
PROPORZIONI DELLALTEZZA TOTALE DEL CORPO
Altezza totale, --- "Tanto apre lomo ne le bracia quanto è la sua
altezza", cioè laltezza totale corrisponde alla distanza tra gli apici delle
sue medie, essendo gli arti superiori abdotti e disposti orizzontalmente, cosicchè
lintera figura umana può essere inscritta in un quadrato. (V. I)
Metà dellaltezza totale, --- "IL membro virile nasscie nel mezo
dellomo", cioè la metà altezza del corpo coincide con la radice del pene; (V.
I)
Laltezza totale corrisponde poi a :
3 volte lo spazio della incisura jugulare dello sterno alla radice del pene. (V. I)
" la distanza dalla sommità della spalla (acromio) al polso. (F. 7 r, 10 r)
4 volte lo spazio dalle "tette" (papille mammarie) al vertice. (V. I)
" lo spazio "dalla forciella del petto jnsino alla sommità del capo". (C.
f. 358 R-a)
" lo spazio "dalla sommjtà del pecto" (incisura jugulare dello sterno)
"allombelicho". (F. 8 v)
" lo spazio dalle papille mammarie alla radice del pene. (V. I)
" lo spazio dalla radice del pene alla concavità mediale del ginocchio. (V. I)
" lo spazio da tale concavità al suolo. (V. I)
" "la magior largeza" del corpo, che è "nelle spalli", cioè lo
spazio fra le due convessità laterali dei musculi deltoidi, essendo le braccia addotte.
(F. 8 v, 10 r; C. f. 358 R-a; V. I)
" la distanza fra i lati esterni delle due fosse ascellari ad arti abdotti
orizzontalmente. (V. I)
" la distanza della linea mediana ventrale alla piega del gomito, essendo larto
abdotto orizontalmente. (F. 7 r)
" la distanza dalla piega del gomito esteso allapice del dito medio, oppure
dalla punta del gomito allapice del pollice, cioè un cubito "chupito,
gomjto". (F. 7 r, 8 v; C. f. 358 R-a; V. I)
6 volte lo spazio "dalle dadjci de chapegli alla somjtà del petto", cioè
allincisura jugulare dello sterno. (F. 6 r)
" lo spazio "da la forciella della.. somjtà del petto" o "dal di
sopra del petto" (incisione jugulare dello sterno) "alla somità del capo"
(vertice). (C. 358 R-a; V. I)
" la larghezza del tronco a livello della radice del pene ad arti inferiori addotti.
(V. I)
" "il piè", cioè la lunghezza del piede. (C. f. 358 R-a)
7 volte lo spazio "dal di sopra del petto", cioè dallincisura jugulare
dello sterno, "al nascimento (radice) de capegli. (V. I)
" "il piè", cioè la lunghezza del piede. (V. I)
8 volte lo spazio "da la somjtà del chapo al djsotto del mento", cioè
laltezza della testa (F. 10 r; C. f. 358 R-a; V. I)
" lo spazio dal di sotto del mento alle papille mammarie. (V. I)
" la distanza fra i margini anteriori dei due musculi deltoidi alla loro origine
clavicolare, essendo le braccia abdotte orizzontalmente. (V. I)
" "la magiore grosseza dellomo dal petto alla sciena", cioè il
diametro anteroposteriore del torace (nelluomo in piedi). (F. 10 r)
" la distanza dal lato esterno della fossa ascellare alla piega del gomito esteso, ad
arto abdotto orizzontalmente. (V. I)
9 volte laltezza della testa. (C. f. 160 R-a)
" lo spazio "dal nascimento de chapellgli allo mento", cioè
laltezza della faccia (volto). (F. 10 r)
" lo spazio"da la fontanella de la gola a la spalla", cioè dalla incisura
jugulare dello sterno allacromio. (C. f. 160 R-a)
" la distanza, direttamente misurata, dalla spalla alla "tetta" (papilla
mamaria). (C. f. 160 R-a)
" lo spazio "da luna allaltra tetta". (C. f. 160 R-a)
" la distanza, direttamente misurata, "da ciaschuna tetta alla fontanella",
cioè allincisura jugulare dello sterno. (C. f. 160 R-a)
" "lomo a djacere", cioè il diametro anteroposteriore del torace
nelluomo coricoto. (F. 11 v)
" "la lunghezza della mano". (C. f. 160 R-a)
10 volte lo spazio "dal nascimento de capegli al fine di sotto del mento",
cioè laltezza della faccia. (C. f; 358 R-a; V. I; TP. I c. 167; TP. II c. 293)
" "tutta la mano, da la giuntura de la palma... jnsino alla sommjtà del dito
lungho". (C. f. 358 R-a; V. I)
12 volte lo spazio dalla "bocha", cioè dalla rima orale, alla radice dei
capelli. (F. 10 r)
" "la magior largeza del volto", cioè la massima larghezza della faccia a
livello delle rime palpebrali. (F. 10 r)
15 volte lo spazio "dal mento alli ochj", cioè dal di sotto del mento alla rima
palpebrale. (F. 10 r)
" lo spazio "dal mento alla masschiella", cioè la distanza, di profilo,
dalla convessità anteriore del mento allangolo della mandibola. (F. 10 r)
" "la grossezza delchollo in proffilo", cioè il diametro
anteroposteriore del collo. (F. 10 r)
16 volte lo spazio da " la somjtà dellorechio alla somjtà del chapo".
(F. 10 r)
" lo spazio dal di sotto del mento al "lagrimatoio", cioè allangolo
mediale dellocchio o alla rima palpebrale. (F. 10 r)
" lo spazio "dalla punta del mento a cquella della massciella", cioè
allangolo mandibolare. (F. 10 r)
18 volte "la metà del volto", cioè la metà altezza della faccia "dal
mezo del naso al djsotto del mento". (F. 4 r)
" lo spazio "dal djsopra della gola al principio dj sotto", cioè
dallangolo della regione joidea, a livello della parte inferiore del mento, alla
incisura jugulare dello sterno (altezza del collo di faccia). (F. 4 r)
42 volte "la mjnore grossezza del b(raccio) in proffilo", cioè lo spessore del
polso dalla faccia volare alla dorsale. (F. 10 r)
54 volte lo spazio "dal djsopra al djsotto del mento", cioè dal solco
labiomentale alla parte inferiore del mento. (F. 4 r)
"Vetruvio architecto mecte nella sua opera darchitectura che lle mjsure
dellomo sono dalla natura disstribujte in quessto modo, cioè che 4 diti fa 1 palmo,
e 4 palmj fa 1 piè, 6 palmj fa un chubitio, 4 cubiti fa 1 passo, he 24 palmj fa 1
homo". (V. I))
"Se lomo di 2 b(raccia) è picholo, quello di quattro è ttropo grande: essendo
la vja di mezo laudabile, il mezo jnfra 2 e 4 si è 3, adunque piglia 1 omo di 3
b(raccia)." (C. f. 160 R-a)
Nelluomo ritto, ad arti superiori disposti verticalmente, il gomito trovasi
allaltezza della cintola, il polso a quella della parte inferiore della radice del
pollice a livello della inferiore dei genitale. (F. 10 r)
Nelluomo in piedi di profilo si trovano sulla stessa verticale: il "puso
dellorechio", cioè lorifizio aurecolare; "la nose della
spala", cioè lacromio; "la nose del fianco", cioè il gran
troncantere; "la nose del piè", cioè il malleolo laterale. (F. 11 r)
La "fontanella della gola", cioè la fossa del giugulo, "chade sopra il
piè", trovasi cioè sulla verticale che passa per il piede; sporgendo un braccio
innanzi, essa si sposta indietro; spostando " la ganba indirieto, la fontanella va
inanti". (P. Ash. f. 20 v)
"Se tu apri tanto le gambe che ttu chali da chapo", cioè diminuisca, "1/4
di tua altezza", e apri e alzi tanto gli arti superiori, da giungere con lapice
delle dita medie a livello del vertice della testa, "sappi che l cientro delle
stremità delle aperte membra fia il bellicho e lo spatio che si truova in fra le ganbe
fia triangolo equilatero". In tal modo lintera figura umana può venire
inscritta in un circolo, avente il centro nellombelico. (V. I)
"Il mezo dellomo che ssiede", cioè la metà distanza fra il vertice e la
parte inferiore delle natiche delluomo seduto, trovasi "djsotto della popa e
djsotto della spalla", cioè a livello del solco infrapettorale e
dellavalamento sottostante allangolo inferiore della scapola. Tale altezza
delluomo seduto supera la metà altezza delluomo in piedi di quanto è la
larghezza e la lunghezza dello scroto "testichulj". (F. 8 r)
"Se uno singinochia quello stremerà", cioè diminuirà, "la quarta
parte dj sua alteza". (F. 8 r)
Luomo inginochiato giunge con il vertice al di sotto del braccio, abdotto
orizzontalmente, delluomo ritto in piedi. (F. 8 r)
"Stando lomo ginochionj cholle manj al petto, il bellico fia il mezo di sua
alteza e ssimilmente le punte de gomjtj", cioè ombelico ed olecrani si trovano
a metà distanza fra il vertice e la parte inferiore delle ginocchia flesse. (F. 8 r)
"Tanto diminusce luomo nel piegamento delluno dei suoi lati", cioè
nella flessione laterale del tronco, "quanto egli cresce nellaltro suo lato
opposito, e tal piegatura sarà allultimo subdupla alla parte, che si estende",
cioè la metà di questa (TP. I c. 204); però "el bellico mai esscie di sua alteza
overo il membro virile", cioè nè ombelico nè pene sinnalzano o
sabbassano. (P. A f. 29 r)
Essendo "le reni" innarchate overo sciene", cioè nella flessione ventrale
del tronco, "senpre le poppe son più basse che lle spatole dessa sciena",
cioè le sporgenze dei musculi grandi pettorali sono più basse di quelle delle scapole;
nei "pecti narchati", cioè nella iperestensione del tronco, "senpre le
poppe son più alte che lle spatole della sciena"; nelle "rene dirichte",
cioè a tronco diritto, saranno "senpre trovate le poppe dellaltezza
desse spatole". (B f. 21 r)
"Ciascuno homo ....nel terzo anno hè lla metà della sua alteza ultima". (P. H
f. 31 v)
II. PROPORZ1ONl INTRINSECHE DELLA TESTA E DEL COLLO
A. Proporzioni di profilo.
L' altezza della testa, dal di sotto del mento al vertice, è di un sesto superiore a
quella della faccia (volto), dal di sotto del mento alla radice dei capelli (F. 11 v).
La metà dell' altezza della testa coincide con Ilangolo mediale (lagrimatoio) dell'
occhio (F. 1 r).
Lo spazio dal "nasscimento djnanzi de capellj " alla " sommità del
chapo", cioè dalla radice dei capelli al vertice, equivale a quello dal "fine
dj soto del naso alla congiuntion de' labri dinanzi della bocha", cioè all' altezza
del labbro superiore . (F. 1 r)
Lo stesso spazio dalla radice dei capelli al vertice equivale ad un quinto dell' altezza
della testa. (V. III)
La metà dell' altezza della faccia coincide con la metà dellaltezza del naso. ( F.
4 r;P. A f. 63 r)
L' altezza della faccia è divisibile in tre parti eguali:
la prima dal di sotto del mento al "principio di sotto del naso", cioè al
margine inferiore del setto nasale o alla narice;
la seconda da questo livello sino al "dj sopra del naso dove principiano le
ciglia", cioè sino allo spazio fra i sopraccigli (altezza del naso);
la terza parte da questo livello al " nassimento " cioè alla radice, dei
capelli (altezza della fronte). (F 1 r, 4 r: V. I, III)
Lo spazio fra il " principio dj sopra del mento " cioè il solco labiomentale, e
la radice dei capelli equivale ai cinque sesti dellaltezza della faccia. (F. 7 v).
Lo spazio dalla rima orale al di sotto del mento è un quinto dell'altezza della testa. (V
. III)
Lo stesso spazio fra rima orale e profilo inferiore del mento è un quarto dell'altezza
della faccia. (F 4 r, 9 r ;V III).
Laltezza deI mento, dal suo profilo inferiore aI solco labiomentale è un sesto
dell' altezza della faccia (F. 4 r ; V III).
Lo spazio dal solco labiomentale al setto nasale è un sesto dell'altezza della faccia (V.
III).
Il solco labiomentale trovasi a metà distanza fra il di sotto del mento e il setto nasale
(P. A f. 63 r).
Lo "spatio chè infra l taglio della bocha e l principio del
naso", cioè 1'altezza del labbro superiore, è Ia settima parte dell'altezza della
faccia. (F. 4 r)
Lo spazio fra rima orale e solco labiomentale cioè l'altezza del labbro inferiore, è la
terza parte dello spazio fra rima orale e profilo inferiore del mento, e la dodicesima
parte dell'altezza della faccia. (F. 4 r)
Il "taglio della bocha", cioè I'angolo delle labbra, "in proffilo" è
dirett.o verso 1'angolo della mandibola. (P. A f. 63 r).
Dividendo l'altezza del naso in-quattro parti, l'inferiore "entra dal disopra delle
anarise al djsotto della punta del naso", sta cioè tra solco alare e profilo
inferiore del naso, mentre la superiore va "dal lagrimatoio dell'ochio all'apichatura
delle ciglia", cioè dall'angolo mediale dell'occhio allo spazio fra i sopraccigli.
(F. 5 r).
La distanza fra i due solchi orbitopalpebrali superiore ed inferiore (essendo
Iocchio aperto e rivolto all'innanzi) equivale a quella fra quest'ultimo solco e
1'ala del naso. (P. A f. 63 r).
L'altezza della faccia equivale alla distanza fra due verticali tangenti, I'una allo
spazio tra i sopraccigli (talora anche al labbro, o al mento, o ad entrambi), I'altra alla
massima convessità dorsale della testa, cosicchè il profilo, esclusi il tratto
soprastante al livello della radice dei capelli (sulla linea mediana anteriore) ed escluso
il naso, può inscriversi in un quadrato. (F. 1 r, 2 r, 3 r.; P. A f. 63 r)
La distanza dallo spazio fra i sopraccigli al solco labiomentale forma con quella
dall'angolo della mandibola al "fine di sopra dello orechio colla tempia" (cioè
all'angolo anterosuperiore del rettangolo verticale in cui può inscriversi il padiglione
aurico]are) "uno quadrato perfetto", il cui lato equivale all'altezza di mezza
"testa". E quindi solco labiomentale ed angolo della mandiboIa non solo distano
tra loro della detta dimensione, ma si trovano anche alla stessa altezza. (V. II).
Il padiglione auricolare trovasi allo stesso livello e misura la stessa altezza del naso
(dal setto ai sopraccigli), cioè un terzo della faccia. (F. 1 r ; 12 r , P. A f. 63 r)
L' altezza del padiglione. auricolare è eguale alla distanza dal setto nasale al
"coperchio dell'ochio", cioè alla palpebra superiore inclusa. (P. A f. 63 r)
"Da la somjtà dell' orechio alla somità del chapo" è la stessa distanza che
dal di sotto del. mento all'angolo interno. dell' occhio. (F. 10 r)
Lo spazio fra il margine posteriore del padiglione auricolare e la massima sporgenza
dorsale della testa corrisponde allo spazio fra rima orale e profilo inferiore del mento.
(F. 3 r).
"Dal cantone dell'osso dell'ochio", cioè dalla parte esterna del margine
orbitale, al padiglione auricolare, è lo spazio corrispondente. alla lunghezza del
padiglione stesso e ad un terzo dellaltezza della "testa". (V. II)
Il "pincierolo che ssi trova infra l buso dell'orechio inverso il naso",
cioè verosimilmente il trago, trovasi a metà distanza fra la "nucha", vale a
dire la massima sporgenza dorsale della testa, e " l ciglio", cioè il
sopracciglio. (F. IO r).
La distanza dalla predetta "nuca" all'orifizio auricolare equivale allo spazio
dal setto nasale al di sotto del mento. (P. A f. 63 r)
Lo spazio fra la "choda" o angolo laterale dell' occhio e il "buso dello
orechio" od orifizio auricolare, equivale alla distanza dall'angolo mediale dell'
occhio alla radice dei capelli (F. 12 r).
El cavo dell' osso della guancia" cioè la depressione al di sotto dell' osso
zigomatico, è equidistante dall'apice del naso e dal "confine della rnasciella
ch è la punta di sotto dellorechio", cioè dall'angolo mandibolare. (V.
II).
La distanza dall'orifizio auricolare all'ala del naso equivale a quella dall'angolo della
mandibola alla rima orale (sulla linea mediana) : tali distanze corrispondono a metà
altezza della faccia ed al diametro anteroposteriore del collo a livello dell'angolo
joideo. (P. A f. 63 r) -
"Lorechio" cade nel mezzo del collo. (P. A f. 63 r; V. II).
La distanza "da lo ultimo sporto del mento alla gola", cioè dal profilo
anteriore del mento all'angolo della regione joidea, equivale allo spazio fra rima orale e
profilo inferiore del mento, cioè alla quarta parte della faccia. (F. 4 r).
Lo spazio dall'angolo joideo all'incisura jugulare dello sterno è metà altezza della
faccia. (F. 4 r).
La "grosseza del chollo" nel suo diametro anteroposteriore "entra una volta
e 3/4" nella distanza dal "ciglio", cioè dallo spazio tra i sopraccigli,
alla "nucha" o massima sporgenza dorsale della testa. (F. 4 r)
Lo stesso spessore del collo di profilo equivale allo spazio dal di sotto del mento
"alli ochj", cioè alla rima palpebrale, ed allo spazio dal profilo anteriore
del "mento alla masschiella", cioè all'angolo mandibolare. (F. 10 r)
Lo spazio dal profilo anteriore del mento "al djrieto", cioè al profilo
dorsale, "del chollo", equivale allo spazio fra rima orale e radice dei capelli,
cioè ai tre quarti dellaltezza della "tessta". (F. 4 r)
PROPORZIONI DI FACCIA
"La magior largeza del volto", cioè la massima larghezza della faccia, che
trovasi allaltezza degli occhi, equivale allo spazio dalla rima orale alla radice
dei capelli. (F. 10 r; T. II)
Tale "magiore largheza della facia del viso" equivale ai due terzi
dellaltezza della testa. (F. 11 v)
La distanza "dalluna apichatura dellorechio allaltra", cioè
fra le inserzioni dei due padiglioni, equivale a quella dallo spazio tra i sopraccigli al
di sotto del mento. (P. A f. 62 v)
Lo "spatio ch è infra lli stremi delli ochi inver li orechi", cioè la
distanza fra gli angoli estemi dei due occhi, equivale allaltezza di mezza faccia.
(T. II)
E quindi nel volto di faccia più tracciarsi un quadrato, la cui larghezza sta tra gli
angoli esterni dei due occhi, e la cui altezza va dallo spazio tra i sopraccigli al solco
labbiomentale ("sotto del labro di sotto della bocha"): ciò che rimane al di
sopra, cioè la fronte, e al di sotto, cioè il mento, somma insieme I'altezza "d' un
simile quadro". (P. A f. 63 r)
La "la largeza della bocha", cioè la Iunghezza della rima orale, corrisponde
allo spazio dalla detta rima al di sotto del mento, cioè ad un quarto dell'altezza della
faccia. (F. 4 r; P. A f. 62 v)
"Lla grandeza della bocha" equivale allo spazio dalla radice dei capelli al
vertice (F. 10 r)
La larghezza del naso fra le due "anarise", cioè fra le due ali, equivale alla
distanza, nel naso di profilo, dall'apice alla "strema parte dellanarisa"
dove "si chongiungnje colla guancja", cioè al contorno posteriore dell'ala del
naso, ove il solco alare si confonde con Iestremo superiore del solco genolabiale.
(F. 5 r)
Una tale larghezza del naso è la metà della sua altezza, sicchè il naso di faccia può
venire inscritto in due quadrati sovrapposti. (F. 5 r).
La distanza dal "lagrirnatoio" alla "choda d'esso ochio", cioè la
lunghezza della rima palpebrale, corrisponde alla distanza dal " lagriimatoio"
al "disopra delle anarise", cioè dall'angolo mediale dell'occhio alla parte
più elevata del solco alare. (F. 5 r).
Lo stesso spazio fra i due angoli dell'occhio equivale alla "largheza delle nari del
naso", cioè al diametro trasverso massimo del naso. (T. I).
Ed egualmente lo spazio fra gli angoli mediali dei due occhi corrisponde alla
"grandeza d un ochio", cioè alla lunghezza della rima palpebrale. (P. A
f. 63 r)
"Lo spatio ch' è infra i cientri delle popille dell'ochio è 1/3 del volto".
(T. II).
La distanza dal sopracciglio al solco infraorbitale, presa sulla verticale passante per
metà lunghezza della rima palpebrale, e il diametro trasverso della regione orbitale
(larghezza dellorbita) equivalgono alla lunghezza della rima orale. (T. I).
Le distanze, direttamente misurate, dal solco infraorbitale (nel punto d'incrocio con la
verticale anzidetta) agli angoli mediale e laterale dell'occhio equivalgono allo
"spatio ch è fra luno ochio e llaltro". (T. I)
La distanza dal solco infraorbitale al margine libero della palpebra inferiore, essendo I'
occhio aperto e rivolto all'innanzi, è eguale alla lunghezza della rima palpebrale ed
all'intervallo tra gli occhi (T. II).
Sempre nell'occhio aperto e rivolto all'innanzi, sono tra loro eguali le distanze seguenti
(di cui le prime tre misurate sulla predetta verticale):
dal solco infraorbitale al margine libero della palpebra inferiore;
da questo livello al solco orbitopalpebrale superiore;
da questo livello al margine superiore del sopracciglio;
la minore distanza, direttamente misurata, obliqua medialmente ed in basso, dal solco
infraorbitale all'estremo superiore del solco genolabiale fuso con l'alare;
Tali distanze equivalgono poi:
"alla metà della grosseza de' labri dellochio", cioè alla metà
lunghezza delle palpebre;
alla distanza "fra l mento e la bocha", cioè all'altezza dal labbro
inferiore;
alla "più stretta parte che à il naso infra l uno ochio e
llaltro".
Tutte queste distanze equivalgono alla .... parte della testa (T. I).
Lo spazio fra margine libero della palpebra inferiore e solco orbitopalpebrale inferiore
è un terzo della distanza dal detto margine al solco infraorbitale (sempre sulla nota
verticale). (T. I)
PROPORZIONI INTRINSECHE DEL TRONCO.
La maggior larghezza del corpo è ,"nelle spalli", fra le convessità laterali
dei due muscoli deltoidi. (F. 10 r)
"Tanto è lomo sotto i b[racci] quanto Io spatio de' fianchi", cioè il
diametro trasverso del torace sotto le ascelle equivale a quello del bacino. (F. .11 r).
Tale' larghezza dei fianchi equivale alla distanza dal "sumo d'essi fianchi",
cioè dalla cintola, al "djsotto delle natiche", cioè al solco gluteofemorale,
e dalla stessa "cintura" alla sominita della spalla. In tal modo la cintola è a
metà distanza tra sommità della spalla e solco gluteofemorale (F. 11 r).
La distanza dalla ."somjtà del petto", cioè dall' incisura jugulare dello
sterno, al "belljcho" equivale alla massima larghezza delle spalle. (F. 6 r, 8
v)
Queste stesse dimensioni corrispondono poi allo spazio fra i solchi infrapettorali e la
radice del pene. (F. 6 v).
"Infra loro àno simjlitudjne di grandeza" le distanze seguenti, direttamente
misurate di faccia:
dalla sommità della spalla (o acromio) alla "fontanella del gola" o incisura
jugulare dello sterno ;
dalla sommità della spalla alla papilla mammaria dello stesso lato;
fra le due papille mammarie ;
dalla incisura jugulare dello sterno alla papilla mammaria. (F.2 r; C. f. 160 R-a)
Vi equivale pure la distanza dalla papilla mammaria alla convessità laterale del muscolo
deltoide dello stesso lato, essendo però il braccio in adduzione, e perciò tale spazio
"è libero". (F. 2 r)
PROPORZIONI INTRINSECHE DELLARTO SUPERIORE
"Da la punta del più lungo djto de la mano" (medio) allacromio o sommità
della spalla (a gomito steso) è la lunghezza di "4 manj". (F. 12 r; P. B f. 3v)
La lunghezza della mano è "1/3 di b(raccio)", cioè dellintero arto,
esclusa la mano. (C. f. 160 R-a)
La distanza dalla sommità della spalla allolecrano o punta del gomito (flesso ad
angolo retto circa) equivale a quella dalla detta punta:
"al principio dj dentro del grosso djto", cioè alla base del pollice nel primo
spazio interdigitale. (F. 10 r)
"alla giuntura delle 4 mjnor djta cholla palma della mano" (F. 11 r)
allapice del pollice. (F. 12 r)
La distanza dalla sommità della spalla alla piega del gomito (esteso) equivale a quella
da detta piega alla base del pollice nel primo spazio interdigitale. (F. 10 r, 11 r)
La distanza dalla piega del gomito esteso allapice del dito medio equivale a quella
dalla punta del gomito (esteso o flesso) allapice del pollice: tale misura
corrisponde ad un "chupido", cioè cubito. (F. 7 r)
La distanza dal polso al gomito (piega) è eguale a quella dal gomito allascela, e
ciò tanto nella flessione (F. 5 r; P. Ash. f. 23 v) che nella estensione del gomito. (F.
7 r)
Il "b(raccio) dal gomjto alla mano", cioè lavambraccio, "mai
cresscie per piegare o dirizarsi", vale a dire che la distanza dalla punta del gomito
a1 polso rimane la stessa nella flessione e nella
estensione (F. 10 r, 11 r).
Il livello di massimo spessore dell'avambraccio subito al di sotto della piega del gomito
rimane sempre a metà distanza fra la sommità della spalla e la base del pollice, sia
nella estensione che nella flessione. (F. 11 r).
Le distanze dalla sommità' della spalla alla piega del gomito esteso e da questa alla
base del pollice diminuiscono, dalla estensione alla flessione (ad angolo retto circa), di
un sesto, mentre la distanza dalla sommità della spalla alla punta del gomito aumenta di
un settimo diminuendone nel caso opposto. (F. 10 r, 11 r)
"L' omero", cioè il braccio, dalla massima estensione alla massima flessione
del gomito cresce di un ottavo della sua lunghezza. (TP. I c.174)
La distanza dalla sommità della spalla al gomito (punta); nel passaggio dell'avambraccio
dalla estensione alla flessione, aumenta di quanto è lo spessore del polso (F. 10 r) e
diminuisce nel movimento opposto di "3 dita e mezo" (trasverse) (A. f. 5 r)
Il braccio, nella estensione del gomito, diminuisce un terzo dello spessore del gomito
flesso (di profilo), mentre passando dalla estensione alla flessione aumenta la metà
dello spessore del gomito esteso (F. 10 r) -
La lunghezza. della "polpa del b[raccio]", cioè del segmento corrispondente al
ventre del muscolo bicipite dalla piega ascellare al restringimento soprastante agli
epicondili, diminuisce nella flessione dell'avambraccio di due quinti (F. 11 r).
Lo spazio dalla sommità della spalla alla piega ascellare (a braccio addotto e veduto di
faccia) equivale:
ad un quinto della distanza dalla sommità della spalla, alla base del pollice. (F. 11 r)
alla distanza dal polso alle quattro ultime articolazioni metacarpofalangee. (F. 10 r).
"alla palma della ma(no)" (F. 11 r)
Lo spessore del braccio addotto, veduto di faccia subito al di sotto dell'ascella, entra
tre volte nella lunghezza della mano (F. 6 r).
La maggiore grossezza del braccio, veduto di faccia "infra lla spalla e gomjto"
entra quattro volte nella distanza dal gomito (esteso) alla spalla e corrisponde alla
larghezza delle ultime quattro dita ravvicinate (F. 10 r).
Lo spessore deI braccio di faccia equivale, all'altezza del ventre del bicipite, ad un
settimo della distanza dalla spalla al polso; mentre nelle stesse condizioni lo spessore
della parte alta dell'avambraccio è un ottavo della stessa distanza. I due spessori
rappresentano le "le misure più grosse" dell'arto (F. 11 r).
La maggior grossezza dell'arto superiore (sempre a braccio addotto, gomito esteso e palma
mediale) di profilo equivale a quella dell arto stesso veduto di faccia : "Ma
luna è posta nel terzo de b(raccio) da la giuntura alla tetta, laltro nel
terzo dalla giuntura alla mano" (F. 10 r)
Lo spessore del braccio di profilo, essendo il gomito flesso ad angolo retto e la palma
rivolta medialmente, equivale, in corrispondenza del ventre del bicipite, allo spessore
della parte alta dell'avambraccio nelle stesse condizioni : ambedue gli spessori
corrispondono poi ad un quarto della distanza dalla spalla alla punta del gomito e da
questa alla radice delle ultime quattro dita (F. 11 r).
"Lla più sottile parte che ssia infra lla spalla e ll gomjto", cioè il
restringimento al di sopra degli epicondili, veduto di faccia ad avambraccio esteso e
palma mediale, è un ottavo della distanza dalla spalla al polso (F. 11 r). -
Tale minore grossezza del braccio "sopra l gomito", di faccia è simile
alla larghezza dellavambraccio in estensione, veduto di lato, a metà distanza fra
gomito e polso (F. 10 r).
"La magior grosseza del braccjo infra l gomito e lla mano", cioè la parte
superiore dell'avambraccio, veduta di faccia, entra sei volte nella distanza dal polso
alla spalla e corrisponde alla larghezza dell'intera mano a pollice addotto (F. 10 r).
Nell'avambraccio esteso, veduto di profilo, la maggiore grossezza entra tre volte nella
sua lunghezza. (F. 10 r).
La"groseza del b(raccio) sulla mano", cioè in larghezza del polso, entra dodici
volte "in tutto il b[raccio]", cioè "dalla punta de djti insino alla
giuntura della spalla (acromio):' diti `7n'11lo alla git<iittiìa della spalla
(acromio) :tre nella mano e nove "nel b(raccio)", vale a dire quattro
nell'avambraccio e cinque nel braccio sino alla sommità della spalla (a gomito esteso)
(F. 10 r).
La stessa larghezza del polso corrisponde ad un sesto delle distanze fra la base delle
ultime quattro dita e la. punta del gomito e fra la punta del gomito (flesso) e la
sommità della spalla (F 10 r)."
La mjnore grosseza del b(raccio) in poffilo", vale a dire lo spessore del polso; è
un sesto della distanza dal "nodel della mano al sopelo del gomjto disteso",
cioè dal polso alla fossetta al lato dorsale del gomito esteso, ed è un quattordicesimo
della distanza della spalla al polso (F.10 r).
Lo stesso spessore del polso è (ad avambraccio esteso) un tredicesimo della stessa
distanza dalla spalla al polso (F 11 r.).
Lo spazio fra "le noche delle 3 djta di mezo e lle prime giunture desse, stando
la ma(no) djstesa", cioè la distanza, sul dorso della mano distesa, fra
articolazioni metacarpofalangee e prime interfalangee dell'indice, medio ed anulare,
equivale alla distanza fra la "nocha" del pollice e il "principio della sua
unglia", cioè dalI'articolazione metacarpofalangea alla radice dell'unghia del
poillice : tali spazi equivalgono poi alla quarta parte della lunghezza della mano (F. 9
r).
Le proporzioni seguenti concernono principalmente lo scheletro
Il tendine bicipitale al radio è "appichato nel mezo infra lla giuntura della spalla
e lle punte delle dita". (A f. 1 v)
"L'osso della spalla" (scapola, verosimilmente nel suo diametro trasverso) è il
terzo della lunghezza dell'omero. (A f. 1 v)
"Il braccio diminuissce nel suo disstendersi 3 dita e mezo nello spatio ch è
dalla spalla al gomjto suo", cioè, all'olecrano. (A f. 5 v).
La lunghezza delle ossa dell'avambraccio è "li cinque settimj" della lunghezza
dell'omero, "stando il b[raccio] (avambraccio) disteso colla palma della mano volta
al celo". (A. f. 1 v)
"Il b(raccio) non si achossta alla spalla colla sua maggiore vicinjtà men di 4
de sua ditj", e ciò a motivo della "grosseza della carne che ssi intepone
nella sua giuntura". (A. f. 5 r)
La mano è "lli sei settimj" della lunghezza del radio. (A. f. 1 v)
"La magior lungheza della padella della spalla" (scapola) " è simjle alla
lungheza della mano". (A. f. 1 v)
La "padella della spalla", verossimilmente nel suo diametro traverso, "è
simjle alla lungheza della mano". (A. f. 13 r)
V, PROPORZIONI INTR1NSECHE DELLARTO INFERIORE
La distanza dalla spina iliaca anterior superiore al suolo equivale alla lunghezza di
quattro piedi (quaderno V, f. 4 r)
La distanza dalla spina iliaca anterior superiore al ginocchio (solco infrupatellare = F.
6 v, 11 v; centro della faccia anteriore della patella =. Quaderno V, f 4 r) equivale a
quella dal ginocchio al suolo : tanto I'una, quanto l'altra (dal solco infrapatellare al
suolo = P. B f. 3 v) equivalgono alla lunghezza di due piedi. (F. 6 v, 11 v; Quaderno V, f
4 r
La distanza dal solco infrapatellare al suolo equivale, nel ginocchio flesso ad angolo
retto, a quella dal detto solco alla tuberosità ischiatica, ed ambedue corrispondono alla
lunghezza di due. piedi. (F. 11 v).
La distanza fra l'apice del "gobo", cioè del gran trocantere, e la concavità
laterale del ginocchio è eguale a quella da tale concavità al suolo. (F. 11 v)
La distanza fra l'apice del gran trocantere e il solco infra patellare è eguale a quella
da tale solco all'apice del malleolo laterale, e ciò a ginocchio tanto esteso. (F. 6 v),
che flesso ad angolo retto. (F. 11 v).
Essendo anca, ginocchio e piede semiflessi e veduti di profilo, la distanza dalla spina
iliaca anterior superioie al centro della faccia anteriore della patella è eguale alIa
distanza da questo punto alla convessità posteriore del tallone : la lunghezza del piede
è la metà di ciascuno di tali distanze. (F.12 r).
Essendo il ginocchio completamente flesso con le facce posteriori della coscia e della
gamba a mutuo contatto, la distanza della natica alla massima convessità del ginocchio è
eguale a quella da tale convessità alla pianta del piede ambedue corrispondono del pari
alla lunghezza di due piedi. (F. 12 r)
La grossezza massima della coscia di faccia è un terzo della distanza dalla concavità
laterale del ginocchio al suolo e da tale concavità all'apice del gran trocantere. (F. 11
v).
Lo spessore della coscia di profilo, tanto dalla regione subinguinale al solco
gluteofemorale quanto, un pò più sotto, a livello della massima spolgenza del muscolo
quadricipite, è un terzo della distanza dal poplite (allaltezza circa del solco
infra-patellare) al suolo e dal poplite alla cresta iliaca (o alla spina iliaca anterior
superiore). (F. 1 1 v).
"El ginochio non cresscie nè djmjnuisscie per piegharsi o ddjstendersi".
(Quaderno V. f. 3 v)
La larghezza del ginocchio di faccia, fra le due concavità laterale e mediale, è cinque
sesti della larghezza a livello del solco infrapatellare (fra i due condili femorali) (F.
11 v).
"Ìl cavo del ginochio di forj è più alto che l chavo di dentro" : il
dislivello fra le due concavità equivale "alla metà della. grosseza della gamba da
piè", cioè del segmento sopraimalleolare della gamba, veduto di faccia (F. 11 v).
"La burella del ginochio", cioè la patello, misura in larghezza "tre
qujnti della largheza di tutto il ginochio, dj verso la parte silvesstra", cioè dal
lato estensorio. (Quaderno V, f. 3 v).
La larghezza della "padela del ginochio", cioè della patella, corrisponde a
quella del segmento sopramalleolare della gamba,. veduto di faccia (F. 12 r).
La larghezza della gamba, veduta di faccia, al di sotto del ginocchio, equivale sia alla
distanza dalla base deI malleolo mediale alla faccia inferiore del tallone, sia al
diametro trasverso del piede alla "apichatura" o base delle cinque dita .(F. 11
v).
Lo spessore della gamba, veduta di profilo, al di sotto del ginocchio è un nono della
distanza dalla cresta iliaca (o dalla spina iliaca anterior superiore) al suolo. (F. 11
v). - -
Lo stesso spessore della gamba in profilo sotto il ginocchio equivale a sei volte la
distanza da tale livello a ... e corrisponde alla distanza dal margine anteriore del
malleolo laterale alla faccia posteriore- del tallone ed a quella dall'apice dell'alluce
alla base del quinto dito (solco plantodigitale). (F. 11 v)
La maggior grossezza "della polpa de la ganba", cioè del poIpaccio, veduta di
faccia, "è nel terzo della sua alteza" ed è di un ventesimo superiore alla
maggior larghezza del piede (F. 11 v)
La stessa larghezza del polpaccio di faccia "cresscie il sesto", cioè è di un
sesto maggiore, della larghezza della gamba, pure di faccia, sotto il ginocchio (F. 11 v).
La stessa larghezza del polpaccio di faccia equivole a quella del ginocchio a livello del
solco infrapatellare (fra i due condili femorali) ed è un quarto della distanza dalla
concavità laterale del ginocchio al suolo (F. 11 v).
Lo spessore della gamba di profilo a livello del polpaccio è un quarto della distanza dal
poplite (all'altezza circa del solco infrapatellare) al suolo e dal poplite alla cresta
iliaca (o alla spina iliaca anterior superiore) e corrisponde a tre settimi della
lunghezza del piede (F. 11 v).
Lo spessore della gamba di profilo al di sotto del polpaccio è un decimo della distanza
dalla cresta iliaca (o dalla spina iliaca anterior superiore) al suolo (F. 11 v).
La minore grossezza della gamba, cioè il segmento sopramalleolare, veduta di faccia,
entra tre volte "nella sua coscia", cioè niella massima grossezza della coscia,
pure di faccia .(F. 10 r).
Tale "mjnore grosseza della ganba in faccia entra 8 volte dal djsotto del piè a la
giuntura del ginochio". (F. 12 r)
La stessa minor grossezza della gamba, ma "in proffilo", entra invece solo sei
volte nella distanza dal suolo al ginocchio (F. 12 r).
Lo spessore dello stesso segmento sopramalleolare in profilo è un sesto non solo della
distanza, ora veduta, dal solco infrapatellare al suolo, ma anche di quella da tale solco
alla cresta iliaca (o alla spina iliaca anterior superiore), ed equivale alle distanze,
pure di profilo, dal margine anteriore del malleolo laterale alla faccia posteriore del
tallone e dall'apice dell'alluce alla base del quinto dito (solco plantodigitale) .(F. 11
v)
La distanza, di faccia, fra i due malleoli "djminuiscie il sesto in nella
ganba", cioè è di un sesto maggiore che non lo spessore, pure di faccia, del
soprastante segmento sopramalleolare (F. 11 v).
La distanza fra le convessità dei due malileoli è eguale allo spessore del segmento
sopramalleolare dela gamba veduto di profilo (F. 12 r)
I piedi. in cui lunghezza sta quattro volte nella distanza dalla spina iliaca anterior
superiore a1 suolo, "son laudabili per misura, perchè pendano un poco in
picholo", essendo bella la gamba con piede "più tosto picolo che
grande".(Quaderno V, f. 4 r)
La larghezza del piede, veduto di faccia,sotto gli apici dei malleoli, "è mjnore
1/10" della distanza, pure di faccia, fra i due malleoli. (F. 11 v)
La larghezza (massima) del piede,equivale a quella del ginocchio a livello del solco
infrapatellare (fra i due condili femorali). (F. 12 r)
La larghezza del "chalchagnjo nel suo djsotto" corrisponde allo spessore della
"ganba dove in facia è più sottile", cioè nel segmento sopramalleolare di
faccia. (F. 9 r).
La distanza dell'estremo posteriore del tallone alla base del quinto dito (solco
plantodigita1e) corrisponde a quella dal margine anteriore del malleolo laterale
allapice dell'alluce (F. 11 v).
L'alluce, visto di profilo dall'interno, misura dalla "polpa del petto del
piè", cioè dal cuscinetto adiposo dellao testa del primo metatarsale, a1 suo apice
la sesta parte della lunghezza del piede . (F. 9 v).
La 1unghezza del "più lungo djto del piè" (il secondo), a partire dal
"principio della sua djvjsione dal djto", cioè dalla base de1 primo spazio
interdigitale, è la quarta parte della distanza dal "mezo dal suo polo dj
dentro", cioiè dalla metà del malleolo mediale, alla punta del piede. (F. 9 r).
La base del quinto dito (solco plantodigitale), nel piede vedluto dallesterno,
trovasi allunione dei tre quarto posteriori con il quarto anteriore della lunghezza
del piede. (F. 9 v)
Lo spessore delle quattro dita minori del piede,"dal djsopra del ungie (unghia) al di
sotto", è uguale per tutte e corrisponde ad un quindicesimo della lunghezza del
piede. (F. 9 v)
VI. PROPORZIONI ESTRINSECHE DEL TRONCO.
A.Proporzioni con testa e collo.
La massima larghezza delle spalle equivale all altezza di due "teste". (F. 8 v;
P. Ash. f. 28 v; TP. I c.169 TP. II c. 295)
La stessa larghezza delle spalle equivale all'altezza di due "volti" o
"facce". (TP. I c. 167 TP. II c. 293)
Il diametro anteroposteriore del torace, a livello delle papille mammarie, equivale
all'altezza della testa (F.10 r, 11 r).
La massima larghezza delle spalle e lo spazio dalld incisura jugulare dello sterno
all'ombelico stanno ciascuno quattro volte nella distanza dalle narici alle piante dei
piedi (F. 6 r).
Dalla incisura jugulare dello sterno all'ombelico si ha laltezza di "due
tesste" (F. 8 v)
Dall'ombelico alla radice del pene è laltezza di una "testa"(F. 8 v)
Le distanze, direttamente misurate, dalla spalla all'incisura jugulare dello sterno ed
alla papilla mammaria dello stesso lato, e da tale papilla alla incisura jugulare dello
sterno ed alla papilla del lato opposto, equivalgono all'altezza della faccia e alla
distanza fra questa e lestremo posteriore della testa (F. 2 r).
Le dette distanze equivalgono all'altezza della "testa". (C. 160 R-a)
"Stando il vjso in facia",la diatanza, direttamente misurata, "dalla
giuntura della spalla a la punta della masciella", cioè allangolo della
mandibola, equivale all'altezza di "1 tessta", e, nella flessione laterale di
questa, "sse luna" di tali distanze "cresscie, laltra
altretanto djmjnuisscie", cosicchè la somma totale delle distanze <dambo i
lati è sempre "2 tesste". (F. 11 r)
La distanza dalla radice del pene alla metà del ginocchio equivale all'altezza di due
facce (TP. I c. 167 TP. II c. 293)
Nel "putto" lo spazio da lun homero della spalla allaltro",
cioè la massima larghezza delle spalle, equivale all'altezza di una sola
"testa" (P. Ash. f., 28 v; TP. I c. 169; TP. II c. 295).
La stessa larghezza delle spalle e la distanza dalla radice del pene alla metà del
ginocchio sono eguali nella prima infanzia alla "lungheza del viso", cioè
all'altezza della faccia (TP. I c. 167 etc.)
B Proporzioni con arto superiore
La massima larghezza delle spalle equivale alla distanza dalla sommità, della spalla alla
punta del gomito flesso (P. Ash. f. 28 v; TP. I c. 167, 169 etc.) e dalla punta del gomito
all'apice del pollice ("chupido") (F. 8 v; idem).
La massima larghezza delle spalle è sei volte lo spessore del braccio addotto, subito
sotto l'ascella, veduto di faccia. (F. 6 r)
Lo spazio fra "lapichatura del braccjo chol petto e ll'apichatura del
membro" equivale alla distanza che intercede fra la punta delle dito della mano e il
"sopello del bracio", e alla distanza dalla stessa punta delle dita al
"mezo del petto" (F. 6 v)
La distanza dalla linea mediana ventrale alla piega del gomito, essendo l'arto superiore
disposto orizzontalmente, equivale a quello da detta piega all'apice del dito medio e
dallta punta del gomito all'apice del pollice ("chupido"). (F. 7 r)
Lo spazio "dalla tetta al mamolino", cioè dalle papille mammarie all'ombelico,
equivale alle distanze fra polso e golnito e fra gomito e ascella (F. 7 r).
La distanza dalla radice del pene alla metà del ginocchio equivale a quelle dallo spalla
al gomito flesso e da questo all'apice del pollice (TP. I c. 167 etc).
Lo spazio fra la parte superiore della prima articolazioni sternocostale e la parte
inferiore della quarta "è pari alla padella della spalla" (scapola) e
verosimilmente al suo diametro trasverso, "ed è simjle alla palma della mano"
(A f. 13 r).
Nel "putto" la larghezza massima delle spalle e la distanza dalla radice del
pene alla metà del ginocchio equivalgono pure alle distanze dallo spalla a1 gontito e dal
gomito all'apice del pollice,come nelladulto (P. Ash. f. 28 v; TP. I c 167, 169
etc.).
C Proporzioni con arto inferiore.
"La lungheza de lomo dalla spalla a tterra"equivale a tre volte la
distanza dal solco infrapatellare al suolo (F. 6 v).
Il "busto" o tronco, dalla spalla al solco gluteofemorale, misura dorsalmente
" 2 piè" ed " 1 piè" nella sua "parte più sottile", cioè
nella cintola, cosicchè sul tronco possono venire tracciati due quadrati sovrapposti (F.
4 r)
Lo spazio fra " lapichatura del braccjo chol petto" e la radice del pene
equivale alle distanze dalla spina iliaca anterior superiore al solco infrapatellare e da
questo solco alla pianta del piede. (F. 6 v).
La massima larghezza delle spalle e le distanze dallincisura iugulare dello sterno
allombelico e dai solchi infrapettorali alla radice del pene, equivalgono alle
distanze dallapice del malleolo laterale; (F. 6 v)
La massima larghezza delle spalle equivale alle distanze dalla radice del pene alla metà
del ginocchio e da tale livello allarticolazione del piede. 4TP. I c. 167 etc)
Nellindividuo di faccia la distanza, direttamente misurata, dal "taglio del
labro djsotto", cioè dal solco labiomentale, "allomero della
spalla", vale a dire verosimilmente alla convessità laterale del musculo deltoide,
equivale alla lunghezza di un piede. (F. 10 r)
Lo spazio delle papille mammarie allombelico equivale alla lunghezza del piede. (F.
7 r)
La distanza di profilo dalla massima sporgenza della natica alla radice del pene, è un
ottavo della distanza dalla detta sporgenza al suolo, ed equivale allo spazio fra cresta
iliaca a solco gluteofemorale. (F. 11 v)
La distanza del "cazo", cioè dalla radice del pene, al suolo equivale alla
lunghezza di quattro piedi. (F. 11 v)
La concavità mediale del ginocchio è ad uguale distanza dalla radice del pene e dal
suolo. (F. 11 v)
f
VII PROPORZIONI ESTRINSECHE DEGLI ARTI
A Proporzioni tra arto superiore e testa.
"Il b(raccio)", cioè lintero arto, "piegato è 4 T(este). (F. 10 r)
Dallapice del dito medio alla sommità della spalla è la lunghezza di "4 manj
o 4 teste" (F. 12 r),
L'arto superiore (flesso) misura due teste dalla sommità della spalla oal gomito e due da
questo "al nascimento de quatro djti su la palma della mano" (F. 10 r, 11
r 12 r) oppure al1'apice del pollice (P. Ash, f. 28 v; TP. I c. 169 etc.).
Larto superiore misura nelle predette distanze due "lunghezza del viso",
cioè due facce (T P. I c. ,167 etc.).
Durante la flessione, braccio et avambraccio misurano ciascuno, tanto a1 lato estensorio
che al flessorio, due teste; nella estensione al lato flessorio si ha invece la lunghezza
di due teste e mezzo...(?) (F. l0 r).
Laumento di lunghezza del braccio (a1 lato estensorio) nel passaggio dalla
estensione alla flessione dell'avambraccio equivale alla distanza dalla rima orale al di
sotto del mento (F. 10 r).
"Quando jl gomito fa angolo recto" la distanza dellascella alla piega del
gomito e da questa a1 polso sono ciascuna di uno T(esta) (P. Ash. f. 23 v).
Il segmento del braccio interposto fra piega ascellare e restringimento soprastante agli
epicondili misura, ad avambraccio esteso, 1'altezza della testa (F. 11 r).
Lo spessore del braccio addotto, veduto di faccia, subito sotto la piega ascellare, entra
tre volte nell'altezza della testa (F. 6 r)
Lo spessore del braccio all'altezza del ventre bicipitale e quello della parte alta
dell'avambraccio, veduti di profilo con gomito flesso ad angolo retto e palma mediale,
equivalgono ciascuno all'altezza di mezza testa (F. 11 r)
La larghezza deI polso equivale ad un terzo dell'altezza della testa (F. 10 r)
Lo spessore del polso è simile allo spazio dal di sotto del mento alla rima orale (F. 10
r)
La "groseza delle 2 djta della ma(no) dj mezo" equivale alla "grandeza
della bocha" ed allo spazio dalla radice dei "capelli al vertice" (F. 10 r)
Lo spazio fra le articolazioni metacarpofalangee e prime interfalangee delle tre dita di
mezzo della mano distesa, misurato sulla faccia dorsale; quello dalla prima articolazione
metacarpofalangea alla radice dell'unghia del pollice esteso, e la quarta partedella
lunghezza della mano, equivalgono alla distanza dalla rima orale al disotto del mento,
cioè alla quarta parte dell'altezza della faccia (F. 9 r)
La "padella della .spalla", cioè la scapola, corrisponde, verosimilmente nel
suo diametro longitudinale, alla "lungheza del viso", cioè all'altezza della
faccia (A f. 13 r)
Nella prima infanzia la distanza dalla spalla al gomito flesso e dal gomito allapice
equivale allaltezza di una testa (P. Ash. f. 28 v; TP. I c 169 etc.), oppure di una
faccia (TP. I c. 167 etc.)
B Proporzioni tra arto inferiore e testa.
La distanza dalla metà del ginocchio all'articolazione del piede equivale all'altezza di
due facce (TP. I c. 167 etc.),
La "grosseza dalla cosscia in facia è ssimile alla magiore largeza della facia del
viso, cioè J 2/3 dello .spatio ch' è dal mento alla somjtà dal chapo (F. 11 v).
La larghezza della gamba, veduta di faccia, al di sotto del ginocchio equivale all'altezza
di mezza testa (F. 11 v)
La larghezza della gamba, veduta di faccia a livello del polpaccio, equivale a sette
dodicesimi dell'altezza della testa (F. 11 v).
Lo. spessore del segmento sopramalleolare della gamba, veduta di faccia, equivale alla
lunghezza verticale dell'orecchio e ad uno dei "3 spatj in ch' è divjso il
volto" (F. 12 r), o ad un terzo dell'altezza della testa (E. 11 v).
Lo stesso segmento sopramalleolare della gamba, veduto di profilo, equivale alla distanza
dalla "choda", o angolo esterno dell'occhio, al "buso", o orifizio
dell'orecchio, ed a quella dal "lagrimator", cioè dall'angolo interno
dell'occhio, alla radice dei capelli (F. 12 r).
La distanza "infra lli stremj de' polj, dentro e ffori de' piedj, detti tallonj overo
nocj" o "burelle de' piedj", cioè fra i due malleoli, equivale allo spazio
fra rima orale ed angolo interno dell'occhio (F. 9 r)
La larghezza del piede, veduto di faccia; sotto gli apici dei malleoli, equivale a sei
diciassettesimi dell'altezza della testa (F. 11 v).
"Il piè' è ttanto grande quanto tutto il chapo dell'omo", dal di sotto deI
mento al vertice (F. 5 r).
Le distanze dall'estremo posteriore del tallone alla base del quinto dito (solco
plantodigitale), e dal margine anterioire del malleolo laterale all'apice dell'alluce,
equivalgono all'altezza della testa (F. 11 v).
Il piede (scheletro) "dal suo polo", cioè dal malleolo, "alla punta, è
ssimile alla lungheza del viso", cioè allaltezza della faccia (A. f. 13 r)
Il "piè dal suo nasscimento cholla ganba", cioè dalla parte anteriore della
linea articolare, sino all'apice dell'alluce misura la distanza dal solco labiomentale
alla radice dei capelli, cioè cinque sesti dell'altezza della faccia (F. 7 v).
La lunghezza dell'alluce, che equivale alla sesta parte di quella del piede, corrisponde
alla distanza dalla rima orale al di sotto del mento (F. 9 v)
La lunghezza del secondo dito del piede dal fondo del primo spazio interdigitale,
corrispondente alla quarta parte della distanza dalla metà del malleolo mediale alla
punta del piede stesso, equivale alla lunghezza della rima orale (F. 9 r)
C. Proporzioni tra i due arti.
La distanza dall'articolazione della spalla al gomito flesso e da questo all'apice del
pollice equivale alla distanza dalla metà del ginocchio all'articolazione del piede (TP..
I c. 167 etc)
Il piede entra tre volte nella distanza dall'apice del dito medio alla sommità della
spalla (F. 5 r)
La "padella della spalla", cioè la scapola, e verosimilmente nel suo diametro
longitudinale, equivale al piede (scheletro) nella distanza "dal suo polo"
(malleolo) "alla punta desso piedi" (A f. 13 r).
"Tutto il piè entra dal gomjto alla giuntura della mano e dal gomjto
allapichatura di dentro del bracio diver la polpa", vale a dire che la
lunghezza del piede equivale a quella dell'avnnibraccio e del braccio, dal gomito flesso
alla piega ascellare (F. 5 r.) lo stesso rapporto esiste anche a gomito esteso (7 r)
Il braccio, "dove si spicha dalla spalla dinanzi", cioè lo spessore del braccio
subito sotto l'ascella, veduto di faccia, entra quattro volte nella lunghezza del piede
(F. 6 r)
Il segmento sopramalleolare della gamba, veduto di profilo, equivale alla maggior
grossezza del braccio (avambraccio esteso), pure di profilo (F. 12 r)
Il segmento sopramalleolare della gamba, veduto di faccia, equivale alla larghezza del
polso (F. 9 r, 12 r) ed è un quarto della distanza del polso alla punta del gomito. (F.
12 r)
La larghezza del calcagno al di sotto e a1 di dietro dei malleoli equivale alla larghezza
del polso (F. 9 r).
"Il piè è ttanto più lungo che lla mano quanto è" la larghezza del polso.
(F. 9 r)
La distanza "dalla punta della noce del piè dj dentro" , cioè dall'apice del
malleolo media1e a11'apice dell'alluce, è eguale alla lunghezza dell'intera mano (F. 9
r).
I1 piede è inoltre tanto più lungo della mano, "quanto è dallapichatura di
dentro del picholo djto del piè allultimo sportamento del djto grosso", cioè
dal quinto solco plantodigitale all'apice dell'alluce,. "tollendo la mjsura per la
lunga djrittura del piè", vale a dire misurando longitudinalmente (F 9 r)
La lunghezza della "palma della mano sanza le djta entra due volte in el piè sanza
le sua djta". (F. 9 r)
La distanza dalla "giuntura del piè", cioè dalla parte anteriore della linea
articolare tra gamba e piede, sino alla "apichatura" delle dita equivale alla
distanza che è fra "lapichatura della mano", cioè il polso e l'apice del
pollice (F. 9 r).
"La mano chon i sua 5 djti djrittj e sstretti insieme è larga quanto la magior
largeza del piedi, cioè dove si congiungnje cho sua djti". (F. 9 r)
La minore larghezza della mano, dal margine ulnare della palma al radiale nel primo spazio
interdigitale, corrisponde alla minore larghezza del piede nel tratto interposto fra
"lla sua apichatura cholla ganba" e la base delle dita. (F. 9 r)
La lunghezza dellalluce equivale a quella della prima falange del dito medio della
mano. (F. 9 r)
"Nellalzare del chalchagnjo", cioè nel sollevamento del piede sulle teste
dei metatarsali, il "nervo", vale a dire il tendine del tibiale anteriore, e il
"ttallone", cioè il malleolo mediale, si accostano "di un djto"
(trasverso): riabbasandosi il piede, tendine e malleolo si separano un djto"
(Quaderno II, f. 24 r)
CANONE GAURICO 1504
Due generazioni dopo Leon Battista Alberti, si formò di nuovo un umanista di grande
cultura artistica, che aveva qualche punto di contato con lAlberti. Questo umanista
fu Pomponio Gaurico di Napoli; nato nel 1482 a Salerno, poeta e professore di filologia
alluniversità di Napoli, interassato anche della teoria della plastica. La sua
opera De Sculptura pubblicata per la prima volta a Firenze nel 1504, trovò grande
diffusione, tanto per il suo soggetto classico, che per lelegante sapere che veniva
svillupato in lingua dotta.
Notevole, il carattere umanistico del libro, e il manifesto platonismo che specialmente si
rivela nella teoria delle proporzioni, con preciso riferimento al tanto citato Timeo, ma
anche ad altri scritti di Platone; non si deve dimenticare che Platone già nel
Quattrocento faceva parte della leteratura italiana per opera di Marsilio Ficino. Quando
il Gaurico tratta l'armonia della massa corporea con espressa allusione alla musica, o
tratta la tripartizione del viso (parte della fronte, del naso e della bocca) e la fa
coincidere con i tre concetti: del vero, del bello e del buono (sapientia, pulchitudo,
bonitas), è evidente la connessione colla speculazione platonica, anche se qualche cosa
di simile si anuncia in proposito già nel Medioevo. In ogni caso, per la prima volta
questa famosa e famigerata trimurti viene sulla scena della letteratura dell'arte.
(((Sulle proporzioni del fanciullo il Gaurico vuole scrivere un libro particolare, "
se sua sorella avrà un bambino come il giovane autore dice igenuamente, simile in questo
all'altrettanto precoce L. 13. Alberti)))).
"La faccia stessa consta di tre parti: una dalla sommità della fronte, dove nascono
i capelli, fino allo spazio interciliare; la seconda da qui alla punta del naso;
lultima dalle narici al mento. La prima parte è sede della saggezza, la seconda
della bellezza, la terza della bontà. Queste tre parti, moltiplicate come dicono per sé
stesse, daranno lintera statura del corpo umano, cioè le sue nove parti. La prima
parte sarà la faccia stessa, la seconda sarà costituita dal petto, la terza andrà dalla
sommità dello stomaco allombelico, la quarta da questo allestremità del
femore, due saranno comprese nelle cosce fino al ginocchio, e altre due nelle tibie fino
alle caviglie, infine vi sarà la parte estrema dalla caviglia alla pianta del piede, ed
ancora unaltra parte costituita dal collo che va dalla sommità del petto a quella
della gola, mentre larco di semicerchio che si svolge dalla cima della fronte alla
sommità del cranio costituirà unaltra parte.
Infatti le giunture di queste parti, cioè le caviglie e i ginocchi, come linee di
divisione, non si confondono con nessuna di esse. La lunghezza della statura umana risulta
dunque come è stato detto di nove parti, benché altri ne abbiano computate otto, altri
più raramente (perché è quasi come una dissonanza nella musica) sette, altri infine che
non è meno raro dieci.
Lavambraccio poi e il braccio conterranno una parte e mezzo, la mano unaltra
parte, benché vi sia chi misura così: esternamente dalla spalla fino al polso, e
internamente dalle ascelle fino allattacco della palma e delle dita, tre faccie, e
le dita delle mani una faccia. Comunque ciò non importa, purché lintera lunghezza
delle braccia consista in sette volte la misura della faccia, in modo che tra
lestremità delle mani sia compresa la stessa lunghezza del corpo."
CESARE CESARIANO 1521
La prima traduzione in italiano del libro di Vitruvio fu fatta dallarchitetto e
pittore Cesare Cesariano, stampato a Como nel 1521.
Vi sono lunghi commenti sul testo vitruviano e 119 illustrazioni, due delle quali ci
interessa molto perchè trattano della proporzioni del corpo umano.
GUGLIELMO DELLA PORTA 1546 ?
La vera misura del homo.
La vera misura del homo del ditto e cosi queste ditti di groseza fanno uno palmo et che
vole della largheza della palma della mano.
Quatro palmi fano uno piede, sei palmi fanno uno cubito. La longheza di uno homo è
vintiquatro palmi e cosi di sei piedi di quatro cubito è de novantasei ditti.
Sotto la ascelle è la metta della sua longheza. Il basso del petine el mezzo del huomo;
dal a basso del petine per sin al mezo il petto intra la mamela è la quarta parte, e
della insino alla scima della testa è la quarta parte.
Et cosi dal basso del petine per sino sotto al genochio è laltra quarta parte et cosi di
la insino alle esstremi ossi facesi la medesima longhezza fa la larghezza della spalla da
uno esstremo e a lalto.
La medesima longheza e dal cubito per sino alla ponta del ditto piu longo è cosi la
longhezza de uno cupitto et la longhezza delle spalle.
La larghezza della centura è uno piede dela sima del petto alla sima del fronto sotto li
capelli è la septima parte dela longhezza del homo.
Et cosi notta se vi sono piu mesure de hominij.
Del corpo robusto è ben quadrato; il piede la sesta parte dela longheza.
Del altro corpo piu longo in piede è la septima parte dela longheza el corpo humano
non puo pasare sette piede.
Lo diiametro dela per centura la longhezza dela ristretta de la mano per sino alla piaza
dentro il cupito.
dal petto insimo al labro disopra da esso petto per sino al bonigolo dala pianta del piede
insimo al fin dil la e certo.
La extrimita deli ossi se singono la gola, tutti sono la septima parte de una mesura
longhezza.
Il capo del huomo dala sima insino ala extremita dela barba è la ottavo parte, tutta è
dal cubito alla fin dele spale del huomo piu longo.
Lo cercbio del capo dela radice deli capeli del fronte insino alle radice delli capellij
dreto è la quarta parte de le longhezza altro tanto E la longhezza del petto nove face
sono de Uno homo quadrato et compresso.
Dece facce sono la mesura del huomo longo se paetra(?) el homo in 9 facce la fattia
da la cima de la fronte per sino alle stremo de la barba è de la cima dela gola over delo
petto insino ala paerte cima del stomacho in una altra parte.
Da la cima delo stomacho perfino al bonigolo e laltra parte.
Dal bonigolo per sino al femor de baso in un altra parte.
Dala la perfino al genochio dui altre parte.
Dela perfino al nodo del piede dui altre partte le quale sono in tutte .... 8
La parte che resta le fa. dal archo che dela cima dela fronte perfino allvertice che
è la cima dela testa et da quello che resta dal nodo del piede al basso dela pianta
questi 3 spattij congiunti fano la 9. parte.
La longhezza del huomo.
Il petto sia 2 partte
e ogni bracio 3 partte 1/2 di modo che in tutto le bracia sieno 7 parte et lo petto 2 che
fano 9. La mesura del homo partita in 10 parte et proportionatissima et se mesura come
seguisse:
La prima parte dela cima dela testa perseno al baso dala narici.
La seconda dale narici alla cima dil petto. La terza alla cima del stomago. La quarta al
bonicolo.
La quinta al extremo del petine dove la mitta [metà] dela longhezza del huomo da la quale
perfino alle extremo piante sono li 5 altre parte.
La mano del homo dala testa perfino al extremo del ditta di mezzo è 4 parte dele 10.
Dala una ponta dela mamela a laltra è pur una parte dele 10.
Et facendo un altro ponto dala ponto de una mamella a un altro ponte al latra ponta de
laltra, et un altre ponte nel extremo sotto la gola se fara un tre angulo ci vi laltro
cioe che a tutte le parte e quel è nela fronte basa da una orechia a laltra la longhezza
un altra parte 10.
Lo petto cima da una iontura a laltra spala altra sono due parte 10; è uno cerchio pigato
dal mezo dela ciglia super la fronte perfin al fin del occipite dala parte de dreto dove
termino li chapelli e ancora de dou 10.
Lo circulo de tutta la testa pigliando in mezo el fronte e delle tre parte 10. Lo circulo
dela centura in un homo robusto a quatro parte 10.
Et un huomo delichato ha parte et mezzo over quanto è dala cima del petto per sino allo
extremo del pettino.
Lo circulo 9 del petto pigliato per lo assele et le spale ha 5 partte cioe la mita de
tutta la lunghezza del homo levado le bracia in alto lo circulo arriva alla cima dela
testa.
Tanto è dal mezzo allo cima del petto quanto è la larghezza del collo.
Tanto è dela cima del petto al bonigolo quanto è lo circulo del colo.
Tanto è dal mezzo alla cima dela testa questo è la larghezza dela centura.
Tanto è dale intercilio allo esstremo delle narice.
Tanto se intende lo mezzo dalla gola questo è dal mezo mento.
Tanto è dal nodo dela gola sino allo esstremo de essa.
La longhezza della concavita dellij ochij dalli intercilij per sino allij cornici di
detro.
La prominencia dele naricij e lo spatio che è dale narice allo estremo del labro de
sopra, tutte tre queste cose sonno eguali.
La ponta del ongia del ditto indice perfin alla giontura dala parte di fora tanto quanto
da essa giotura alla giontura dela mano in la parte dentro dala cima del ditto di mezo
perfino alla piu Bassa giontura è tanto quanto da assa [essa] giontura alla restieta dela
mano.
Lo piu longo articulo over osso del ditto in diece é tanto quanto la terza del fronte.
Le due altre articulli insieme per insino alla ponta del ongia sono quarto è la longhezza
del vaso cioè dali intercelle per fino alla ponta. Lo primo et lo piu longo articulo
overo osso del ditto di mezo e tanto quanto dale narice alo esstremo del meto, il secondo
articolo del ditto di mezo è tanto quanto dal esstremo del meto alla cima del labro di
sotto, il terzzo articulo del ditto di mezo è quanto dala bocca ale narice. Tutta la mano
e questo tutta la facia il magior articulo del ditto è tanto quanto.
Ser puo aprire la bocca et quanto dela cima la labro di sotto perfino al esstremo del
metto, lo minor articolo del police over ditto groso è tanto quanto dela cima del labro
di sotto al basso delle narici de tutto li articulij dele ongie ne la meta dali
interciglij allij estremo cornicij alle prime orechie. La longhezza del fronto, la
longhezza dalla bocca per lo labro di soppra tutte tre queste cose sono eguali; perchè il
corpo dello huomo come la natura la composto che la facia del capo dal mento à lalta
fronta cioè insino alle basse radice del capello sia la desima parte di tutte il corpo.
similmente la palma delle mane dallo articulo alla estremitta del ditto di mezzo gli sia
altro tanto il capo dal mento alla sommita della cima egli e della ottava a lalta cima la
quarta parte.
Ma dalla alteza di essa facia la tertia parte dal baso mento alla basa narse il vaso dalle
basse narise il fin del mezzo deli sopercilij, altro tanto da qualla fine alle base radici
del capello dové la fronte. Ma il piede è la sesta dalla altezza del corpo et il cubitto
la quarta parte, similmente il petto la quarta parte. Ancora li altrij membri la hanno le
sue commesuatione con le quale hanno usato ancora li mezzi e nobilij staccarij Li quali
hano conseguito grande et infineto lo
La largezza dela palma dela mano et dela pianta delo pede è la medesima.
La alteza che è dal pede piu basso de esso passolo perfino al summo del piede et tanto
quanto e dal summo del pede perfino al estremo de longha dalla cima del fronto perfine
alle intrestutij ochij et de esso al basso dell narice o de essa e estremo del metto sono
tre parte eguale.
Le cilia gionte insieme son tanto quanto deli ocbij, le servi dele orece sono tanto quanto
la bocha aperta.
Li circhuli deli ochij e de orechie et la bocha aperta sono eguali.
La largezza del naso è quanto la larghezza deli ochij.
PAOLO PINO 1548
"Però saccosteremo a Vitruvio, il quale vuole che nel compartire luomo
susi per misura la faccia, chè porta del tesauro nostro, cioè quella
distanza ch è dal mento all'istremità della fronte, dove prencipia la radice
de capegli, benché di quella medesima lunghezza siano le mani, cominciando dalla
giontura della rasetta fin al dito medio. Conviene adonquce chuna figura, a esser di
giusta porzione, sia in altezza dieci faccie, non eccedendo lundecima, a questo
modo: prima, dalla sommità del capo sino allistrema punta dil naso vi sia una
faccia; dalla punta del naso sino allosso forculare, over sommità dil petto, vi è
la seconda e dalla sommità del petto al concavo, over bocca del stomaco, vi è la terzia;
da indi allumbelico si distingue la quarta; poi sino ai membri genitali è la
quinta. E qui è la metà della forma; dico dallosso forculare sino alla pianta
de piedi, no vi ponendo il capo, per chil meggio delluomo integro è
lumbelico. La coscia, parte della gamba insino alla punta del ginocchio, è distinta
in due faccie, e dal ginocchio alla pianta de piedi vi sono tratte laltre tre.
A tal modo la figura si fa in dieci faccie, la qual cosa è stata da me col vivo
certificata. E per darvi lordine integro, le braccia denno esser tre faccie lunghe,
cominciando dalla legatura della spalla e continuando fin alla giontura della mano detta
rasetta; e sappiate che la distanzia chè dal calcagno alla somità o collo del
piede è anco medesimamente dal collo de piedi fin allistremità delle dita;
poscia la grossezza delluomo, cingcendolo sotto le braccia, è per la metà della
lunghezza.
LA, Oh, quanto mè grato tal ragionamento, e non di poca utilità!
FA. La facci, da noi usata come misura, si divide in tre: un terzo della qual è dalla
barba insino sottil naso, la seconda è dai fori del naso alla equalità delle
ciglia, la terza et ultima dalle ciglia sino al fine della fronte. Unaltra
sottilità vi dico, che nelle dita della mano vi sono tutte le misure della faccia, una
delle quali è dal nodo del meggio sino alla punta del dito indice vi quanto dal mento
alla fessura della bocca, e quanto è lunga la bocca et anco quanto sono lunghe
lorecchie; poi dallaltra giontura del dito indice più verso lugnia,
insino allistremità del dito, vi è la lunghezza dellocchio, e tantè
distante in occhio dallltro, quantè lungo un occhio; poi tanto è lontana
lorecchia dal naso, quanto è lungo il dito medio. Cosi tutte le membra e gionture
sono conformi e corrispondenti insieme. E sappiate chin un corpo umano, che sia
integro, vi sono inclusi sei cento e sessanta sei membri, tra vene, nervi, ugnie e
nodi."
GIORGIO VASARI 1550
"Costumasi per molti artefici fare la figura di nove teste la quale vien partita in
otto teste tutta eccetto la gola, il collo e laltezza del piede, che con queste
torna nove. Perché due sono gli stinchi, due da le ginocchia a membri genitali, e
tre il torso fino alla fontanella della gola, et una altra da 1 mento
allultimo della fronte, et una ne fanno la gola e quella parte che è da1
dosso del pie de alla pianta, che sono nove. Le braccia vengono appiccate alle spalle, e
da la fontanella a la appiccatura da ogni banda è una testa; et esse braccia fino a la
appiccatura delle mani sono tre teste; et allargandosi luomo con le braccia apre
appunto tanto quanto egli è alto."
GIROLAMO CARDANI 1553
DE SUBTILITATE LIBRI XXI
Corporis perfecti forma humani haec est: totius longitudinis à capilloru ortu ad pollicis
digiti pedis extremu, facies pars decima est. Hunc per tria aequalia dividit spacium, quod
est à nasi summo ad capillorum originem, e ab illius imo ad mentu,ut nasus sit totius
faciei pars tertia,e corporis totius longitudinis trigesima: oris diductio,seu longitudo
ipsa,aequalis est oculoru longitudini,quae ab angulo hircqui ad lachrymalem extenditur.
Sed hoc spacium aequale est interstitio ocularum,ut trifariam diuisum sit, quod est ab
hircquo ad hircquu,scilicet duobus oculis e medio spacio intercepto, hoc totum duplum est
nasi logitudini, ut sit oculi longitudo, uel oris diductio dupla nonae parti longitudinis
faciei: ob id etiam oculi longitudini, e ori diductio, nasi longitudo sesquialtera est,
quae cùm sit tripla spacio, quod est ab imo nasi ad os,erit hoc spacium dimidiu
diductionis oris uel longitudinis oculi. Oris ambitus duplus nasi longitudini, e triplus
diductioni. Totius igitur faciei longitudo sesquialtera est oris ambitui seu spacio inter
hircquos ocularum contento: nam hoc spacium aequale est cum oris ambitu. Nasi ambitus in
imo quanta eius longitudo, longitudo uerò nasi aequalis auris est quarta longitudinis
oculi. Sic igitur disponantur:
facies-----------------------------------par.18
ab hirco ad hircquum-----------------par.12
nasi longitudo-------------------------par.6
nasi ambitus in imo-------------------par.6
auris longitudo------------------------par.6
à capilloru radice ad nasum---------par.6
nasi imum à mento-------------------par.6
oris longitudo-------------------------par.4
oris ambitus---------------------------par.12
à uertice ad imas ceruices-----------par.24
à summo pectore ad
capilloru summas radices-----------par.30
à summo pectoris seu
furcula ad uerticem------------------par.36
auris ambitus-------------------------par.12
oculorum distantia-------------------par.4
à nasi imo ad os----------------------par.2
ab ore ad mentum--------------------par.4
nasi foramen--------------------------par.1
fronti ambitus summi----------------par.18
palma manus ab articulo ubi
iugitur ad summu medij digit-----par.18
à mento ad uerticem-----------------par.24
pes-------------------------------------par.20
cubitus--------------------------------par.30
pectus---------------------------------par.30
totum corpus-------------------------par.180
Musculi etiam temporum faciei longitudini proportione respondent: e naso aures ut
obseruauimus. Ambitus quo calcis quà pes flectifur,aequalis est circuitui surae: unde
ocreis mensura. Iten à manus nodo ad summum digit medis pars decima totius longitudini,
à mento uerò ad uerticem, uel à uertice ad imas ceruicis partes duplum eius quod est
spacij ab hircquo ad hircquum. Nam à capillorum radice ad uerticem quantum est nasi
longitudo. À furcula pectoris superiore ad radices capillorum, finem frontis, quantum est
cubitus seu latitudo pectoris, id est, totius corporis longitudinis pars sexta. Pedis
uerò longitudo, à furcula rursus superiore pectoris ad uerticem pars quinta totius
longitudinis, duplum faciei. Sic apud Uitruuium litera debet emendari, cùm constare non
possit ratio, ut differentia octauae e decimae partis ad dita sextae, impleat partem
quartam totius. Expansis autem manibus, altitudo totius corpori ad unguem impletur: e si
pedes ac manus diducas, umbilicus circulus, amb in suo genere figurarum perfectissimae,
altera rectilinearum, reliqua obliquarum consurgant. Tam exacta diligentia in mensuris
natura utitur, sed nec minus in temperatura acmistione: quamobrem nunc de ea dicere iam
tempus est, initio à generatio ipsa sumpto.
LODOVICO DOLCE 1557
"Fab. Mi sarebbe grato, signor Pietro, che qui mi deste qualche regola della misura
del corpo umano.
Aret. Farollo volentieri, parendorni gran vergogna che luomo ponga tanto studio in
misurar la terra, il mare et cieli, e non sappia la misura di sè stesso. Dico adunque
che, avendo la prudente natura formata la testa delluomo, come rocca principale di
tutta questa mirabil fabrica chè chiamata picciol mondo, nella più elevata parte
del corpo, tutte le parti di esso corpo debbono convenevolmente prender da lei la loro
misura. Dividesi la testa, o diciamo faccia in tre parti: l'una dalla sommità della
fronte, dove nascono i capegli insino alle ciglia; lalta dalle ciglia insino alla
estremità delle narigie lultima dalle narigie insino al mento. La prima è tenuta
seggio della sapienza, la seconda della bellezza e la terza della bontà. Dieci adunque
teste, secondo alcuni, forniscono il corpo umano; e. secondo altri, nove, et otto, et anco
sette. Scrivono autori celebratissimi che e non può crescere in lunghezza più che
sette piedi; e la misura del piede sono sedici dita. La misura del mezzo della lunghezza
si piglia dal membro genitale e il centro del medesimo corpo umano è naturalmente
lombilico. Onde, ponendosi luomo con le braccia distese e tirando linee
dallombìlico insino alla estremità de piedi e delle dita delle mani, fa un
cerchio perfetto. Le ciglia giunte insieme formano ambedue i cerchi degli occhi; i
semicircoli delle orecchie debbono esser quanto è la bocca aperta; la larghezza del naso
sopra la bocca, quanto è lungo un occhio. Il naso si forma dalla lunghezza del labro; e
tanto è un occhio lontano dallaltro, quanto è lungo esso occhio e tanto la
orecchia dal naso, quanto è lungo il dito di mezzo della mano. Poi la mano vuole esser
quanto è il volto; il braccio è due volte e mezzo grosso, cioè dalla parte che finisce
ove ha principio la mano; e la coscia è grossa una volta e mezza come il braccio,
pigliando di quello la parte più grossa. Dirò la lunghezza più distinta. Dalla sommità
del capo insino alla punta del naso si fa una faccia; e da questa punta insino alla
sommità del petto, che è losso forcolare, si fa la seconda; e dalla sommità del
petto insino alla bocca dello stomaco vha la terza; da quella insino
allombilico si contiene la quarta, e insino a membri genitali la quinta, che
è apunto la metà del corpo, lasciando da parte il capo. Dindi in poi la coscia
insino al ginocchio contien due faccie, e dal ginocchio alla pianta de piedi
contengonvisi le altre tre. Le braccia in lunghezza sono tre faccie, cominciando dal
legamento della spalla insino alla giuntura della mano. La distanza chè dal
calcagno al collo del piede, è dal mdesimo collo insino alle estremità delle dita. E la
grossezza delluomo, cingendolo sotto le braccia, è giusto la metà della
lunghezza."
VENUSTI 1562
Venusti voleva descrivere un canone nuovo , con "alcuni bellissimi secreti, circa la
misura, et alla proportione", che gli "furono insegnati dal Sig. Girolano
Ficino, intendente anatomista ....", ma il suo testo non è che una rigorosa
descrizione dellHomo vitruvianus di Leonardo, atravverso le parole del Ficino.
Così scrisse: "Dal nascimento de capelli infino sotto il mento è la decima
parte della lunghezza dellhuomo: Di sotto il mento alla sommità del capo è
lottava: Dalla sommità del petto alla cima del capo è la sesta: Dalla cima del
petto al nascimento de capelli è la settima: dallle poppe alla cima del capo è la
quarta: La maggior larghezza delle spalle è la quarta: Dal gomito alla punta della mano
è la quarta: Dal gomito al principio della spalla è lottava: Tutta la mano è la
decima: il piede è la settima: Dal piè al ginocchio è la quarta : Dal ginocchio al
nascimento del membro virile è la quarta: Il membro virile nasce nel mezzo del corpo
humano: Tanta è la lunghezza di ciascuno da piedi alla cima del capo, quanta è la
distantia dalla sommità de più lunghi diti delluna mano alla cima di quelli
dellaltra; tenendosi però le braccia distese: Dal mento al naso, dal naso alle
ciglia, dalle ciglia al nascimento de capelli, e dallocchio allorecchio
sono spatij eguali, e grandi quanto è lungo lorecchio; e ciascuno de predette
spatij è la terza parte del volto: Il diametro della cintura, la distantia dalla poppa al
fianco, dalla piegatura della mano alla piegatura di dentro del braccio, dalle punte delle
mammelle allombilico, dalluna e laltra estremità dellultime ossa
del petto che cingono la gola, dalla cima del petto al nascimento de capelli, dal
fianco al nascimento del membro virile, è la settima parte della lunghezza
dellhuomo; e ciascuna delle predette misure è la metà dello spatio, che è dal
mezo della borella del ginocchio al fin del calcagno per tralasciare laltre
moltissime misure e proportioni interiori del corpo humano."
È molto interessante che il Figino, atravverso le parole di Venusti, riscontra il modulo
leonardesco di 1/7 dellaltezza totale del corpo per certe altre parti del corpo
rappresentato nel disegno della Galleria di Venezia. Anche se Leonardo non le indicò
direttamente, esse sono accertabile nel disegno, come ad esempio, il modulo di 1/7 che va
dalle " punte delle mammelle allombelico", o nel "diametro della
cintura".
DANIELLE BARBARO 1564
Danielle Barbaro nel suo splendido commento al terzo libro del De Architettura di
Vitruvio, scrisse: " tanta è la forza della proportione, tanta è la necessità,
tanta è l'utilità di essa nelle cose, che non può alcuno nè all'orecchie, nè a gli
occhi, nè a gli altri sensi recare alcuna dilettatione senza la convenevolezza, e la
rispondenza della ragione, la dove tutto quello, che diletta, o piace, non per altro
diletta e piace, se non perché tiene proportionate misure, e moderato temperamento."
(Barb. , Vitruv., III p. 97)
Nel suo libro (Perspectiva) troviamo un disegno che illustra le divisioni del corpo umano,
senza però alcuna descrizione teorica desso. Vi è scritto solamente questo:
"E modo Vitruvio divide piu largamente il corpo humano. Ma Alberto Durero piu
minutamente misura ogni particella, come si vede nei suoi scritti. Hora usando io una via
di mezzo, che ci può servire al presente bisogno, piglierò la misura del corpo humano da
una parte di esso, con laquale lhuomo da se stesso si può misurare, & è opera
meravigliosa di natura, & giudicio dellarte, Imperò che larte piglia per
misurare una una quantità mediocre, & conosciuta, accioche si venga per quella in
cognitione duna quantità non conosciuta, & la natura ha posto nel corpo humano
quella parte, che hà da esser misura delle altre in luogo, che ella si può applicare
quasi ad ogni parte del corpo, & questa è il dito grosso della mano detto pollice, da
i latini. col quale lhuomo puo commodamente misurare quase tutto se stesso. Lo
essempio & la figura istessa dimostrerà chiaramente quanto ho deto." (Barb.
perspect.)
,RAFFAELLO
Lettera al Castiglione p.20
"....e le dico che, per dipingere una bella, mi bisognaria veder più belle, con
questa condizione: che Vostra Signoria si trovasse meco a far scelta del meglio. Ma,
essendo carestia e di buoni giudici e di belle donne, io mi servo di certa idea che mi
viene nella mente. Se questa ha in sé alcuna eccellenza darte, io non so; ben
maffattico di averla."
MICHELANGELO
" So ben che quando legge Alberto Durero, gli par cosa molto debole, vedendo
collanimo suo quanto questo suo concetto fosse per essere più bello e più utile in
tal facoltà. e a dire il vero Alberto non tratta se non delle misure e varietà dei
corpi, che di certa regola dar non si può, formando le figure ritte come pali; quel che
più importava, degli atti e gesti umani non ne dice parola."
"E poiché oggimai è detà grave e matura nè pensa di poter in scritto
mostrare al mondo questa sua fantasia, egli con grande amore minutissimamente mha
ogni cosa aperta; il che anco cominciò a conferire con messer Realdo Colombo, notomista e
medico cerusico ecceleentissimo ed amicissimo di Michelagnolo e mio; il quale per tale
effetto gli mandò un corpo morto dun moro, giovane bellissimo e quanto dir si possa
dispostissimo, e fu posto in Santa Agata, dove io abitava e ancora abito, come in luogo
remoto; sopra il qual corpo Michelagnolo molte cose rare e recondite mi mostrò, forse non
mai più intese, le quali io notai tutto, e un giorno spero collaiuto di qualche
uomo dotto dar fuore a comodità e utile di tutti quelli che alla pittura o scultura
voglion dare opera."
SONETO XCIV
Per fido esempio alla mia vocazione
Nel parto mi fu data la bellezza
Che dambo l'arti mè lucerna e specchio;
Saltro si pensa, è falsa opinione.
Questo sol locchio porta a quella altezza
Cha pingere e scolpir qui mapparecchio
Se i giudizi temerari e sciocchi
Al senso tiran la beltà, che muove
E porta al cielo ogni inteletto sano,
Dal mortale al divin non vanno gli occhi.
Infermi, e fermi sempre pur là dove
Ascenden senza grazia è pensier vano.
In una lettera a monsignor Aliotti del 1542 Michelangelo scrisse: "si dipinge con il
cervello e non con le mani". Il Vasari poi cita le sue parole "bisogna avere le
seste negli occhi e non in mano, perché le mani operano e locchio giudica".
DANTI 1567
" È ben vero che alcuni antichi e moderni hanno con molta diligenza scritto sopra il
ritrarre il corpo umano; ma questo si è veduto manifestamente non poter servire, perchè
hanno voluto con il mezzo della misura, determinata circa la quantità, comporre una loro
regola: la qual misura del corpo umano non ha luogo che non ha in sé proporzione stabile.
Perocché, come dissi nel capitolo della bellezza, la puerizia e ladolescenza vanno
continuamente crescendo in sino alla gioventù in proporzione, e poi, più presto che no,
scemando insino alla vecchiezza tal che i membri non hanno fermezza alcuna. (...) E per
questa mutazione la misura determinata, circa la quantità, non ha luogo stabile nè
preciso, come ella ha di bisogno. Ma è ben vero che, se detta misura potesse essere in
una di queste età di tutta perfczzione, si potrebbe dire che a tutte letà
delluomo si potesse dare una particolare misura. Ma si vede che nè perfettamente
nè appresso in alcuna di quelle si può usare perchè, dato chella desse a tutte le
membra una assegnata misura, a ciascuno per sè et insieme al tutto di loro (il che ancora
si può negare), dirò che tutti membri principali variano e di lunghezza e di grossezza
nel moversi, come apertamente ciascuno per sè può vedere; di maniera che, avendo noi
bisogno, quando in una attitudine e quando in unaltra, di adoperare il corpo umano,
non può per questa varietà questa cotale misura attuale servirci, come dependente dalla
quantità. E di più, come io dissi, si può negare che per alcun membro possa giustamente
ricevere misura, perché una cosa che si ha da misurare bisogna che abbia in sé o punto o
linea; la qual cosa in niun membro del corpo umano apparisce precisamente, si come è
manifesto. Se, verbigrazia, si ha da misurare un braccio, et in esso la mano, e della mano
le dita, dove sarà egli in queste parti il preciso termine che possa giustamente
ricevere, come si conviene, la punta delle seste? Certamente questo si vede, che più
tosto per apposizione che per misura si potrebbe essequire. Talché vedemo apertamente che
per questa via non si può condurre un composto di figura ben proporzionato; ma sì bene
con la misura intellettuale vedremo di mano in mano questa artifiziosa proporzione del
composto delluomo potersi misurare perfettamente, come si disse di sopra.
Allarchitettura è stata facil cosa poter dar regole et ordini diversi per lo mezzo
della misura, perocché, quanto alle fabriche, ella consiste di punti e di linee, alle
quali facilmente si può procedere con la misura; ma alla pittura e scultura, non
ricevendo esse precisa misurazione, non si è insin qui data regola alcuna che possa
perfettamente intorno a quella operarsi. Ma questo modo di ordine, che io disegno sopra
ciò fermare, mostrerà apertamente una misura, per lo mezzo del giudizio, la quale in
tutte le membra del corpo proporzionata si ritiaova e questa sarà circa la
qualità."
Danti cerca di ridurre lanticanonismo michelangiolesco (il giudizio dellocchio
che rifiuta le misure fisse) ad una vera regola che parte dalla figura delluomo
eccelzialmente dotata. Egli condivideva lopinione della misura intelletuale, non
matematica del maestro ma allo stesso tempo ne dà una interpretazione accademica che
contradisce letetica riviluzipnaria individualista di Michelangelo.
Panofsky p.58 " La stessa epoca che difende così animosamente la libertà artistica
contro la tirannia delle regole darte fa dellarte un cosmo razionalmente
organizzato, le cui leggi deve imprescindibilmente conoscere anche lartista più
favorito dal genio, come quello che nè sprovvisto."
CODEX HUYGENS 1569
Uneccezionale testimonianza dellinteresse per la teoria e la pratica
proporzionale attraverso un recupero del lavoro di Leonardo è documentata dai
centoventotto fogli del Codice Huygens della Morgan Library di New York, una raccolta di
disegni recentemente attribuita al pittore cremasco Carlo Urbino e databile verso il
1569.Il Codice, prima ritenuto addiritura di mano di Leonardo e poi considerato come copia
di un suo lavoro perduto, è in realtà una raccolta di disegni che doveva costituire un
trattato più ampio e complesso che ha come titulo "Le Regole del Disegno". Era
prevvista una suddivisioni in quattordici libri, ma ne rimangono solo cinque che
affrontano rispettivamente i seguenti argomenti: I) forma e estruttura del corpo umano;
II) teoria dei movimenti umani; II) proiezioni parallele; IV) teoria delle proporzioni; V)
prospettiva.
È quindi il IV libro che in maniera specifica si occupa del problema proporzionale, ma
indicazioni sono anche date nel I libro per la stretta connessione esistente tra le misure
della figura ed il problema del movimento delle membra.
Questo disegno sembra quasi una summa di esperienze di autori precedenti relative
allorganizzazione della figura in forme geometriche.
Il disegno del foglio 3 propone una divisione del corpo umano con il canone
pseudo-varroniano, completato con le sopraposizioni delle suddivisioni in cubiti
vitruviane, molto interessante. Dunque, viene presentata la ripartizione in 7 teste e 1/2
e a quella in 6 piedi e 1/3 la suddivisione in "VIIII. F" (9 facce), come appare
segnalato nellalto del disegno. La nona faccia è la soma del modulo della sommità
del capo di 1/4, della golla di 1/3 e del piede di 1/3.
Nonostante la compresenze di diverse tipologie, in realtà nei fogli del Codice prevale
nettamente lutilizzo del sistema proporzionale vitruviano, ossia, le ripartizioni in
"facce", "teste", "piedi", "cubiti".
Strettamente legati ai fogli del Codice Huygens sono due disegni con misure proporzionali
conservati presso la Church Library di Oxford. Uno di questi due fogli mostra la figura di
un uomo disegnato dai tre punti di vista tradizionali, ma in parte sovrapposti tra loro
con un procedimento riscontrabile anche nella parte centrale del foglio 33 dello stesso
Codice Huygens. Il disegno propone inoltre una divisione effettuata con incisive linee
orizzontali che ripartiscono la figura esattamente in otto parti: è chiaramente la
suddivisioni vitruviana con il modulo "testa". Nella parte inferiore del foglio,
lautore, con uno schema illustrativo, divide il cubito in 6 parti, il piede in 4 e
la testa in 3, in modo che qualsiasi modulo si prenda per la ripartizione il risultato è
sempre di 24: "acordando per ciascuna il numero in 24 Parti / Proportione
(considerata) da letterai (disegnatori di lettere) et la Più bella".
La stessa divisioni in parti del cubito, piede, testa si nota anche nellaltro foglio
di Oxford. In questo caso viene sottolineata una ulteriore frammentazone: "che uene
a(e)ssere alta la figura parti 24. et particelle 120". Evidentemente si suppose di
suddividire ulteriolmente ciascuna parte in cinque particelle minori. È una minuziosa
divisione che rimane però solo a livello di proponimento teorico in quanto il foglio
presenta solo le scansione più evidenti.
Questo è uno dei disegni che con più completezza lascia intravedere, associate tra loro,
le diverse divisioni vitruviane. Un uomo, con un braccio alzato, è inserito in un
quadrato e in due cerchi di differente grandezza aventi come centro i genitali (il più
piccolo) e lombelico (il più grande). La figura, con tracce delle traiettorie dei
possibili movimenti, è suddivisa esattamente, dai piedi alla sommità del capo, in
quattro cubiti, in sei piedi, in otto teste e in dieci facce. inuziamente, nella parte
inferiore del foglio, ciascuna di queste proporzioni vieni descritta partendo dalla base.
Così, ad esempio, il primo "piede", che costituisce 1/6 dellaltezza della
figura come nel disegno del Codice Huygens e a differenza di quello di Leonardo, va
"dalla pianta del piede sino al mezzo delle osso della stinca" e così via.
Il disegno di Oxford è molto interessante anche perché presenta concretamente la rara
suddivisioni in "piedi",cioè in sei parti secondo le indicazioni di Vitruvio.
Il modulo pide inoltre è curiosamente utilizzato anche per la misura del braccio che è
disegnato a parte, il quale è appunto diviso in due piedi più una faccia per la mano che
va a sovrapporsi parzialmente al secondo modulo.
codex huygens:: FORMA E STRUTTURA DELLA FIGURA UMANA
Il primo libro (fogli 1-10 esclusi i fogli 5,6,8) si occupano dei "Lineamenti della
forma umana guidati della verità e semplicità del compasso", il quale significa che
la forma e struttura del corpo può essere determinato attraverso metodi geometrici.
Foglio 1 (fig. I)
"Prima figura del disegno trovato dall(uo)mo. Schema linear della figura umana
in vista frontale, con gli arti e i principali assi orizontali (attraverso le spalle, la
vita, il pelvi) ridotte a linee diritte. Lasse centrale della figura è indicata da
una linea perpendicolare al "piano naturale". Laltezza totale della figura
è delimitata da un "circolo minore" il quale ha il suo centro nel "mezzo
della figura". Il "circolo maggiore" è descritto inttorno
allumbilico e tocca le punte delle dita dei piedi e delle mani quando la figura è
con le gambe aperte a 60 gradi e le braccia distese alzate a 30 gradi. Giacché questa
regola è data nella descrizioni di Vitruvio dellHomo bene figuratus" il
circolo maggiore sarà dora in poi riferito come circolo vitruviano.
Molte delle principali misure interne della figura sono pure prese da Vitruvio, ossia
laltezza totale in 4 cubiti o è piedi o 8 teste o 10 facce.
La faccia è divisa in tre parti uguali, la lunghezza delle braccia in due piedi; la
lunghezza della mano uguale a quella della faccia. Le dimensioni trasverse sono: un cubito
attraverso le spalle, un cubito attraverso i "galloni" (lanca), un piede
attraverso le "poppe" e un piede per la "cintura".
Addirittura un scopo molto più importante della figura è indicare i punti significanti
dove ci sono movimenti nel corpo.
Questi punti sono segnati dalla parola MOTO e sono:
A- collo
B- alla cintura
C- alli varchi et galloni
D- al ginocchio
E- alle cavichie del piede
F- al primo delle dita, overo tacatura del piede
G- alla seconda piegatura
H- alla terza piegatura
I- alle node della spalle
J- al gomito
K- alla chive della mano
La vita è indicata come "parti di moto", il gomito è descritto come
"parte di moto del brazzo", e le articolazioni delle dita ssono segnate "m,
n, o sono alle nodi delle dita".
Foglio 2
È intitolato "Seconda figura". Lo scheletro umano, è visto in tre posizioni,
dorsal, profilo e frontale. Lasse verticalesono incrocciate dalle linee orizzontali
cosicchè si possono leggere facilmente le divisioni.
Comunque, questo non è in ordine solamente per farci sapere le misure e numeri originari,
sebbene le forme geometriche dopo essere applicate nella attuale figura, ("il primo
misuramento et numero, et le forme giumetrici applicate puoi alla vistetura della
carne") che sappiamo bene essere "lossatura", ma anche in ordine di
riconoscere"i veri luoghi e effetti dei movimenti". Dato i "veri termi
delle positure" è possibile esprimere i movimenti in termini come angoli retto,
acuto, ottuso.
Foglio 3
È intitulato "Terza figura
I tre scheletri rappresentati nel foglio 2, adesso sono rappresentati con la
"vestitura della carne", e le principali divisioni della figura sono segnate con
delle lettere:
F 123, la testa e faccia
C collo
F fontanella del collo
P petto
C cintura et sopra a galoni
V umbelico
O el mezzo et pelignone
K coscia
G ginocchio
S stinco
P piede
Foglio 67 (fig. 34)
Le distanze delle articolazioni dellomero fino allorecchio e dai genitali fino
alla estremità superiore pelvica e le due metà delle coscie (una della quale è
comparata con la mano ) sono segnate "una testa". Dallo stinco al
ginocchio?????????
Nel disegno è scritto:
"K.r.p.q.f.d.so ciascun 2. teste
"K.4.f.k.f.c.f.g.4.f.r.g.r.s.p.7.9.c.d.8.b.e. son simili vna Testa
"B. che nella Testa.c.e.t.u.ciascuna entra.4. volte dalla somita del capo
aterra.
"f.c.d.e. Teste. 3. d.n. vn pie.
"a.b.vn pie. r.s.t.u. son simili, e, ciascuno entra. 3.uolte dalla spalla a
terra,
"La poppa la cintura sul fianco languinaglia . . . .il mezzo dil ginochio el talon
son simili e, ciascuno entra .4. uolte dalla poppa al talon, tanto e, da luna magior
largheza allaltra de fianchi quato e dalla fontanella alla piccatura de capegli che
e vna Testa emezzo.
"Dalle reni oschena al petto vn pie.
"dalle nate al pettignone vn Pie: dubio."
FOGLI OXFORD
Nella sommità della spalla vi è un punto che con un compasso tracciando mezzi cerchi si
trovano laltezza del braccio e del gomito nel loro moto.
Il cerchio maggiore fu tracciato avendo il raggio dallombelico alla pianta dei
piedi, invece il cerchio minore ha come centro la metà del peni a differenza degli altri
canoni nella radice del peni. Unaltro piccolo cerchio molto minore di
questultimo, parzialmente tratteggiato, ha sempre il suo centro nella metà del peni
e il raggio nella metà delle ginocchie.
Nel lato sinistro della figura vi è uno tentativo di mettere la figura in un quadrato.
Nello spigolo in alto fu tracciato una linea diritta fino alla sommità della spalla che
vuole rappresentare un braccio alzato.
Il quadrato non nasce a caso, perchè vuole teneree la misura fissata delle aperture delle
gambe in un triangolo equilatero. Dalla intersezione delle linee del triangolo equilatero,
il quale ha il centro nella metà del peni, nasce un punto del quale poi è tracciato il
quadrato che però non combacciano con le lunghezze della linea diritta che rappresentare
un braccio alzato perchè essa è più lunga
I valiri di ogni moduli sono date nello schema sotto della figura, rappresentano che la
figura umana è suddivisa in 24 unità o 120 gradi ("punti").
Sotto tale disegno vi è ancora segnato:
"Cubito · parti · VI
piedi · parti · iiii ·
Testa parti · iii ·
Faccia parti · ii · et doi quinti che viene a(e)ssere alta la | figura parti .24. et |
particelle 120."
A destra del foglio vi è un braccio destro piegato a 90 gradi, e in questo dalla sommità
della spalla (acromion) al gomito, e da questa al POLSO??(nome esatto dellosso) vi
è scritto "piedi". Dallacromion al muscolo????? vi è scritto
"faccia", e sotto il disegno vi sono delle segnalazioni:
Del brazzo si cava tutto | El misuramento
Del corpo | Humano et nel manegio | Vmano
ALTEZZA DELLA FIGURA
i Cubiti .4. il primo dalla pianta del piede sino al ginochio rip(ar)tito in .6. parti
sono .24. parti
2 il secondo · dal · ginochio · alla mita dela figura
3 il terzo ariua alli capitinice delle poppe
4 il quarto ariuara et Fenisie el somo del capo
Piedi sei alta la figura et Ripartito in 4 parti sono parti 24.
i il primo dalla pianta del piede sino al mezzo delle osso della | stinca
2 il secondo ariua at termine del moscolo di mezzo dalla cossia | di sopra al ginochio
il Terzo al mezzo dell a figura
4 il quarto alla cintura et fino delle coste vltime
5 il quinto al drito delle spalle
è il sesto et ultimo confina al somo del capo
Teste .8. alta · ripartita in .3. parti sono .24. parti
i la prima dal somo del capo sino al mento
2 la seconda dal mento a capitelli delle poppe
3 la terza di sopra al (cancelato) · alunbelico
4 la quarta alla mita della figura
5 la quinta al fine del moscolo della coscia
6 la sesta al di soto del ginochio
7 la setima al mezzo della ganba al fine del | moscolo della polpa di dentro
8 la otava et ultima alla bassa del piede
Dela fascia sono dieze parti .2. 2/5
1 la prima dal sumo del capo sopra al labro
2 la seconda del labro sino ala ligatura dele spalle
3 la Terza sul dietro della posiatura del core
4 la quarta al mezzo del gallone
5 la quinta ala mita della figura
6 la s(est)a amezo ala conscia
7 la setima di sopra del ginochio
8 la otava al cresimento della polpa di fora uia
9 la nona al diminuir di essa polpa & comin |cia la seconda
10 la Dezima et ultima alla basa del piede
RAFAELLE BORGHINI 1584
"Ma le misure che osservar si deono, fuor che ne sopradetti casi, son queste.
Primieramente la testa delluomo si divide in tre: la prima è dal cominciamento
de capelli al principio del naso, e questa è chiamata la fronte; la seconda è
dallattacatura del naso alla sua fine, e la terza è dalla punta dal naso alla punta
dal mento. Una fronte è dal mezo del naso fra due occhi alla tine della lunghezza
del ciglio; una fronte dalla fine dal ciglio al principio dellorrecchio, da un
orecchio allaltro piliando tutte lorecchie una testa. Nella mano ancora sono
tutte le misure della faccia, percioché dalla nocca di mezo del dito indice fino alla
punta vi è quanto dalla punta del mento al congiungimento insieme delle labra, et
altretanto è lunga la bocca e tanto ancora son lunghe lorecchie et il naso;
dallultima nocca verso lugnia del detto dito fino alla punta vi è la
lunghezza dellocchio, e tanta è la distanza dallun occhio allaltro. Il
dito del mezo della mano è tanto lungo quanto lo spazio che è dallorecchio al
naso; e tanto è dalla punta del naso al principio dellorecchio, quanto è dalla
punta del mento alle ciglia. Le figure la maggior parte degli scultori costuma farle di
altezza nove teste, misurando in questa maniera. Due teste fanno gli stinchi, due dalle
ginocchia a testicoli, tre il torso fino alla fontanella della gola, una dal mento
fino allultimo della fronte, et una ne fanno la gola insieme con quella parte che è
dal dosso del piede alla pianta: che in tutto vengono a fare il numero di nove. Le braccia
poi si fanno appicate alle spalle, e dalla fontanella della gola allappiccatura da
ogni banda dee essere una testa, e le braccia hanno ad aver di lunghezza quatro teste,
misurando dalla punta della spalla fino al gomito due teste, e la mano sia lunga un testa,
e dalla punta dellorecchia alla fontanella della gola si dee fare una testa, e la
gamba nella polpa sia tanto misurandola in faccia, come in profilo."
BERNARDINO CAMPI 1584
Il libro intitulato Parer sopra la pittura, del pittore cremonese Bernardino Campi,
pubblicato nel 1584 è un testo in cui prevalgono le osservazioni ed i consigli di tipo
tecnico-artigianali.
Alla fine lautore acenna un canone della proporzione del corpo umano, però senza
trattenersi nella teoria desso, preferendo usare di un disegno per spiegare ed
illustrare le sue idee.
Infatti scrisse: "Io ho parlato sopra il dissegno, hor mi resta ricordarvi che
diligentemente osserviate la misura nel far le figure: & il mio parere della misura è
questa signata qua dietro..."
Purtroppo egli non si sofferma sullanalise del sistema del suo canone, anche se la
stampa inserita nel testo è abbastanza eloquente. Trattasi di ua figura maschile, vista
di fronte e di profilo, inserita in un reticolato proporzionale, con una suddivisione che
potrebbe essere considerata di 9 facce ed 1/3.
Il modulo faccia è suddiviso in tre parti, secondo il sistema tradizionale, poi viene
ripetuto per otto volte acui si aggiunge la nona faccia ottenuta con lunione del
collo (una parte), dal ginocchio (due parti) e il terzo finale è costituito del piede.
ARMENINI 1586
"Ma è da sapere che in tutti ci vuole le sue debite misure, delle quali noi
esporremo solamente le maggiori, con lasciar le minute particelle e sottigliezze di linee
e quadrati a quelli che fanno le figure di tarsia e le prospettive, come ne tratta
Albherto Durero et altri pochi; poiché ci sono pittori alli quali queste paiono superflue
a sapersi, forse fondandosi su quello che, sopra di ciò, soleva rispondere
leccellente Michel Angelo Buonaroti, il quale diceva che bisognava aver li sesti ne
gli occhi e non in mano, perché la mano opera e locchio giudica, il che è
verissimo Ma se (((((((Pern))))) si considera in tante sue opere, si vedrà chegli
non passò mai i termini delle debite misure, sì come di molti si vede che hanno fatto,
con molto biasimo e vergogna loro e delle sue cose, per non ne far conto alcuno. Ma
lasciando i licenziosi da parte, le misure saranno queste: che di ogni proporzionata
testa, cominciando dal principio della fronte sino alla fine del mento, la sua giusta
misura sia lunga per tre nasi giusti, altri la fanno per tre diti grossi della mano, detto
police da Latini ma mi par bene ancora, per utile e beneficio di quelli che alle
volte gli occorrono a fare delle statue di stucco grandi, di dirli più a minuto delle
misure della testa. Io ho detto che la lunghezza di essa si fa di tre pollici giusti,
così la sfenditura della bocca overo longhezza si fa di uno, similmenle le incassature de
gli occhi si fa dun police luna, misurandole per fin dove confina il naso con la
fronte, le quali due parti si divide in tre, delle quali se ne dà una per occhio e,
quella di mezzo, si dà allo spazio che è tra lun occhio e laltro. Di un
pollice ancora si fa lo spazio che è tra locchio al principio del giro
dellorrecchio, sì come dal medesimo si fa la lunghezza dellorecchia, e questo
basti intorno a ciò. Ma ora, ritornando alla prima misura del viso, la qual noi dicemo
essere una testa, con questa adunque si viene misurando tutta la figura delluomo per
ogni verso, così di maschio come di femina, dove che alcuni di nove et alcuni di diece
teste le formano. Quelli che le misurano col minor numero, tengono questo modo: che,
misurata la prima testa nel modo predetto, fanno il torso del corpo per tre di quelle,
dico dalla fontanella della gola sino allultima parte del corpo, e da questa alle
ginocchia ne fanno due et altre due ne danno alli stinchi fino al collo del piede, e
dellultima pigliano il collo, il dosso del piede e quello chavanza dalla
fronte alla somità del capo; e di queste tre particelle messe insieme, che sono il numero
di nove, e per traverso ne fanno una dalla fontanella della gola
allappiccatura delle brazza e di tre ne fanno le brazza fino allapiccatura
della mano, facendo dalla spalla al gomito una testa e due terzi, e dal gomito alla
snodatura, che divide il braccio dalla mano, una et un terzo, e le mani insieme ne fanno
una, senza il superfluo delle dita, che fanno il medesimo numero di nove. Ma quelli, i
quali usano il maggior numero, pigliano la prima misura dalla sommità del capo sino alla
punta del naso, e questa è una testa, e di qui alla fontanella della gola ve ne fanno
unaltra e con la terza arrivano a quella del petto e la quarta fino
allumbilico e la quinta a i membri genitali, e così di due fanno la coscia fino
allosso superiore del ginocchio e da questo fino alla pianta del piede ve ne fanno
tre, che sono dieci; e per il traverso, poi, si tengono alla misura detta di sopra,
giungendovi le dita distese, che pure arrivano al numero predetto."
GIAN PAOLO LOMAZZO 1590
La teoria delle proporzioni del corpo umano non è originale nel Lomazzo
Nel Trattato della Pittura, Lomazzo desuma la teoria delle proporzioni totalmente dal
Dürer, come aveva anche affermato Panofsky. Si deve allAckerman, laver
precisato i rapporti che intercorrono tra questa teoria del Lomazzo e quella del Dürer,
ad esempio la proporzione di 9 teste corrisponde a quella Tipo D nel Dürer, quella di 8
teste al Tipo B, quella di7 teste al Tipo A, ed la proporzione di 10 teste al Tipo E.
Invece nellIdea del Tempio, come afferma Ciardi, riprende completamente
lAgrippa.
LOMAZZO I SOGNI
Sappi che sì come noi altri la figura di nove facie la construivamo in questo modo, ma di
più lungo piede che voi a1tri non faciesti, e fanno, con Michel Agnolo, quei che ci sono,
cioè in questo modo: la faccia, dalla cima dil fronte per insino al estremo dil mento è
una parte, e dalla fine dilla gola, che è la fontanella, sino alla forcella dil stomaco,
è la seconda parte; e da essa forcella, sino al umbelico, è la terza parte; e da ivi,
sino al estremo de membri genitali, è la quarta parte; e da li, per sino al genocchio, è
la quinta e sesta parte; e dal genocchio sina al collo del piede, la settima et ottava
parte; e la nona da tre parti si toglieva, cioè dalla cima dilla testa, detta vertice,
alla radice de capelli sopra il fronte; e da quello che resta tra la punta dil mento,
insino alla cima dil petto, che come già dissi fontanella si chiama; e dal collo od osso
dil piede, ove le due finiscono, fino alla estrema dilla pianta, le quali tre parti la
nona et ultima forniscono. Et al traverso, allargando luomo le braccia da luna
punta del dito saturnino a laltro di laltra mano, e tanto quanto è dal somo
dilla testa sino al imo del piede, che la ragione è questa, che dalla fontanella dilla
gola sino alla chiava dilla spalla ci è una parte; e dalla chiava, sino alla cava del
bombito, unaltra, e da essa cava, sino alla ristretta dilla mano, unaltra
parte e mezzo; e dalla ristretta, sino alla estremità dil medio, unaltra parte, che
ricolte insieme sono quatro parti e mezzo che, composte con laltra parte, le nove
vengono ad organizzare insieme. La misura, poi, che per un Marte ci pareva bona e che dil
ro- busto aveva, ma maravigliosainente proporzionata, era così: ela si cominciava dai
dici, dei quali quattro di grossezza fanno un palmo, che vol dir largezza dilla palma
dilla mano; e quattro palmi fanno un piede, che così vene a essere sedeci diti, come
discrive Vitruvio in uno de dieci suoi libri di architettura; e sei palmi fanno un cubico,
e così la longhezza di esso corpo venne ad essere di venti quattro palmi, e così di sei
piedi, e de quatro cubiti, e di novanta sei diti, circulo sotto alle asselle è la mità
dilla sua longhezza et il basso dil membro è il mezzo suo; da dove, sina al mezzo il
petto intra le mamelle, è la quarta parte, e da là sina alla cima della testa, è
laltra quarta parte; e così dal basso dil membro, che altri chiamano pettine, per
sin sotto al genocchio, è laltra quarta parte; e cossì da lì, sino agli estremi
osso de piedi; la medema longezza fa la larghezza delle spalle dal suo estremo a
laltro; e la medesima longezza è dal cubito per sin alla punta del dito più lungo;
la longezza di un cubito è alle spale: la largezza della centura è uno piede; dalla cima
del petto alla cima dil fronte, sotto li capelli, è la settima parte giusta dilla
lungezza dilla vera misura; et il diametro dilla centura è quanto la longezza che è
dalla restretta dilla mano persino alla piega, o cava, dentro del cubito, e dal petto
insino alle labra di sopra, e da esso petto insino al umbelico, e dalla pianta di1 piede
insino alla fine dil lacerto. E gli estremi degli ossi che cingono la gola, tutti sono
duna misura, e sono la settima parte dilla misura in longhezza. Il capo di essa,
dalla cima insino alla estremità dilla barba, è la ottava parte; e tanto è dal cubito
fina alla fine dille spalle; et il cerchio dil capo, dalle radici dei capelli su il fronte
persino alle radici degli capegli di dretto, è la quinta parte dilla longezza; et altro
tanto è la largezza dil petto. E di simele organizzamento si accompagna la largezza sua e
la misura della figura partita in diece parti o vogliamo dir facie è così, restando
maravigliosamente proporzionata, come fra voi altri si vede in Raffaello di Urbino nelle
tre Dee dal pastore ignude giudicate. La prima parte è dalla cima dilla testa persino al
basso dille narici, e la seconda, dalle narici sina alla cima dil petto, e la terza, da
ivi sino alla forca dil petto, tra le mamelle; e da essa forca, sina al umbilico, è la
quarta parte; e la quinta è da lumbilico a lo stremo dil pettine; da lì è la
metà dilla lungezza, dalla quale, per sino alle estreme piante de piedi, è laltra
mità, in questo modo ripartita: dal pettine alla fine di losso dil genocchio, di
ove si aliga insieme con quel da basso, sono due parti; e laltre due da il ginocchio
sino al collo dei piedi; e la quinta è da lì sin a quel spaccio che è dal collo del
piede in sin al estremo dilla pianta, e quel altro che è dal nascere dil membro alla sua
parte di sotto; la mano, pur ancora dalla restretta sino a lestremo del dito di
mezzo, è una parte delle diece; e da luna punta de la mamella a laltra, è
una parte delle dieci. E facendo un punto dalla punta de luna e laltra
mamella, et un altro in lo estremo dil petto, sotto alla gola, farà un triangolo da tutti
i lati equalì, chiamato equilatero. Nel fronte, a basso, da luna orecchia a
laltra, è quella largezza una parte dille diece; lo petto, nella cima de luna
giontura dille spalle a laltra, sono due parti decime; un cerchio pigliato dal mezzo
dille ciglie su per la fronte per sina al fine del accipite, che è la parte di detto dove
terminano gli capegli, è ancora due patti decime; lo circolo di tutta la testa, pigliando
per mezzo il fronte, è de le tre parti decime; lo circulo della cintura di una persona,
di questa misura di forma robusta, ha quattro parti delle decime; et una delicata ha tre
parti e mezzo: et invero quanto è dalla cima del petto persino allo stremo dil pettine;
lo circulo dil petto, pigliato per le asselle e le spalle, ha cinque parti dille diece,
che è la mità dilla misura. Levando le braccia in alto, lo cubito arriva alla cima dilla
testa; quanto è dal mento alla cima del petto, tanto è la largezza dil collo; quanto è
dalla cima dil petto a lumbelico, tanto è lo circolo dil collo; quanto è dal mento
alla cima dilla testa, tanto è la largezza dilla centura; quanto è dalle interciglie
allo estremo delle narici, tanto si estende lo mento dilla gola; quanto è dal naso al
meno, tanto è dal nodo dilla gola persino a lestremo di essa; la prominenzia delle
narici è la spacio che è dalle narici allo estremo dil labro di sopra; e la longezza
della concavità degli occhi, dagli intercigli persino alle cornici di dentro, tutte e tre
queste cose sono uguali; la punta dil ogna dil deto indice dilla mano; in la parte dentro
dilla cima del dito medio per sino alla più bassa cintura è tanto, quanto da essa
giuntura alla restretta dilla mano; lo più longo articulo, overo osso, del dito indice è
tanto, quanto laltezza dil fronte; gli duoi altri articoli insieme per sino alla
punta del ogna sono quanto la longezza di naso, cioè da lintercigli sino alla
punta; lo primo e lo più lungo articolo, od osso, del dito medio è tanto, quanto è da
le narici allo estremo del mento.
Il secondo articulo di esso dito di mezzo è tanto, quanto è dal estremo del mento alla
cima dil labro di sotto; il terzo articolo dil dito di mezzo è quanto è da la bocca alle
narici; tutta la mano è quanto la faccia, come è ancora ne la misura nona; il maggior
articolo dil pollice è tanto, quanto si puol aprir la bocca, e quanto è dalla cima dil
labro di sotto per sino a lestremo dil mento; lo minor articolo dil pollice è
quanto è dalla cima dil labro di sotto al basso dille narici. De tutti gli articoli le
ogne occupano la mità; da gli intercigli a lestreme cornici degli occhi è tanto,
quanto da esse cornici al nascer dille orecchie; la altezza dil fronte, la longezza dil
naso, la largezza dilla bocca, per lo labro di sopra, tutte queste tre cose sono uguali.
La largezza dilla palma dilla mano < e > della pianta del piede è la medesima.
Lalteza che è dal più basso dil osso pazzolo per sin al somo di piede è tanto,
quanto è dal somo di piede persin al estremo del ogna; dalla cima dil fronte per sino al
intersiti degli occhi, e da esso al basso dille narici, e da esse narici a lestremo
dil mento, sono tutte tre parti uguali. Le ciglie, gionte insieme, sono tanto, quanto è
il cerchio degli occhi; gli semicircoli delle orecchie sono tanto, quanto è la bocca
aperta; li circoli degli occhi, e de le orecchie, e della bocca aperta sono uguali. La
largezza dil naso è quanto la longezza dil occhio; del spaccio che è da lestremo
di un occhio a laltro, ogni occhio ne fa una parte, e la terza, uguale, è dil naso.
Dalla cima dil capo persino agli genocchi, il mezzo di essa longezza è tra la forca dil
stomaco e lumbeligo, restando, dille tre parti, una di sotto; dalla cima dil petto
al basso delle narici, il mezzo è il nodo dilla gola; dalla cima dil capo allo estremo
dil mento, il mezzo sono gli occhi. Dagli intersiti de li occhi per sino allo estremo dil
mento, il mezzo è il basso dille narici; dal basso di le narici a lestremo dil
mento, il mezzo è lo estremo dil labro di sotto; dilla quale misura o distanzia è la
terza parte quella che è dal basso dille narici per sino al labro di sopra.
Capitolo VI (Trattato della Pittura pgg.????)
Della proporzione del corpo umano di diece faccie in longhezza e larghezza
Egli è ragione che, seguendo lordine de glantichi Greci, questo corpo, del
quale mintendo particolarmente trattare le proporzioni et armonie, si faccia simile
et a Proporzione dognaltro corpo artificiale, che sia il più bello che si
trovi nella natura, nel quale siano comprese tutte le proporzioni et armonie artificiali,
tanto maggiori, quanto minori. Il che si vederà in questo capitolo e nei seguenti. E per
questa ragione ho voluto porre dinanzi allaltre questa, sì come fondamento loro che
in sè con debita ragione le contiene tutte.
Questa figura, adunque, primamente è divisa in diece faccie o parti, luna delle
quali è contenuta ( parlo della sua longhezza ) dalla sommità della testa alla punta del
naso; la seconda da qui alla fontanella sopra il petto; la terza da qui alla forcella del
petto; la quarta allumbelico; la quinta si contiene tra lumbelico et il
pettignone, e quivi è il mezzo della longhezza del corpo; e dindi alla pianta del
piede ne vengono ad essere altretante che compiscono poi le diece. Due di queste faccie
sono contenute tra il pettignone et il mezzo del ginocchio; e le tre restanti da qui fino
alla pianta del piede. E tutte queste .parti sono unisone, distribuite nel modo che di
sopra si è detto. Percioché prima quella dalla sommità della testa al naso risuona con
lo spazio che è da quivi al mento in proporzione tripla, onde riesce la diapason
diapente; et a detto spazio che è fral naso el mento, quello chè dal
mento alla fontanella viene a risuonare in proporzione doppia, che fa la diapason; e con
questo risuona tutta la testa nella medesima proporzione. Le tre faccie che sono dalla
fontanella al pettignone risuonano alle due che sono da qui al ginocchio in proporzione
sesquialtera, onde ne risulta la diapente consonanza; ma con la gamba sono unisone, per
esser ella nella medesima proporzione con la coscia. Ora la larghezza di questo corpo
consiste in altri diece spazij unisoni, cioè allargando le braccia dallun mezzo
dito delluna mano a quello dellaltra, i quali così si compartono : uno per
mano, uno e mezzo per ogni chiave dalla mano alla piegatura del braccio et altretanto dà
qui alle clavicole delle spale; uno da qui alla fontanella, talché le mani sono unisone
solamente con le clavicole, e quello che è dalle spalle alla piega, e contende con
quello che è da qui alla chiave. Così ciascuno di questi risuona a ciascuno
deglaltri in sesquialtera proporzione, che si chiama diapente. Oltre di ciò uno di
questi spazij è tanto quanto è quello che è dalluno capitello delle mamelle
allaltro, et altretanto è da ciascuno di questi alla fontanella, onde vengono a
fare un triangolo equilatero. Il circolo del capo, dalle ciglia alla cervice di dietro, è
in dupla proporzione con tutta la testa. Il circolo della cintura sino alla profondità di
essa, cioè dal dinanzi al di dietro, è in proporzione tripla sesquialtera, e si può
anco fare unisono con la longhezza del tronco, overo busto, di tre faccie. Il circolo del
corpo sotto lascelle con quello spazio che è contenuto fra esse ascelle e la
rascetta della mano, è in proporzione bipartiente, et è unisona con ciascuna metà del
corpo.
Le misure che sono fra loro uguali et unisone sono queste : prima, quanto e dal mento alla
fontanella, tanto è il diametro del collo; quanto è dalla fontanella al umbelico, tanto
è il circuito del collo; quanto è dal gozzo, over groppo della gola alla sommità della
testa, tanto è il diametro de la cintura, et altro tanto è la longhezza del piede;
quanto è dalle ciglia alle narici, tanto è dal mento al groppo della gola; e quanto è
dal naso al mento, tanto è dal nodo alla fontanella della concavità de glocchi;
dalle ciglia al centro di dentro, tanto fa quanto la preeminenza delle narici, cioè il
suo sporto, et anco tanto quanto è da queste al labro superiore; percioché tutte queste
tre parti sono uguali. Oltre di ciò le parti dellugna del indice allultima
sua giontura e di qui sino al bracciale, sono unisone. E così, ancora, quanto è dal ugna
del mezzo sino alla giuntura sua, tanto è sino alla rascetta per di fuori. Il maggior
nodo dellindice fa laltezza della fronte; e lo spazio tra esso nodo e
lugna è uguale al naso, cominciando dal disotto del più eminente arco chè
sopra gli occhi, perché il suo nascimento è in mezzo al fronte et al naso. Il primo e
secondo articolo del dito medio è uguale a lo spazio chè dal mento al naso:
imperoché il primo articolo, cioè quello dove è l'ugna, è tanto com è dal naso alla
bocca; e però il secondo nodo col spazio di sopra fa la proporzione sesquialtera, sì
come fa lo spazio della bocca al mento, onde ne risulta la diapente consonanza. Il maggior
nodo del pollice fa lapertura della bocca; è quanto è dal mento al disotto del
labro inferiore et il nodo minore, è tanto come dal labro di sotto al naso. Imperoché
dal nodo maggiore a questo è la proporzione sesquiterzia e la diatesseron consonanzia.
Gli ultimi nodi delle dita fanno alla longhezza delle ugne la proporzione dupla e la
diapason. Tanto è dal mezzo delle ciglia allangolo esteriore dellocchio,
quanto è di qui allorechie; laltezza della fronte, la longhezza del naso e la
larghezza della bocca, cioè il suo giro, sono unisoni; e similmente la larghezza della
mano e quella del piede sono un medesimo tra loro, e però la longhezza del piede viene
alla sua larghezza a fare la proporzione doppia soprabiparziente e la consonanza diapason
e diatesseron. La larghezza del piede alla sua altezza, cioè al collo, fa la proporzione
sesquiterzia e la diatesseron, e quella della mano alla sua altezza fa quella del diapason
per la dupla proporzione. I semicircoli de gli occhi sono uguali col contorno della bocca,
la larghezza del naso è quanto quella de gli occhi, cioè la sua latitudine, e questa è
doppia alla sua altezza. Dal naso alle ginochia, il mezzo è lumbelico; dalla
somità delle spalle sino al gomito, e di qui alla chiave della mano è la proporzione
donde ne risulta la consonanza diatesseron. La larghezza del petto per le spalle è
quanto è dal fondo delle orechie alle clavicole e fanno la proporzione doppia
sesquialtera. La larghezza di tutto il corpo, con lo spazio che è dalla cima del capo al
nodo della gola, fa la proporzione quadrupla, donde ne nasce la bisdiapason
consonanza; e questo medemo fa la larghezza del corpo per le braccia aperte, con quello
chè dalla piega dellun braccio al estremo del mezzo. La larghezza de i
fianchi a quella delle coscie è dupla, e fa la diapason. La longhezza ancora della figura
fa la medesima proporzione con la larghezza della schena per le ascelle; e parimente de i
galoni per le natiche e con i ginochi de le gambe alle piante la tripla sequisterzia; e
così è dallo spazio della testa alla forcella. Il diametro della testa per la fronte con
la profondità della testa, cioè per gli occhi alla gnucca, è la sesquiottava, onde
risulta il tono. La circonferenza della fronte per le tempie, con la sua altezza, è in
quadrupla proporzione, onde risulta la diapason. Laltezza della faccia a lo spazio
dal mento et al nodo della gola, fa la tripla proporzione, donde ne nasce la
diapason e diapente.
E così seguendo si ritrovano in esso corpo proporzionatissime tutte le altre proporzioni
de membri minuti, con le loro consonanze che lascio, sì per non essere tropo lungo e
confundere quello che si è detto, come per venire alla considerazione ancora de le misure
dogni membro, le quali sono proporzionate ad ugual modo e convengono con i membri
del mondo.
Capitolo VII
Della proporzione svelta dei corpo virile di dieci faccie
Questo corpo si divide in longhezza, cioè dal sommo del capo alla pianta de piedi, in
trenta spazi uguali, li quali per ora chiamo gradi, e ciascuno di questi si parte in diece
spazi uguali, i quali dimando minuti, che vengono ad essere trecento in tutto.
Ora, dalla sommità della testa alla radice de capelli vi sono sette minuti, e da
qui sino alle palpebre inferiori de gli occhi è un grado et un minuto, sì che la fronte
viene ad essere alta otto minuti, perché dalle palpebre inferiori alle ciglia vi sono
cinque minuti, cioè mezzun grado. Da esse palpebre alla sommità del labro
superiore è un grado, sì che il naso viene ad essere longo un grado e doi minuti, parlo
sino allalto, al dritto delle ciglia. Dal labro superiore allestremità del
mento vi sono sette minuti; e dindi alla sommità delle scapule un grado, et un
altro sino alla fontanella; altretanto sino alla sommità del petto, e tanto da qui al
principio delle mamelle, da le quali medesimamente è un altro grado sino al suo estremo,
tal che ne resta che sino a i capitelli vi è se non la metà, cioè cinque minuti. Da
lestremo de le mamelle a i fianchi sono tre gradi, uno sino a lumbelico, tre
minuti sin al sino delle coscie; un grado e sette minuti alla sommità delle coscie; e
quivi è il fundo del ventre, dal quale sino al pettine è un grado. Onde vengono ad
essere quindeci gradi e cento cinquanta minuti di qui sino alla sommità della testa.
Ora, da questo loco allestremo de i testicoli, vè un grado, e da qui
allestremo della gianda tre minuti, e due gradi e mezzo sino al fine del vargo. Dal
fine del vargo al principio del ginocchio vi sono due gradi e mezzo; al mezzo dil
ginocchio un grado, cioè una trentesima parte, et altre tanto sino al suo fondo. Da qui
sino allestremità della polpa interiore sono tre gradi; edi qui al collo del
piede due gradi e sette minuti; sino alla pianta un grado, tal che dal talone al collo del
piede vengono ad essere tre minuti. Dalla fontanella alla chiave della spalla di dentro,
allargando le braccia, vi sono due gradi; e due e sette al fine della spalla, restandone
uno sino al principio del braccio, cioè alla lesena; dalla parte davanti altretanto e
mezzo. Dal fine della spalla alla piega del braccio sono due gradi et otto minuti; alla
rascetta quattro e cinque; al principio delle dita, cioè la longhezza della palma della
mano. un e sei; di qui allestremo del mezzo uno e quattro; e così vengono ancora ad
essere quindeci gradi e cento cinquanta minuti, i quali computati insieme con quelli
dellaltra parte, dalla fontanella allestremità del mezzo, vengono ad essere
altretanti, come quelll della longhezza della figura.
Resta adesso che trattiamo della longhezza, overo diametro di ciascun membro in faccia,
perché in profilo sarebbe supeuo, potendosi dallessempio delle altre proporzioni,
per la rata parte pigliare lordine. In faccia adunque il diametro della testa al
fronte, cioè alla sua sommità, è di tre gradi et altre tanto delle ciglia; tra
lun angolo esteriore dellocchio e laltro vi è un grado e sette minuti,
della qual misura il terzo tiene il naso. La punta del naso in faccia è due gradi e
quattro minuti, la gola sotto il mento è uno et otto, la sommità delle scapule è due
gradi; dalluna all'altra lesena davanti sono sei gradi e di dietro sette; sopra le
mamelle in faccia sono cinque gradi et in schiena sei. Dalluno all'altro capitello
sono tre gradi e quattro minuti, et altretanto da ciascun di questi alla fontanella,
imperò queste tre parti fanno un triangolo equilatero. Sotto le mamelle sono cinque e
sette, la cintura quattro, lumbelico altrotanto et otto minuti, il sino delle coscie
cinque, la sommità cinque e quattro, il principio del membro è sei gradi,
lestremità de testicoli sopra una coscia è tre gradi, il fine del vargo due e sei;
sopra il ginochio esteriore due gradi, sopra linteriore uno e nove, al mezzo uno et
otto, sotto il primo altrotanto; sotto il secondo uno e ette; la maggior larghezza della
polpa è due gradi. Il fondo della polpa interiore è uno e sei, lo stretto della gamba
nove minuti, il collo uno e due, la larghezza del piede è uno e mezzo et in longhezza
cinque gradi e per sveltezza quattro e quattro e mezzo. La piega del braccio è un grado e
due minuti, la rascetta otto minuti, la palma un grado e tre minuti, de quali la quarta
parte porta ciascuno di quattro dita, e quindi dal cubito, cioè dalla parte davanti del
gombito, sino allestremità del mezzo viene ad essere la quarta parte di tutto il
corpo, che è sette gradi e cinque minuti; e questa proporzione è di maniera bella che,
lasciandosi le rigidezze marziali, può servire a molti altri corpi svelti e leggiadri,
secondo che occorre.
Capitolo VIII
Della proporzione stravagante di diece teste
Non sarà fuori di proposito, già cho deliberato di trattare essattamente questa
materia, toccar qui brevemente la bella proporzione dAlberto Durero del corpo umano
di dieci teste; imperoché quantunque (per dir il vero) ella sia, a giudicio dogni
intendente, troppo svelta e gracile, nientedimeno non deve esser in alcun modo tralasciata
per esser cosa di tanto uomo, a cui lAlemagna nella pittura non ha avuto un altro
pari giamai
Questa proporzione, prima in longhezza è, dalla sommità della testa al mento, una di
dieci, e dal mento alla sommità della fronte una di undeci. La faccia si può dividere in
tre parti uguali come le altre. Dalla cima del capo alla sommità della scapula è una di
diecesette; di qui alla fontanella una di tredeci e quattordeci; e da la fontanella
allomero, di sei. Dal sommo del petto è una di vinticinque, e sotto le lasene una
di diecesette, a bollini di tredeci, e sotto le mamelle di vintiuno. Alla cintura due di
tredeci, allumbellico una di trenta, al sino delle coscie una di vintiuno, alla
sommità delle coscie di otto, al pettine di quatordeci e quindeci, allestremo della
gianda una di tredeci; allestremo delle nati, chè anco lestremo
de testicoli, due di undeci et al fondo del vargo una di undeci. Il mezzo tra
lestremità delle nati e la pianta è il mezzo del ginochio. Dalla pianta al fondo
del talone è una di trentacinque et al collo del piede di ventisei. Dal mezzo il
ginochio, sopra ad esso è una di trenta e sotto di quaranta; al fondo della polpa
esteriore di diece, allinteriore di nove. Il braccio, dalla sommità dellomero
alla piega, è due di undeci; allestremità del medio, tre di undeci; la mano è due
di vintiuno. La larghezza del fronte in faccia è una di di quattordeci; la sommità delle
tempie di dodeci, le ciglia di tredeci, lorechie di dodeci; il naso di quindeci,
sotto il mento di ventidue. La sommità delle scapule una di venti, gli omeri di dodeci e
tredeci. Il sommo del petto è tre di deciotto et una di diecenove; le lesene una di
sette, i capitelli di diece; sotto le poppe due de tredici, la cintura due di quindeci,
lumbelico una di tredeci e due di vintisette. lì sino delle coscie una di tredeci e
quindeci; la sommità delle coscie una di sei, e dalluna allaltra chiave due
di quindeci. La coscia sotto le nati, o testicoli, è una di tredeci; il fine del vargo
una di sedeci; sopra il ginochio di venti; il mezzo di ventidue e sotto di ventitre; rn
mezzo le polpe di dicinove; il fundo dellinteriore di ventitre, il fundo della
gamba, cioè lo stretto, di quarantacinque; il collo del piede, per il talone, di
trentacinque, e sotto i taloni di quarantasei. Il piede di ventiuno; il braccio sotto la
ditella di ventiotto; sotto la piega di trentaquattro; il largo del braccio, sotto il
cubito, di ventiquattro, la rascetta di quarantadue e la palma di ventidue. In profilo
alla fronte è una di tredeci, le ciglia una di undeci; il naso e la mascella superiore
parimenti di undeci; e per la bocca alla cornice una di tredeci. Il mento e la gola di
quatordeci; il collo sotto il mento di ventidue; la sommità de lo scapulario di venti; la
fontanella di tredeci; la sommità dellomero di undeci; il sommo del petto duo di
diecesette; la ditella una di otto; il mezzo delle mamelle, cioè i holini, altretanto;
sotto ad esse due di diecesette; la cintura una di undeci; lumbelico altretanto. Il
sino delle coscie una di diece; la sommità delle coscie una di diecesette e di dieceotto;
il pettine di diecenove; sotto le nati la coscia è una di undeci. Il fine del vargo di
dodeci; sopra il ginocchio, di diecesette; il mezzo del ginocchio di diecenove, et il
fondo di venti: il mezzo della polpa di trentadue e trentaquattro; il fundo
dellesteriore di diecesette e dellinteriore di diecenove. Il fundo della
gamba, cioè lo stretto, di trentadue. Il collo del piede di ventinove; sotto il talone di
ventitre; la pianta del piede, cioè la sua longhezza, di sette. Al braccio, lomero
è una di diecesette; sotto la lesena di ventiuno; sopra la piega, di trenta; il largo del
braccio, sotto il gomito, di ventiotto; la ristretta di cinquanta e la palma di
quarantadue; in schiena, dalluna allaltra ditella, è una di dodeci e tredeci;
il fesso delle nati una di undeci et il calcagno di trentasette.
Capitolo IX
Della proporzione del corpo giovine di nove teste
(...) per trattarne esattamente per via di precetti, si ha da sapere: prima, che il corpo
gracile giovenile di nove teste è dalla sommità della testa alla estremità del mento la
nona parte della sua longhezza; e da qui su per il dritto della faccia una di diece,
(parlo sino alla radice de capelli) et ancora una de undeci, sì come ho osservato nel S.
Michele di Raffaello et ancora nellApolline antico. Ma, facciasi come si voglia,
questo spazio si divide in tre spazij uguali, uno al fronte, laltro al naso e
laltro sino al mento. E ben vero cha lo spazio di undici, per cagion di certo
ciuffetto di capelli che si rappresenta, il fronte va manco della terza parte; e questa
regola fu tenuta, come si vede per le statue, da tutta la greca antichità; e veramente
rappresentava un certo che di meglio e di più leggiadro la fronte bassa che alta.
Ma tornando a proposito, dalla sommità del capo a quella de lo scapulario è una di
quindeci e sedici, et alla fontanella di sei. Dalla fontanella al sommo del petto è una
di vintiotto, alle lesene di quatordeci, a capitelli di dodeci; sotto le mammelle due di
diecenove, alla cintura una di sei. Di qui allumbellco è una di vintisei; al sino
delle coscie una di vintidue; alla chiave desse una di nove; allestremo del
ventre di otto; al pettine di sette; allestremità delle nati di sei. Da qui al
(((((ftie)))) del vargo una di undeci; dalla pianta del piede al collo suo, una de
vintitre, et al talone di trentacinque. Dal fondo del talone a mezzo il ginocchio è una
di quattro; e da qui al disopra di esso, cioè alla parte esteriore, una di vinti, et
allinteriore di trenta. Di sotto, al fine del esteriore, una di ottanta;
allinteriore di quaranta; e sino al fondo della polpa esteriore, una di dieci; et
allinteriore di nove. Il braccio, dallomero al cubito, è due dundeci; e
da qui allestremo del mezzo, una di quattro; alla rascetta una di diece e si può
ancora fare un poco più, perché sempre ne i corpi, e massime ne i graclli, le mani
stanno meglio lunghe che corte.
La larghezza, o latitudine che vogliamo dire, di questa figura in faccia è tale: prima
per la radice de capelli del fronte, che di dietro risponde alla vertice, è una di
undeci; per le ciglia altrotanto; per le orecchie diecenove; per il naso di dodeci. Il
collo è largo una di dieceotto; la sommità de lo scapulario una di sedeci; la fontanella
di sei; dalluna allaltra chiave delle spalle, due di tredeci. Il petto due di
nove, le lesene una di sette. Li capelli di nove, la cintura di sette, lumbelico di
dodeci e due de vinticinque, il sino delle coscie una di dodeci e tredici, la sommità di
diece e dodeci, dall'una allaltra 1 cioè la chiave, una di quindeci e sedeci; la
coscia, sotto le nati, di dodeci, il fine del vargo di quatordeci. Sopra il ginocchio
esteriore una di dieceotto; sopra linteriore di diecenove; il mezzo di
ventuno; sotto linteriore di venti.
Il mezzo della polpa di diecesette; il fundo della polpa esteriore di diecenove, e
dellinteriore di ventuno. Lo stretto della gamba di quarantadue; il collo, per il
talone, di trentatre; il piede di diecenove. Il braccio, al fine della spalla per la
lesena, è una di ventisei; sopra la piega di trentuno; sotto il cubito di ventidue;
la ristretta di trentotto; e la palma della rnano di diecenove.
In profilo così si misura; prima, la fronte è una de dodeci; la ciglia di nove; il naso
di diece; il mento di ventitre, il collo, sotto il mento, di dieceotto; la sommità della
scapula di diecesette; la fontanella di dodeci; la sommità del petto di otto; le lesene
di quindeci e sedeci; i capitelli di otto; sotto le mamelle di sedeci e di diecesette; la
cintura di dieceotto e diecenove; lumbelico di dieceotto e venti; il sino delle
coscie di dieceotto e diecenove; le chiavi delle coscie di quindeci e sedeci;
lestremo del ventre di otto; il pettine di sedeci e diecesette; la coscia sotto le
nati di diece. Il fondo del vargo di undeci sopra il ginocchio esteriore di quindeci;
sopra linteriore due di trentuno; I1 mezzo, una di dieceotto; sotto
lesteriore di diecenove; e sotto linteriore di dieciotto. Il mezzo delle polpe
di quindeci; il fundo della polpa esteriore di sedeci, e dellinteriore di dieceotto;
lo stretto della gamba di ventiotto.
Il monte del piede di ventiquattro; e la longhezza del piede è due de tredeci. Al
braccio, lomero, overo spalla, è una di quindeci; il fine della spalla una di
venti; la piega di ventisei; sotto la maggior larghezza del braccio è di venticinque; il
braccio di quarantotto; e la mano, sopra il pollice, una di trentotto. In
schiena, dalluna allaltra lesena, è una di sei; il fesso delle nati una di
undeci; et il calcagno, alla pianta, una di trentacinque; e tra le cavicchie, over taloni,
una di ottanta.
Capitolo X
Della proporzione del corpo virile di otto teste
La proporzione è tale. Prima la longhezza si divide in due et il suo mezzo è il pettine;
e dalla cima del corpo alla fontanella è una di sei; al mento di otto; alla cima del
fronte una di dieci; e questa in tre parti uguali si parte che occupano quello che
sè detto nelle altre. Dalla cima della testa alla cintura è una di tre; dalla
fontana alle lesene di quattordeci; di là a capitelli una di diece. Dal fianco
allumbelico una di ventinove; al sino delle coscie una di dieceotto; alla sommità
delle coscie di venti e dieceotto; al pettine due di tredici; allestremo delle nati
una di dieci e di undeci. Di qui al fine del vargo è una di quindeci; sopra il ginocchio
due di tredici; al suo mezzo una di trenta; al disotto altrotanto. Di là al fondo della
polpa esteriore una di nove; allinteriore una di quindeci e sedici, al monte del
piede di quattro; alla pianta una di ventuno; e dalla pianta al talone una di
ventisette. Il braccio, dalla sommità della spalla alla piega, è una di cinque; e di qui
allestremità del mezzo una di quattro; e la mano è una di diece. La larghezza di
questa figura in faccia è tale: la fronte è una di nove, le ciglia una di diece,
lorecchie due di diecesette, il naso una di dodeci, il collo di sedici, la
fontanella di sei, dalluna allaltra chiave delle spalle, una di undeci e
dodeci; la sommità del petto una di quattro, le lesene di sei, i capitelli di nove, la
cintura due di tredici, il sino delle coscie una di sei, la sommità una di dieci et
undeci; dalluna allaltra chiave una di quatordeci e quindeci,
lestremità delle nati sopra la coscia una di undeci. Il fine del vargo è una di
tredici; sopra il ginochio una di sedeci, il mezzo di dieceotto, il fondo di venti. Il
mezzo della polpa è una di quindeci, il suo fine di venti, il fine della gamba di
trentaquattro, il collo del piede di ventisette; e la pianta una di sedeci. Il braccio
superiore, sotto il fine della spalla, è una di ventiquattro; la piega di ventisei, la
maggior larghezza del braccio inferiore di diecenove, la restretta di trenta, e la mano di
sedeci. In schiena, per le lesene, è una di cinque; il fesso delle nati una di diece, et
il calcagno una di ventiotto. In profilo la fronte è una di diece; le ciglia di otto, il
naso di nove, il mento di diece, la gola di sedeci, sotto il groppo di quattordeci, la
fontana di dodeci, il petto di sette, le mamelle altrotanto, di sotto una di quatordeci e
quindeci, la cintura di sedeci e diecesette, lumbelico di diecesette e dieceotto, il
sino delle coscie di otto, il sommo di sette, il pettine due di quindeci,
lestremità delle nati una di nove, il mezzo della coscia una di diecenove e vinti;
sopra il ginochio una di quatordeci, il mezzo di quindeci, di sotto una di sedeci, il
mezzo della polpa di tredeci, il fondo di diecesette, sopra il monte del piede una di
ventiquattro; e la longhezza del piede una di sei. Il braccio allomero, nel più
largo, è una di tredeci; il fine della spalla una di diecesette, la piega di
ventiquattro, la maggior larghezza dell'inferior braccio di ventidue, la giuntura, over
bracciale, di quaranta; e la mano di trentaquattro sopra il primo osso del pollice.
Capitolo XI
Della proporzione del corpo virile di sette teste
E però seguiterò a trattare de la proporzione del corpo di sette teste ben quadrato e di
membra forti, robuste e rilevate; la quale è prima, in longhezza, dalla sommità della
testa alla pianta, sette teste, cioè dal sommo del capo allestremo del mento; e dal
mento alla fontanella è una di diece et undeci, alla sommità del omero due di undeci,
allestremo del mento una di sette, alla cima del fronte una di diece, la quale è
divisa in tre spazi uguali: de qualluno fa il fronte, laltro il naso et il
terzo di sotto fino al mento. Dalla fontanella al sommo del petto è una di trenta; sotto
le ascelle una di tredici, a capitelli una di diece e di sotto una di otto; ((((a i
lumhl))))), cioè alla cintura, due di undeci. Dalla cintura allumbelico è una di
quaranta; al sino delle coscie di trenta, alla chiave di diece, alla verga di otto, alla
gianda di sei, allestremità delle coscie di diece et undeci. Di qui al vargo è una
di dieceotto; dal mezzo del ginochio al di sopra una di ventuno, et al disotto di
quaranta; al fondo della polpa esteriore due di diecenove, et a quella dellinteriore
di otto dalla pianta del piede al fondo del talone una di ventiotto et al monte de1 piede
di venti. Il braccio, dalla chiave di sopra al disotto dellascella, è una di diece;
alla piega due di undeci, alla punta del mezzo una di quattro, e la mano è lunga una
decima. Il corpo in faccia è largo, over grosso per diametro, per il vertice, una di
diece; in profilo una di nove. La radice de capelli, in faccia è una di otto, in profilo
di quatordeci e quindeci; il ciglio, in faccia, una di nove; in profilo di sette; il naso,
in faccia, è una di diece; in profilo di otto il mento, aver collo, in faccia è una di
dodeci; in profilo altrotanto, ma, per il mento, di otto. La fontanella, in faccia, è una
di cinque; in profilo, di nove; il sommo del petto, in faccia, tre di diece; in profilo,
due di tredeci; le ascelle, in faccia, una di cinque, in profilo, di sei; dalluno
allaltro capitello, in faccia, due di quindeci; in profilo, la grossezza una di sei
e, sotto la mamella, una di dodeci e tredeci. La cintura, in faccia, è una di cinque; in
profilo, di dodeci e tredeci; il sino delle coscie, (((iii)))) faccia, una di nove e due
di diecenove; et in profilo, di sei; la chiave delle coscie, in faccia, una di quattro, ma
dalluna allaltra di sei, et in profilo di undeci e dodeci. La verga, in
faccia, una di quattro et in profilo, di undeci e dodeci; la coscia, sotto le nati, in
faccia, due di diecesette, in profilo, una di sette. Il vargo, in faccia, una di diece; in
profilo, di quatordeci e quindeci; sopra il ginocchio, in faccia, una di dodeci; in
profilo, di diece. Il mezzo del ginocchio, in faccia, è una di quatordeci; in profilo, di
dodeci; e di sotto, in facia, è una di ventisei, et in profilo, una di dodeci. Il largo
delle polpe, in faccia, è una di ventidue e ventiquattro et in profilo, di venti e
ventuno. Il suo fondo, in faccia, è una di quatordeci, in profilo, di tredeci. Il collo
del piede, in faccia, è una de ventidue; in profilo, di dieceotto; la larghezza del
piede, in faccia, è una di quindeci et in profilo, di sei, cioè la sua longhezza. Il
braccio, al mezzo della spalla, è due di ventiuno; il fondo di dieceotto in faccia et in
profilo di tredeci; la piega, in faccia, una di ventiuno, in profilo, di dieceotto; la
larghezza del braccio, in faccia, una di sedeci, in profilo di dieceotto; la chiave della
mano, in faccia, una de venticinque er in profilo, di trentadue; la larghezza della mano,
in faccia, è una di quindeci et in profilo di trenta; la larghezza delle ascelle di
dietro è una di quattro, laltezza del fesso delle nati una di otto; e la larghezza
del calcagno una di ventiquattro.
Capitolo XXXV (Idea del Tempio della Pittura pgg.350-53)
Delle misure uguali delle membra del corpo umano e come da quelle nascono le proporzioni e
le armonie
Sì come dalluno tutti i numeri pigliano il principio loro, e dal punto la linea
similmente derivar si vede così dalla faccia umana, per conoscersi in lei le affezioni
dellanimo, e per essere ella la più principal di tutto il corpo umano (onde anco si
lascia discoperta), si pigliano le giuste e proporzionate misure di tutte le rimanenti
,parti del corpo umano.
E prima nella faccia sono tre spazij giusti et equali: il primo comincia nel principio
della fronte, dove nascono i capelli e discende sin giù tra le ciglia, al cominciar del
naso; il secondo è da qui alla cima del naso; il terzo insino all'estremo del mento. La
prima parte del capo, con la prima della faccia, è il seggio della sapienza; la seconda
si dona alla bellezza; nella terza parte alberga la eloquenza, secondo lopinione de
gli antichi filosofi. Or passando alle particolar misure del corpo umano, un piede fa la
larghezza della sua cintura, sei palmi fanno un cubito e quattro fanno un piede; quatro
dita fanno un palmo e tutta la longhezza delluomo è di vintiquattro palmi, di piedi
sei e di novanta sei dita. Il piede dun corpo robusto e ben quadrato è la sesta
parte del corpo, e de gli altri più alti è la settima, si come dicono Varrone e Gellio.
Il corpo umano non può passare laltezza di sette piedi. La testa delluomo,
dal mento alla sommità, è lottava parte del corpo et altrettanto è dal gombito
alle spalle. Dallumbilico al fin de testicoli è ancor lottava parte.
Nove faccie fanno un uomo quadrato e proporzionato. Perciò che la faccia sino al mento fa
una, dal fine della gola, over dal principio del petto, al principio dello stomaco fa
unaltra, da indi allumbelico fa la terza, da qui al fin del pettine fa
unaltra, dal pettine al ginocchio fa due e da qui al nodo del piede, due altre. Le
quali tutte fanno otto, ma dalla fronte alla sommità della testa e dal mento al petto per
la gola e dalla cavicchia del piede alla pianta, tutti questi tre spazij fanno la nona. E
perché questa figura tanto è nellaprire delle braccia, quanto è la longhezza sua,
è necessario dichiarare come siano tante parti.
Cominciando adunque da gli omeri, e discendendo per lo gombito infino alla prima giuntura
delle dita, e di dietro dalle ascelle fino allultima parte della palma dove
confinano le dita, sono tre faccie per uno, che fanno sei faccie. Le dita poi de
luna e laltra mano fanno una faccia, tanto che sono sette. La ottava e nona si
comprende due fiate dalluno omero allaltro, quanto è due faccie. Or perché
la maggior grandezza del corpo umano, che supera questa già detta, è quella di diece et
è la grandezza più lodata, quindi è che si mette la sua misura in diece faccie. La
prima comincia dalla somma altezza del capo e finisce nelle ultime nari; la seconda, da
indi fino al principio del petto, la terza fino alla sommità dello stomaco; la quarta
cade nel bellico, e la quinta finisce nellinguinaglia. Le altre cinque parti, poi,
dallanguinaglia terminano sino all'estremo piede.
Si misura ancora questo bellissimo corpo col cubito, il quale è quella grandezza che
nasce dal gombito fino al dito di mezzo, et è la quarta parte del corpo umano. Perciò
che la prima misura è dalla sommità della testa fino nel mezzo del petto tra le
mammelle, la seconda di là termina allanguinaglia, la terza finisce sotto il
ginnocchio, e la quarta allestremo de i piedi. E così allapertura delle
braccia si comprende la larghezza de gli omeri, i quali non deono ecceder tal misura. La
grossezza del perfetto corpo umano sotto le ascelle è due cubiti di circuito; sotto le
pupille de le mammelle de gli uomini dee esser tanto distante luna dallaltra,
quanto la composta longhezza del volto, ma nelle donne non si accommoda tal misura. La
longhezza dambidue quelli spazi, che dalle mammelle si partono, e finiscono alle
ascelle, separatamente è quanto la metà della giusta faccia. La larghezza del petto
proporzionato è due faccie, ovvero un gombito, secondo alcuni, e tanto sono distanti le
mammelle dalla forcella della gola, quanto è da luna allaltra. E chi tirasse
una linea, le altre due linee ascendenti alla forcella della gola causarebbero un
triangolo equilatero. I piedi di questa maggior statura non possono passare la settima
parte in longhezza. Onde si cava che il diametro della grossezza proporzionata non eccede
un piede giusto. Dal braccio destro del gombito alla giuntura della mano e dalla metà del
petto infino a glargini delle labra superiori e dal medesimo petto discendendo alla
concavità del bellico, è la medesima quantità di spazio. E tanto è dalla pianta del
piede infino al muscolo della gamba e da questa parte infino alla metà della rota del
ginocchio. E tutte queste parti sono una settima del corpo umano. La grossezza della
testa, misurata con un filo per la cima della fronte fin dietro alla nuca, dove terminano
i capelli, overo cominciando tra le ciglia a confino del naso, per la sommità del capo,
trascorrendo fino al principio del collo di dietro, è uguale in tutte due queste misure
allampiezza del petto tra luno omero e laltro, e verrà sempre ad esser
la quinta parte della detta statura umana, per longhezza e larghezza (...).
Or venendo alla longhezza di questo corpo, primieramente levando le braccia in alte, il
gombito arriva alla sommità della testa, e per rispetto delle altre misure che sono
uguali, quanto è dal mento al principio del petto, tanto e la larghezza del collo; quanto
è dal principio del petto allumbelico, tanto è la circonferenza del collo; quanto
è dal mento alla sommità della testa, tanto è la larghezza della cintura. Ma circa la
grossezza, cominciando dallumbelico alla schena, quanto è una faccia, tanto dal
mento al nodo della gola, quanto è dal naso al mento, tanto è dal groppo al fine della
gola et al nodo, over principio, della gola. La concavità de gli occhi, al cerchio di
dentro dallocchio, tanto fa, quanto la proeminenza del naso e quanto è lo spazio
dal primo labro alla punta del naso; e queste tre parti sono uguali. Gli occhi tanto sono
distanti luno dallaltro, quanto è la larghezza dun di loro e tanta è
anco la larghezza del fondo del naso. Pigliando un compasso e ponendo una punta al naso e
con laltra circuendo le ciglia più lontane, sino alluno e laltro fondo
dellorecchia, si trova la larghezza giusta della faccia. Dallugna
dellindice allultima sua giuntura, e di qui fin dove si lega la mano col
braccio, nella parte di fuora et in quella di dentro dallunga di quel dito di mezzo,
fino alla giuntura sua, e dindi alla mano ristretta, sono proporzioni uguali fra
loro. Il maggior nodo dellindice fa laltezza della fronte e fino allunga è
uguale al naso, lasciando però quel poco spazio dalle ciglia al naso. Il primo e maggior
nodo del dito di mezzo è uguale allo spazio che è tra il mento et il naso. Il secondo
nodo è tanto quanto è tra la bocca et il mento, et il terzo è tanto quanto è tra il
labro di sopra er il naso. Tutta la mano è quanto è tutta la faccia. Il maggior nodo del
pollice fa lapertura della bocca e quanto è dal mento allultimo labro, tanto
è dal labro di sotto al naso. Le ugne sono la metà di tutti gli ultimi nodi, i quali
sono detti onichios. Tanto è dal mezzo delle ciglia a i canti esteriori de gli occhi,
quanto è da quelli alle orecchie. Laltezza della fronte, la longhezza del naso e
larghezza della bocca sono uguali. Similmente la larghezza della mano e quella del piede
sono il medesimo, laltezza che è da i calcagni al collo è uguale alla longhezza
del piede. Dal collo alla pianta del piede è tanto quanto è la larghezza della gamba,
dalla sommità della fronte al mezzo degli occhi e da quelli al fin del naso e dal naso al
mento, le parti sono uguali. Le ciglia de gli occhi giunti fanno tutto locchio, et i
semicircoli delle orecchie fanno la bocca aperta; onde i circoli de gli occhi e delle
orecchie e della bocca aperta sono uguali. La distanza dallun occhio allaltro
è divisa in tre parti, le due dalle parti sono de gli occhi e del naso, e quella di mezo
occupa la parte di mezzo del naso. Tral mezzo del capo alle ginochia di sotto, il
mezzo è lumbelico. Dal principio del petto al naso, il mezzo è il groppo della
gola. Dalla sommità della testa al mento, il mezzo sono gli occhi. Dal naso al mento, il
mezzo è il labro di sotto, e la terza parte di questa distanza è dal naso al labro di
sopra, la grossezza delle gambe, coscie, braccia, dita e gombito, così ne1la parte di
sotto, come nella parte di sopra, e così nella coscia, come nella gamba, tanto dee
essere, quanto è la larghezza e profondità delle istesse membra.
Sono, oltre di questo, tutte le misure consonanti tra loro, per molte proporzioni e
concenti armonici, percioché il dito grosso, il qual è detto pollice, al braccio nel fin
del pesce, appresso il polso, e la giuntura della mano in misura circolare, è in
proporzione doppia sesquialtera, contenendo quella due volte e mezza, come cinque a due.
Da quello alla congiunzione col braccio nel pesce, vicino alle spalle, triplicata la
grandezza della gamba col braccio, ha proporzione sesquialtera, come del tre al due. E la
medesima proporzione è di tutto il collo alla gamba. La proporzione della coscia al
braccio è tre volte. La proporzione di tutto il corpo al tronco, ove] petto, è
sesquiotava. Dal petto alle gambe fino alle piante, è sesquiterzia.
Dal petto, cominciando dal collo fino all'umbelico overo lumbi, over al ventre, fino alla
fine del tronco, o petto, è doppia. La larghezza de i fianchi alla larghezza delle coscie
è sesquialtera. Dal capo al collo è tre volte, e dal capo al ginocchio, triplicato; la
longhezza della fronte, tra le tempie, è quattro volte alla sua altezza. Queste sono le
misure che si ritrovano da luogo a luogo, con le quali le membra del corpo umano, secondo
la lor altezza, longhezza, larghezza e circonferenza, convengono tra loro. Le quali sono
tutte partite per molte proporzioni parzienti, o miste, da cui viene una grande armonia.
COMANINI 1591
"La prima faccia sarà dalla radice e dal nascimento de capelli fino
allestremità del mento; la seconda dalla fontanella della gola al fine delle
mammelle e del petto; la terza dal petto al bellico; la quarta dal bel1ico al nascere
deIla vega; la quinta dalla medesima verga a mezzo la coscia; la sesta dal mezzo di detta
coscia al ginocchio, lasciando di detto ginocchio una mezza faccia; la settima
dall'estremità del ginocchio a mezzo lo stinco; lottava dal mezzo dello stinco
insino alla fiocca del piede; la nona risulta di tutta laltezza del piede,
aggiuntovi la mezza faccia del ginocchio; la decima et ultima dal nascimento de
capelli infino al cocuzzolo, congiungendovi tutto quello spazio che dal mento si stende
alla fontanella del petto. Questa è la più bella e più elegante proporzione di
tutte."
SETTALA 1609
MISURE DEL CORPO DI NOVE FACCIE
Et quanto alla prima deesi sapere ritrovarsi nella faccia di giusta,e naturale proportione
nel modo di sopra dichiarato,tre spatj fra loro eguali.
Il primo é dal confine de capelli al principio del naso, tolto da sovraciglie;
laltro del nasocompreso lo spatio de sovraciglie;il terzo dal naso fino
allestremità del mento.
(...) questi tre spatj dunque, over misure della faccia, come più sovente si prendono,
dimostrono con una sicura e ben considerata regola contenere la perfetta, e assoluta
grandezza di tutto il corpo nove volte la faccia.
La prima è la stessa faccia. La seconda lo spatio della golla allestremità del
petto,donde nasce la cartilagine detta da Latini ensiformis. La terza da quì
allumbilico. La quarta dallumbilico passando linguinaglia fino al
principio delle coscie . La quinta e la sesta sino al ginocchio. La settima e
lottava sino alla caviglia de piedi. La nona si forma di tre diversi parti,le quali
come quelle,che nella faccia havemo dette, fra loro convengono di misura.
La prima è larco estendendosi dal confine tra la fronte,e i capelli sino alla cima
del capo. La seconda è la gola,la quale sotto la faccia si estende dallestremità
del mento alla forcella del petto. La terza dalla caviglia fino alla pianta de piedi.
HUOMO QUADRATO Sì LUNGO COME LARGO.E MISURE DELLA LARGHEZZA.
Mirate dunque come spesse volte e communemente nella maggior parte de mortali
ocorre,principalmente in coloro,che hanno le membra raccolte, e ben fatte ad essere, per
così dire,di figura quadrata. La quale nel vero come perfetta, e eguale in tutte le parti
si vede haverla la gran madre Natura nella prima creatione dellhuomo egualmente sì
lungo, come largo,posto nellinguinaglia il centro. Percciòche quelle nove parti,
nelle quali la universale lunghezza del corpo si divide, si ritrovono parimente nelle
distese braccia, compreso il petto. Il che come si scorga scoprirò quanto più brevemente
potrò.
Se misuraremo adunque le braccia dalle spalle, alla prima giuntura de i deti, di fuori per
il gomito, overo di dentro dallascelle, al confino trà la palma e i deti, trovaremo
con giusta ragione tre volte la misura della faccia; lo spatio de i deti delluna e
laltra mano, una volta; onde trà tutte due braccia. E le mani haveremo la lunghezza
di sette faccie, e di due la larghezza del corpo dalluna allaltra spalla;onde
colle braccia distese ritrovaremo giustamente spatio, che dalla cima del capo, alla pianta
de piedi formò la Natura.
MISURA DELL'HUOMO DI DIECE VOLTE LA MISURA DELLA FACCIA
Descriviamo adunque lhuomo di questaltra misura. Torremo la prima delle diece
dalla sommità del capo sino allestremità delle narici; la seconda dalle narici al
principio del petto; la terza per retta linea da quì allultimo del petto, dove si
dice la forcella più bassa; la quarta sino allumbilico; la quinta discende
allinguinaglia, dove trà le coscie e le gambe in giusti spatij compartite.
VICENZO SCAMOZZI 1615
" L' altezza della nuca del capo fino alle radici de capelli è vn ditopolice,
ouero la terza parte della faccia; ma come parte escrementosa non si comprende in cotal
altezza.
Dal principio de' capelli fino al mento Parte I.
Dal mento alla fontanella della gola Parte I/2.
Dalla fontanella alle zinne, o mammelle Parte I.
Dalle mammelle all'umbilico Parte I
Dall'umbilico al pettignone Parte I.
E questo viene ad esser la metà dellaltezza del corpo stando ritte in piedi .
Dal pettignone fìno à mezo delle coscie Parte I.
Dalle coscie à mezo alle ginocchia Parte I .
Dalle ginocchia à mezo i ventricoli delle gambe Parte I.
Da ventricoli al collo del piede Parte I
E da qui fino alla pianta del piede Parte I/2
Che in tutto vengono ad esser IX parti, overo XXVII dita polici.
Poi la larghezza del medesimo corpo stando con le braccia aperte, si comparte così:
Da mezo alla fontanella della gola
fino alla punta della spalla Parte I
Dalla spalla fino al gomito del braccio Parte I.1/4
Dal ombicofino al nodo della mano altra Parte I 1/4
E dal nodo fino allestremo della mano sinistra Parte I
Che fono Parti IX. ouero XXVII. dita po1lici, come si è detto"
FRAMMENTI DI PLATONE
(plat I) "...la misura infatti e la simmetria risultano dovunque bellezza e
virtù.", (Plat. Phil., 64 E).
(PLAT II) "mancanza di armonia di misure è deformità ovunque sia",(Plat. Sof.,
228 A).
(plat III) "tutto ciò che è buono è bello, e il bello non è privo di
simmetria", (Plat. Tim., 87 C).
(plat IV) "Cominciò poi a dividere così: prima tolse dal tutto una parte, dopo di
questa ne tolse una doppia di essa, e poi una terza ch'era una volta e mezzo la seconda e
tre volte la prima, una quarta, doppia della seconda, una quinta, tripla della terza, una
sesta, ottupla della prima, una settima, ventisette volte maggiore della
prima."(Plat. Tim. 35b)
(plat V) " Risulta che fin da tempi antichissimi fu conosciuto da loro il discorso
che noi ora stiamo dicendo, che cioè i giovini nello stato debbono familiarizzarsi con le
belle figure e le belle melodie. Essi le definorono, mostrarono nei templi quali sono e
come sono. Oltre a questo non era lecito nè a pittori nè ad altri che rappresentassero
figure e facessero altre simili opere d'arte, compierne di diverse e nemmeno pensare altre
da quelle della patria tradizione e per tutto il complesso dell'arte musicale. Là tu
potrai scoprire, osservando, pitture e sculture antiche di diecimilla anni, non per modo
di dire, ma realmente diecimilla anni, e sono nè peggiori di quelle che ora state
elaborate, prodotte con la stessa arte". (Plat. Legge II 656d, 656e, 657a)
(plat VI) "...quelli intorno a cose stabile e certa e che risplende all'intelletto,
devono essre stabili e fermi e, per quanto si può, inconfutabili e immobili, e niente di
tutto questo deve mancare. Quelli poi intorno a cosa, che raffigura quel modello ed è a
sua immagine, devono essere verossimili e in proporzione di quegli altri: perché ciò che
è l'essenza alla generazione, è la verità alla fede."(Plat. Tim. 29b)
(icastica riproduce esatt. il vero non ciò che appare reale)
(plat VII) " Questa si trova specialmente quando uno realizza una imitazione
rapresentando il suo modello in modo da mantenerne le esatte proporzini in lunghezza,
larghezza e profondità, e, oltre a ciò, fornisce anche i colori che convengono a ciascun
particolare. Ma come? Forse che non cercano di fare ciò tutti coloro che imitano
qualcosa?
Direi che non lo facciano almeno tutti quelli che pretendono modellare o dipingere qualche
cosa di grande. Se riproducessero la reale proporzione di queste cose belle, sai che le
parti superiori ci apparirebbero troppo picolle e le parti inferiori troppo grandi,
poiché vediamo le une da vicino e le altre da lontano." (Plat. Protag. 356c)
FRAMMENTI SUL CANONI DI POLICLETO
(canon I) (Plut. de profectib. in virt. 17) "Ma coloro che aprono la
strada....nessuna delle cose accadute accolgono a caso, ma spingono innanzi ed applicano
ognuna di esse. E proprio di questo crediamo che parli Policleto, quando dice che "
è difficilissima la esecuzione di quelle opere nelle quali l'argilla sia tirata alla
perfezione assoluta"
(canon II) (Philo mechan. synt. IV, 1, p.49, 20) , leggiamo: "...Così che la
sentenza detta dallo scultore Policleto dovrebbe essere famigliare a chi esita: disse
infatti che l'ottimo è costituito nella scala più piccola, di molti numeri. "
(canon III)(Plut. Moralia I, 91) " Perché, in ogni opera la bellezza si realizza per
mezzo della simmetria ed armonia, ad esempio attraverso molti numeri che convengono nel
punto giusto, mentre il brutto ha una immediata e improvvisa origine da un difetto casuale
o da un eccesso casuale;...."
(canon IV) (Vitruv. De Archit. III, 1, 65) "Infatti la natura ha composto il corpo
umano in tal modo che il viso, dal mento all'alto della fronte ed alle più basse radici
dei capelli, fosse la decima parte (del corpo); parimente la mano stesa dalla giuntura
alla punta del ditto medio, altrettanto; il capo dal mento al vertice più alto, l'ottava
parte; insieme col collo, dalla sommità del petto all'attacatura inferiore dei capelli,
la sesta parte, (dalla metà del petto) al vertice sommo la quarta parte. La terza parte
del viso, considerata in altezza, è dal mento alla base delle narici; un'altra terza
parte è costituita dal naso stesso, considerato dalla base delle narici al punto di
incrocio delle sopracciglia. E l'altra terza parte va di lì alla radice dei capelli. Il
sesto dell'altezza del corpo è costituito dal piede, il quarto dal cubito, e un altro
quarto dal petto. Le quote di misura proporzionale le hanno anche altre parti del corpo, e
per mezzo di esse gli antichi pittori e scultori ottennero immense lodi. Le membra dei
templi, devono avere, con metodo simile, una perfetta corrispondenza e concordanza di
misure nelle singole parti con tutta la somma dell grandezza intera. Ugualmente è
naturale che il centro del corpo sia l'ombelico; poiché se un individuo si collocasse
supino con mani e piede aperti, e si facesse centro l'ombelico con un compasso delineando
una circunferenza, le dita delle mani e dei piedi sarebbero tangenti a quella. E come si
trova nel corpo lo schema della circunferenza, così si troverà in esso quello del
quadrato. Infatti, misurando dal piano dove poggiano i piedi alla cima del capo, e
riportando la stessa misura alle mani aperte, si troverà la stessa lunghezza, come
avviene nel quadrato squadrato. Dunque, se la natura ha composto in tal modo il corpo
dell'uomo, che le membra singolae corrispondono in proporzione alla intera somma figurata,
sembra allora che gli antichi abbiano con buone ragioni fissato che nell'opera compiuta e
perfeta deve esistere una esatta corripondenza delle singole membra con la visione intera
dell'opera...E fecero di più (gli antichi); i calcoli delle misure che in ogni opera pare
siano necessari, li hano raccolti dalle membra del corpo, per esempio, il dito, il palmo,
il piede, il cubito, e li hanno distribuiti in un numero perfetto che i Greci
chiamano-------. Gli antichi hanno stabilito che il numero perfetto sia il dieci, perché
è stato trovato dal numero delle dita della mano.
(canon V) Galen. de plac. Hipp. et Plat. 5, 3 (162) " (Crisippo) invece ritiene che
la belezza non consista nella simmetria degli elementi ma in quella delle parti, del dito
in relazione col dito, e di tutti insieme in relazione al metacarpo e al carpo, e di
questi rispetto all'avambraccio, e dell'avambraccio rispetto al braccio; e di tutti essi
rispetto al tutto, secondo quanto appunto è scritto nel Canone di Policleto. Infatti
egli, avendo istruito tutti noi in quello scritto sulla simmetria del corpo rinsaldò il
ragionamento con l'opera, avendo creata una statua secondo i dettami del ragionamento, ed
avendo poi chiamata la stessa natura, come appunto lo scritto, Canone."
(canon VI)(Plut. Quaest. Conv. II, 3, 2) " Ed infatti le arti plasmano prima di tutto
cose senza modello e senza forma, poi infine articolano ogni cosa secondo l'aspetto
esteriore. Così Policleto ha detto che era difficillissima la lavorazione, qualora
l'argilla giunga all''unghia"
(canon VII)Galen. de temperam. I, 9, p.566 (Kuhn) " E vien lodata una statua,
chiamata Canone di Policleto, la quale ha questo nome dal fatto di avere una perfetta
simmetria di tutte le membra fra di loro"
(canon VIII)(Lucian. de morte Peregr. 9) " Questa infatti è l'immagine e il lavoro
della natura, il Canone di Policleto."
(canon IX)(I) (Plin. nat. hist. 34, 35) Policleto "stesso < fece > anche il
Doriforo, virivelmente fanciullo (viriliter puerum ). Fece anche quello che gli artisti
chiamano Canone, poiché da esso traggono, como da una legge, le linee dell'arte. Si
ritiene che solo lui, fra gli uomini, abbia creato l'arte stessa con un'opera
d'arte."
FRAMMENTI DI ARISTOTELE
(Arist I) "Le più alte forme del bello sono l'ordine e la simmetria e il definito, e
queste cose sono messe sommamente in rilievo dalle scienze matematiche.", (Arist.
Met., XII, 3, 1078a36)
(Arist II) "Il vigore invero resiede nei tendini e nelle ossa; la bellezza invece
sembra essere una certa simmetria delle membra;", (Arist. Top, III, 1, 116b21)
AULIO GELLIO ERCOLE
" Plutarco, nella sua opera su Ercole, in cui descrive quanto grande egli fosse tra
gli uomini per doti d'animo e di corpo e per valore, riporta con quale abile e sottile
ragionamento il filosofo Pitagora fosse riuscito a determinare e individuare la
superiorità di Ercole nella statura. Poiché era generalmente ammesso che Ercole si fosse
servito dei propri piedi per misurare lo stadio che si trova a Pisa, presso il tempio di
Giove Olimpio, e ne avesse determinata la lunghezza in seicento piedi, e che gli altri
stadi della Grecia costruiti da altrisuccessivamente misurassero pure seicento piedi, ma
fossero tuttavia un poco più corti, Pitagora agevolmente determinò che la lunghezza del
piede di Ercole era maggiorre a rispetto a quella degli altri uomini di quanto lo stadio
olimpico era più lungo degli altri stadi. Determinata la dimensione del piede di Ercole,
calcolò quale altezza del corpo dovesse corrispondere a tale dimensione, in base alla
naturale proporzione fra tutte le membra del corpo, giungendo alla logica conclusiva che
Ercole dovesse essere, quanto al corpo, più alto degli altri di quanto lo stadio olimpico
superava gli altri costruiti con lo stesso numero di piedi."
AULIO GELLIO
" Inoltre egli dice (Varro) che la massima crescita del corpo umano è di sette
piedi. E penso che si debba ritenere tale notizia più vera di quella che Erodoto,
raccontatore di favole, narra nel I libro delle Storie; esser stato rinvenuto sotto terra
il corpo di Oreste, alto sette cubiti, cioè a dire dodice piedi e un quarto; a meno che,
come ritiene Omero, i corpi degli antichi viventi fossero più larghi e alti di oggi.
PLINIO---------- ZEUSI
" (Zeusi) .....dovendo fare un quadro per gli Agrigentini da dedicare pubblicamente a
spese pubbliche nel tempio di Giunone Lacinia, volle prima esaminare le loro fanciulle
nude, quindi ne scelse cinque come modelle affinché la pittura rendesse ciò che c'era di
più bello in ciascuna di loro." (Plin. Hist. nat. XXXV, 64)
LEON BATTISTA ALBERTI De Statua I
"E che lo Statuario potesse fare tante ecellenti e maravigliose opere, a caso
piuttosto, che mediante una ferma regola, e guida certa, cavata e tratta dalla ragione? Io
mi risolvo a questo, che di qualsivoglia arte, o disciplina, si cavino dalla natura certi
principij, e perfezioni, e regole; "
LEON BATTISTA ALBERTI De Statua II
"Delle quali cose è nostra intenzione di trattare,cioè in che modo, con qual regola
ferma, certa, e vera, si possino imitare e ritrarre delle atittudini. Le quali regole,
come io dissi, son due, la misura ( dimensio) cioè, ed il porre de'termini ( finitio).
Trattaremo adunque primieramente della misura, la quale certamente non è altro che una
stabile e fermo e certo avvertimento e notamento, per il quale si conosce e mette in
numeri e misure, l'abitudine, proporzione e corrispondenza, che hanno infra loro tutte le
parti del corpo l'una con l'altra, così per altezza come per grossezza, e quella che esse
hanno ancora con tutta la lunghezza di esso corpo."
LEON BATTISTA ALBERTI De Statua III
"Ma sia nondimeo qualsivoglia la lunghezza di tal regolo, noi la divideremo in sei
parti uguali, e dette parti chiameremo piedi, e dal nome de'piedi chiameremo questo regolo
il modine del piede. Rivideremo poi di nuovo ciascuno di questi piedi in dieci parti
uguali, le quali parti piccole noi le chiameremo once.Sarà adunque tutta la lunghezza di
questo modine sessanta di queste once. Di nuovo rivideremo ciascuna di queste once in
altre dieci parti uguali, le quali parti minori, io chiamo minuti. Da queste divisioni ci
averrà che tutto il modine sarà di sei piedi, e questi piedi saranno seicento minuti, e
ciascuno piede solo sarà cento minuti."
LEON BATTISTA ALBERTI De Statua IV
"Il porre de'termini è quel determinamento o stabelimento che si fa del tirare tutte
le linee, e dello svolgere, del fermare gli angoli, gli sfondi, i rilievi, collocandogli
tutti con vera e certa regola a' luoghi loro. (...) Infra la misura ....e il porre de'
termini, ci è questa differenza, che la misura va dietro, e ci dà e piglia certe cose
più comuni ed universali, le quali sono più fermamente e con più stabilità insite
nella natura ne' corpi, come sono le lunghezze, e grossezze, e le larghezze delle membra:
e il porre de' termini ci dà le momentanee varietà delle membra causate dalle nuove
attitudini, e movimenti delle parti, e ce ti insegna porre e collocare."
LEON BATISTA ALBERTI De Statua V
"E perchè la cosa sia mediante gli esempi più manifesta, ...ho preso questa fatica,
di descrivere cioè le misure principeli che sono nell'uomo.E non le particolari solo di
questo o di quell'altro uomo; ma per quanto mi è stato possibile, voglio porre quella
esatta bellezza, concessa in dono dalla natura, e quasi, con certe determinate porzione
donata a molti corpi, e voglio metterla ancora in scritto, imitando colui che avendo a
fare apresso a' Crotoniati la statua della Dea, andò scegliendo da diverse Vergini, e
più di tutte l'altre belle, le più eccelenti, e più rare, e più onorate parti di
bellezze che egli in quelle giovine vedesse, e le messe poi nella sua statua. In questo
medesimo modo io scelti molti corpi, tenuti da coloro che più sanno, belissimi, e da
tutti ho cavate le loro misure e proporzioni;delle quali avendo poi insieme fatto
comparazione, e lasciati da parte gli eccessi degli estremi, se alcuni ve ne fossero che
superassino, o fossero superati dagli altri, ho prese da diversi corpi e modelli, quelle
mediocrità, che mi son parse le più lodate. Misurate adunque le lunghezze, e le
larghezze, e le grossezze principali e più notabili, le ho trovate che sono così fatte.
Conciossiachè le lunghezze delle membra sono queste:"
LEON BATTISTA ALBERTI VI De re aedif. 93v p.446
"Definiremo la bellezza come l'armonia tra tutte le membra, nell'unità di cui fan
parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa aggiungere o togliere o
cambiare se non in peggio".
L.B.ALBERTI De Statua VII
ALTEZZE DEL PAVIMENTO PIEDI GRADI MINUTi
La maggiore altezza sino al colo del piedi è........ _____ 3 ____
La altezza di fuori del tallone...................... _____ 2 2
La altezza di dentro del tallone....................... _____ 3 1
La altezza sino al ritiramento sotto la polpa..... _____ 8 5
La altezza sino al ritiramento
sotto il rilievo dell'osso, che è sotto
il ginocchio dal lato di dentro..... 1 4 3
La altezza sino al musculo ch'è
nel ginocchio dal lato di fuora................. 1 7 0
La altezza sino a' granelli ed alle natiche...... . 2 6 9
La altezza sino all'osso sotto il quale
sta appiccata la natura............................. 3 0 0
La altezza sino alla appicatura della coscia...... 3 1 1
La altezza sino al bellico........................ 3 6 0
La altezza sino alla cintura...................... .. 3 7 9
La altezza sino alle poppe, e
forcella dello stomaco...... 4 3 5
La alteza sino alla fontanella della gola............. 5 0 0
La altezza sino al nodo del collo...................... 5 1 0
La altezza sino al mento................... ..... 5 2 0
La altezza sino all'orecchio................................ 5 5 0
La altezza sino al principio
de' capelli in fronte.......................... .......... 5 9 0
La altezza sino al dito di
mezzo della mano spenzoloni................... ..... 2 3 0
La altezza sino alla congiuntura di
detta mano pendente....................... 3 0 0
La altezza sino alla congiuntura
del gomito pendente.......................... . 3 8 5
La altezza sino all'angolo
più alto della spalla......................... ............... 5 1 8
LE LARGHEZZE CHE SI MISURANO DALLA DESTRA ALLA SINISTRA
La maggior larghezza del piede........................ 0 4 2
La maggior larghezza del calcagno................... 0 2 3
La maggior larghezza infra sporti de' talloni...... 0 2 4
Il ritiramento, o ristrignimento sopra i talloni....... 0 1 5
Il ritiramento del mezzo della
gamba sotto il musculo...... 0 2 5
La maggior grossezza al musculo della gamba..... 0 3 5
Il ritiramento sotto la grossezza
dell'osso al ginocchio........ ..... 0 3 5
La maggior larghezza
dell'osso del ginocchio........................ ... 0 4 0
Il ritiramento della coscia
sopra il ginocchio.............................. 0 3 5
La maggior larghezza al
mezzo della coscia...................... ......... 0 5 5
La maggior larghezza fra i mucoli
dell'appiccatura della coscia............. ....... 1 1 1
La maggior larghezza fra amendui i fianchi
sopra l'appiccatura della coscia............... .... ____ _____ _____
La maggior larghezza nel petto
fra l'appiccatura delle braccia.......................... 1 1 5
La maggior larghezza fra le spalle................ .. 1 5 0
La largheza del collo........................................ _____ _____ _____
La larghezza fra le guance.................................. 0 4 8
La larghezza della palma della mano................ _____ _____ _____
Le largheze del braccio, e le grossezze sono mediante i loro moti diversi, pur comunemente
son queste:
La larghezza del braccio
nell'appiccatura della mano.............................. 0 2 3
La largheza del bracio
dal musculo, e gomito........................................ 0 3 2
La larghezza del braccio
di sopra sotto la spalla......................................... 0 4 0
LE GROSSEZE CHE SONO DALLE PARTI DINANZI A QUELLE DI DIETRO
La lunghezza che è dal
dito grosso al calcagno......................................... 1 0 0
La grosseza che è, dal collo del piede
all'angolo del cal cagno........................................... 0 4 3
Il ritiramento sotto il collo del piede.......................... 0 3 0
Il ritiramento sotto il musculo
a mezzo della gamba............................................... 0 3 6
Dove il musculo della gamba
esce più in fuori......................................................... 0 4 0
Dove esce più in fuori
la padella del ginocchio............................................. 0 4 0
La maggior grosseza nella coscia................................ 0 6 0
Dalla natura allo sporto delle mele.............................. 0 7 5
Dal bellico alle reni....................................................... 0 7 0
Dove noi cinghiamo...................................................... 0 6 6
Dalle poppe agli sporti delle reni..................................... 0 7 5
Dal gorgozzule al nodo del collo............................... 0 4 0
Dalla fronte al di dietro del capo................................... 0 6 4
Dalla fronte al buco dell'orecchio....................... _____ _____ _____
La grossezza del braccio
all'appiccatura della mano..........................................._____ ______ _____
La grosezza del braccio
al musculo sotto il gomito........................... _____ _____ _____
La grossezza dal musculo
sotto l'appiccatura del braccio ................................. _____ _____ _____
La maggior grossezza della mano.......................... ______ _____ _____
La grossezza delle spalle ........................................... 0 3 4
BIBLIOGRAFIA
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Milano,1987,pp.45,73 sgg.
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Arquitettura Civile e Militare,dopo il 1493 in Trattati di Arquitettura Ingegneria e Arti
Militare, a cura di C. Maltese, Milano,1967,voll.I,II.
Per il canone dopo il 1486,I,pp.68,90,91; e per il canone dopo il 1493,II,p.403.
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Cimabue insino a' tempi nostri,Firenze,1550, a cura di Luciano Bellosi,Aldo Rossi,
Einaudi,Torino,1986; pp.44,45
ANTONIO AVERLINO detto FILARETE, Trattato di Architettura,1451-64 ca a cura di Anna Maria
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DANIELE BARBARO,La pratica della perspettiva...Opera molto utile a Pittori,a Scultori e ad
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Cfr.LEONARDO DA VINCI,The literary works of Leonardo da Vinci,Compiled and edited from the
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York,Phaidon(bath,pitman Press),1970,vollI,pp.243-70 e voll.II,pp.85-93;Giuseppe Favaro,Il
canone diLeonardo sulle proporzioni del corpo umano,in <<Atti del Reale Istituto
Veneto di Scienze,Lettere e Arti>>,1917-18,pp.167-227,tomo LXXVII.
PAOLO PINO,Dialogo di Pittura,Venezia,1548,in Paola Barocchi,1971-77,pp.1757-58.
GREGORIO COMANINI,Il Figino,overo del fine Pittura, in Paola Barocchi,1971-77,pp.
LODOVICO DOLCE,Dialogo della Pittura intitulato l'Aretino,Venezia,1557, in Paola
Barocchi,1971-77.
VINCENZO SCAMOZZI,L'idea della Architettura universale,Venezia,1615, I parte,p.38.
Cfr.CODEX HUYGENS, Erwin Panofsky,The Codex Huygens and Leonardo da Vinci's art theory
,The Pierpont Morgan Library.Codex M.A.1139,London,1940.
MICHELE SAVONAROLA,Speculum Phisiognomie,Venezia,1442,Libreria
Marciana,Cod.Lat.,VI,156(2672),ff.41r-112v.
LORENZO GHIBERTI,I commentari,1447ca, a cura di Ottavio Morisani, Napoli,1947
LODOVICO SETTALA,De nei,Venezia,1609,pp.48-50.
Cfr,LEON BATTISTA ALBERTI,De Statua,1442-52, tr.it.Della Pittura e della
Statua,Milano,1804,pp.101-136.
BIBLIOGRAFIA GENERALE
Erwin Panofsky,Die Entwicklung der Proportionslebre als Abbild der Stilentwicklung, in
<<Monatshefte fur kunstwissenschaft>>,1921,pp.188-219,tr.it. la storia della
teoria delle proporzioni del corpo umano come riflesso della storia degli stili,in Il
significato nelle arti visive,Torino,1982,pp.59-106.
GIACOMO BERRA,La storia dei canoni proporzionali del corpo umano e gli sviluppi in area
lombarda alla fine del cinquecento, in<<Raccolta Vinciana>>,1994.
INTRODUZIONE
Il concetto di proporzione è un concetto matematico, che ha assunto grande importanza
nelle arti visive, fornendo loro un complesso di norme corrispondenti a quelle metriche
della poesia e della musica. La ricerca di equilibrio, di unità, d'ordine , l'esigenza
stessa di fissare l'arte in una normativa tecnica, in un linguaggio intelligibile, hanno
portato gli artisti a basarsi largamente sulle forme geometriche, sui loro rapporti
proporzionali, sia in modo intuitivo, sia in modo consapevole anche sul piano teorico.
Con il Rinascimento italiano rinasce la cultura classica, facendo sì che tutta quella
tradizione sull'interpretazione cosmologica della teoria delle proporzioni (già corrente
nell'epoca ellenistica e nel medioevo), venisse fusa con la nozione classica di <<
simmetria >> come principio fondamentale della perfezione estetica.
Lo spirito metafisico e razionale, neoplatonico e aristotelico auitò l'interpretazione
delle teorie proporzionali sia dal punto di vista della cosmologia armonistica che da
quello dell'estetica normativa, e con ciò, sembrò possibile ricollegare la tradizione
medievale tardoellenistico, con quella policletea dell'ordine classico.
Lo studio dei testi classici come ad esempio, il Timeo di Platone, De Architectura libri
decem di Vitruvio, Gli Elementi di Euclide, furono e sono fondamentali per questo tipo di
ricerca.
Il corpo umano e le sue proporzioni furono così lodate come un concretarsi visivo
dell'armonia musicale contenuta nell'universo ( la parola greca Kosmos = Ordine ),
specchiando così il macrocosmo.
CONTENUTO
Attraverso le differenti proposte e variazioni dei diversi canoni elaborati durante
un'arco di tempo che va dal Cennini , 1437ca, allo Scamozzi, 1615, sarà possibile
evidenziare come la teoria delle proporzioni del corpo umano ( canone ), ha assunto sia la
funzione di strumento tecnico valido da utillizzare nelle botteghe degli artisti, sia
quella di indagine puramente conoscitiva al fine di potere giungere ad un risultato
convincente dal punto di vista teorico e pratico. Userò nella tabella comparativa il
canone che più soffre modificazioni nei suoi moduli di sottodivisione, identificato come
canone proporzionale Pseudo-varroniano, o più raramente , Italo-bizantino. Il canone
pseudo-varroniano sostituisce la ripartizione regolare della figura del sistema vitruviano
per il fatto che la figura, pur essendo suddivisa in base ad un modulo prestabilito,
presenta dei sottomoduli che individuano alcune specifiche parti del corpo e che vengono
sommati tra loro per raggiungere l'unità del modulo nel conteggio globale. Il modulo-base
ancora utilizzato è la faccia ( dal mento alla radice dei capelli ), chiamata molte volte
impropriamente << testa >>, la quale solitamente suddivide il corpo in nove
parti, tenendo però conto che otto di questi sono moduli interi, mentre il nono deriva
dalla somma dei sottomoduli che si riferiscono a settori specifici del corpo alla parte al
di sopra della radice dei capelli, al collo, al ginocchio e al piede. Queste quattro parti
definite dai sottomoduli sono quelle che appunto subiscono maggiormente le variazioni e le
deformazioni che impone il corpo umano nei vari atteggiamenti e movimenti.
Rispetto al sistema vitruviano permane identica anche nel canone pseudo-varroniano la
larghezza delle spalle individuata in due moduli, e anche la suddivisione regolare della
faccia in tre parti uguale, dalla radice dei capelli al principio del naso, da esso alla
punta del naso e da essa al mento.
Nella tabella comparativa ci sarà il canone di Leonardo da Vinci ( disegno Gallerie
dell'Accademia a Venezia ), l'unico che non fa parte della tradizione pseudo-varroniana.
Questo canone molto più vicino alla tradizione vitruviana, per la sua importanza storica,
bellezza, precizione, e quantità di dati proporzionali, ci permetterà una diretta
comparazione con gli altri esaltandone le differenze. L'analisi comparativa delle
variazioni sottomodulari nei canoni, ci fa capire lo svilluppo dei canoni in questo
particolare periodo della storia e le differenti soluzioni di proporzione proposte dai
teorici rinascimentali.
CONCLUSIONE
A questo alto concetto della teoria delle proporzioni, tuttavia non sempre ci fu una
verifica empirica di esse. Nonostante ciò, possiamo apprendere dei dati stabili e sicuri
attraverso la tradizione, i quali sono: la tripartizione della faccia, la misura della
mano equivalente ad una faccia, il posizionamento della radice del pene nel mezzo del
corpo umano, che la misura dell'altezza dell'uomo è uguale alla sua larghezza da un
indice della mano all'altro, considerandolo con le braccia aperte e la bipartizione della
larghezza tra le spalle.
Tanto nella tradizione pseuda-varroniana quanto in quella vitruviana di otto teste, la
figura viene ripartita in tre parti uguali (a seconda del modulo-base) dalla radice
dell'organo genitale fino alla fosseta iugulare (pseudo-varroniano) anzicché al mento (
vitruviano ). Per gli arti inferiori è più difficile trovare un'analogia fra i due
canoni ma, possiamo paragonare i due moduli, che stanno dalla radice del pene alle
ginocchia, solamente se consideriamo la metà delle ginocchia come punto fisso.
Il problema delle lunghezze delle braccia non è mai stato risolto sufficientemente bene,
anche perché un metodo scientifico di misurazione non fu aplicato. Molte volte le braccia
furono misurate aperte,e non in posizione di adduzione distese lungo il corpo, (partendo
dall'acromion al gomito,e da quest'ultimo all'articolazione del polso, e da qui fino al
dito indice della mano), a volte partendo dalle ascelle o altre dando le misure senza
però precisarle nei relativi membri.
Grande è l'importanza della definizione dei moduli-base in testa o faccia, giustamente
perché l'altezza della figura modificherà considerevolmente.
INDICE
I CANONI PROPORZIONALI DEL CORPO UMANO NEL RINASCIMENTO ITALIANO
Introduzione
I. L'ANTICHITË
I.1. Canone di Policleto
I.2. Canone di Vitruvio
I.3. La polemica di Platone
II. IL MEDIOEVO
II.1.Il mondo bizantino
II.2. Agostino
II.3 Villard De Honnecourt
II.4. Ristoro d'Arezzo
III. RINASCIMENTO
III.1.Le caratteristiche ed i problemi del canone di Vitruvio
III.2.Canone Pseudo-Varroniano
III.3.Disegno di Mario Taccola
III.4.Canone di Cennino Cennini
III.5.Canone di Leon Battista Alberti
III.6. Canone di Michele Savonarola
III.7. Canone di Lorenzo Ghiberti
III.8. Canone di Antonio Averlino detto il Filarete
III.9. Canone di Bonaccorso Ghiberti
III.10. Canone di Francesco di Giorgio Martini prima del 1486
III.11. Canone di Leonardo da Vinci
III.12. Canone di Francesco di Giorgio Martini dopo il 1493
III.13. Canone di Pomponio Gaurico
III.14. Canone di Cesare Cesariano
III.15. Canone di Guglielmo Della Porta
III.16. Canone di Paolo Pino
III.17. Canone di Giorgio Vasari
III.18. Canone di Girolano Cardano
III.19. Canone di Lodovico Dolce
III.20. Canone di Antonio Maria Vesnuti
III.21. Canone di Daniele Barbaro
III.22. Michelangelo
III.23. Disegni della Piermont Morgan Library di New York
III.24. Disegni della Christ Church di Oxford
III.25. Canone di Rafaelle Borghini
III.26. Canone di Bernardino Campi
III.27. Canone di Gian Battista Armenini
III.28. Canone di Gian Paolo Lomazzo
III.28.1. Gli sogni e ragionamenti...
III.28.2. Trattato della Pittura
III.28.3. Idea del Tempio della Pittura
III.29. Canone di Gregorio Comanini
III.30. Canone di Gio Paolo Galucci
III.31. Canone di Enea Salmeggia detto il Talpino
III.32. Canone di Lodovico Settala
III.33. Canone di Vincenzo Scamozzi
IV. Conclusione
V. Appendice
V.1. Canone di Enrico Cornelio Agrippa 1533
V.2. Tabella schemmatica dei canoni
V3. Tabella anatomica e comparativa dei canoni
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