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PROPORZIONI



L’ANTICHITÀ
Il concetto di ordine, e in particolare di ordine matematico, è alla base della nostra confermazione psicofisica. Lo stesso corpo umano segue la legge della simmetria; le sue due metà sono uguali, e più le sue proporzioni e forme sono perfette più ci sembra bello.
La nostra interpretazione della natura è prevalentemente matematica: noi esprimiamo le leggi che governano tutti i fenomeni, da quelli che ci sono più vicini a quelli dell’universo, in termini matematici.
Pitagora credeva che l’essenza e la verità ultima della struttura dell’universo risiedesse in rapporti numerici e proporzionali ben determinati. Le sue convinzioni trovavano sostegno nell’osservazione che gli intervalli musicali consonanti derivavano da rapporti fissi e invariabili, riscontrabili nelle corde degli strumenti musicali.
Se si hanno due corde sottoposte alle stesse condizioni e una è lunga l’esatta metà dell’altra, pizzicandole si potrà notare che l’altezza del suono emesso dalla corda più corta è superiore di un’ottava al suono della corda più lunga: ossia il rapporto 1:2 corrisponde ad un intervallo di ottava, o in greco Diapason.
Se la corda più corta viene a sua volta dimezzata otterremo un’ottava ancora superiore, e il rapporto tra i due intervalli d’ottava può esprimersi come 1:2:4. Se il rapporto tra le due corde è invece di 3:4, l’intervallo è di una quarta o Diatesseron, mentre ripetendo l’esperimento con il rapporto di 2:3 l’intervallo è di una quinta o Diapente.
La scala musicale dei Greci consisteva di tre consonanze semplici, Diapason, Diatesseron, Diapente, e due composte, Disdiapason e Diapasondiapente ovvero l’ottava, la quarta e la quinta, la doppia ottava e l’ottava più la quinta (tripla).
Risulta quindi evidente che l’intero sistema armonico greco era contenuto nei rapporti 1:2:3:4. La scoperta che tutte le consonanze musicali possono esprimersi matematicamente con i rapporti fra i primi quattro numeri interi e la scoperta della stretta interrelazione di suono, spazio (la lunghezza della corda) e numeri debbono aver stupefatto e affascinato Pitagora e i suoi accoliti: doveva sembrare loro di possedere la chiave che permetteva di penetrare in regioni inesplorate dell’armonia universale.
Applicando la teoria pitagorica del "medio" ai rapporti d’intervallo della scala musicale greca, quest’ultima ricevette una propria ragione d’essere matematica e logica. Per comprendere questo è importante operare una distinzione tra rapporto e proporzione.
Il rapporto è una relazione tra due quantità, mentre la proporzione consiste in un’uguaglianza di rapporti tra due coppie di quantità. In altri termini, in un autentico rapporto proporzionale debbono esserci almeno tre grandezze: due estremi e un termine intermedio, solitamente chiamato il "medio".
È significativo che i tre principali tipi di proporzione, le cui proprietà vennero pienamente riconosciute da Pitagora e dai suoi sucessori, determinano le consonanze della scala musicale. La prima di queste è la cosidetta proporzione geometrica, nella quale il primo termine sta al secondo come il secondo sta al terzo (1:2:4).
È quindi la proporzione geometrica a determinare l’ottava. Il secondo tipo è chiamato proporzione aritmetica: qui il secondo termine sopravanza il primo con la stessa quantità con cui il terzo sopravanza il secondo, come, ad esempio, nella proporzione 2:3:4.
In altri termini la proporzione aritmetica determina la suddivisione dell’ottava in una quinta e una quarta. Il terzo tipo è chiamato proporzione armonica.
Tre termini sono tra loro in proporzione armonica quando la distanza dei due estremi dal medio è una stessa frazione della loro quantità. Prendiamo ad esempio la proporzione 6:8:12. Il medio 8 è maggiore di 6 della terza parte di 6, ed è minore di 12 della terza parte di 12. Questa è un’inverzione del caso precedente, poiché 6:8:12 divide l’ottava in una quarta e una quinta. In tal modo questi tre tipi di proporzione e le consonanze musicali sono strettamente correlate.
Secondo il concetto pitagorico adottato e svillupato da Platone, l’essenza del bello consiste nell’ordine (tàxis), nella misura, nella proporzione (symmetrìa), nell’accordo e nell’armonia. Esso venive inteso cioè in primo luogo come una proprietà derivante da un accordo (disposizione, armonia) tra le parti, e in secondo luogo come una proprietà numerica, adatta ad essere espressa in numeri (misura, proporzione).
Nel Filebo, Platone dice che "...la misura infatti e la simmetria risultano dovunque bellezza e virtù.", (Plat. Phil., 64 E). In questo dialogo lui sostiene che l’essenza del bello, come tutto ciò che è buono, sta nella misura e nella proporzione.
Già nel Sofista, ritroviamo lo stesso concetto e il complemento negativo di esso, per cui la "mancanza di armonia di misure è deformità ovunque sia",(Plat. Sof., 228 A).
Nel Timeo, parlando del rapporto tra bellezza e misura, Platone afferma che " tutto ciò che è buono è bello, ed il bello non è privo di simmetria", (Plat. Tim., 87 C).
Questa dottrina pitagorica della misura e della proporzione comparve relativamente tardi nella filosofia di Platone, ma ne divenne subito una caratteristica dominante.
Nel Timeo di Platone troviamo esposta la teoria che Dio compose l’anima del mondo secondo le leggi dell’armonia musicale, indicando così una serie di numeri che reppresentano le sette parti dell’anima: 1, 2, 3, 4, 9, 8, 27.
Diffati, " Cominciò poi a dividere così: prima tolse dal tutto una parte, dopo di questa ne tolse una doppia di essa, e poi una terza ch'era una volta e mezzo la seconda e tre volte la prima, una quarta, doppia della seconda, una quinta, tripla della terza, una sesta, ottupla della prima, una settima, ventisette volte maggiore della prima." (Plat. Tim. 35b)
Di questa conclusione nasce il lambda platonico 1, 2, 4, 8, e 1, 3, 9, 27, il quale forma due proporzioni geometriche, che hanno come primo termine comune l’uno, e una ragione del doppio nella prima serie, e una ragione del triplo nella seconda serie.
I Pitagorici ponevano i numeri in tutti le cose, facendoli l’essenza immanente di esse, invece per Platone i numeri sono trascendenti non potendo essere nelle cose. Platone dopo aver costruito di là del sensibile il mondo intelligibile, accoglie dai Pitagorici la concezione del numero come sostanza dell’ordine del cosmo che esplicita l’esistenza di un ordine entro il sensibile, e come questi, serve dei numeri per esprimerlo.
Trasportando il fatto numerico in terreno filosofico pone tre gradi nell’ente, quello perfetto dell’intelligibile in sè, quello intermedio dell’intelligibile nel sensibile, e quello del sensibile. La trasformazione delle idee in numeri gli permetteva di gettare un ponte, quello degli enti matematici, tra il mondo trascendente e il mondo delle cose sensibili.
Già Aristotele, sia nella Poetica che nella Politica, sostiene che la bellezza dipende dell’ordine e della grandezza. Nella Metafisica aggiunge una terza proprietà generale della bellezza quando dice che essa dipende dalla simmetria "Le più alte forme del bello sono l’ordine e la simmetria e il definito, e queste cose sono messe sommamente in rilievo dalle scienze matematiche.", (Arist. Met., XII, 3, 1078a36), e ancora, "Il vigore invero resiede nei tendini e nelle ossa; la bellezza invece sembra essere una certa simmetria delle membra.", (Arist. Top, III, 1, 116b21).
Egli tende a porre su di uno stesso piano proporzione e ordine, riconoscendo alla bellezza soltanto due proprietà principali: l’ordine (o proporzione) e la misura.

POLICLETO
Nel periodo storico dell’arte greca che oggi chiamiamo "classico", artista e teorico si identificavano nella stessa persona. Molti tra gli artisti di questo periodo, non soltanto costruivano, scolpivano e dipingevano, ma scrivevano anche sull’arte.
I loro trattati non consistevano soltanto in informazioni tecniche e in principî fondati sull’esperienza pratica, ma anche in discussioni generali intorno alle leggi, alla simmetria e ai canoni dell’arte che contenevano principî estetici che poteva servire da "guida stabile" agli artisti contemporanei.
Policleto avendo "(...) istruito tutti noi in quello scritto sulla simmetria del corpo rinsaldò il ragionamento con l’opera, avendo creata una statua secondo i dettami del ragionamento, ed avendo poi chiamata la stessa natura, come appunto lo scritto, Canone." (Galen. de plac. Hipp. et Plat. 5, 3 162), può essere considerato il primo esempio conosciuto di determinazione scritta della dottrina delle proporzioni dell’antichità.
Certamente sarebbe assai inesatto pretendere che egli per primo abbia concepito un sistema di proporzione, visto che nel VI e V secolo la parola KANON " è sinonimo di metron; è la misura, o l’unità di misura; in un primo tempo empirica, come il piede, il cubito o simili, poi numerica e numerico-ottica" ( FERRI).

Possibilmente questo canone era determinato da un modulo o unità di misura numerica che serviva da misura comune, il quale moltiplicandosi da se stesso, produceva delle combinazioni assai sicure, assai armoniche determinando per ogni parte del corpo le proporzioni più belle.
Questa possibile conclusione è in un passo di Galeno: "(Crisippo) invece ritiene che la bellezza non consista nella simmetria degli elementi ma in quella delle parti, del dito in relazione col dito, e di tutti insieme in relazione al metacarpo e al carpo, e di questi rispetto all'avambraccio, e dell’avambraccio rispetto al braccio; e di tutti essi rispetto al tutto, secondo quanto appunto è scritto nel Canone di Policleto. Infatti egli, avendo istruito tutti noi in quello scritto sulla simmetria del corpo rinsaldò il ragionamento con l’opera, avendo creata una statua secondo i dettami del ragionamento, ed avendo poi chiamata la stessa natura, come appunto lo scritto, Canone." (Galen. de plac. Hipp. et Plat. 5, 3 162)
Il metodo matematico frazionario applicato ai problemi artistici e questo ordine di idee traspare proprio una tradizione pitagorica. Un’artista di quel secolo non poteva non conoscere l’estetica pitagorica, (fondata sulle proprietà dei numeri, corpi perfetti, e principalmente sull'armonia musicale,) ed uno degli aforismi che l’antichità attribuiva a Policleto ci mostra proprio in lui un seguace di quelle teorie.
Nei due seguenti passi che qui seguano possiamo capire bene quel che si intende:
"(...) Così che la sentenza detta dallo scultore Policleto dovrebbe essere famigliare a chi esita: disse infatti che l’ottimo (la bellezza) è costituito nella scala più piccola, di molti numeri". (Philo mechan. synt. IV, 1, p.49, 20).
"Perché, in ogni opera la bellezza si realizza per mezzo della simmetria ed armonia, ad esempio attraverso molti numeri che convengono nel punto giusto, mentre il brutto ha una immediata e improvvisa origine da un difetto casuale o da un eccesso casuale;...." (Plut. Moralia I, 91)
Nasce così in greco il concetto della SYMMETRÌA, il quale già osservava Plinio che, in latino un termine corrispondente non esiste esattamente " non habet latinum nomem symmetria" (Plin., nat. hist. 34, 65 ).
La definizione esattava è data da Erone (Deff. 128) "simmetriche son dette le quantità misurabile i con una misura unica; assimmetriche quelle che non ammettono una misura comune". Non è da credere che questa legge solida della simmetria-analogia sia un qualche cosa di negativo, sia una imposizione o un impacccio alla creazione artistica greca.
Al contrario il principio del collegamento simmetrico ha profonde basi nell’intimo animo dei Greci, i quali, affermavano ed erano convinti che la natura sia attuazione e mimesis di un sistema armonico di numeri, e quindi tutte le arti, inquanto mimesis dell’idea e della natura, anch’esse siano espressoni di numeri in concordia con la natura.
L’ordine classico policleteo consisteva nel concretarsi visivo delle armonie musicali, perché "...quelli intorno a cose stabile e certa e che risplende all'intelletto, devono essere stabili e fermi e, per quanto si può, inconfutabili e immobili, e niente di tutto questo deve mancare. Quelli poi intorno a cosa, che raffigura quel modello ed è a sua immagine, devono essere verossimili e in PROPORZIONI* di quegli altri: perché ciò che è l'essenza alla generazione, è la verità alla fede." (Plat. Tim. 29b) .*(la sottolignatura è mia)
Nell’importante trattato De Architecttura di Vitruvio, il noto architetto di età augustea, troviamo l’unico passo della letteratura antica sul un sistema di proporzione del corpo umano: " Infatti la natura ha composto il corpo umano in tal modo che il viso, dal mento all’alto della fronte ed alle più basse radici dei capelli, fosse la decima parte (del corpo); parimente la mano stesa dalla giuntura alla punta del ditto medio, altrettanto; il capo dal mento al vertice più alto, l’ottava parte; insieme col collo, dalla sommità del petto all’attacatura inferiore dei capelli, la sesta parte, (dalla metà del petto) al vertice sommo la quarta parte. La terza parte del viso, considerata in altezza, è dal mento alla base delle narici; un’altra terza parte è costituita dal naso stesso, considerato dalla base delle narici al punto di incrocio delle sopracciglia. E l’altra terza parte va di lì alla radice dei capelli. Il sesto dell’altezza del corpo è costituito dal piede, il quarto dal cubito, e un altro quarto dal petto. Le quote di misura proporzionale le hanno anche altre parti del corpo, e per mezzo di esse gli antichi pittori e scultori ottennero immense lodi. Le membra dei templi, devono avere, con metodo simile, una perfetta corrispondenza e concordanza di misure nelle singole parti con tutta la somma della grandezza intera. Ugualmente è naturale che il centro del corpo sia l’ombelico; poiché se un individuo si collocasse supino con mani e piede aperti, e si facesse centro l’ombelico con un compasso delineando una circunferenza, le dita delle mani e dei piedi sarebbero tangenti a quella. E come si trova nel corpo lo schema della circunferenza, così si troverà in esso quello del quadrato. Infatti, misurando dal piano dove poggiano i piedi alla cima del capo, e riportando la stessa misura alle mani aperte, si troverà la stessa lunghezza, come avviene nel quadrato squadrato. Dunque, se la natura ha composto in tal modo il corpo dell’uomo, che le membra singola e corrispondono in proporzione alla intera somma figurata, sembra allora che gli antichi abbiano con buone ragioni fissato che nell’opera compiuta e perfeta deve esistere una esatta corripondenza delle singole membra con la visione intera dell’opera.(...).
E fecero di più (gli antichi); i calcoli delle misure che in ogni opera pare siano necessari, li hano raccolti dalle membra del corpo, per esempio, il dito, il palmo, il piede, il cubito, e li hanno distribuiti in un numero perfetto che i Greci chiamano Teleon. Gli antichi hanno stabilito che il numero perfetto sia il dieci, perché è stato trovato dal numero delle dita della mano." (Vitruv. De Archit. III, 1, 65)
Secondo l’opinione di FERRI, i paragrafi di questo testo "costituisce un interessante frammento di qualche trattato ellenistico sui ‹‹canoni›› della scultura. Che si tratti di fonte ellenistica può facilmente indursi dalla solita mescolanza di espressioni e principi artistici del V secolo con altri evidentemente del IV e seguenti."
Comunque sia, il testo vitruviano permette alcune osservazioni d’indole teoretica di notevole importanza. Anzitutto il punto di partenza per il calcolo della simmetria umana è rappresentato dalle membra stessa nella loro compagine e corrisponsione. Non è scelto un membro al posto di un altro.
Con ogni probabilità il modulo antropomorfico (diametro dell’imoscapo, o cubito, piede, stinco della persona) è stato in vigore in tutta l’epoca arcaica, e solo verso la metà del V secolo si è cercato un aproffondimento a causa dell’influenza pitagorica e perchè più comodo, del quantum numerico corripondente al membro fisico-strutturale o umano.
Sebbene i greci eseguissero le loro opere in conformità alle proporzioni matematiche e alle forme geometriche, in certi casi se ne scostarono.
Queste derivazioni sono troppo coerenti per non essere consapevoli, deliberate, ed effettuate con una chiara intenzione estetica.
Diodoro Siculo scrisse che sotto questo aspetto l’arte greca differiva da quella degli Egizi, che calcolavano le proporzioni senza tenere conto delle esigenze della vista.
I Greci ne tenevano conto, cercando di compensare le deformazioni ottiche. Loro davano alle figure dipinte o scolpite forme irregolari, consapevoli che proprio per mezzo di questo procedimento, esse sarebbero apparse regolari.
L’uso della prospettiva come correzione ottica causò la grande polemica in Platone, per il quale, il compito dell’arte doveva essere "verità" per rapporto alle Idee. Essa deve di necessità ricondurre il mondo visibile a forme immutabili, generale ed eterna, rinunciando per tal modo a quella individualità ed originalità del carattere delle sue creazioni.
"Questa (l’arte icastica) si trova specialmente quando uno realizza una imitazione rapresentando il suo modello in modo da mantenerne le esatte proporzini in lunghezza, larghezza e profondità, e, oltre a ciò, fornisce anche i colori che convengono a ciascun particolare. Ma come? Forse che non cercano di fare ciò tutti coloro che imitano qualcosa?
Direi che non lo facciano almeno tutti quelli che pretendono modellare o dipingere qualche cosa di grande. Se riproducessero la reale proporzione di queste cose belle, sai che le parti superiori ci apparirebbero troppo picolle e le parti inferiori troppo grandi, poiché vediamo le une da vicino e le altre da lontano." (Plat. Protag. 356c)
Secondo una nota poesia di Giovanni Tzetzes, Fidias, considerando l’apparente rimpiccolirsi degli oggetti a grande altezza, avrebbe dato alla sua Atena proporzioni obbiettivamente errate, perché si trattava di una scultura molta alta messa in una alta base, e perciò appunto avrebbe riportato vittoria su Alcamene, ed è proprio sul punto che egli fissa la sua polemica: l’uso della prospettiva.
Perciò Platone logicamente contrappone alla libera arte greca quella, sottoposta a canoni degli Egiziani.
Infatti nella Legge scrisse: " Risulta che fin da tempi antichissimi fu conosciuto da loro il discorso che noi ora stiamo dicendo, che cioè i giovini nello stato debbono familiarizzarsi con le belle figure e le belle melodie. Essi le definorono, mostrarono nei templi quali sono e come sono. Oltre a questo non era lecito nè a pittori nè ad altri che rappresentassero figure e facessero altre simili opere d’arte, compierne di diverse e nemmeno pensare altre da quelle della patria tradizione e per tutto il complesso dell'arte musicale. Là tu potrai scoprire, osservando, pitture e sculture antiche di diecimilla anni, non per modo di dire, ma realmente diecimilla anni, e sono nè peggiori di quelle che ora state elaborate, prodotte con la stessa arte". (Plat. Legge II 656d, 656e, 657a)
Nel Sofista egli lancia la sua condanna secondo quale l’artista crea simulacri imprecisi e fallaci, che, per ingannare l’occhio nostro imperfetto, ingrandiscono ciò ch’è picolo e rimpiccioliscono ciò ch’è grande, e allora l’opera dell’artista accresce il turbamento dell’anima nostra stando, per rapporto alla verità, ad un livello inferiore che non quello del mondo sensibile. Anche da questo frammento si può capire perché si aviccinassero meglio al suo ideale le opere di quegli scultori e pittori egiziani, che non soltanto si mantenevano fedeli alle loro formule immutabili, ma anche rifiutavano ogni concessione alla prospettiva.

IL PRIMO MEDIOEVO
I primi scrittori cristiani che dànno inizio alla filosofia cristiana, dànno inizio anche all’estetica cristiana. I padri greci e in particolare san Basilio, ed i padri latini con alla testa Agostino, i primi si muovano da fonti greche, gli altri da fonti romane, ma tutti hanno dimestichezze con le teorie degli antichi sull’arte e sul bello.
Infatti, questa è solo una delle fonti dell’estetica dei padri della chiesa, giustamente perchè l’altra è costituita dalle loro specifiche concezioni cristiane contenute nella Sacra Scrittura, anche se essa avesse finalità diversa da quella estetica.
Il GENESIS contiene un’enunciazione di grande importanza dal punto di vista estetico, giacché concerne la bellezza del mondo. Il testo dice: " E Dio contemplò tutto quello che aveva fatto e vide che era molto bello (kàlos)",(Genesis I 31).
Possiamo dunque individuare in questa espressione la nozione che il mondo è bello, ma anche il concetto che esso è bello perchè, come un'opera d’arte, è la creazione consapevole di un essere pensante. Il termine kàlos aveva una larga gamma di significati, denotava la belleza non solo in senso estetico ma anche in senso morale e in generale, tutto ciò che merita approvazione o suscita piacere.
I traduttori greci usando questo termine per esprimere l’idea biblica che il mondo era bene riuscito, introdussero nella Biblia un concetto greco concernente la bellezza del cosmo.
La parte dell’Antico Testamento che viene dato più spazio alla bellezza è il LIBRO DELLA SAPIENZA. Il libro introduce un’idea filosofica puramente greca (pitagorica e platonica), di che Dio dispose " tutto secondo misura, numero e peso", (XI 21), lasciando un chiaro segno del peso che l’influenza greca esercitò sulla stesura del libro.
Il fatto che queste idee si trovassero nelle pagine della Sacra Scrittura fu di massima importanza, perchè con l’autorità del testo sacro si legittima la loro propagazione che poi, diventeranno punti fondamentale per l’estetica medievale.
Nel libro Corpus Dionysiacum, scritto nel V secolo da un autore neoplatonico oggi riconosciuto come Pseudo-Dionigi, troviamo idee fondamentali che ebbero vastissima influenza tanto nell’estetica bizantina, come in quella medievale. Viene introdotto nell’estetica cristiana il concetto di bellezza assoluta a scapito della belleza sensibile, dando ingresso al concetto dell’emancipazione della bellezza sensibile da quella assoluta. Da ciò deriva l’attribuizione alla bellezza sensibile di un significato simbolico, in quanto essa è una rappresentazione del bello assoluto.


IL MONDO BIZANTINO
L’estetica bizantina, religiosa e spiritualista, è una continuazione dell’estetica dei padri greci e dello Pseudo-Dionigi avendo come espressione più pura la pittura.
L’oggetto specifico della pittura bizantina è la rappresentazione della forma umana, però il corpo umano è solo un simbolo per rappresentare l’anima, il quale, viene smaterializzato e ridotto alla forma più astratta.
Nei particolari anatomici il viso e specialmente gli occhi divengono il punto focale del dipinto, come il torso lo era stato nella scultura greca. La figura del Cristo o dei santi sono allungate, e quindi, come se fossero staccati dalla terra.
Eredici dei greci la teoria bizantina delle proporzioni coinvoglia i postumi della tradizione classica nel fatto che ha realizzato il suo schema prendendo come punto di partenza l’articolazione organica del corpo umano e ammetendo il fatto che le parti del corpo sono per nature distinte una dall’altra.
Il sistema dei moduli aveva come consequenza la semplificazione delle composizione delle figure e favoriva l’unità fra diverse opere. In breve tempo, il modulo esercitò un influsso importante sull’insieme dell’arte, e giustamente per il fatto che costituiva un canone semplice e chiaro, s’impose determinando una tradizione sicura. Il modulo non poteva essere una semplice unità ‹‹meccanica››, visto che se l’insieme delle proporzioni aveva un senso, esso doveva esserne una parte.
Nella ricerca del nuovo canone (non più quello ellenistico), ci furono due idee di grande importanza. La prima nasceva dalla concezione ellenistica ed era sopratutto influenzata dal neoplatonismo. L’uomo non può essere limitato alle sue dimensioni naturali: egli è essenzialmente un essere "soprannaturale" e compito dell’artista è di farlo apparire come archetipo nelle sue relazioni con l’eterno. Per fare ciò, egli si serve del cerchio come misura simbolica e del suo raggio che diviene modulo, dapprima per la testa, poi per tutto il corpo. L’altra idea chiave è di ordine teologico e spirituale.
Le icone in cui appaiano più chiaramente le struttura del cerchio, sono quelle del volto del Signore: esse hanno un’importanza fondamentale per tutta l’iconografia.
Durante il tempo dell’iconosclatia, cosituivano per tutti i difensori delle icone la giustificazione della loro dottrina.
Il fatto che, in queste icone, si erano conservati i tratti del Signore, dava ai cristiani il diritto di rappresentare Dio e i santi nonostante la proibizione dell’Antico Testamento: ne trae origine tutta l’iconografia. Queste due idee formano così il fondo misterioso di ogni icona: Dio è divenuto uomo e l’uomo si eleva verso l’eternità.
Nel manuale dei monaci pittori del Monte Athos, redattato dal monaco Dionisio da Furnà, il quale espone nel XVIII secolo (1730-34) una tradizione risalente al VIII secolo vi è il capitolo del primo libro referente alla "Spiegazione delle misure del naturale" che corrisponde ai canoni di proporzioni del corpo umano della pittura bizantina del XII e XIII secolo. Infatti è scritto:
" Sappi, o scolaro, che al naturale tutto l’uomo è nove uova (aughé), cioè nove misure, dalla fronte fino alla pianta del piede. E dapprima fai il primo uovo che dividerai in tre, e disegna prima la fronte, poi il naso e, terza, la barba; i capelli invece falli al di fuori dell’uovo un naso di nuovo misura dalla barba fino al naso tre misure; ed alla distanza di due misure fai il mento, dopo una, la bocca, il collo invece si fa lungo quanto un naso. Poi misura dal mento fino alla tre misure e fino al ginocchio altre due ed al ginocchio togli la misura di un naso; ancora altre due misure fino al tallone, da lì fino alla pianta del piede un naso e da lì fino alle unghie una misure e dalla gola di nuovo fino all’omero una misura; lo stesso anche per l’altra spalla. Alla rotondità della spalla togli un naso e misura fino al gomito dalla parte interna una misura e poi un’altra fino alla pelle della mano; da là fino all'estremità delle dita una misura. Quanto è un occhio, tanto è l’altro in linea retta; egualmente tanto è distante l'uno dall’altro. E quando la testa è di profilo, ci vogliano dall’occhio all’orecchio la misura di due occhi; quando invece è di fronte ci vuole un occhio; l’orecchio deve essere come il naso; la vita quattro nasi di largheza, quando è nudo, e, quando è vestito, un uovo e mezzo; la cintura deve esere alla vita, là dove giunge il gomito."
Esso dimostra l’origene medievale del canone che con molta probalità è occidentale, forse veneto-greca, come afferma ???????libro MAG.
Poichè la prima età bizantina si basa su di un’anatomia ancora abbastanza correta, possiamo suporre che anche la pratica degli artisti si valesse di distinzione anatomiche poi andate perdute nell’alto Medioevo, come ad esempio l’inserimento di un terzo del volto per il collo, e di un altro analogo valore per l’altezza del piede.
Nel manuale che l’iconografo Nicolas Grechny ricevette dai suoi antenati vecchi-credenti, il canone è un po’ diverso da quello del Monte Athos soprattutto per le numerose spiegazioni di ordine ascetico:
"La testa è uguale a un settimo della lunghezza totale del corpo dalla cima del cranio al mento, si contano quattro lunghezze; dal mento alla clavicola, una lunghezza; dalla clavicola alla fossetta del diaframma, tre lunghezze; da questo punto all'ombelico, tre lunghezze; dall’ombelico al pube, ugualmente tre lunghezze. Dalla sommità del cranio al pube, si contano quattordici 1unghezze, cioè la metà del corpo umano.
Ciò ha due significati:
a) solamente colui che ha il cuore puro entrerà nel regno dei cieli;
b) è nella carne che il cristiano impegna il combattimento più duro, ma anche il più glorioso.
Le due braccia distese ,rappresentano, dalle punte delle dita di una mano all’altra: ventotto lunghezze di naso corrispondenti alla lunghezza totale del corpo, ciò che significa che si deve nutrire il corpo con il lavoro delle braccia. Inoltre, questa larghezza delle due braccia distese è uguale a un lato del triangolo equilatero la cui punta si situa un po’ al di sotto del tallone, e ciò significa che la Trinità di Dio è stata restaurata in noi sulla croce."
A partire dal XlV secolo, in Russia. la figura umana si allunga. Per il Cristo di Teofane la proporzione è di l:8; per quello di Novgorod è di 1:9 e i santi del maestro Dionigi superano 1:10. I gomiti si trovano all’altezza di tre unità e non è il busto, ma la parte inferiore e soprattutto le gambe che sono allungate.
Questa parte passa da quattro unità nel Cristo del XII secolo a sette in Dionigi.
Paragonando le figure tra loro, si constata che ogni epoca ha trovato un insieme armonioso di proporzioni e ciò grazie al modulo utilizzato ogni volta diversamente. Per le proporzioni del viso e dei suoi particolari, l’iconografo bizantino si è ugualmente servito del modulo che corrisponde sempre alla lunghezza del naso.
Così la testa è iscritta in due cerchi, mentre l’aureola è spesso determinata da un terzo.
Il centro dei cerchi è situato alla radice del naso, tra i due occhi. Questo è probabilmente il motivo per cui questa parte del naso è modellata in maniera propria all’arte bizantina: essa è anche il centro della testa, sede della sapienza.
Tale schema aiutava l’artista, senza condizionare strettamente il disegno, ma che si rivela infine come un fondo misterioso del capolavoro, come uno dei segreti della sua armonia.
L’icona del Salvatore del Xll secolo, mostra questa struttura: il primo cerchio, che ha per raggio la lunghezza del naso, segna lo spazio per gli occhi e la fronte. Il cerchio di raggio pari a due moduli indica il volume della testa. Il nimbo invece non corrisponde al terzo cerchio: è spostato vero il basso perchè circonda anche la barba e i capelli e deve iscriversi nel formato nell’icona.
Quest’ultima, peraltro, è uno dei rari esempi di icona quadrata. Tale uso dei cerchi concentrici ha una funzione altamente ieratica e simbolica, facendo concidere strettamente la struttura del volto con la croce inserita nell’aureola. La seconda icona, detta "del Salvatore dalla barba umida", ne mostra una variante.
Probabilmente è a motivo dei grandi occhi che il viso è più grande del primo cerchio, ma la testa si scrive perfettamente nel volume del secondo. Il nimbo è più piccolo anche a causa delle dimensioni della tavola.
Sovente le pupille sono poste a metà del modulo dal centro del cerchio (radice del naso): ne deriva un triangolo equilatero che conferisce al viso armonia e finezza.
Il volto di San Pantaleone, in un’icona greca del XII secolo, sembra più grande dei due precedenti. In realtà, il triangolo ha quasi le stesse proporzioni, ma si trova su di un viso più piccolo e la distanza dagli occhi al centro supera leggermente la metà di un modulo.
Fino all’inizio del XVIII secolo, questo schema dei tre cerchi determina i volti in molte icone. In seguito tale schema sembra essere dimenticato: l’influsso naturalistico dell’Occidente s’impone. I visi diventano pesanti e piatti, perdono 1’armonia e lo splendore delle icone antiche.
La rappresentazione dei volti visti di fronte non poneva troppi problemi all’artista del Medio Evo. Quella dei visi visti di tre quarti, per le teste inclinate, era più difficile: il pittore, in effetti, non concepiva il soggetto come un organismo libero e mobile nello spazio, ma come la sua proiezione su di un piano a due dimensioni sul quale rappresentava vari aspetti del soggetto. Tali aspetti erano possibili solamente a partire da diversi punti di vista.
Questa concezione "planimetrica" è tipica dell’arte del Medio Evo a Bisanzio come in Occidente; essa condurrà a fenomeni di prospettiva come la celebre "prospettiva inversa".
Fra le numerose varianti di profili di tre quarti, dovute all’inclinazione della testa e alla posizione del centro dei cerchi, analizziamo due icone: quella della Madre di Dio dei Dono di Teofane il Greco e quella dell’Arcangelo San Michele di Rublëv.
La testa copre esattamente lo spazio del cerchio a due moduli, come nel caso della vista di prospetto. Se in quest’ultimo caso il centro del cerchio, alla radice del naso, si trovava in A, esso è ora trasportato in B, sul cerchio a un modulo.
L’asse del naso forma con l’asse degli occhi un angolo retto, perché il volto non è concepito in profondità (cioè in rilievo), ma in "planimetria". Talvolta la distanza tra gli occhi e il centro B è diminuita, sovente è determinata come nella vista di prospetto (1/2 modulo). Quindi la vista planimetrica è ancora accentuata. Il mento e la fronte restano alla distanza di un modulo.
Dunque le misure verticali sono invariabili, mentre quelle orizzontali sono semplici frazioni del modulo.
A dire il vero, numerose icone non sembrano strettamente conformi a queste teorie. Pertanto è forse difficile sostenere che lo schema dei tre cerchi fu applicato a tutte le icone e che fu applicato coscientemente, come afferma Panofsky.
Tuttavia numerose icone dipinte da maestri mostrano che fu utilizzato con precisione fino al XVIII secolo restanto fedeli, per il legame della tradizione, a questa concezione planimetrica. Il modulo dava loro quell’unità e quell’armonia che facevano di queste opere un riflesso del mondo invisibile. L’interesse di uno studio dei moduli bizantini o dello schema dei tre cerchi è di permetteci l’accesso al mondo ideale e pressoché astratto dell’estetica bizantina. Mondo ideale e astratto che non significava mondo fuori della realtà.
Si vuol dire che le forme sono ristrutturate in modo da riflettere non l’apparenza o l’involucro materiale degli esseri, ma la loro essenza, nucleo spirituale, la loro verità.
La teoria dello Pseudo-Dionigi contribuì anche alla venerazione dele immagini, poichè il mondo sensibile veniva considerato un'emancipazione del divino.

SAN AGOSTINO
I principî fondamentali dell’estetica cristiana vengono formulati dagli autori latini in Occidente quasi conteporraneamente a quella ellaborata in Oriente dai Greci.
Agostino, vissuto un poco più tardi di quei padri greci che si erano interessati di estetica, è il fondatore dell’estetica cristiana occidentale. Egli praticamente è il ponte che lega due epoche, due filosofie diverse: quella della cultura antica e quella nuova cristiana.
Nel LIBRO DELLA SAPIENZA, Agostino prese l’estetica del numero, peso e misura, e la rielaborò al suo pensiero, affermando che, misura e numero garantiscono ordine e unità e quindi la bellezza. Agostino esprime questa idea riferendosi ai tre concetti di "modus, species, ordo", ossia, misura, forma e ordine, che a sua volta divenne parte integrante del bagaglio di concetti dell’estetica medievale.
Dopo la caduta dell’impero romano, l’analogia fra il corpo ed il tempio sopravisse nelle chiese e nelle catedrali paleocristiane e medioevali, ma i tipi costruttivi erano cambiati; gli archetipi divini, descritti della Bibbia, erano preposti ala forma pagana e tradizionale del tempio. Allo stesso modo, la figura umana idealizzata e anonima dell’antichità doveva essere personificata.
Così Agostino nel DE CIVITATE DEI inserisce la suddivisione proporzionale della figura umana in dieci parti in altezza e in sei parti di larghezza, forse considerando le braccia aperte, e come modulo la larghezza di un fianco all’altro, il cui valore per era forse di una testa.
E così è scritto: " Essa ( L’Arca di Noè ) è senza dubbio allegoria della città di Dio esule nel tempo, cioè della Chiesa che ottiene la salvezza mediante il legno nel quale fu appeso il Mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Gesù Cristo. Le misure stesse della lunghezza altezza e larghezza dell’arca simboleggiano il corpo perché si ebbe l’annunzio profetico che Gesù sarebbe venuto e venne in un vero corpo umano. Difatti la lunghezza del corpo umano della sommità della testa ai piedi è sei volte la larghezza da un fianco all’altro e diece volte l’altezza, la cui misura si ha nel fianco dal dorso all’addome. Quindi se misure l’uomo disteso, supino o bocconi, è lungo dalla testa ai piedi sei volte più che largo da destra a sinistra o da sinistra a destra e diece volte più che alto da terra. Per questo appunto è stata costruita l’arca di trecento cubiti in lunghezza, cinquanta in larghezza e trenta in altezza. L’apertura da un lato è la ferita con cui fu trafitto il costato del Crocifisso. Per essa entrano quelli che vengano a Lui perché da lì sgorgono i sacramenti con cui iniziati i credenti.
L’ordine di costruirla con tavole di forma quadrata simboleggia la vita dei santi stabile da ogni parte. Difatti da qualsiasi parte volterai un quadrato resterà quadrato."
Più avante nel testo troviamo le descrizioni che prestegiano il corpo umano in particolare quelle rispetto alla bellezza e simmetria del corpo:
"(...) l’accordo di tutte le parti è così ritmico e attraente e si corrisponde con tale limpida simmetria che non sai se nel formarlo è stato osservato di più il criterio dell’utilità che della bellezza. Difatti possiamo notare che nulla è stato creato nel corpo per motivo di utilità che non abbia anche una nota di bellezza. Sarebbe per noi più evidente se conoscessimo i ritmi delle dimensioni per cui tutte le componenti sono tra di loro connesse e proporzionate.
"(...) nessuno ha osato ricercare i ritmi, di cui sto parlando e da cui si compone, dentro e fuori, l’accordo, che in greco, come se fosse uno strumento musicale, si dice armonia (armonia) di tutto il corpo. Se potessero essere noti anche negli intestini , che non presentano alcuna attrattiva, darebbe tanto diletto la bellezza della proporzione la quale, su giudizio dell’intelligenza che impegna la vista, prevarrebbe su ogni formosità apparente che piace alla vista."
Sembrerrebbe che con questo, Agostino voleva concludere dicendo che per una più profonda comprensione di Dio e della perfezione dell’universo era necessario la conoscenza delle esatte proporzioni dell’uomo.

VILLARD DE HONNECOURT
Nel medioevo, la geometria era un’arte liberale, inspirata dall’antichità, noti principalmente agli architetti, ma anche dagli artisti. I principî matematici in vigore dall’antichità fino al tardo medioevo furono fondamentalmente quelli generali dei quadrati e dei triangoli, sì che oltre a questi furono applicati anche principî più specifici.
Nella rappresentazione degli oggetti, ma specialmente della forma umana, i pittori e gli scultori usarono le figure geometriche. Numerosi esempi di ciò si possono vedere nel famoso album dell’architetto francese Villard de Honnecourt, che risale al XII secolo.
Gli schemi geometrici vogliano essere di ausilio alla pittura e alla distribuzione realistica dei principali punti di misura del corpo umano. Villard fa notare che egli usa la geometria, per rendere più facile il suo lavoro. Le figure sono infatti tracciate in base a una griglia geometrizzante che ne facilitava in qualque modo l’esecuzione, permettendo un coordinamento proporzionale e inorganico tra le varie parti. Ad esempio la figura umana è spesso elaborata con una sovraposizione o accostamento di triangoli, il volto è costruito con un cerchio, o un triangolo, o con una forma stellare, o con un quadrato, a seconda delle esigenze. In alcuni fogli del suo album ci sono appositamente indicate delle iscrizioni "metodo per rappresentare le figure", il che è evidente la proposta didattica e normativa che forniva un sistema di approccio alla costruzione semplificata del disegno attraverso un linguaggio intelligibile. Le sue intezioni fondavano sulla convinzione che il mondo fosse costruito geometricamente, vale a dire, dietro le apparenze esisteva una verità che veniva pienamente assolta da configurazioni geometriche dotate di struttura geometrica ben definita e che, solo per mezzo della geometria, l’arte poteva avvicinarsi alla realtà e diventare così più vera e più bella giustamente perché si conciliava la struttura organica della figura e della costruzione con le figure geometriche.

RISTORO D'AREZZO
Nel Medioevo anche nel tema del "Crocifisso", ancora si respirava una certa aria di classicità. Sembra che il postulato dell’homo ad quadratus fosse implicito nell’idea dei pittori, tanto orientali quanto occidentali.
I Crocifissi cosidetti "CHRISTUS TRIUMPHANS" rappresentano bene questa idea.
Eugenio Battista (voce prop) afferma che "la maggior parte dei crocifissi, sia ad occhi aperti che chiusi, sembra rispettare, in linea di massima, il sistema di proporzionamento bizantino delle nove facce."
Nella tipologia del crocifisso "CHRISTUS PATIENS", il capo basso ed inclinato praticamente limitava il collo, escludendolo addirittura, dando l’impressione che la testa fosse compattata nel tronco. Sulla fede di E. Battisti, "gli artisti ricorsero alla soluzione di dividere la figura in nove parti così suddivise: una parte per la testa (e non il viso), tre parti per il torso (una fino allo stomaco); due per le gambe fino al ginocchio, una per i piedi. Le mani valgono una misura, mentre le braccia sfuggono, a quanto sembra, ad ogni canoni."
Un caso importantissimo di ripresa delle idee vitruviane, anche perchè si colloca agli inizi del Rinascimento toscano, è costituito dal crocifisso cimabuesco di Arezzo, il quale sempre come afferma E. Battisti, segue il modulo delle 10 facce.
È probabilmente che tale notizia fu inserita anche nel testo di Ristoro d’Arezzo, come possiamo presenziare nel passo che segue:
"E li savi disegnatori, alli quali fu dato e conceduto dalla natura a divisare e a disegnare le cose del mondo, quando venieno a disegnare la figura dell’uomo, dividevano lo spazio per 10 parti iguali; e della parte di sopra facieno lo viso, e da indi in giù rimane nove cotanto; e per lo viso proporzionavano le mani, e li piedi, e lo petto, e tutto lo corpo; e dal viso in giù rimanea nove parti iguali: sì che la figura rimanea dieci parti iguali. E era veduto e conosciuto da loro la forma della figura bene proporzionata e perfetta; e questo addivenia per la nobilità della immaginazione e dell’anima intellettiva, la quale fu fondata nell’uomo. E la parte di sopra, come lo capo, per intendere le cose del mondo e per quella nobilità fu proporzionato e partito per lo maggior numero perfetto, come dieci; e imperciò ne risultava più bella figura; e se’l partieno per lo minore numero perfetto, come sei, diventa vano; imperciò che ‘l numero l’abbassava giù e volealo reducere alla figura rotonda."
La sua testimonianza è particolarmente importante in quanto è probabilmente l’unica documentata in età ancora medioevale che collega la ripartizione di origine vitruviana a problemi e finalità tipici della ricerca artistica.
Si deve a Cristoforo Landino la lode a Cimabue per essere lui il primo ad aver trovato la simmetria delle figure, ed aver dato vida, originalità e naturalismo nella pittura ai suoi tempi, lasciando a meno la tradizione bizantina: "Fu adunque el primo Ionni fiorentino cognominato Cimabue che ritrovò e’ lineamenti naturali e la vera proporzione, la quale e’ Greci chiamano simetria, e le figure ne’ superiori pittori morte fece vive e di vari gesti, e gran fama lasciò di sé."

MICROCOSMO
Esiste un mito cosmogonico di origene iranica, in cui si narra la creazione del Primo Uomo, " Vita Mortale", a somiglianza dell'universo: risplendente come il Sole, di larghezza pari all'altezza, Vita Mortale ha per pelle il cielo, per carne la Terra, le montagne per ossa, per vene i fiumi; il sangue del suo corpo è come le piante, il midollo delle sue ossa come i minerali; " la sua testa è il più alto dei cieli, i suoi occhi il Sole e la Luna, i suoi denti le stelle, le sue orecchie le finestre del cielo, e le sue narici la brezza del paradiso cui dà acesso la bocca."
Questa grandiosa concezione del microcosmo, di cui esistono esempi analoghi nell'India antica e nelle mitologie di altre razze, si conservò vitale e gnostico della tarda antichità.

RINASCIMENTO

Il Rinascimento fu così definito per due diversi motivi, ed effettivamente il termine ha due significati. In primo luogo il Rinascimento è stato ed è considerato la rinascita dell’umanità, la "renovatio hominis", in quanto l’uomo raggiunse in esso un livello superiore di civiltà; in secondo luogo è stato ed è considerato la rinascita del passato, della cultura, delle conoscenze e dell’arte del passato, la rinascita dell’antichità classica, la "renovatio antiquitatis".
Gli uomini del Quattrocento e del Cinquecento, sentivano di avere rotto i ponti con un brutto passato e di appartenere a un’umanità "rinata". Questa consapevolezza non è un evento eccezionale nella storia, spesso in certi momenti cruciali gli uomini hanno pensato la stessa cosa; ad esempio i primi cristiani provavano il medesimo sentimento. Gli stessi uomini del Rinascimento parlano della loro "rinascita" però non usano molto spesso questo termine, ma solo occasionalmente; esso non era universalmente accettato, diventerà di uso comune soltanto nell’0ttocento.
Il Rinascimento italiano guardò alla teoria dele proporzioni con incredibile interesse e fede, però molto diversamente del Medioevo.
L’analogia rinascimentale tra accordi udibili e proporzioni visibili era qualcosa di più che una speculazione teoretica, e testimoni della fede profonda e solenna nell’armonica struttura matematica di tutto il creato.
Esisteva un’interotta tradizione, fin dall’antichità, secondo la quale l’aritmetica (studio dei numeri), la geometria (studio dei rapporti spaziali), l’astronomia (studio dei moti dei corpi celesti) e la musica (studio dei moti colti dall’orecchio), costituivano insieme il "quadrivium" delle arti matematiche.
A paragone di queste "arti liberali", la pittura, la scultura e l’architettura erano considerate attività manuali. Per elevarle dal livello di arti meccaniche a quello di arti liberali, occorreva loro un saldo fondamento teorico, vale a dire matematico.
Questa trasformazione fu la grande conquista degli artisti del Quattrocento; e non c’è da stupirsi che essi si volgessero alla musica come all’unica arte liberale degna di rispetto, e studiassero la teoria musicale per trovarvi la chiave dei propri problemi.
In tal modo, l’educazione artistica comportò, come "conditio sine qua non", la familiarità con la teoria musicale. Tale educazione dipendeva molto dallo studio del TIMEO di Platone, degli ELEMENTI di Euclide e principalmente del DE ARCHITECTURA di Vitruvio, il quale fu modello d’insegnamento per tutto il Rinascimento.
È opinione comune che il gran libro di Vitruvio, sia stato riscoperto nel 1416 a S. Gallo; ma, almeno ai dotti monaci, esso fu noto durante tutto il Medio Evo.
Dopo l’ "editio princeps" pubblicata a Roma a cura di Giovani Sulpicio da Veroli tra il 1486 e il 1492, altre edizioni più autorevoli contribuirono alla diffusioni del trattato vitruviano e quindi anche del suo sistema di proporzione.
Avevano certamente contribuito a questa attenzione per la teoria delle proporzioni alcuni fattori:
la passione umanistica per un recupero filologico del testo vitruviano
l’interesse pratico degli artisti per uno studio correto dell’anatomia umana, in funzioni di un maggiore naturalismo nella rappresentazione
la tendenza generale dei numerosi artisti italiani dopo il XV secolo, e a maggiore ragione dei teorici dell’arte, di elevare le arti dal rango di arti "mecaniche" a quelle di "liberali" sostituendo così la pratica o rotina di botteghe con delle norme e leggi stabili di una scienza. Quindi possiamo affermare che questa è la ragione dei canoni proporzionali del corpo umano, ovvero la bellezza fondata su leggi stabile e universale, fondata nella matematca, e nella musica e dunque a una categoria tra le arti liberali.
Se mettiamo da parte l’originale tentativo fatto dall’Alberti e di Leonardo, possiamo affermare che il Quattrocento italiano non conobbe che due tipi di canoni di proporzioni, ossia, quello di Vitruvio e l’altro che fu attribuito a Varrone da Guglielme Philander (1543) ma forse anche prima, sebbene per sbaglio, dallo spagnolo Diego del Sagredo(1526).

CANONE DI VITRUVIO
Caso unico nella storia, il trattato di Vitruvio arriva ad avere effetti estesi sulla pratica solo quindici secoli dopo che fu scritto, rimanendo a lungo, non tanto sconosciuto o dimenticato, quanto utilizzato solo in piccole parti, con discontinuità e non per i motivi ambiziosi che il suo autore si era proposto.
Si può classificare come discendenza diretta da Vitruvio tutti i canoni che presentano come l’unità la lunghezza totale del corpo, e che raggrupano le membra per ordine di grandezza: quelli che misurano il terzo, poi la decima parte, poi o l’ottava o la nona parte, il quarto di quella lunghezza, omettendo così i numeri primi, i quali non rientrano nell’armonia dei numeri.
Le caratteristiche fondamentali di questo canone, ossia gli aspetti che lo definirono come tradizione vitruviana, sono i seguenti:
le espressioni delle principali misure con delle frazioni dell’altezza totale del corpo prese come unità.
l’impiego preferenzialmente dei numeri pari fino al ventiquattro, comodo per la moltiplicazione e la divisione, con l’eccessione del numero tre.
l’imitazione del sistema romano con loro unità: piede, palmo, cubito.
l’inscrizione dell’uomo in un cerchio avendo come centro l’ombelico e le membra allargate di modo che i piedi e le mani fossero tangenti ad esso.
l’inscrizione dell’uomo con le braccia allargate in un quadrato perfetto di modo che l’altezza totale fosse uguale alla larghezza totale.
l’esistenza di una pluralità di tipi umani canonici, in rapporto con i differenti ordini canonici architettonici; il corpo umano è considerato come modelo dell’edeficio perfetto.
l’esistenza nella figura dell’homo bene figuratus della teoria aritmetica dei corpi proporzionali che a sua volta s’inspirò nella simbologia pitagorica dei numeri e dell’armonia dell’universo.
Certi passi del testo di Vitruvio sulle proporzioni del corpo umano sono di difficile comprensioni perchè non sono molto coerenti, nè abbastanza precisi e nemmeno sempre conforme all’osservazione.
Il testo è corrotto e le contraddizioni che vi sono presenti intrapprese argomenti di molte critiche e polemiche che, già dal Rinascimento ove il testo fu letto ,analizzato e commentato da autori diversi, ancora oggi vi sono delle revisioni ad essere fatte.
Elencherò qua sotto i passi di comprensione più difficile e le osservazioni e critiche già fatte dagli autore rinascimentali su di essi, aggiungendo a volte qualche notizia anch’io.

La misura delle otto teste in altezza, non corrisponde con la misura delle dieci facce, se consideriamo la misura della lunghezza del naso come modulo. Ciò vale a dire che un corpo di dieci facce è anche costituito di trenta nasi di altezza e se fosse di otto teste corrisponderebbe a trentadue nasi di altezza.
"dalla sommità del petto all’attaccatura inferiore deli capelli, la sesta parte (...)."
L’altezza del petto, ossia, dalla fossa giugulare fino all’altezza delle radici dei capelli è un sesto dell’altezza totale, il che sarebbe impossibile. Leonardo cambiò la misura vitruviana di 1/6 con quella di 1/7 dell’altezza totale per lo spazio "dal di sopra del petto al nascimento de’ capegli" (V.I), e considera invece la misura di 1/6 lo spazio "da la forciella della...somjtà del petto o dal di sopra del petto alla somità del capo" (C.f. 358 R-a; V.I).
"il quarto (dell’altezza è costituito) dal cubito e un altro quarto dal petto."
A questo passo Danielle Barbaro scrisse: "Il Filandro (Guglielme Philander) avvertisce, et bene, che non può stare quello, che dice Vitruvio, che il petto sia la quarta parte; et vuole, che quando Vitruvio dice, che il cubito sia la quarta parte, egli intendeva non dalla giuntura del comito alla rascetta, ma dalla giuntura del comito alla somità del dito di mezo."(Barbaro, de archit.,III, pag.110)
La proporzione del cubito è dal gomito alla estremità delle dita, è certamente esatta; a riguardo il quarto del petto, credo che Vitruvio voleva dire con questi termini lo spazio della larghezza tra le spalle.
"Il sesto dell’altezza del corpo è costituito del piede."
Sebbene Leonardo amette questa misura per il piede a un primo tempo (ad esempio in C.f. 358 R-a), più tarde però la cambierà con la misura di 1/7 dell’altezza totale (V.I), riconoscendo nel piede misure minori.
Afferma G. Favaro(pag.176, nota 2) che Vitruvio e l’Alberti dividendo l’altezza in 6 piedi, aludevano forse all’unità di misura piuttosto che alla lunghezza reale del piede.
"Ugualmente è naturale che il centro del corpo sia l’ombelico."
Questo è forse il più polemico dei postulati di Vitruvio. L’opinione che il centro "naturale" del corpo è l’ombelico riflette forse una opinione d’Hippocrate, che situò a quel livello il limite tra gli organi superiori e inferiori ("definitio autem superiora partium et in inferiora corporum umbilicus.").
Ma gli artisti non seguirono molto Vitruvio in questo postulato; già nell’antichità, Varro scriveva oppenendosi all’idea che il centro dell’uomo fosse nell’ombelico: "Umbilicum dictum aiunt ab umbilico nostro, quod is medius locus sit terrarum, ut umbilicus in nobis; quod utrunque est falsum: neque hic locus est terrarum medius neque noster umbilicus est hominis medium. (...)"(Varro, De lingua latina, VII, 17)
Anche Villard d’Honnecourt aveva disegnato uno schema della figura umana con il centro nel pubis.????????
Tacitamente o no, quasi tutti i teorici trattatisti reggettavano questa idea vitruviana e ponevano il centro del corpo nel pubis o più precisamente nella radice del peni. Tale regola divienne accettata dalla maggioranza degli autori, tanto da quelli che seguivano il canone vitruviano quanto da quello pseudo-varroniano.
Già l’Alberti messe il centro del corpo umano del suo canone nella radice del peni. "La altezza sino all'osso sotto il quale sta appiccata la natura......3 0 0".
Così abbiamo la critica a questo postulato vitruviano fatta da Lorenzo Ghiberti: "E gli antichi posono il circolo e missono la statua virile supina dentro al circolo distenendo le braccia e piedi dentro al circolo toccante solamente del palmo il dito di mezzo e così de’ piedi tenendo le gambe aperte toccando ciascuna la parte del circolo, la qual cosa mi pare difficile, però che l’uomo non si può tanto aprire nelle gambe, esso possa toccare il circolo. Molto s’apre l’uomo nelle braccia: non si può tanto aprire ne’ piedi. Ancora non mi pare del centro sia il belico, parmi debba essere dove è ‘l membro genitale, e dove e’ nasce, o vero ov’è la inforcatura umana. Ancora mi pare il suo centro non possa in altro luogo poter porsi altro che in detto luogo."
Leonardo fu l’unico studioso che approffondì gli studi e verifiche in tale postulato, e concluse dicendo: "Se tu apri tante le gambe che ttu chali da chapo, 1/4 di tua altezza, sappi che’l cientro delle stremità delle aperte membra fia il bellico e lo spatio che si truova in fra le gambe fia triangolo equilatero." (V.I)
In tale modo l’intera figura umana poteva venire inscrita in un cerchio, avendo il suo centro nell’ombelico. Ma Leonardo affermò anche che il centro, o la metà dell’uomo coincideva con la radice del pene: "Il membro virile nasscie nel mezo dell’omo" (V.I).
Cesariano nella sua traduzione del testo di Vitruvio, secondo un disegno detto di "Pietro paolo Sagazone nostro nobile patricio" rappresenta, in uno dei due disegni che illustrano le proporzioni del corpo umano, un uomo con le membra stese in forma di X che è inscritto in un cerchio dove il centro coincide con l’ombelico.
Nei disegni del Codex Huygens della Morgan Library di New York, ed anche quelli della Church Library di Oxford, vi sono figure inscritti da due cerchi, ossia, tanto da quello che ha il centro nell’ombilico quanto quello che ha il suo centro nel pubis, il che dimostra un’approffondimento della teoria vitruviana, forse rippresa dagli studi di Leonardo.
CANONE PSEUDO-VARRONIANO
I canoni pseudo-varroniani differono molto tra di loro a seconda del modo di intendere di ogni teorico che lo scriveva. L’altezza totale di un corpo proporzionato secondo questo tipo di canone, in media girava intorno delle nove facce, chiamate a volte imprecisamente "testa".
Per faccia s’intende lo stesso per Vitruvio, la misura dal mento alle radici dei capelli.
Di solito otto facce si sovrappongono a delle distintive parti del corpo, ad esempio, una faccia per il petto, due per gli stinchi; la nona è composta da diversi parti intercalate.
Rispetto al sistema proporzionale vitruviano che aveva come obiettivo una divisione esatta e regolare del corpo umano, tutte le varianti del sistema pseudo-varroniano sono più interressate a distinguere in modo selettivo alcune parti della figura che sono: modulo dell’altezza della sommità del capo che è dalla radice dei capelli all'apice, modulo dell’altezza del collo, il modulo del ginocchio, modulo dell’altezza del piedi, e secondo il Berra forse anche il modulo del gomito per il braccio. Nel canone della citazione del Filandro ritenuta da Varrone e quello del manuale del Monte Athos, vi sono citati come sottomoduli tutte le quattro parti del corpo umano, mentre sono da notare come costante presenza il collo e il piede nei canoni degli altri tratattisti, con una variazioni dei moduli della sommità del capo, del ginocchio, e forse quella del gomito. Sono uguale a Vitruvio anche le divisioni in tre parti della faccia, la misura di una faccia della mano, la doppia ripartizione delle spalle prese però la faccia come misura e il postulato che la larghezza di un’uomo con le braccia stese è uguale alla sua altezza, essendo così possibile l’inscrizione del corpo umano in un quadrato perfetto come ammetterono già Plinio "É stato osservato che in un’uomo la lunghezza dalla testa ai piedi è la stessa dell’apertura delle braccia, calcolata tra le punte delle due dita più lunghe;(...)"(Plinio, nat.. hist. ,VII, 77), ed anche da Solinus "mensurae ratio bifariam conuenit: nam quantus manibus expansis inter digitos longissimus modus est, tantum constat esse inter calces et uerticem. Ideoque physici hominem minorem mundum indicauerunt." (Solinus, polyhistor, I, 87).

Nel corso del Cinquecento il canone pseudo-varriano o italo-bizantino viene riproposto da alcuni autori che privilegiano una o l’altra delle varianti quattrocentesche senza apportare particolari modifiche: il Vasari, il Della Porta e il Borghini ad esempio riprendono la modulazione proporzionale del Filarete, mentre l’Armenini si rilaccia alla suddivisioni del Gaurico.

Nella prima metà del Cinquecento i diversi sistemi proporzionali si presentavano già svillupati secondo diversi tipologie, ma è nella seconda metà del cinquecento, che ci fu un ripetuto approffondimento della teoria delle proporzioni sia a livelo teorico, nelle sue diramazioni filosofiche, magiche, musicale, sia a livello di applicazioni pratiche e di indicazioni artigianali, nelle sue implicazioni più manuale.

CENNINO CENNINI 1437
I primi anni del Quattrocento assistono all’inizio del periodo storico noto come Rinascimento. A conclusione della letteratura artistica medievale sta l’ultima eredità letteraria del grande sviluppo della toscana nel trecento, il trattato di Cennino Cennini risale circa il 1370-90, il quale è ancora medievale nelle sue finalità, nel genere e nello stile.
Esso contiene infatti sopratutto precetti tecnici di bottega tramandati di generazione a generazione. Troviamo anche una descrizione di un canone sulla proporzione del corpo umano, molto analoga a quella del manuale per i pittori del Monte Athos, fatto che indicherebbe ancora la forte presenza della tradizione bizantina sulle botteghe artistiche di questo periodo.
"Nota che, innanzi più oltre vada, ti voglio dare a littera le misure dell’uomo. Quelle della femmina lascio stare, perché non ha nessuna perfetta misura. Prima, come ho detto di sopra, il viso è diviso in tre parti: cioè la testa, una; il naso, l’altra; e dal naso al mento, l’altra. Dalla proda del naso per tutta la lunghezza dell’occhio, una di queste misure: dalla fine dell’occhio per fine all’orecchie, una di queste misure: dall’uno orecchio all’altro, un viso per lunghezza: dal mento sotto il gozzo al trovare della gola, una delle tre misure: la gola, lunga una misura: dalla forcella della gola alla sommità dell’omero, un viso; e così dall’altro omero: dall’omero al gomito, un viso: dal gomito al nodo della mano, un viso de una delle tre misure: la mano tutta per lunghezza, un viso: dalla forcella della gola a quella del magone, o vero stomaco, un viso: dallo stomaco al bellico, un viso: dal bellico al nodo della coscia, un viso: dalla coscia al ginocchio, due visi: dal ginocchio al tallone della gamba, due visi: dal tallone alla pianta, una delle tre misure: il piè, lungo un viso.
Tant’è lungo l'uomo, quanto per il traverso, over le braccia, distenda; le braccia con le mani, per fino a meza la coscia. È tutto l’uomo lungo otto visi e due delle tre misure."

CANONE MICHELE SAVONAROLA 1442
Michele Savonarola compose verso il 1442 un libro intitulato Speculum Physiognomiae. Egli fu medico e professore di medicina, perciò conosceva bene che Galeno fece delle distinzioni tra le misure che interessavano all’artista di quelle dunque che s’occupavano i medici (De Usu Partium, XVIII,1). Troviamo pertanto un capitolo dedicato alle proporzioni del corpo umano intitulato De Simetria Hominis, basato in gran parte, secondo la propria confessione dell’autore, sulle informazioni ottenute dagli artisti. Egli trovò che quelli dati dovevano essere completati e aggiunge delle indicazioni sue credute, oppure attinse delle diversi fonti letterarie, o delle interpretazioni fisiognomiche, filosofiche o mediche. Propose così le misure a sua volta di differenti parti del corpo, per cui la sua conoscenza è senza interesse per la pittura.
La principale novità è inttanto il suo pensiero dal tutto voltato a servirsi di principi scientifici d’altronde molto eterogeneo: la saggezza della natura cioè, l’adattamento degli organi alla loro funzioni, ci recita un gran ruolo citanto così la degnità del numero tre.
La "mediocritas", ossia l’equilibrio dei numeri e allo stesso tempo norme alla fede ideale e statistica, è considerata tuttavia anche la preocupazioni della natura in dare ai corpi e ai suoi organi, fra tutte le forme compatibili con le funzioni vitali, quelle che si avvicinavano di più alla sfera o al semplice cerchio. Il canone ideali è dunque, in principio, deduttibile piuttosto che osservabile, e Savonarola non esitò a improverare i pittori che imitavano le imperfezioni della natura al posto di lavorare secondo le misure giuste e ideali, posizioni di fondo abbastanza meravigliante che anticipa a lungo l’era del gusto ideale classico. Tuttavia lo stesso pensiero "scientifico" che lui cercò di spiegare, con delle norme artigianali promosse al rango delle verità ideali, lo condusse a constatare obbiettivamente le variazioni dei canoni secondo le condizioni fisiologiche o geografiche.
"Longitudo autem hominis tocius mediocris ut experiencia et natura ipsa edocuit novem est testarum per testam spacium intelligendo quod est a comissura coronali usque ad mentum de termino ad terminum....."
"...brachij vero elongacio ab osse spatule ad flexuram cubiti testa una et media signatur. A cubito ad medium manus tantundem spacium esse debet. Ex quibus accipitur brachium manu cum tota trium cum semis esse testarum; Longitudo autem manus testam unam occupat estque tocius corporis mensura ut hominem tante quantitatis esse inveniatur quanta novies manus eius habetur; Longitudo vero totius digiti medij a primo nodo exterius incipiendo media testa est...."


Nel trattato scritto da Michele Savonarola intitolato Speculum phisiognomiae, anche se non dedicato tanto agli artisti ma sì ai problemi medici, c'è inserito un canone sulle proporzioni del corpo umano Riprendendo probabilmente da fonti artistiche contemporanee, egli ritiene che la figura umana debba essere divisa in nove faccie, l'ultima delle quali formata dalle parti minori del collo, del ginocchio e del piede. La medesima misura dell'altezza della figura, secondo le indicazioni vitruviane, va a cotituire, assieme al busto, la lunghezza delle braccia, ciascuna delle quali è definita con tre moduli e mezzo.

MARIO TACCOLA 1427-53

Un legame con la cultura medievale si percepisce ancora nella figura disegnata nel trattato De ingeneis, elaborato dall’artista Mariano di Jacopo da Siena detto il Taccola.
Nel disegno è rappresentato un’uomo visto frontalmente con le braccia distese lungo il corpo,che è inserito in un cerchio, in un quadrato e uno strano triangolo, secondo una struttura che, specchia la teoria vitruviana, ma che ha come obbiettivo principale il riallacciamento alla cosmologia medievale dell’uomo come microcosmo.
Ci sono delle linee semicercolare e rette che definiscono una suddivisioni della figura in otto parti, cioè se non contiamo la divisioni che va del mento alla fossa giugullare.
Alla base del disegno è scritto: "Ille qui nichil ingnorat me creavit. Et omnem mensu(o)ram mecum habeo tam super celestium quam terrestium ac infernorum. Et qui se ipsum inteligit multa inteligit. Et librum angelicum et naturalem in mente eius habet asconditum:- Et infra etc."

CANONE LORENZO GHIBERTI 1447

Nel 1447-55, quasi negli stessi anni in cui l’Alberti scrive il Dere aedificatoria, Lorenzo Ghiberti lavora ai Commentari, nei quali inserisce brani di una propria traduzione di estratti da Vitruvio.
La conclusione del suo libro "I COMMENTARI", è incompleta, ed è costituita dal tentativo di una teoria delle proporzioni, tema questo che trovò non soltanto presso il contemporaneo Alberti ma sopratutto presso quelli che vennero dopo. Qui pure il Ghiberti dimostra di avere in pensiero originale e indipendente non soltanto egli critica la teoria di Vitruvio, che è il punto di partenza di tutte queste ricerche, ma mette accanto a quello vitruviano un altro canone che nel Rinascimento va sotto il nome di Varrone, ed è evidentemente patrimonio dei vecchi laboratori, poiché compare anche in Gaurico e in Durer e si può ricolegare persino al Cennini.

"Cominceremo all’osso del capo, cominciando a dare a ciascuna la parte che ad essa tocca per altezza o per larghezza, come i periti o perfetti ed antichi statuarii e nobili pittori. Cominceremo: la testa porremo divisa in tre parti, cominciando l’ime e radici de’ capelli per insino al cominciare delle ciglia è una, e per la prima parte. La seconda parte è il naso e la terza è il mento, e questa è la fine della testa ed è partita in nove parti e mezzo, secondo gli antichi statuarii. Molti sono che pongono dieci e molte se ne trovano di nove e mezzo e questa è certamente la perfetta misura; sono teste 9 1/2, divise in questa forma: in prima ella comincia da l’ima fronte de’ capelli e porremo la testa, abbiamo una; porremo dalla forcella dela gola per insino alla forcela del petto sono 2; e dalla forcella del petto per insino al bellico sono 3; per insino alla natura sono 4. Dal pettignone insino a tutta la coscia sono teste 2 1/2; ciascuna coscia è lunga teste 2 1/6. Dalla congiuntura del ginocchio e tutta la gamba per insino alla chiavatura del tallone, cioè la chiavatura dove comincia il piede, sono teste 2. Tutta la gamba dalla chiavatura per insino in terra....è finita l’altezza della statua virile; e da terra per insino alla chiavatura del piede è una mezza testa e una mezza dal mento alla forcella del petto. Abbiamo per altezza poste tutte le misure della statua virile; veremo la larghezza di ciascuna sua parte; cominceremo alle misure della testa e così esplicheremo per l’altitudine ogni sua parte, partiremo in quadri nove detta testa e daremo a ciascuno quella parte (che) tocca. In ciascheduna la prima parte tocca alla fronte, la seconda tocca al naso, la terza si piglia per il mento. I quadri che sono da ciascuna parte seguono gli occhi e così a ciascuna parte, se alloghi quella parte, gli tocca in detti nove quadri allogati per detta testa dove toccano gli orecchi di rimpetto agli occhi fuori de’ nove quadri. Ed ancora le cose sopra all’ima fronte fuori de’detti nove quadri. Ciascheduna parte si ponga nel suo lato, e così abiamo parito la testa in quadri nove, come è detto. Per l’altitudine e per lunghezza partiremo dalla forcella della gola per insino al mento, per quadri medesimi della medesima grandezza sono quelli della testa, piglieremo tutta la gola in detti quadri aremo partita in latitudine ed in altezza tutta la parte della gola :ora piglieremo dalla forcella della gola per insino alla chiavatura della spalla. Ora piglieremo la larghezza della spalla e così piglierò la largheza da l’una spalla all’altra; aremo la larghezza d’amendue, sarà teste due detta statua larga nelle spalle. Ora piglieremo teste due ed una testa e uno 1/8, arà di latitudine cioè di grossezza una testa e mezzo e così lunga. Tutta la mano è grossa una mezza testa, sono tutte della statua. Si che da esse essere principio sono sopra alla terra. La larghezza ne’ fianchi sarà nella cintura arà di larghezza grossezza una testa 1/8. La coscia arà di latitudine il dosso del piede. Tutto il piede e così è lunga la gamba nella polpa."

FILARETE 1453

Nel trattato scritto in volgare ed in forma narrativa, che lo scultore e architteto Antonio Averlino detto il Filarete termina a Milano nel 1464, l’ispirazione vitruviana si incontra con quella platonica proveniente dal Timeo e da un gruppo di dialoghi che l’autore può conoscere tramite un letterato greco della corte degli Sforza.(pagliara p.19). All’inizio del trattato Filarete racconta che Dio creò L’uomo proporzionato in tutte le sue parti, ed aggiunge che il primo architetto usò il corpo dell’uomo come suo modello di costruzione, ispirandosi da questo all’esposizione di Timeo del mito della creazione e collegando alla versione cristiana per rafforzare l’esposizione vitruviana sulle proporzioni. Però egli prossegue nella direzione e scelta del canone pseudo-varroniano, sostenendo nel suo Trattato di archittetura, che "la figura de l'omo che è bene proporzionato", cioè l’uomo ideali che corrisponde ad Adamo creato direttamente da Dio deve aver queste proporzioni:
"Misurorono tutto l’uomo e poi composono e partirono e accrebbono le misure, e da essa tutte si dirivano; e così di queste misure tratteremo, secondo mi pare che le trovassero e dirivassero loro origine. Il nostro principio, adunque, sarà della testa, e così la partiremo in prima in quelle parti note e più principali; come è da credere che loro prima in tre parti principali la partissero, così da noi ancora con quello ordine seguiteremo. E di queste tre parti la prima credo fu il naso, come membro più noto a dovere dipartire per misurare questa testa, e così trovarono che era lunga questa testa tre di questi nasi, cioè: uno naso dal mento a esso naso, e detto naso per una parte, e dalla fine del naso per infino al nascere de’ capegli è un altro naso. E così tutta la forma dell’occhio quanto è ‘l naso, e dall’occhio a l’orecchie ancora tanto l’orecchie il quale sia ragionevole e quanto il naso è diritto dalla faccia, cioè dall’uno orecchie all’altro, di misura sono tre nasi, o vuoi dire quanto è lunga la faccia.
E ‘l tondo di sopra dalla testa è comunemente della misura d’una testa e mezzo pigliando la sua lunghezza, dico delle teste proporzionate. Ben sai che essendo trasformate che queste misure non corrisponderanno. E acciò che intenda bene come da uomo queste misure sono dirivate, io ti misurerò questa figura de l’uomo a membro a membro, acciò che a membro a membro possa nel tuo edificio intendere bene ogni sua misura. Sì che, come t’ho detto, la testa è una delle parti ed è membro della persona; e ‘l suo sostentaculo, cioè il collo, è la metà della lunghezza della sua testa, el ragionevole; e da dove nasce il collo per infino giù allo stomaco, cioè il petto, si è una testa; e da l’una spalla a l’altra per traverso sono due teste, e dalla inforcatura infin su al petto sono due altre teste, sì che dal collo alla ‘nforcatura delle gambe sono tre teste. Dal principio della coscia per infino al gino(cchio) sono due teste, e dalla punta del ginocchio infino al collo del piè sono due teste, e dal collo del piè infino di sotto dalla pianta si è mezza testa, sì che, colla mezza del collo e colla mezza del piè, viene a essere in tutto nove teste la figura de l’uomo che è bene proporzionato.
E misurandolo per lo largo è quanto è lungo, o vuoi dire alto; e se misuri dove nasce il braccio è due teste e mezzo per infino alla giuntura della mano, sì che, essendo due teste e mezzo il braccio, e la mano distesa è quanto la testa, e ‘l piè è ancora della medesima misura, misurando di sopra e di sotto è una, sì che aprendo le braccia e distendendo le mani, sarà nove teste come pell’altro verso."

Filarete ripropone per il braccio la stessa ripartizioni del Cennini con la piccola variante di utillizzare per il sottomodulo del gomito 1/2 faccia invece di 1/3 di faccia.?????

ALBERTI 1430-60

L’Alberti sapeva bene di fare un lavoro pioneiristico scrivendo i suoi trattati sull’arte. Egli ammette infatti espressamente di porsi nuovi fini e di partire da nuovi principî. Le sue opere sono l’espressione di quei mutamenti che stavano per avvenire nell’arte e nello stesso tempo dànno l’avvio ad essi. Uno dei suoi concetti fondamentali è quello del bello. Egli si serve dell’antico termine latino "concinnitas", preso da Cicerone, che era poco conosciuto al di fuora dell’ambito della retorica. Nel suo libro De re aedificatoria, egli definì la bellezza in un passo che introduce il concetto della concinnitas così: "Definiremo la bellezza come l'armonia tra tutte le membra, nell'unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare se non in peggio". (LEON BATTISTA ALBERTI VI De re aedif. 93v p.446)
Però sono nelle successive pagine egli ce lo presenta: "È compito e disposizione della concinnitas l’ordinare secondo leggi precise le parti che altrimenti per propria natura sarebbero ben distinte tra loro, di modo che il loro aspetto presenti una reciproca concordinanza. Ecco perché, qualunque cosa noi percepiamo per via visiva o auditiva o di altro genere, subbito avvertiamo ciò che risplende alla concinnitas. Per isntinto naturale, infatti, noi aspiriamo al meglio, e al meglio ci accostiamo con piacere...".
(La concinnitas) "abbraccia l’intera vita dell’uomo e le sue leggi; preside alla natura tutta quanta. Giacché, tutto ciò che si manifesta in natura è regolato dalle norme delle concinnitas; e la natura non ha tendenza più forte che quella di far sì che tutti i suoi prodotti riescano assolutamente perfetti. Ma un fine siffatto non sarebbe mai raggiunto senza la simmetria, giacché in tal caso andrebbe perduto quel superiore accordo tra le parti che è a ciò necessario. Una volta che queste nozioni siano sufficientemente acquisite, potremo stabilire quanto segue. La bellezza è accordo e armonia delle parti in relazione a un tutto al quale esse sono legate secondo un determinato numero, delimitazione e collocazione, così come esige la concinnitas, cioè la legge fondamentale e più esatta della natura."( L. B. Alberti, De re aedificatoria, ?????)
Il bello è presente sia nella natura che nelle opere d’arti, ma dovunque esso si manifesti, dipende dalla proporzione e dall’armonia e dall’appropriata disposizione delle parti.
Il suo trattato De Statua secondo Simonelli fu composto tra il 1432 e 1446 circa e redatto originalmente in latino,come afferma anche ???????.
Nel libro Della Pittura vi è scritto: "a bene misurare uno animante si pigli uno quale che suo membro col quale li altri si misurino". È la regola medesima che troviamo impartita nel De Statua, con la differenza che lì a base della proporzine è secondo insegna Vitruvio, la misura del piede.
TROVARE IL PASSO CHE LUI DÅ DELL’UOMO TRE BRACCIA

Nel passo seguenti scrive l’Alberti: "Vitruvio architecto misurava la larghezza del homo coi piedi, amme pare cosa più degnia l’altre membra si riferiscono al capo, benché ò posto mente quasi comune in tutti li huomini che il piede tanto è lungo quanto dal mento al coculuzzo del capo."


Ma veramente nel Della Statua la misura "a mento ad summam verticem capitis" non è esattamente un piede, sebbene otto decimi di un piede. Sembrerebbe dunque, che il passo del della Pittura rettificasse la misura precisa, data nel Della Statua per la "maggior convenienza" della testa a quest’ufficio di misura, adottando un criterio di aprossimazione di misura, come l’Alberti soggiunge, "quasi comune in tutti li huomini". Tale conclusione è del Parrochi, il quale cerca di giustificare l’ipotese che il Della Statua fosse antecedente al Della Pittura.
Ritornando al contesto del De Statua, secondo l’Alberti la somiglianza si ottiene nella statua "mediante due risoluzioni". A queste due risoluzioni corrispondevano i due sistemi o regole per rilevarle, e cioè la misura (dimentio) e il porre de’ termini (finitio). Scopo della "finitio" nella scultura era di misurare i rapporti mutevoli tra le varie parti del corpo a seconda dei movimenti che compie, mentre scopo della "dimentio" era quello di stabilire i rapporti costanti.
"Le quali regole, come io dissi, son due, la misura ( dimensio) cioè, ed il porre de’ termini (finitio). Trattaremo adunque primieramente della misura, la quale certamente non è altro che una stabile e fermo e certo avvertimento e notamento, per il quale si conosce e mette in numeri e misure, l’abitudine, proporzione e corrispondenza, che hanno infra loro tutte le parti del corpo l’una con l’altra, così per altezza come per grossezza, e quella che esse hanno ancora con tutta la lunghezza di esso corpo." (LEON BATTISTA ALBERTI De Statua II )
"Il porre de’ termini è quel determinamento o stabelimento che si fa del tirare tutte le linee, e dello svolgere, del fermare gli angoli, gli sfondi, i rilievi, collocandogli tutti con vera e certa regola a’ luoghi loro. (...) Infra la misura e il porre de’ termini, ci è questa differenza, che la misura va dietro, e ci dà e piglia certe cose più comuni ed universali, le quali sono più fermamente e con più stabilità insite nella natura ne’ corpi, come sono le lunghezze, e grossezze, e le larghezze delle membra: e il porre de’ termini ci dà le momentanee varietà delle membra causate dalle nuove attitudini, e movimenti delle parti, e ce ti insegna porre e collocare." (LEON BATTISTA ALBERTI De Statua IV)
Con queste regole si poteva in primo luogo individuare qualsiasi punto della superficie della statua anche coprendola. In secondo luogo si poteva fare di qualsiasi dimensione, anche grande come una montagna, la terza caratteristica era che si poteva fare una metà in un luogo e l’altra metà in un’altro luogo. " Con questa regola si potrà a grandissima distanza di tempo rifare una statua esattamente".
Una certa confusione sorge dalla terminologia di Alberti nelle misurazioni del De Statua perchè egli sostituì il termine "gradus" della Tabulae Dimensionorum Hominis per quello "unceola" nel suo "exempeda". Ed egli sempre usa "gradus" per referire le divisioni del suo "finitorium" nel disco. Nel primo contesto il "gradus" è l’equivalente all’ "unceola", nel secondo no. La "finitio" ricchiede un’elaborato strumento chiamato "finitorium" che l’Alberti propone allo scultore per il misuramento ed il proporzionalmento della statua, e che si assomiglia con l’astrolabio che egli usò per mappare la città di Roma.
Dal punto di vista strumentale, gli elementi del rudimentale apparecchio sono gli stessi: un cerchio, un’asticella ruotante imperniata al centro del cerchio e un filo a piombo per garantire l’orizzontalità del cerchio medesimo. I termini fondamentali coincidono nei due testi: "horizon" e "radius". "ambitum circuli istius extremanque circuitionem partes divido coequales similes partibus quas in astrolabio iscribunt astronomi" (De Statua editato dal Janitschek in latino), e " huius horizontis ambitum in partes divido coequales et numero sint octo et quadraginta quas partes gradus appellabimus" (in L. Vagnetti, la "Descriptio urbis Romae", in ‹‹Università degli Studi di Genova-Istituto di elementi di architettura e rilievo dei monumenti›› quaderno 1, ottobre 1968, pg.60) ed anche il ragionamento procede paralello nei due testi. Le parti che si chiamano "gradi", suddividono il cerchio in parti eguali, e a loro volta si suddividono in parti minori, che si chiamano "minuti"; nella Descriptio, i minuti sono 4 (invece di 6) per ogni "grado" e 48 i "gradi" in tutto. Ma è facile vedere la coincidenza grafica tra un orizzonte di 32 "gradi" di 6 "minuti" ciascuno, come nel De Statua. Dove semmai una più minuta ripartizioni dei "gradi" deriva dalla necessità di una maggiore raffinatezza dello strumento in relazioni alle grandi distanze, problema che nella verifica delle proporzioni della statua e del corpo umano non si pone.
Difatto il suo strumento è una specie di "regolo" (regula) diviso in sei parti che egli chiama "modine del piede" (exempeda) che deve essere della stessa lunghezza della figura da misurare: "la lunghezza di tal regolo, noi la divideremo in sei parti uguali, e dette parti chiameremo piedi (pedes), e dal nome de' piedi chiameremo questo regolo il modine del piede (exempeda). Rivideremo poi di nuovo ciascuno di questi piedi in dieci parti uguali, le quali parti piccole noi le chiameremo once (unceolae). Sarà adunque tutta la lunghezza di questo modine sessanta di queste once. Di nuovo rivideremo ciascuna di queste once in altre dieci parti uguali, le quali parti minori, io chiamo minuti (minuta). Da queste divisioni ci averrà che tutto il modine sarà di sei piedi, e questi piedi saranno seicento minuti, e ciascuno piede solo sarà cento minuti." (LEON BATTISTA ALBERTI De Statua III )
"E perchè la cosa sia mediante gli esempi più manifesta, (...) ho preso questa fatica, di descrivere cioè le misure principali che sono nell'uomo. E non le particolari solo di questo o di quell'altro uomo; ma per quanto mi è stato possibile, voglio porre quella esatta bellezza, concessa in dono dalla natura, e quasi, con certe determinate porzione donata a molti corpi, e voglio metterla ancora in scritto, imitando colui che avendo a fare apresso a’ Crotoniati la statua della Dea, andò scegliendo da diverse Vergini, e più di tutte l'altre belle, le più eccelenti, e più rare, e più onorate parti di bellezze che egli in quelle giovine vedesse, e le messe poi nella sua statua. In questo medesimo modo io scelti molti corpi, tenuti da coloro che più sanno, belissimi, e da tutti ho cavate le loro misure e proporzioni;delle quali avendo poi insieme fatto comparazione, e lasciati da parte gli eccessi degli estremi, se alcuni ve ne fossero che superassino, o fossero superati dagli altri, ho prese da diversi corpi e modelli, quelle mediocrità, che mi son parse le più lodate. Misurate adunque le lunghezze, e le larghezze, e le grossezze principali e più notabili, le ho trovate che sono così fatte. Conciossiachè le lunghezze delle membra sono queste:" (LEON BATISTA ALBERTI De Statua V)
(unceolae)
ALTEZZE DEL PAVIMENTO PIEDI GRADI MINUTi

La maggiore altezza sino al colo del piedi è........ _____ 3 ____

La altezza di fuori del tallone...................... _____ 2 2

La altezza di dentro del tallone....................... _____ 3 1

La altezza sino al ritiramento sotto la polpa..... _____ 8 5

La altezza sino al ritiramento
sotto il rilievo dell’osso, che è sotto
il ginocchio dal lato di dentro..... 1 4 3

La altezza sino al musculo ch’è
nel ginocchio dal lato di fuora................. 1 7 0

La altezza sino a’ granelli ed alle natiche...... . 2 6 9

La altezza sino all’osso sotto il quale
sta appiccata la natura............................. 3 0 0

La altezza sino alla appicatura della coscia...... 3 1 1

La altezza sino al bellico........................ 3 6 0

La altezza sino alla cintura...................... .. 3 7 9

La altezza sino alle poppe, e
forcella dello stomaco...... 4 3 5

La alteza sino alla fontanella della gola............. 5 0 0

La altezza sino al nodo del collo...................... 5 1 0

La altezza sino al mento................... ..... 5 2 0

La altezza sino all’orecchio................................ 5 5 0


La altezza sino al principio
de’ capelli in fronte.......................... .......... 5 9 0

La altezza sino al dito di
mezzo della mano spenzoloni................... ..... 2 3 0

La altezza sino alla congiuntura di
detta mano pendente....................... 3 0 0

La altezza sino alla congiuntura
del gomito pendente.......................... . 3 8 5

La altezza sino all’angolo
più alto della spalla......................... ............... 5 1 8


LE LARGHEZZE CHE SI MISURANO DALLA DESTRA ALLA SINISTRA

La maggior larghezza del piede........................ 0 4 2

La maggior larghezza del calcagno................... 0 2 3

La maggior larghezza infra sporti de’ talloni...... 0 2 4

Il ritiramento, o ristrignimento sopra i talloni....... 0 1 5

Il ritiramento del mezzo della
gamba sotto il musculo...... 0 2 5

La maggior grossezza al musculo della gamba..... 0 3 5

Il ritiramento sotto la grossezza
dell’osso al ginocchio........ ..... 0 3 5

La maggior larghezza
dell’osso del ginocchio........................ ... 0 4 0

Il ritiramento della coscia
sopra il ginocchio.............................. 0 3 5

La maggior larghezza al
mezzo della coscia...................... ......... 0 5 5

La maggior larghezza fra i mucoli
dell’appiccatura della coscia............. ....... 1 1 1

La maggior larghezza fra amendui i fianchi
sopra l’appiccatura della coscia............... .... ____ _____ _____

La maggior larghezza nel petto
fra l’appiccatura delle braccia.......................... 1 1 5

La maggior larghezza fra le spalle................ .. 1 5 0

La largheza del collo........................................ _____ _____ _____

La larghezza fra le guance.................................. 0 4 8

La larghezza della palma della mano................ _____ _____ _____

LE LARGHEZE DEL BRACCIO, E LE GROSSEZZE SONO MEDIANTE I LORO MOTI DIVERSI, PUR COMUNEMENTE SON QUESTE:

La larghezza del braccio
nell’appiccatura della mano.............................. 0 2 3

La largheza del bracio
dal musculo, e gomito........................................ 0 3 2

La larghezza del braccio
di sopra sotto la spalla......................................... 0 4 0

LE GROSSEZE CHE SONO DALLE PARTI DINANZI A QUELLE DI DIETRO

La lunghezza che è dal
dito grosso al calcagno......................................... 1 0 0

La grosseza che è, dal collo del piede
all’angolo del cal cagno........................................... 0 4 3

Il ritiramento sotto il collo del piede.......................... 0 3 0

Il ritiramento sotto il musculo
a mezzo della gamba............................................... 0 3 6

Dove il musculo della gamba
esce più in fuori......................................................... 0 4 0

Dove esce più in fuori
la padella del ginocchio............................................. 0 4 0

La maggior grosseza nella coscia................................ 0 6 0

Dalla natura allo sporto delle mele.............................. 0 7 5

Dal bellico alle reni....................................................... 0 7 0

Dove noi cinghiamo...................................................... 0 6 6

Dalle poppe agli sporti delle reni..................................... 0 7 5

Dal gorgozzule al nodo del collo............................... 0 4 0

Dalla fronte al di dietro del capo................................... 0 6 4

Dalla fronte al buco dell’orecchio....................... _____ _____ _____

La grossezza del braccio
all’appiccatura della mano..........................................._____ ______ _____

La grosezza del braccio
al musculo sotto il gomito........................... _____ _____ _____

La grossezza dal musculo
sotto l’appiccatura del braccio ................................. _____ _____ _____

La maggior grossezza della mano.......................... ______ _____ _____

La grossezza delle spalle ........................................... 0 3 4 "

È probabile che l’Alberti aveva in mente il suo "exempeda" per essere usato in congiunzione con il braccio, se si considera la sua osservazione nel Della Pittura che le membra di un’uomo medio sono simmetricamente relatate in 3 braccia d’altezza in congiunzione con il precetto del De Statua che la figura umana è divisa in 6 piedi. Sotto queste circunstanze ogni braccio è equivalente a due piedi albertiani ed ogni "unceolae" è l’equivalente ad uno soldo fiorentino.
La compatibilità matematica dei due sistemi è basata nella divisione del braccio in 20 soldi e consequentemente nella suddivisione del soldo in 12 denari (20:12=10:6=5:3)
L’exempeda è diviso in 6 piedi, e ogni piedi è suddiviso in 10 unceolae (6:10=3:5). La semplicità del rapporto tra il sistema del braccio e l’exempeda è chiaramente dimostrato dal quattrino, il quale era la minore divisione generalmente usata del sistema fiorentino.
Il rapporto tra un quattrino ed un braccio è di 60:1, quello tra l’unceolae ed l’exempeda è pure 60:1; il rapporto tra un quattrino e 1/3 del braccio è 20:1, lo stesso per un unceolae e 1/3 dell’exempeda o due piedi albertiani; quello tra un quattrino e 1/6 del braccio è 10:1, lo stesso è per un‘unceolae per un piede albertiano.
Vi è una piccola tabella appesa in tre copie manoscritte del De Statua chiamata De Componenda Statua o meglio, secondo l’intitulatio negli altri manoscritti, Breve Compendium De Componenda Statua, molto interessante per il nostro argomento sebbene sembra essere un po’ corrotta dal suo compilatore. La tabella è basata nei manoscritti Magliabechiano II. IV. 39, Riccardianus 927 e Ambrosianus 0.80 sup., e è stata pubblicata dalla Simonelli.
" Aliae altitudines hominis a vestigio dimensae in partibus quinquaginta quattuor ut puta quae gradus liceat appellari:
A mento ad summam radicem capillorum in fronte gr. 6
A vestigio ad summam radicem capillorum in fronte gr.54
Ad furculam iuguli gr.45
Latitudo in furcula iuguli gr.12
Ad mammillas et furculam stomachi gr.39
Ad umbilicum gr.33
Ad os sub quo pendet pubis gr.37
Ad medium coxae gr.21
Ad articulum qui est in genu gr.15
Ad medium tibiae gr.9
Ad collum pedis altitudo a vestigio gr.3
A vestigio capitis ad summus
verticem qui gradus additur propter eius gr.55


BONACCORSO GHIBERTI 1472
F. G. MARTINI 1486
"'E da sapere ch' el corpo è partito in parti nove overo in nove teste dal termine e dependenzia della fronte e capelli a la stremità del mento. E per lo traverso delle braccia è altre nove parti, delle quali quattro e mezzo se ne piglia, cioè dall'uno e l'altro gobito."

pg.403-404 vol. II "In prima è da sapere che in due modi si può dividere, cioè in parti nove et in parti sette. Quello di parti nove è: tutta l’altezza della faccia, dalla estremità del mento al nascimento de’ capelli è una parte; dalla forcina della gola allo estremo petto un’altra, e da questa al nascimento de’ testicoli è parti due, e da queste all’ostragolo del ginocchio due altre; le gambe insino in sul collo del piè l’altre due, che fanno il numero di otto; l’altezza del piè e diametro della gola fanno l’altezza della nona, e queste è il partimento di tutto il corpo. Di poi si parti la testa in tre equali parti."
"Altra misura e divisione del corpo pigliandosi l’altezza di tutta la testa in sette equali parti debba esser diviso."

Per trattare delle divisioni del corpo umano suggerite da Giorgio Martini, è interessante anche analizzare i suoi disegni o appunti per fare una completa indagine del problema.
Il disegno del f.42v non corrisponde esattamente al testo della pagina 403-404, perchè la misura dell’altezza dei piedi nel disegno (forse di 1/3 di faccia) è minore del modulo di 1/2 faccia segnalata nel testo ed anche perchè essa resta fuori del conto delle facce per l’altezza totale. Inoltre per conformarsi al disegno il testo avrebbe dovuto dire che la nona faccia indicata per ultima è costituita dalla somma tra misura della gola e altezza della volta cranica, anziché altezza dei piedi.
Il disegno del f.21v referesi allo stesso tipo di canone, e si vede la misura dell’altezza dei piedi che corrisponde a mezza faccia.
Però vi è anche la possibilità di leggere il disegno pensando analogamente al canone di 10 facce dell’Agrippa. Ad esempio, se interpretiamo il disegno partendo dalla sommità del capo vedremo che la prima faccia cade nella base del naso, la secondo da lì alla fossa giugulare, e così via. L’unica differenza è che la misura dal ginocchio fino alle caviglie nel testo dell’Agrippa corrisponde a 3 facce, inquanto nel disegno sarebbeno di 2 facce più la misura dell’altezza del piede (forse di 1/3 di faccia).

"Dipoi, siccome detto, che l'arte e misura del corpo umano tratta fusse, siccome dal mento a la sommità della fronte, dove le radici de' capelli sono, sie l'ottava parte di tutto el corpo, similmente la palma della mano a la giontura per enfin la stremità del longo dito sie 'l medesimo dal mento insino a la sommità del capo la settima parte, dalla sommità del petto per insino dove nascano i capelli la sesta parte. E da essa sommità del petto al cimo del craneo la quarta parte. E da essa faccia ad infima parte del mento, a le nara del naso è terza parte, dalle nare insino al fine del naso e 'l nascimento de' cigli el simile. E da quel fine alla radice de' capelli è l'altra terza parte. El piè è la sesta parte del corpo. El braccio e gobito la quarta parte. El piè quel medesimo."
Il disegno del f.16v rappresenta un corpo nudo di uno giovane che camina suddiviso in otto facce secondo la tradizione pseudo-varroniana, avendo come moduli per completare la nona faccia, l’altezza dei capelli, l’altezza del collo. L’altezza dei piedi prendo in considerazione con una certa cautella perchè risulta una misura di più della metà faccia, ma in questo caso seguirò lo schema di questo disegno d’accordo con quello fatto da Berra vistocchè sembra che per Giorgio Martini l’altezza dei piedi è di 1/2 faccia.
Le misure della lunghezza dell’arto superiore sono anche loro di difficile interpretazione: non si sa esattamente quanto è la misura che va dall’acromion al gomito e da lì all’articolazione della mano; l’unica affermazione che si può fare è che il braccio dall’acromion all’articolazione della mano si divide in tre facce o parti uguali.
Totalmente diversi dal disegno sono le descrizioni del canone nel testo, le quali sono metà del tipo di canone pseudo-varroniano e le altre metà sono vitruviane.


LEONARDO 1490
Il disegno della galleria di Venezia si basa infatti sulla teoria delle proporzioni, formulata da Vitruvio secondo cui il corpo di proporzioni ideali è quello che può essere inscritto in un cerchio e un quadrato. Tale disegno va dunque considerato non come una illustrazione del microcosmo, ma come uno studio di proporzioni. Esso ha un significato del tutto diverso da quelle figure dei manoscritti altomedievali poiché è il frutto non di speculazioni cosmologiche, ma sì di una lunga serie di studi antropometrici. Leonardo cercava di dimostrare la validità delle regole estetiche codificate dalla tradizione vitruviana e perfino la approffondisce facendo starci l'uomo dentro al circulo e al quadrato, eseguendo misure sui diversi corpi umani e mettendo a raffronto le loro proporzioni. Però è molto probabile che Leonardo conoscesse e condividesse la dottrina del Primo Uomo se aveva scritto: "L'omo è detto da li antichi mondo minore, e certo dizione d'esso nome è bene collocata, imperò che, sì come l'omo è composto di terra, acqua, aria, e foco, questo corpo della terra è il simigliante. Se l'omo ha in sé osso, sostenitori e armatura della carne, il mondo ha i sassi, sostenitori delle terra; se l'omo ha in sé il laco del sangue, dove cresce e dicresce il polmone nello alitare, il corpo della terra ha il suo oceano mare, il quale ancora lui cresce e dicresce ogni sei ore per lo alitare del mondo; se dal detto lago di sangue, deriva vene, che si vanno ramifacendo per lo corpo umano, similmente il mare oceano empie il corpo della terra d'infine vene d'acqua."

Nelle numerose pagine manoscrite, che in parte confluirono nel trattato della Pittura, Leonardo studiò con grande attenzione l'anatomia per impadronirsi della sua estruttura e per accertare le misure precise dele varie membra da mettere in relazione reciproca. Anche se sappiamo tramite Luca Pacioli che Leonardo ha "posto fine a un degno libro de pictura e movimenti humani", ciò che ci è pervenuto solamente sono tra i suoi fogli numerosissimi citazioni, annotazioni, commenti, osservazioni, appunti su diversi sistemi proporzionali.

Il disegno dell'uomo vitruviano di Venezia, rientra appunto non tanto come incondizionato adequamento all'autorità di Vitruvio, quanto come momento di studio e especie di sintese e aquizione del sistema proporzionale vitruviano che Leonardo aveva appreso e assimilato con estrema esattezza ed intelligenza, anche rispetto agli altri che dopo di lui cercarono di illustrare il testo dell'architetto romano.

Si ritiene che il foglio veneziano sia stato probabilmente utilizzato da Leonardo come fontespizio di un trattato di architettura o di quello sui movimenti della figura umana. Il disegno presenta una figura umana inscritta contemporaneamente in un cerchio con il centro nell'ombelico e in un quadrato con il centro a livello dei genitali, con uno straordinario effetto cinetico derivante dalla diversa posizione delle braccia e delle gambe adattate alle figure geometriche. La novità del disegno sta anche nella brillante idea di Leonardo di associare in un unico foglio le due figure vitruviane, risolvendo così il problema del centro dell'uomo che aveva suscitato tante reazioni in diversi commentatori. Leonardo non usò il metodo della quadratura; il cerchio del suo disegno non è inscritto nel quadrato e nemmeno lo scrive, così le due figure geometriche sono independente una dell'altra, con il punto comune nella base del quadrato. L'artista non segue l'amico Pacioli che nel suo commentario della divina Proportione riteneva che il cerchio, con il centro nell'ombelico, avrebbe dovuto "equalmente toccara la summita del capo ele ponti deli deti medii dele mani e quelle deli deti grossi deli piedi", interpretando Vitruvio secondo uno schema che ricorda la figura con le gambe e braccia divaricate inscritta nel cerchio e nel quadrato di Francesco di Giorgio Martini, il quale per inserire armonicamente la figura aanche nel cerchio deve presentare le braccia allargate verso il basso e non verso l'alto come nel disegno di Leonardo. Da Vinci arrivò perfino a scostare e in certa forma a correggere il testo di Vitruvio. Per questo ultimo la sesta parte proporzionale del corpo iniziava nella base del collo (fosseta iugullare) fino alle radice dei capelli, invece per Leonardo la sesta parte dell'altezza totale giungeva fino alla sommità del capo. Egli aggiunse il modulo della settima parte dell'altezza totale, così denominato da Giuseppe Favaro come piede leonardesco.

Circa la dottrina delle proporzioni, (Leonardo non la considera secondo il rigi do sistema tradizionale, ma nelle sue mutazioni attraverso il moto; "vita in movimento" era uno dei suoi principali postulati nella teoria come nella pratica.

È caratteristico negli studi di proporzioni umane di Leonardo che i rapporti proporzionali sono, come di norma , espressi in una maniera insolita. Altri teorici invece espressero le varie quantità come una frazione dell’altezza totale o come un multiplo di una unità che poi è espresso in frazioni dell’altezza totale.
Solo definitivamente qualche tempo dopo Leonardo preferì esprimere le misure in rapporto all’altezza totale o simile unità come "testa" o "faccia". Prima però egli usava uno sistema che comparava vari parti della figura umana, erano loro collegate o no una con l’altra da un punto di vista anatomico, e esprimeva rapporti proporzionali in equazioni come ad esempio:
"a.b., b.c, c.d, d.e sono simile o uguali....", oppure "a.b.c.d sono simile o uguali....(x)", oppure "tanto è da a. a b...,altrettanto è b. a c.", oppure "a.b entra (x’) volte in c.d, (x’’) volte in d.e, e (x’’’) volte in e.f."

Più che il testo riprodotto e commentato, sono le incisioni con figure proporzionali a costituire una sorta di catena di trasmissione interpretativa della teoria vitruviana relativa all’antropometria. Le figure insirite dai vari curatori del primo Cinquecento nel testo vitruviano sono lontane dalla precisione e arguzia del disegno di Leonardo e solitamento non riprendono la geniale idea di questo artista di associare insieme al corpo dell’uomo, il cerchio e il quadrato, identificando i due centri del corpo umano rispetivamente nell’ombelico e nei genitale.

PROPORZIONI DELL’ALTEZZA TOTALE DEL CORPO

Altezza totale, --- "Tanto apre l’omo ne le bracia quanto è la sua altezza", cioè l’altezza totale corrisponde alla distanza tra gli apici delle sue medie, essendo gli arti superiori abdotti e disposti orizzontalmente, cosicchè l’intera figura umana può essere inscritta in un quadrato. (V. I)

Metà dell’altezza totale, --- "IL membro virile nasscie nel mezo dell’omo", cioè la metà altezza del corpo coincide con la radice del pene; (V. I)

L’altezza totale corrisponde poi a :

3 volte lo spazio della incisura jugulare dello sterno alla radice del pene. (V. I)

" la distanza dalla sommità della spalla (acromio) al polso. (F. 7 r, 10 r)

4 volte lo spazio dalle "tette" (papille mammarie) al vertice. (V. I)

" lo spazio "dalla forciella del petto jnsino alla sommità del capo". (C. f. 358 R-a)

" lo spazio "dalla sommjtà del pecto" (incisura jugulare dello sterno) "all’ombelicho". (F. 8 v)

" lo spazio dalle papille mammarie alla radice del pene. (V. I)

" lo spazio dalla radice del pene alla concavità mediale del ginocchio. (V. I)

" lo spazio da tale concavità al suolo. (V. I)

" "la magior largeza" del corpo, che è "nelle spalli", cioè lo spazio fra le due convessità laterali dei musculi deltoidi, essendo le braccia addotte. (F. 8 v, 10 r; C. f. 358 R-a; V. I)

" la distanza fra i lati esterni delle due fosse ascellari ad arti abdotti orizzontalmente. (V. I)

" la distanza della linea mediana ventrale alla piega del gomito, essendo l’arto abdotto orizontalmente. (F. 7 r)

" la distanza dalla piega del gomito esteso all’apice del dito medio, oppure dalla punta del gomito all’apice del pollice, cioè un cubito "chupito, gomjto". (F. 7 r, 8 v; C. f. 358 R-a; V. I)

6 volte lo spazio "dalle dadjci de’ chapegli alla somjtà del petto", cioè all’incisura jugulare dello sterno. (F. 6 r)

" lo spazio "da la forciella della.. somjtà del petto" o "dal di sopra del petto" (incisione jugulare dello sterno) "alla somità del capo" (vertice). (C. 358 R-a; V. I)

" la larghezza del tronco a livello della radice del pene ad arti inferiori addotti. (V. I)

" "il piè", cioè la lunghezza del piede. (C. f. 358 R-a)

7 volte lo spazio "dal di sopra del petto", cioè dall’incisura jugulare dello sterno, "al nascimento (radice) de’ capegli. (V. I)

" "il piè", cioè la lunghezza del piede. (V. I)

8 volte lo spazio "da la somjtà del chapo al djsotto del mento", cioè l’altezza della testa (F. 10 r; C. f. 358 R-a; V. I)

" lo spazio dal di sotto del mento alle papille mammarie. (V. I)

" la distanza fra i margini anteriori dei due musculi deltoidi alla loro origine clavicolare, essendo le braccia abdotte orizzontalmente. (V. I)

" "la magiore grosseza dell’omo dal petto alla sciena", cioè il diametro anteroposteriore del torace (nell’uomo in piedi). (F. 10 r)

" la distanza dal lato esterno della fossa ascellare alla piega del gomito esteso, ad arto abdotto orizzontalmente. (V. I)

9 volte l’altezza della testa. (C. f. 160 R-a)

" lo spazio "dal nascimento de’ chapellgli allo mento", cioè l’altezza della faccia (volto). (F. 10 r)

" lo spazio"da la fontanella de la gola a la spalla", cioè dalla incisura jugulare dello sterno all’acromio. (C. f. 160 R-a)

" la distanza, direttamente misurata, dalla spalla alla "tetta" (papilla mamaria). (C. f. 160 R-a)

" lo spazio "da l’una all’altra tetta". (C. f. 160 R-a)

" la distanza, direttamente misurata, "da ciaschuna tetta alla fontanella", cioè all’incisura jugulare dello sterno. (C. f. 160 R-a)

" "l’omo a djacere", cioè il diametro anteroposteriore del torace nell’uomo coricoto. (F. 11 v)


" "la lunghezza della mano". (C. f. 160 R-a)

10 volte lo spazio "dal nascimento de’ capegli al fine di sotto del mento", cioè l’altezza della faccia. (C. f; 358 R-a; V. I; TP. I c. 167; TP. II c. 293)

" "tutta la mano, da la giuntura de la palma... jnsino alla sommjtà del dito lungho". (C. f. 358 R-a; V. I)

12 volte lo spazio dalla "bocha", cioè dalla rima orale, alla radice dei capelli. (F. 10 r)

" "la magior largeza del volto", cioè la massima larghezza della faccia a livello delle rime palpebrali. (F. 10 r)

15 volte lo spazio "dal mento alli ochj", cioè dal di sotto del mento alla rima palpebrale. (F. 10 r)

" lo spazio "dal mento alla masschiella", cioè la distanza, di profilo, dalla convessità anteriore del mento all’angolo della mandibola. (F. 10 r)

" "la grossezza del’chollo in proffilo", cioè il diametro anteroposteriore del collo. (F. 10 r)

16 volte lo spazio da " la somjtà dell’orechio alla somjtà del chapo". (F. 10 r)

" lo spazio dal di sotto del mento al "lagrimatoio", cioè all’angolo mediale dell’occhio o alla rima palpebrale. (F. 10 r)

" lo spazio "dalla punta del mento a cquella della massciella", cioè all’angolo mandibolare. (F. 10 r)

18 volte "la metà del volto", cioè la metà altezza della faccia "dal mezo del naso al djsotto del mento". (F. 4 r)

" lo spazio "dal djsopra della gola al principio dj sotto", cioè dall’angolo della regione joidea, a livello della parte inferiore del mento, alla incisura jugulare dello sterno (altezza del collo di faccia). (F. 4 r)

42 volte "la mjnore grossezza del b(raccio) in proffilo", cioè lo spessore del polso dalla faccia volare alla dorsale. (F. 10 r)

54 volte lo spazio "dal djsopra al djsotto del mento", cioè dal solco labiomentale alla parte inferiore del mento. (F. 4 r)

"Vetruvio architecto mecte nella sua opera d’architectura che lle mjsure dell’omo sono dalla natura disstribujte in quessto modo, cioè che 4 diti fa 1 palmo, e 4 palmj fa 1 piè, 6 palmj fa un chubitio, 4 cubiti fa 1 passo, he 24 palmj fa 1 homo". (V. I))

"Se l’omo di 2 b(raccia) è picholo, quello di quattro è ttropo grande: essendo la vja di mezo laudabile, il mezo jnfra 2 e 4 si è 3, adunque piglia 1 omo di 3 b(raccia)." (C. f. 160 R-a)

Nell’uomo ritto, ad arti superiori disposti verticalmente, il gomito trovasi all’altezza della cintola, il polso a quella della parte inferiore della radice del pollice a livello della inferiore dei genitale. (F. 10 r)

Nell’uomo in piedi di profilo si trovano sulla stessa verticale: il "puso dell’orechio", cioè l’orifizio aurecolare; "la nose della spala", cioè l’acromio; "la nose del fianco", cioè il gran troncantere; "la nose del piè", cioè il malleolo laterale. (F. 11 r)

La "fontanella della gola", cioè la fossa del giugulo, "chade sopra il piè", trovasi cioè sulla verticale che passa per il piede; sporgendo un braccio innanzi, essa si sposta indietro; spostando " la ganba indirieto, la fontanella va inanti". (P. Ash. f. 20 v)

"Se tu apri tanto le gambe che ttu chali da chapo", cioè diminuisca, "1/4 di tua altezza", e apri e alzi tanto gli arti superiori, da giungere con l’apice delle dita medie a livello del vertice della testa, "sappi che ‘l cientro delle stremità delle aperte membra fia il bellicho e lo spatio che si truova in fra le ganbe fia triangolo equilatero". In tal modo l’intera figura umana può venire inscritta in un circolo, avente il centro nell’ombelico. (V. I)

"Il mezo dell’omo che ssiede", cioè la metà distanza fra il vertice e la parte inferiore delle natiche dell’uomo seduto, trovasi "djsotto della popa e djsotto della spalla", cioè a livello del solco infrapettorale e dell’avalamento sottostante all’angolo inferiore della scapola. Tale altezza dell’uomo seduto supera la metà altezza dell’uomo in piedi di quanto è la larghezza e la lunghezza dello scroto "testichulj". (F. 8 r)

"Se uno s’inginochia quello stremerà", cioè diminuirà, "la quarta parte dj sua alteza". (F. 8 r)

L’uomo inginochiato giunge con il vertice al di sotto del braccio, abdotto orizzontalmente, dell’uomo ritto in piedi. (F. 8 r)

"Stando l’omo ginochionj cholle manj al petto, il bellico fia il mezo di sua alteza e ssimilmente le punte de’ gomjtj", cioè ombelico ed olecrani si trovano a metà distanza fra il vertice e la parte inferiore delle ginocchia flesse. (F. 8 r)

"Tanto diminusce l’uomo nel piegamento dell’uno dei suoi lati", cioè nella flessione laterale del tronco, "quanto egli cresce nell’altro suo lato opposito, e tal piegatura sarà all’ultimo subdupla alla parte, che si estende", cioè la metà di questa (TP. I c. 204); però "el bellico mai esscie di sua alteza overo il membro virile", cioè nè ombelico nè pene s’innalzano o s’abbassano. (P. A f. 29 r)

Essendo "le reni" innarchate overo sciene", cioè nella flessione ventrale del tronco, "senpre le poppe son più basse che lle spatole d’essa sciena", cioè le sporgenze dei musculi grandi pettorali sono più basse di quelle delle scapole; nei "pecti narchati", cioè nella iperestensione del tronco, "senpre le poppe son più alte che lle spatole della sciena"; nelle "rene dirichte", cioè a tronco diritto, saranno "senpre trovate le poppe dell’altezza d’esse spatole". (B f. 21 r)

"Ciascuno homo ....nel terzo anno hè lla metà della sua alteza ultima". (P. H f. 31 v)


II. PROPORZ1ONl INTRINSECHE DELLA TESTA E DEL COLLO

A. Proporzioni di profilo.

L' altezza della testa, dal di sotto del mento al vertice, è di un sesto superiore a quella della faccia (volto), dal di sotto del mento alla radice dei capelli (F. 11 v).

La metà dell' altezza della testa coincide con Il’angolo mediale (lagrimatoio) dell' occhio (F. 1 r).

Lo spazio dal "nasscimento djnanzi de’ capellj " alla " sommità del chapo", cioè dalla radice dei capelli al vertice, equivale a quello dal "fine dj soto del naso alla congiuntion de' labri dinanzi della bocha", cioè all' altezza del labbro superiore . (F. 1 r)

Lo stesso spazio dalla radice dei capelli al vertice equivale ad un quinto dell' altezza della testa. (V. III)

La metà dell' altezza della faccia coincide con la metà dell’altezza del naso. ( F. 4 r;P. A f. 63 r)

L' altezza della faccia è divisibile in tre parti eguali:
la prima dal di sotto del mento al "principio di sotto del naso", cioè al margine inferiore del setto nasale o alla narice;
la seconda da questo livello sino al "dj sopra del naso dove principiano le ciglia", cioè sino allo spazio fra i sopraccigli (altezza del naso);
la terza parte da questo livello al " nassimento " cioè alla radice, dei capelli (altezza della fronte). (F 1 r, 4 r: V. I, III)

Lo spazio fra il " principio dj sopra del mento " cioè il solco labiomentale, e la radice dei capelli equivale ai cinque sesti dell’altezza della faccia. (F. 7 v).

Lo spazio dalla rima orale al di sotto del mento è un quinto dell'altezza della testa. (V . III)

Lo stesso spazio fra rima orale e profilo inferiore del mento è un quarto dell'altezza della faccia. (F 4 r, 9 r ;V III).

L’altezza deI mento, dal suo profilo inferiore aI solco labiomentale è un sesto dell' altezza della faccia (F. 4 r ; V III).

Lo spazio dal solco labiomentale al setto nasale è un sesto dell'altezza della faccia (V. III).

Il solco labiomentale trovasi a metà distanza fra il di sotto del mento e il setto nasale (P. A f. 63 r).

Lo "spatio ch’è infra ‘l taglio della bocha e ‘l principio del naso", cioè 1'altezza del labbro superiore, è Ia settima parte dell'altezza della faccia. (F. 4 r)

Lo spazio fra rima orale e solco labiomentale cioè l'altezza del labbro inferiore, è la terza parte dello spazio fra rima orale e profilo inferiore del mento, e la dodicesima parte dell'altezza della faccia. (F. 4 r)

Il "taglio della bocha", cioè I'angolo delle labbra, "in proffilo" è dirett.o verso 1'angolo della mandibola. (P. A f. 63 r).

Dividendo l'altezza del naso in-quattro parti, l'inferiore "entra dal disopra delle anarise al djsotto della punta del naso", sta cioè tra solco alare e profilo inferiore del naso, mentre la superiore va "dal lagrimatoio dell'ochio all'apichatura delle ciglia", cioè dall'angolo mediale dell'occhio allo spazio fra i sopraccigli. (F. 5 r).

La distanza fra i due solchi orbitopalpebrali superiore ed inferiore (essendo I’occhio aperto e rivolto all'innanzi) equivale a quella fra quest'ultimo solco e 1'ala del naso. (P. A f. 63 r).

L'altezza della faccia equivale alla distanza fra due verticali tangenti, I'una allo spazio tra i sopraccigli (talora anche al labbro, o al mento, o ad entrambi), I'altra alla massima convessità dorsale della testa, cosicchè il profilo, esclusi il tratto soprastante al livello della radice dei capelli (sulla linea mediana anteriore) ed escluso il naso, può inscriversi in un quadrato. (F. 1 r, 2 r, 3 r.; P. A f. 63 r)

La distanza dallo spazio fra i sopraccigli al solco labiomentale forma con quella dall'angolo della mandibola al "fine di sopra dello orechio colla tempia" (cioè all'angolo anterosuperiore del rettangolo verticale in cui può inscriversi il padiglione aurico]are) "uno quadrato perfetto", il cui lato equivale all'altezza di mezza "testa". E quindi solco labiomentale ed angolo della mandiboIa non solo distano tra loro della detta dimensione, ma si trovano anche alla stessa altezza. (V. II).

Il padiglione auricolare trovasi allo stesso livello e misura la stessa altezza del naso (dal setto ai sopraccigli), cioè un terzo della faccia. (F. 1 r ; 12 r , P. A f. 63 r)

L' altezza del padiglione. auricolare è eguale alla distanza dal setto nasale al "coperchio dell'ochio", cioè alla palpebra superiore inclusa. (P. A f. 63 r)

"Da la somjtà dell' orechio alla somità del chapo" è la stessa distanza che dal di sotto del. mento all'angolo interno. dell' occhio. (F. 10 r)

Lo spazio fra il margine posteriore del padiglione auricolare e la massima sporgenza dorsale della testa corrisponde allo spazio fra rima orale e profilo inferiore del mento. (F. 3 r).

"Dal cantone dell'osso dell'ochio", cioè dalla parte esterna del margine orbitale, al padiglione auricolare, è lo spazio corrispondente. alla lunghezza del padiglione stesso e ad un terzo dell’altezza della "testa". (V. II)

Il "pincierolo che ssi trova infra ‘l buso dell'orechio inverso il naso", cioè verosimilmente il trago, trovasi a metà distanza fra la "nucha", vale a dire la massima sporgenza dorsale della testa, e " ‘l ciglio", cioè il sopracciglio. (F. IO r).

La distanza dalla predetta "nuca" all'orifizio auricolare equivale allo spazio dal setto nasale al di sotto del mento. (P. A f. 63 r)

Lo spazio fra la "choda" o angolo laterale dell' occhio e il "buso dello orechio" od orifizio auricolare, equivale alla distanza dall'angolo mediale dell' occhio alla radice dei capelli (F. 12 r).

El cavo dell' osso della guancia" cioè la depressione al di sotto dell' osso zigomatico, è equidistante dall'apice del naso e dal "confine della rnasciella ch’ è la punta di sotto dell’orechio", cioè dall'angolo mandibolare. (V. II).

La distanza dall'orifizio auricolare all'ala del naso equivale a quella dall'angolo della mandibola alla rima orale (sulla linea mediana) : tali distanze corrispondono a metà altezza della faccia ed al diametro anteroposteriore del collo a livello dell'angolo joideo. (P. A f. 63 r) -

"L’orechio" cade nel mezzo del collo. (P. A f. 63 r; V. II).

La distanza "da lo ultimo sporto del mento alla gola", cioè dal profilo anteriore del mento all'angolo della regione joidea, equivale allo spazio fra rima orale e profilo inferiore del mento, cioè alla quarta parte della faccia. (F. 4 r).

Lo spazio dall'angolo joideo all'incisura jugulare dello sterno è metà altezza della faccia. (F. 4 r).

La "grosseza del chollo" nel suo diametro anteroposteriore "entra una volta e 3/4" nella distanza dal "ciglio", cioè dallo spazio tra i sopraccigli, alla "nucha" o massima sporgenza dorsale della testa. (F. 4 r)

Lo stesso spessore del collo di profilo equivale allo spazio dal di sotto del mento "alli ochj", cioè alla rima palpebrale, ed allo spazio dal profilo anteriore del "mento alla masschiella", cioè all'angolo mandibolare. (F. 10 r)

Lo spazio dal profilo anteriore del mento "al djrieto", cioè al profilo dorsale, "del chollo", equivale allo spazio fra rima orale e radice dei capelli, cioè ai tre quarti dell’altezza della "tessta". (F. 4 r)


PROPORZIONI DI FACCIA

"La magior largeza del volto", cioè la massima larghezza della faccia, che trovasi all’altezza degli occhi, equivale allo spazio dalla rima orale alla radice dei capelli. (F. 10 r; T. II)

Tale "magiore largheza della facia del viso" equivale ai due terzi dell’altezza della testa. (F. 11 v)

La distanza "dall’una apichatura dell’orechio all’altra", cioè fra le inserzioni dei due padiglioni, equivale a quella dallo spazio tra i sopraccigli al di sotto del mento. (P. A f. 62 v)

Lo "spatio ch’ è infra lli stremi delli ochi inver li orechi", cioè la distanza fra gli angoli estemi dei due occhi, equivale all’altezza di mezza faccia. (T. II)

E quindi nel volto di faccia più tracciarsi un quadrato, la cui larghezza sta tra gli angoli esterni dei due occhi, e la cui altezza va dallo spazio tra i sopraccigli al solco labbiomentale ("sotto del labro di sotto della bocha"): ciò che rimane al di sopra, cioè la fronte, e al di sotto, cioè il mento, somma insieme I'altezza "d' un simile quadro". (P. A f. 63 r)

La "la largeza della bocha", cioè la Iunghezza della rima orale, corrisponde allo spazio dalla detta rima al di sotto del mento, cioè ad un quarto dell'altezza della faccia. (F. 4 r; P. A f. 62 v)

"Lla grandeza della bocha" equivale allo spazio dalla radice dei capelli al vertice (F. 10 r)

La larghezza del naso fra le due "anarise", cioè fra le due ali, equivale alla distanza, nel naso di profilo, dall'apice alla "strema parte dell’anarisa" dove "si chongiungnje colla guancja", cioè al contorno posteriore dell'ala del naso, ove il solco alare si confonde con I’estremo superiore del solco genolabiale. (F. 5 r)

Una tale larghezza del naso è la metà della sua altezza, sicchè il naso di faccia può venire inscritto in due quadrati sovrapposti. (F. 5 r).

La distanza dal "lagrirnatoio" alla "choda d'esso ochio", cioè la lunghezza della rima palpebrale, corrisponde alla distanza dal " lagriimatoio" al "disopra delle anarise", cioè dall'angolo mediale dell'occhio alla parte più elevata del solco alare. (F. 5 r).

Lo stesso spazio fra i due angoli dell'occhio equivale alla "largheza delle nari del naso", cioè al diametro trasverso massimo del naso. (T. I).

Ed egualmente lo spazio fra gli angoli mediali dei due occhi corrisponde alla "grandeza d’ un ochio", cioè alla lunghezza della rima palpebrale. (P. A f. 63 r)

"Lo spatio ch' è infra i cientri delle popille dell'ochio è 1/3 del volto". (T. II).

La distanza dal sopracciglio al solco infraorbitale, presa sulla verticale passante per metà lunghezza della rima palpebrale, e il diametro trasverso della regione orbitale (larghezza dell’orbita) equivalgono alla lunghezza della rima orale. (T. I).

Le distanze, direttamente misurate, dal solco infraorbitale (nel punto d'incrocio con la verticale anzidetta) agli angoli mediale e laterale dell'occhio equivalgono allo "spatio ch’ è fra l’uno ochio e ll’altro". (T. I)

La distanza dal solco infraorbitale al margine libero della palpebra inferiore, essendo I' occhio aperto e rivolto all'innanzi, è eguale alla lunghezza della rima palpebrale ed all'intervallo tra gli occhi (T. II).

Sempre nell'occhio aperto e rivolto all'innanzi, sono tra loro eguali le distanze seguenti (di cui le prime tre misurate sulla predetta verticale):

dal solco infraorbitale al margine libero della palpebra inferiore;
da questo livello al solco orbitopalpebrale superiore;
da questo livello al margine superiore del sopracciglio;
la minore distanza, direttamente misurata, obliqua medialmente ed in basso, dal solco infraorbitale all'estremo superiore del solco genolabiale fuso con l'alare;

Tali distanze equivalgono poi:

"alla metà della grosseza de' labri dell’ochio", cioè alla metà lunghezza delle palpebre;
alla distanza "fra ‘l mento e la bocha", cioè all'altezza dal labbro inferiore;
alla "più stretta parte che à il naso infra l’ uno ochio e ll’altro".
Tutte queste distanze equivalgono alla .... parte della testa (T. I).

Lo spazio fra margine libero della palpebra inferiore e solco orbitopalpebrale inferiore è un terzo della distanza dal detto margine al solco infraorbitale (sempre sulla nota verticale). (T. I)


PROPORZIONI INTRINSECHE DEL TRONCO.

La maggior larghezza del corpo è ,"nelle spalli", fra le convessità laterali dei due muscoli deltoidi. (F. 10 r)

"Tanto è l’omo sotto i b[racci] quanto Io spatio de' fianchi", cioè il diametro trasverso del torace sotto le ascelle equivale a quello del bacino. (F. .11 r).

Tale' larghezza dei fianchi equivale alla distanza dal "sumo d'essi fianchi", cioè dalla cintola, al "djsotto delle natiche", cioè al solco gluteofemorale, e dalla stessa "cintura" alla sominita della spalla. In tal modo la cintola è a metà distanza tra sommità della spalla e solco gluteofemorale (F. 11 r).

La distanza dalla ."somjtà del petto", cioè dall' incisura jugulare dello sterno, al "belljcho" equivale alla massima larghezza delle spalle. (F. 6 r, 8 v)

Queste stesse dimensioni corrispondono poi allo spazio fra i solchi infrapettorali e la radice del pene. (F. 6 v).

"Infra loro àno simjlitudjne di grandeza" le distanze seguenti, direttamente misurate di faccia:

dalla sommità della spalla (o acromio) alla "fontanella del gola" o incisura jugulare dello sterno ;
dalla sommità della spalla alla papilla mammaria dello stesso lato;
fra le due papille mammarie ;
dalla incisura jugulare dello sterno alla papilla mammaria. (F.2 r; C. f. 160 R-a)
Vi equivale pure la distanza dalla papilla mammaria alla convessità laterale del muscolo deltoide dello stesso lato, essendo però il braccio in adduzione, e perciò tale spazio "è libero". (F. 2 r)

PROPORZIONI INTRINSECHE DELL’ARTO SUPERIORE

"Da la punta del più lungo djto de la mano" (medio) all’acromio o sommità della spalla (a gomito steso) è la lunghezza di "4 manj". (F. 12 r; P. B f. 3v)

La lunghezza della mano è "1/3 di b(raccio)", cioè dell’intero arto, esclusa la mano. (C. f. 160 R-a)

La distanza dalla sommità della spalla all’olecrano o punta del gomito (flesso ad angolo retto circa) equivale a quella dalla detta punta:
"al principio dj dentro del grosso djto", cioè alla base del pollice nel primo spazio interdigitale. (F. 10 r)

"alla giuntura delle 4 mjnor djta cholla palma della mano" (F. 11 r)

all’apice del pollice. (F. 12 r)

La distanza dalla sommità della spalla alla piega del gomito (esteso) equivale a quella da detta piega alla base del pollice nel primo spazio interdigitale. (F. 10 r, 11 r)

La distanza dalla piega del gomito esteso all’apice del dito medio equivale a quella dalla punta del gomito (esteso o flesso) all’apice del pollice: tale misura corrisponde ad un "chupido", cioè cubito. (F. 7 r)
La distanza dal polso al gomito (piega) è eguale a quella dal gomito all’ascela, e ciò tanto nella flessione (F. 5 r; P. Ash. f. 23 v) che nella estensione del gomito. (F. 7 r)

Il "b(raccio) dal gomjto alla mano", cioè l’avambraccio, "mai cresscie per piegare o dirizarsi", vale a dire che la distanza dalla punta del gomito a1 polso rimane la stessa nella flessione e nella
estensione (F. 10 r, 11 r).

Il livello di massimo spessore dell'avambraccio subito al di sotto della piega del gomito rimane sempre a metà distanza fra la sommità della spalla e la base del pollice, sia nella estensione che nella flessione. (F. 11 r).

Le distanze dalla sommità' della spalla alla piega del gomito esteso e da questa alla base del pollice diminuiscono, dalla estensione alla flessione (ad angolo retto circa), di un sesto, mentre la distanza dalla sommità della spalla alla punta del gomito aumenta di un settimo diminuendone nel caso opposto. (F. 10 r, 11 r)

"L' omero", cioè il braccio, dalla massima estensione alla massima flessione del gomito cresce di un ottavo della sua lunghezza. (TP. I c.174)

La distanza dalla sommità della spalla al gomito (punta); nel passaggio dell'avambraccio dalla estensione alla flessione, aumenta di quanto è lo spessore del polso (F. 10 r) e diminuisce nel movimento opposto di "3 dita e mezo" (trasverse) (A. f. 5 r)

Il braccio, nella estensione del gomito, diminuisce un terzo dello spessore del gomito flesso (di profilo), mentre passando dalla estensione alla flessione aumenta la metà dello spessore del gomito esteso (F. 10 r) -

La lunghezza. della "polpa del b[raccio]", cioè del segmento corrispondente al ventre del muscolo bicipite dalla piega ascellare al restringimento soprastante agli epicondili, diminuisce nella flessione dell'avambraccio di due quinti (F. 11 r).

Lo spazio dalla sommità della spalla alla piega ascellare (a braccio addotto e veduto di faccia) equivale:
ad un quinto della distanza dalla sommità della spalla, alla base del pollice. (F. 11 r)
alla distanza dal polso alle quattro ultime articolazioni metacarpofalangee. (F. 10 r).
"alla palma della ma(no)" (F. 11 r)

Lo spessore del braccio addotto, veduto di faccia subito al di sotto dell'ascella, entra tre volte nella lunghezza della mano (F. 6 r).

La maggiore grossezza del braccio, veduto di faccia "infra lla spalla e gomjto" entra quattro volte nella distanza dal gomito (esteso) alla spalla e corrisponde alla larghezza delle ultime quattro dita ravvicinate (F. 10 r).

Lo spessore deI braccio di faccia equivale, all'altezza del ventre del bicipite, ad un settimo della distanza dalla spalla al polso; mentre nelle stesse condizioni lo spessore della parte alta dell'avambraccio è un ottavo della stessa distanza. I due spessori rappresentano le "le misure più grosse" dell'arto (F. 11 r).

La maggior grossezza dell'arto superiore (sempre a braccio addotto, gomito esteso e palma mediale) di profilo equivale a quella dell arto stesso veduto di faccia : "Ma l’una è posta nel terzo de b(raccio) da la giuntura alla tetta, l’altro nel terzo dalla giuntura alla mano" (F. 10 r)

Lo spessore del braccio di profilo, essendo il gomito flesso ad angolo retto e la palma rivolta medialmente, equivale, in corrispondenza del ventre del bicipite, allo spessore della parte alta dell'avambraccio nelle stesse condizioni : ambedue gli spessori corrispondono poi ad un quarto della distanza dalla spalla alla punta del gomito e da questa alla radice delle ultime quattro dita (F. 11 r).

"Lla più sottile parte che ssia infra lla spalla e ‘ll gomjto", cioè il restringimento al di sopra degli epicondili, veduto di faccia ad avambraccio esteso e palma mediale, è un ottavo della distanza dalla spalla al polso (F. 11 r). -

Tale minore grossezza del braccio "sopra ‘l gomito", di faccia è simile alla larghezza dell’avambraccio in estensione, veduto di lato, a metà distanza fra gomito e polso (F. 10 r).

"La magior grosseza del braccjo infra ‘l gomito e lla mano", cioè la parte superiore dell'avambraccio, veduta di faccia, entra sei volte nella distanza dal polso alla spalla e corrisponde alla larghezza dell'intera mano a pollice addotto (F. 10 r).

Nell'avambraccio esteso, veduto di profilo, la maggiore grossezza entra tre volte nella sua lunghezza. (F. 10 r).

La"groseza del b(raccio) sulla mano", cioè in larghezza del polso, entra dodici volte "in tutto il b[raccio]", cioè "dalla punta de’ djti insino alla giuntura della spalla (acromio):' diti `7n'11lo alla git<iittiìa della spalla (acromio) :tre nella mano e nove "nel b(raccio)", vale a dire quattro nell'avambraccio e cinque nel braccio sino alla sommità della spalla (a gomito esteso) (F. 10 r).

La stessa larghezza del polso corrisponde ad un sesto delle distanze fra la base delle ultime quattro dita e la. punta del gomito e fra la punta del gomito (flesso) e la sommità della spalla (F 10 r)."

La mjnore grosseza del b(raccio) in poffilo", vale a dire lo spessore del polso; è un sesto della distanza dal "nodel della mano al sopelo del gomjto disteso", cioè dal polso alla fossetta al lato dorsale del gomito esteso, ed è un quattordicesimo della distanza della spalla al polso (F.10 r).

Lo stesso spessore del polso è (ad avambraccio esteso) un tredicesimo della stessa distanza dalla spalla al polso (F 11 r.).

Lo spazio fra "le noche delle 3 djta di mezo e lle prime giunture d’esse, stando la ma(no) djstesa", cioè la distanza, sul dorso della mano distesa, fra articolazioni metacarpofalangee e prime interfalangee dell'indice, medio ed anulare, equivale alla distanza fra la "nocha" del pollice e il "principio della sua unglia", cioè dalI'articolazione metacarpofalangea alla radice dell'unghia del poillice : tali spazi equivalgono poi alla quarta parte della lunghezza della mano (F. 9 r).



Le proporzioni seguenti concernono principalmente lo scheletro

Il tendine bicipitale al radio è "appichato nel mezo infra lla giuntura della spalla e lle punte delle dita". (A f. 1 v)

"L'osso della spalla" (scapola, verosimilmente nel suo diametro trasverso) è il terzo della lunghezza dell'omero. (A f. 1 v)

"Il braccio diminuissce nel suo disstendersi 3 dita e mezo nello spatio ch’ è dalla spalla al gomjto suo", cioè, all'olecrano. (A f. 5 v).

La lunghezza delle ossa dell'avambraccio è "li cinque settimj" della lunghezza dell'omero, "stando il b[raccio] (avambraccio) disteso colla palma della mano volta al celo". (A. f. 1 v)

"Il b(raccio) non si achossta alla spalla colla sua maggiore vicinjtà men di 4 de’ sua ditj", e ciò a motivo della "grosseza della carne che ssi intepone nella sua giuntura". (A. f. 5 r)

La mano è "lli sei settimj" della lunghezza del radio. (A. f. 1 v)

"La magior lungheza della padella della spalla" (scapola) " è simjle alla lungheza della mano". (A. f. 1 v)

La "padella della spalla", verossimilmente nel suo diametro traverso, "è simjle alla lungheza della mano". (A. f. 13 r)


V, PROPORZIONI INTR1NSECHE DELL’ARTO INFERIORE

La distanza dalla spina iliaca anterior superiore al suolo equivale alla lunghezza di quattro piedi (quaderno V, f. 4 r)

La distanza dalla spina iliaca anterior superiore al ginocchio (solco infrupatellare = F. 6 v, 11 v; centro della faccia anteriore della patella =. Quaderno V, f 4 r) equivale a quella dal ginocchio al suolo : tanto I'una, quanto l'altra (dal solco infrapatellare al suolo = P. B f. 3 v) equivalgono alla lunghezza di due piedi. (F. 6 v, 11 v; Quaderno V, f 4 r

La distanza dal solco infrapatellare al suolo equivale, nel ginocchio flesso ad angolo retto, a quella dal detto solco alla tuberosità ischiatica, ed ambedue corrispondono alla lunghezza di due. piedi. (F. 11 v).

La distanza fra l'apice del "gobo", cioè del gran trocantere, e la concavità laterale del ginocchio è eguale a quella da tale concavità al suolo. (F. 11 v)

La distanza fra l'apice del gran trocantere e il solco infra patellare è eguale a quella da tale solco all'apice del malleolo laterale, e ciò a ginocchio tanto esteso. (F. 6 v), che flesso ad angolo retto. (F. 11 v).

Essendo anca, ginocchio e piede semiflessi e veduti di profilo, la distanza dalla spina iliaca anterior superioie al centro della faccia anteriore della patella è eguale alIa distanza da questo punto alla convessità posteriore del tallone : la lunghezza del piede è la metà di ciascuno di tali distanze. (F.12 r).

Essendo il ginocchio completamente flesso con le facce posteriori della coscia e della gamba a mutuo contatto, la distanza della natica alla massima convessità del ginocchio è eguale a quella da tale convessità alla pianta del piede ambedue corrispondono del pari alla lunghezza di due piedi. (F. 12 r)

La grossezza massima della coscia di faccia è un terzo della distanza dalla concavità laterale del ginocchio al suolo e da tale concavità all'apice del gran trocantere. (F. 11 v).

Lo spessore della coscia di profilo, tanto dalla regione subinguinale al solco gluteofemorale quanto, un pò più sotto, a livello della massima spolgenza del muscolo quadricipite, è un terzo della distanza dal poplite (all’altezza circa del solco infra-patellare) al suolo e dal poplite alla cresta iliaca (o alla spina iliaca anterior superiore). (F. 1 1 v).

"El ginochio non cresscie nè djmjnuisscie per piegharsi o ddjstendersi". (Quaderno V. f. 3 v)

La larghezza del ginocchio di faccia, fra le due concavità laterale e mediale, è cinque sesti della larghezza a livello del solco infrapatellare (fra i due condili femorali) (F. 11 v).

"Ìl cavo del ginochio di forj è più alto che ‘l chavo di dentro" : il dislivello fra le due concavità equivale "alla metà della. grosseza della gamba da piè", cioè del segmento sopraimalleolare della gamba, veduto di faccia (F. 11 v).

"La burella del ginochio", cioè la patello, misura in larghezza "tre qujnti della largheza di tutto il ginochio, dj verso la parte silvesstra", cioè dal lato estensorio. (Quaderno V, f. 3 v).

La larghezza della "padela del ginochio", cioè della patella, corrisponde a quella del segmento sopramalleolare della gamba,. veduto di faccia (F. 12 r).

La larghezza della gamba, veduta di faccia, al di sotto del ginocchio, equivale sia alla distanza dalla base deI malleolo mediale alla faccia inferiore del tallone, sia al diametro trasverso del piede alla "apichatura" o base delle cinque dita .(F. 11 v).

Lo spessore della gamba, veduta di profilo, al di sotto del ginocchio è un nono della distanza dalla cresta iliaca (o dalla spina iliaca anterior superiore) al suolo. (F. 11 v). - -

Lo stesso spessore della gamba in profilo sotto il ginocchio equivale a sei volte la distanza da tale livello a ... e corrisponde alla distanza dal margine anteriore del malleolo laterale alla faccia posteriore- del tallone ed a quella dall'apice dell'alluce alla base del quinto dito •(solco plantodigitale). (F. 11 v)

La maggior grossezza "della polpa de la ganba", cioè del poIpaccio, veduta di faccia, "è nel terzo della sua alteza" ed è di un ventesimo superiore alla maggior larghezza del piede (F. 11 v)
La stessa larghezza del polpaccio di faccia "cresscie il sesto", cioè è di un sesto maggiore, della larghezza della gamba, pure di faccia, sotto il ginocchio (F. 11 v).

La stessa larghezza del polpaccio di faccia equivole a quella del ginocchio a livello del solco infrapatellare (fra i due condili femorali) ed è un quarto della distanza dalla concavità laterale del ginocchio al suolo (F. 11 v).

Lo spessore della gamba di profilo a livello del polpaccio è un quarto della distanza dal poplite (all'altezza circa del solco infrapatellare) al suolo e dal poplite alla cresta iliaca (o alla spina iliaca anterior superiore) e corrisponde a tre settimi della lunghezza del piede (F. 11 v).

Lo spessore della gamba di profilo al di sotto del polpaccio è un decimo della distanza dalla cresta iliaca (o dalla spina iliaca anterior superiore) al suolo (F. 11 v).

La minore grossezza della gamba, cioè il segmento sopramalleolare, veduta di faccia, entra tre volte "nella sua coscia", cioè niella massima grossezza della coscia, pure di faccia .(F. 10 r).

Tale "mjnore grosseza della ganba in faccia entra 8 volte dal djsotto del piè a la giuntura del ginochio". (F. 12 r)

La stessa minor grossezza della gamba, ma "in proffilo", entra invece solo sei volte nella distanza dal suolo al ginocchio (F. 12 r).

Lo spessore dello stesso segmento sopramalleolare in profilo è un sesto non solo della distanza, ora veduta, dal solco infrapatellare al suolo, ma anche di quella da tale solco alla cresta iliaca (o alla spina iliaca anterior superiore), ed equivale alle distanze, pure di profilo, dal margine anteriore del malleolo laterale alla faccia posteriore del tallone e dall'apice dell'alluce alla base del quinto dito (solco plantodigitale) .(F. 11 v)

La distanza, di faccia, fra i due malleoli "djminuiscie il sesto in nella ganba", cioè è di un sesto maggiore che non lo spessore, pure di faccia, del soprastante segmento sopramalleolare (F. 11 v).

La distanza fra le convessità dei due malileoli è eguale allo spessore del segmento sopramalleolare dela gamba veduto di profilo (F. 12 r)

I piedi. in cui lunghezza sta quattro volte nella distanza dalla spina iliaca anterior superiore a1 suolo, "son laudabili per misura, perchè pendano un poco in picholo", essendo bella la gamba con piede "più tosto picolo che grande".(Quaderno V, f. 4 r)

La larghezza del piede, veduto di faccia,sotto gli apici dei malleoli, "è mjnore 1/10" della distanza, pure di faccia, fra i due malleoli. (F. 11 v)

La larghezza (massima) del piede,equivale a quella del ginocchio a livello del solco infrapatellare (fra i due condili femorali). (F. 12 r)

La larghezza del "chalchagnjo nel suo djsotto" corrisponde allo spessore della "ganba dove in facia è più sottile", cioè nel segmento sopramalleolare di faccia. (F. 9 r).

La distanza dell'estremo posteriore del tallone alla base del quinto dito (solco plantodigita1e) corrisponde a quella dal margine anteriore del malleolo laterale all’apice dell'alluce (F. 11 v).

L'alluce, visto di profilo dall'interno, misura dalla "polpa del petto del piè", cioè dal cuscinetto adiposo dellao testa del primo metatarsale, a1 suo apice la sesta parte della lunghezza del piede . (F. 9 v).

La 1unghezza del "più lungo djto del piè" (il secondo), a partire dal "principio della sua djvjsione dal djto", cioè dalla base de1 primo spazio interdigitale, è la quarta parte della distanza dal "mezo dal suo polo dj dentro", cioiè dalla metà del malleolo mediale, alla punta del piede. (F. 9 r).

La base del quinto dito (solco plantodigitale), nel piede vedluto dall’esterno, trovasi all’unione dei tre quarto posteriori con il quarto anteriore della lunghezza del piede. (F. 9 v)

Lo spessore delle quattro dita minori del piede,"dal djsopra del ungie (unghia) al di sotto", è uguale per tutte e corrisponde ad un quindicesimo della lunghezza del piede. (F. 9 v)


VI. PROPORZIONI ESTRINSECHE DEL TRONCO.

A.Proporzioni con testa e collo.

La massima larghezza delle spalle equivale all altezza di due "teste". (F. 8 v; P. Ash. f. 28 v; TP. I c.169 TP. II c. 295)

La stessa larghezza delle spalle equivale all'altezza di due "volti" o "facce". (TP. I c. 167 TP. II c. 293)

Il diametro anteroposteriore del torace, a livello delle papille mammarie, equivale all'altezza della testa (F.10 r, 11 r).

La massima larghezza delle spalle e lo spazio dalld incisura jugulare dello sterno all'ombelico stanno ciascuno quattro volte nella distanza dalle narici alle piante dei piedi (F. 6 r).

Dalla incisura jugulare dello sterno all'ombelico si ha l’altezza di "due tesste" (F. 8 v)

Dall'ombelico alla radice del pene è l’altezza di una "testa"(F. 8 v)

Le distanze, direttamente misurate, dalla spalla all'incisura jugulare dello sterno ed alla papilla mammaria dello stesso lato, e da tale papilla alla incisura jugulare dello sterno ed alla papilla del lato opposto, equivalgono all'altezza della faccia e alla distanza fra questa e l’estremo posteriore della testa (F. 2 r).

Le dette distanze equivalgono all'altezza della "testa". (C. 160 R-a)

"Stando il vjso in facia",la diatanza, direttamente misurata, "dalla giuntura della spalla a la punta della masciella", cioè all’angolo della mandibola, equivale all'altezza di "1 tessta", e, nella flessione laterale di questa, "sse l’una" di tali distanze "cresscie, l’altra altretanto djmjnuisscie", cosicchè la somma totale delle distanze <d’ambo i lati è sempre "2 tesste". (F. 11 r)

La distanza dalla radice del pene alla metà del ginocchio equivale all'altezza di due facce (TP. I c. 167 TP. II c. 293)

Nel "putto" lo spazio da l’un homero della spalla all’altro", cioè la massima larghezza delle spalle, equivale all'altezza di una sola "testa" (P. Ash. f., 28 v; TP. I c. 169; TP. II c. 295).

La stessa larghezza delle spalle e la distanza dalla radice del pene alla metà del ginocchio sono eguali nella prima infanzia alla "lungheza del viso", cioè all'altezza della faccia (TP. I c. 167 etc.)


B Proporzioni con arto superiore

La massima larghezza delle spalle equivale alla distanza dalla sommità, della spalla alla punta del gomito flesso (P. Ash. f. 28 v; TP. I c. 167, 169 etc.) e dalla punta del gomito all'apice del pollice ("chupido") (F. 8 v; idem).

La massima larghezza delle spalle è sei volte lo spessore del braccio addotto, subito sotto l'ascella, veduto di faccia. (F. 6 r)

Lo spazio fra "l’apichatura del braccjo chol petto e ll'apichatura del membro" equivale alla distanza che intercede fra la punta delle dito della mano e il "sopello del bracio", e alla distanza dalla stessa punta delle dita al "mezo del petto" (F. 6 v)

La distanza dalla linea mediana ventrale alla piega del gomito, essendo l'arto superiore disposto orizzontalmente, equivale a quello da detta piega all'apice del dito medio e dallta punta del gomito all'apice del pollice ("chupido"). (F. 7 r)

Lo spazio "dalla tetta al mamolino", cioè dalle papille mammarie all'ombelico, equivale alle distanze fra polso e golnito e fra gomito e ascella (F. 7 r).

La distanza dalla radice del pene alla metà del ginocchio equivale a quelle dallo spalla al gomito flesso e da questo all'apice del pollice (TP. I c. 167 etc).

Lo spazio fra la parte superiore della prima articolazioni sternocostale e la parte inferiore della quarta "è pari alla padella della spalla" (scapola) e verosimilmente al suo diametro trasverso, "ed è simjle alla palma della mano" (A f. 13 r).

Nel "putto" la larghezza massima delle spalle e la distanza dalla radice del pene alla metà del ginocchio equivalgono pure alle distanze dallo spalla a1 gontito e dal gomito all'apice del pollice,come nell’adulto (P. Ash. f. 28 v; TP. I c 167, 169 etc.).


C Proporzioni con arto inferiore.

"La lungheza de l’omo dalla spalla a tterra"equivale a tre volte la distanza dal solco infrapatellare al suolo (F. 6 v).

Il "busto" o tronco, dalla spalla al solco gluteofemorale, misura dorsalmente " 2 piè" ed " 1 piè" nella sua "parte più sottile", cioè nella cintola, cosicchè sul tronco possono venire tracciati due quadrati sovrapposti (F. 4 r)

Lo spazio fra " l’apichatura del braccjo chol petto" e la radice del pene equivale alle distanze dalla spina iliaca anterior superiore al solco infrapatellare e da questo solco alla pianta del piede. (F. 6 v).

La massima larghezza delle spalle e le distanze dall’incisura iugulare dello sterno all’ombelico e dai solchi infrapettorali alla radice del pene, equivalgono alle distanze dall’apice del malleolo laterale; (F. 6 v)

La massima larghezza delle spalle equivale alle distanze dalla radice del pene alla metà del ginocchio e da tale livello all’articolazione del piede. 4TP. I c. 167 etc)

Nell’individuo di faccia la distanza, direttamente misurata, dal "taglio del labro djsotto", cioè dal solco labiomentale, "all’omero della spalla", vale a dire verosimilmente alla convessità laterale del musculo deltoide, equivale alla lunghezza di un piede. (F. 10 r)

Lo spazio delle papille mammarie all’ombelico equivale alla lunghezza del piede. (F. 7 r)

La distanza di profilo dalla massima sporgenza della natica alla radice del pene, è un ottavo della distanza dalla detta sporgenza al suolo, ed equivale allo spazio fra cresta iliaca a solco gluteofemorale. (F. 11 v)

La distanza del "cazo", cioè dalla radice del pene, al suolo equivale alla lunghezza di quattro piedi. (F. 11 v)

La concavità mediale del ginocchio è ad uguale distanza dalla radice del pene e dal suolo. (F. 11 v)
f

VII PROPORZIONI ESTRINSECHE DEGLI ARTI

A Proporzioni tra arto superiore e testa.

"Il b(raccio)", cioè l’intero arto, "piegato è 4 T(este). (F. 10 r)

Dall’apice del dito medio alla sommità della spalla è la lunghezza di "4 manj o 4 teste" (F. 12 r),

L'arto superiore (flesso) misura due teste dalla sommità della spalla oal gomito e due da questo "al nascimento de’ quatro djti su la palma della mano" (F. 10 r, 11 r 12 r) oppure al1'apice del pollice (P. Ash, f. 28 v; TP. I c. 169 etc.).

L’arto superiore misura nelle predette distanze due "lunghezza del viso", cioè due facce (T P. I c. ,167 etc.).

Durante la flessione, braccio et avambraccio misurano ciascuno, tanto a1 lato estensorio che al flessorio, due teste; nella estensione al lato flessorio si ha invece la lunghezza di due teste e mezzo...(?) (F. l0 r).

L’aumento di lunghezza del braccio (a1 lato estensorio) nel passaggio dalla estensione alla flessione dell'avambraccio equivale alla distanza dalla rima orale al di sotto del mento (F. 10 r).

"Quando jl gomito fa angolo recto" la distanza dell’ascella alla piega del gomito e da questa a1 polso sono ciascuna di uno T(esta) (P. Ash. f. 23 v).

Il segmento del braccio interposto fra piega ascellare e restringimento soprastante agli epicondili misura, ad avambraccio esteso, 1'altezza della testa (F. 11 r).

Lo spessore del braccio addotto, veduto di faccia, subito sotto la piega ascellare, entra tre volte nell'altezza della testa (F. 6 r)

Lo spessore del braccio all'altezza del ventre bicipitale e quello della parte alta dell'avambraccio, veduti di profilo con gomito flesso ad angolo retto e palma mediale, equivalgono ciascuno all'altezza di mezza testa (F. 11 r)

La larghezza deI polso equivale ad un terzo dell'altezza della testa (F. 10 r)

Lo spessore del polso è simile allo spazio dal di sotto del mento alla rima orale (F. 10 r)

La "groseza delle 2 djta della ma(no) dj mezo" equivale alla "grandeza della bocha" ed allo spazio dalla radice dei "capelli al vertice" (F. 10 r)

Lo spazio fra le articolazioni metacarpofalangee e prime interfalangee delle tre dita di mezzo della mano distesa, misurato sulla faccia dorsale; quello dalla prima articolazione metacarpofalangea alla radice dell'unghia del pollice esteso, e la quarta partedella lunghezza della mano, equivalgono alla distanza dalla rima orale al disotto del mento, cioè alla quarta parte dell'altezza della faccia (F. 9 r)

La "padella della .spalla", cioè la scapola, corrisponde, verosimilmente nel suo diametro longitudinale, alla "lungheza del viso", cioè all'altezza della faccia (A f. 13 r)

Nella prima infanzia la distanza dalla spalla al gomito flesso e dal gomito all’apice equivale all’altezza di una testa (P. Ash. f. 28 v; TP. I c 169 etc.), oppure di una faccia (TP. I c. 167 etc.)


B Proporzioni tra arto inferiore e testa.

La distanza dalla metà del ginocchio all'articolazione del piede equivale all'altezza di due facce (TP. I c. 167 etc.),

La "grosseza dalla cosscia in facia è ssimile alla magiore largeza della facia del viso, cioè J 2/3 dello .spatio ch' è dal mento alla somjtà dal chapo (F. 11 v).

La larghezza della gamba, veduta di faccia, al di sotto del ginocchio equivale all'altezza di mezza testa (F. 11 v)

La larghezza della gamba, veduta di faccia a livello del polpaccio, equivale a sette dodicesimi dell'altezza della testa (F. 11 v).

Lo. spessore del segmento sopramalleolare della gamba, veduta di faccia, equivale alla lunghezza verticale dell'orecchio e ad uno dei "3 spatj in ch' è divjso il volto" (F. 12 r), o ad un terzo dell'altezza della testa (E. 11 v).

Lo stesso segmento sopramalleolare della gamba, veduto di profilo, equivale alla distanza dalla "choda", o angolo esterno dell'occhio, al "buso", o orifizio dell'orecchio, ed a quella dal "lagrimator", cioè dall'angolo interno dell'occhio, alla radice dei capelli (F. 12 r).

La distanza "infra lli stremj de' polj, dentro e ffori de' piedj, detti tallonj overo nocj" o "burelle de' piedj", cioè fra i due malleoli, equivale allo spazio fra rima orale ed angolo interno dell'occhio (F. 9 r)

La larghezza del piede, veduto di faccia; sotto gli apici dei malleoli, equivale a sei diciassettesimi dell'altezza della testa (F. 11 v).

"Il piè' è ttanto grande quanto tutto il chapo dell'omo", dal di sotto deI mento al vertice (F. 5 r).

Le distanze dall'estremo posteriore del tallone alla base del quinto dito (solco plantodigitale), e dal margine anterioire del malleolo laterale all'apice dell'alluce, equivalgono all'altezza della testa (F. 11 v).

Il piede (scheletro) "dal suo polo", cioè dal malleolo, "alla punta, è ssimile alla lungheza del viso", cioè all’altezza della faccia (A. f. 13 r)

Il "piè dal suo nasscimento cholla ganba", cioè dalla parte anteriore della linea articolare, sino all'apice dell'alluce misura la distanza dal solco labiomentale alla radice dei capelli, cioè cinque sesti dell'altezza della faccia (F. 7 v).

La lunghezza dell'alluce, che equivale alla sesta parte di quella del piede, corrisponde alla distanza dalla rima orale al di sotto del mento (F. 9 v)

La lunghezza del secondo dito del piede dal fondo del primo spazio interdigitale, corrispondente alla quarta parte della distanza dalla metà del malleolo mediale alla punta del piede stesso, equivale alla lunghezza della rima orale (F. 9 r)


C. Proporzioni tra i due arti.

La distanza dall'articolazione della spalla al gomito flesso e da questo all'apice del pollice equivale alla distanza dalla metà del ginocchio all'articolazione del piede (TP.. I c. 167 etc)

Il piede entra tre volte nella distanza dall'apice del dito medio alla sommità della spalla (F. 5 r)

La "padella della spalla", cioè la scapola, e verosimilmente nel suo diametro longitudinale, equivale al piede (scheletro) nella distanza "dal suo polo" (malleolo) "alla punta d’esso piedi" (A f. 13 r).

"Tutto il piè entra dal gomjto alla giuntura della mano e dal gomjto all’apichatura di dentro del bracio diver la polpa", vale a dire che la lunghezza del piede equivale a quella dell'avnnibraccio e del braccio, dal gomito flesso alla piega ascellare (F. 5 r.) lo stesso rapporto esiste anche a gomito esteso (7 r)

Il braccio, "dove si spicha dalla spalla dinanzi", cioè lo spessore del braccio subito sotto l'ascella, veduto di faccia, entra quattro volte nella lunghezza del piede (F. 6 r)

Il segmento sopramalleolare della gamba, veduto di profilo, equivale alla maggior grossezza del braccio (avambraccio esteso), pure di profilo (F. 12 r)

Il segmento sopramalleolare della gamba, veduto di faccia, equivale alla larghezza del polso (F. 9 r, 12 r) ed è un quarto della distanza del polso alla punta del gomito. (F. 12 r)

La larghezza del calcagno al di sotto e a1 di dietro dei malleoli equivale alla larghezza del polso (F. 9 r).

"Il piè è ttanto più lungo che lla mano quanto è" la larghezza del polso. (F. 9 r)

La distanza "dalla punta della noce del piè dj dentro" , cioè dall'apice del malleolo media1e a11'apice dell'alluce, è eguale alla lunghezza dell'intera mano (F. 9 r).

I1 piede è inoltre tanto più lungo della mano, "quanto è dall’apichatura di dentro del picholo djto del piè all’ultimo sportamento del djto grosso", cioè dal quinto solco plantodigitale all'apice dell'alluce,. "tollendo la mjsura per la lunga djrittura del piè", vale a dire misurando longitudinalmente (F 9 r)

La lunghezza della "palma della mano sanza le djta entra due volte in el piè sanza le sua djta". (F. 9 r)

La distanza dalla "giuntura del piè", cioè dalla parte anteriore della linea articolare tra gamba e piede, sino alla "apichatura" delle dita equivale alla distanza che è fra "l’apichatura della mano", cioè il polso e l'apice del pollice (F. 9 r).

"La mano chon i sua 5 djti djrittj e sstretti insieme è larga quanto la magior largeza del piedi, cioè dove si congiungnje cho’ sua djti". (F. 9 r)

La minore larghezza della mano, dal margine ulnare della palma al radiale nel primo spazio interdigitale, corrisponde alla minore larghezza del piede nel tratto interposto fra "lla sua apichatura cholla ganba" e la base delle dita. (F. 9 r)

La lunghezza dell’alluce equivale a quella della prima falange del dito medio della mano. (F. 9 r)

"Nell’alzare del chalchagnjo", cioè nel sollevamento del piede sulle teste dei metatarsali, il "nervo", vale a dire il tendine del tibiale anteriore, e il "ttallone", cioè il malleolo mediale, si accostano "di un djto" (trasverso): riabbasandosi il piede, tendine e malleolo ‘si separano un djto" (Quaderno II, f. 24 r)

CANONE GAURICO 1504
Due generazioni dopo Leon Battista Alberti, si formò di nuovo un umanista di grande cultura artistica, che aveva qualche punto di contato con l’Alberti. Questo umanista fu Pomponio Gaurico di Napoli; nato nel 1482 a Salerno, poeta e professore di filologia all’università di Napoli, interassato anche della teoria della plastica. La sua opera De Sculptura pubblicata per la prima volta a Firenze nel 1504, trovò grande diffusione, tanto per il suo soggetto classico, che per l’elegante sapere che veniva svillupato in lingua dotta.
Notevole, il carattere umanistico del libro, e il manifesto platonismo che specialmente si rivela nella teoria delle proporzioni, con preciso riferimento al tanto citato Timeo, ma anche ad altri scritti di Platone; non si deve dimenticare che Platone già nel Quattrocento faceva parte della leteratura italiana per opera di Marsilio Ficino. Quando il Gaurico tratta l'armonia della massa corporea con espressa allusione alla musica, o tratta la tripartizione del viso (parte della fronte, del naso e della bocca) e la fa coincidere con i tre concetti: del vero, del bello e del buono (sapientia, pulchitudo, bonitas), è evidente la connessione colla speculazione platonica, anche se qualche cosa di simile si anuncia in proposito già nel Medioevo. In ogni caso, per la prima volta questa famosa e famigerata trimurti viene sulla scena della letteratura dell'arte.
(((Sulle proporzioni del fanciullo il Gaurico vuole scrivere un libro particolare, " se sua sorella avrà un bambino come il giovane autore dice igenuamente, simile in questo all'altrettanto precoce L. 13. Alberti)))).

"La faccia stessa consta di tre parti: una dalla sommità della fronte, dove nascono i capelli, fino allo spazio interciliare; la seconda da qui alla punta del naso; l’ultima dalle narici al mento. La prima parte è sede della saggezza, la seconda della bellezza, la terza della bontà. Queste tre parti, moltiplicate come dicono per sé stesse, daranno l’intera statura del corpo umano, cioè le sue nove parti. La prima parte sarà la faccia stessa, la seconda sarà costituita dal petto, la terza andrà dalla sommità dello stomaco all’ombelico, la quarta da questo all’estremità del femore, due saranno comprese nelle cosce fino al ginocchio, e altre due nelle tibie fino alle caviglie, infine vi sarà la parte estrema dalla caviglia alla pianta del piede, ed ancora un’altra parte costituita dal collo che va dalla sommità del petto a quella della gola, mentre l’arco di semicerchio che si svolge dalla cima della fronte alla sommità del cranio costituirà un’altra parte.
Infatti le giunture di queste parti, cioè le caviglie e i ginocchi, come linee di divisione, non si confondono con nessuna di esse. La lunghezza della statura umana risulta dunque come è stato detto di nove parti, benché altri ne abbiano computate otto, altri più raramente (perché è quasi come una dissonanza nella musica) sette, altri infine che non è meno raro dieci.
L’avambraccio poi e il braccio conterranno una parte e mezzo, la mano un’altra parte, benché vi sia chi misura così: esternamente dalla spalla fino al polso, e internamente dalle ascelle fino all’attacco della palma e delle dita, tre faccie, e le dita delle mani una faccia. Comunque ciò non importa, purché l’intera lunghezza delle braccia consista in sette volte la misura della faccia, in modo che tra l’estremità delle mani sia compresa la stessa lunghezza del corpo."

CESARE CESARIANO 1521
La prima traduzione in italiano del libro di Vitruvio fu fatta dall’architetto e pittore Cesare Cesariano, stampato a Como nel 1521.
Vi sono lunghi commenti sul testo vitruviano e 119 illustrazioni, due delle quali ci interessa molto perchè trattano della proporzioni del corpo umano.

GUGLIELMO DELLA PORTA 1546 ?
La vera misura del homo.
La vera misura del homo del ditto e cosi queste ditti di groseza fanno uno palmo et che vole della largheza della palma della mano.
Quatro palmi fano uno piede, sei palmi fanno uno cubito. La longheza di uno homo è vintiquatro palmi e cosi di sei piedi di quatro cubito è de novantasei ditti.
Sotto la ascelle è la metta della sua longheza. Il basso del petine el mezzo del huomo; dal a basso del petine per sin al mezo il petto intra la mamela è la quarta parte, e della insino alla scima della testa è la quarta parte.
Et cosi dal basso del petine per sino sotto al genochio è laltra quarta parte et cosi di la insino alle esstremi ossi facesi la medesima longhezza fa la larghezza della spalla da uno esstremo e a lalto.
La medesima longheza e dal cubito per sino alla ponta del ditto piu longo è cosi la longhezza de uno cupitto et la longhezza delle spalle.
La larghezza della centura è uno piede dela sima del petto alla sima del fronto sotto li capelli è la septima parte dela longhezza del homo.
Et cosi notta se vi sono piu mesure de hominij.
Del corpo robusto è ben quadrato; il piede la sesta parte dela longheza.
Del altro corpo piu longo in piede è la septima parte dela longheza e’l corpo humano non puo pasare sette piede.
Lo diiametro dela per centura la longhezza dela ristretta de la mano per sino alla piaza dentro il cupito.
dal petto insimo al labro disopra da esso petto per sino al bonigolo dala pianta del piede insimo al fin dil la e certo.
La extrimita deli ossi se singono la gola, tutti sono la septima parte de una mesura longhezza.
Il capo del huomo dala sima insino ala extremita dela barba è la ottavo parte, tutta è dal cubito alla fin dele spale del huomo piu longo.
Lo cercbio del capo dela radice deli capeli del fronte insino alle radice delli capellij dreto è la quarta parte de le longhezza altro tanto E la longhezza del petto nove face sono de Uno homo quadrato et compresso.
Dece facce sono la mesura del huomo longo se paetra(?) e’l homo in 9 facce la fattia da la cima de la fronte per sino alle stremo de la barba è de la cima dela gola over delo petto insino ala paerte cima del stomacho in una altra parte.
Da la cima delo stomacho perfino al bonigolo e laltra parte.
Dal bonigolo per sino al femor de baso in un altra parte.
Dala la perfino al genochio dui altre parte.
Dela perfino al nodo del piede dui altre partte le quale sono in tutte .... 8
La parte che resta le fa. dal archo che dela cima dela fronte perfino all’vertice che è la cima dela testa et da quello che resta dal nodo del piede al basso dela pianta questi 3 spattij congiunti fano la 9. parte.

La longhezza del huomo.

Il petto sia 2 partte
e ogni bracio 3 partte 1/2 di modo che in tutto le bracia sieno 7 parte et lo petto 2 che fano 9. La mesura del homo partita in 10 parte et proportionatissima et se mesura come seguisse:
La prima parte dela cima dela testa perseno al baso dala narici.
La seconda dale narici alla cima dil petto. La terza alla cima del stomago. La quarta al bonicolo.
La quinta al extremo del petine dove la mitta [metà] dela longhezza del huomo da la quale perfino alle extremo piante sono li 5 altre parte.
La mano del homo dala testa perfino al extremo del ditta di mezzo è 4 parte dele 10.
Dala una ponta dela mamela a l’altra è pur una parte dele 10.
Et facendo un altro ponto dala ponto de una mamella a un altro ponte al latra ponta de laltra, et un altre ponte nel extremo sotto la gola se fara un tre angulo ci vi laltro cioe che a tutte le parte e quel è nela fronte basa da una orechia a laltra la longhezza un altra parte 10.
Lo petto cima da una iontura a laltra spala altra sono due parte 10; è uno cerchio pigato dal mezo dela ciglia super la fronte perfin al fin del occipite dala parte de dreto dove termino li chapelli e ancora de dou 10.
Lo circulo de tutta la testa pigliando in mezo el fronte e delle tre parte 10. Lo circulo dela centura in un homo robusto a quatro parte 10.
Et un huomo delichato ha parte et mezzo over quanto è dala cima del petto per sino allo extremo del pettino.
Lo circulo 9 del petto pigliato per lo assele et le spale ha 5 partte cioe la mita de tutta la lunghezza del homo levado le bracia in alto lo circulo arriva alla cima dela testa.
Tanto è dal mezzo allo cima del petto quanto è la larghezza del collo.
Tanto è dela cima del petto al bonigolo quanto è lo circulo del colo.
Tanto è dal mezzo alla cima dela testa questo è la larghezza dela centura.
Tanto è dale intercilio allo esstremo delle narice.
Tanto se intende lo mezzo dalla gola questo è dal mezo mento.
Tanto è dal nodo dela gola sino allo esstremo de essa.
La longhezza della concavita dellij ochij dalli intercilij per sino allij cornici di detro.
La prominencia dele naricij e lo spatio che è dale narice allo estremo del labro de sopra, tutte tre queste cose sonno eguali.
La ponta del ongia del ditto indice perfin alla giontura dala parte di fora tanto quanto da essa giotura alla giontura dela mano in la parte dentro dala cima del ditto di mezo perfino alla piu Bassa giontura è tanto quanto da assa [essa] giontura alla restieta dela mano.
Lo piu longo articulo over osso del ditto in diece é tanto quanto la terza del fronte.
Le due altre articulli insieme per insino alla ponta del ongia sono quarto è la longhezza del vaso cioè dali intercelle per fino alla ponta. Lo primo et lo piu longo articulo overo osso del ditto di mezo e tanto quanto dale narice alo esstremo del meto, il secondo articolo del ditto di mezo è tanto quanto dal esstremo del meto alla cima del labro di sotto, il terzzo articulo del ditto di mezo è quanto dala bocca ale narice. Tutta la mano e questo tutta la facia il magior articulo del ditto è tanto quanto.
Ser puo aprire la bocca et quanto dela cima la labro di sotto perfino al esstremo del metto, lo minor articolo del police over ditto groso è tanto quanto dela cima del labro di sotto al basso delle narici de tutto li articulij dele ongie ne la meta dali interciglij allij estremo cornicij alle prime orechie. La longhezza del fronto, la longhezza dalla bocca per lo labro di soppra tutte tre queste cose sono eguali; perchè il corpo dello huomo come la natura la composto che la facia del capo dal mento à lalta fronta cioè insino alle basse radice del capello sia la desima parte di tutte il corpo. similmente la palma delle mane dallo articulo alla estremitta del ditto di mezzo gli sia altro tanto il capo dal mento alla sommita della cima egli e della ottava a lalta cima la quarta parte.
Ma dalla alteza di essa facia la tertia parte dal baso mento alla basa narse il vaso dalle basse narise il fin del mezzo deli sopercilij, altro tanto da qualla fine alle base radici del capello dové la fronte. Ma il piede è la sesta dalla altezza del corpo et il cubitto la quarta parte, similmente il petto la quarta parte. Ancora li altrij membri la hanno le sue commesuatione con le quale hanno usato ancora li mezzi e nobilij staccarij Li quali hano conseguito grande et infineto lo
La largezza dela palma dela mano et dela pianta delo pede è la medesima.
La alteza che è dal pede piu basso de esso passolo perfino al summo del piede et tanto quanto e dal summo del pede perfino al estremo de longha dalla cima del fronto perfine alle intrestutij ochij et de esso al basso dell narice o de essa e estremo del metto sono tre parte eguale.
Le cilia gionte insieme son tanto quanto deli ocbij, le servi dele orece sono tanto quanto la bocha aperta.
Li circhuli deli ochij e de orechie et la bocha aperta sono eguali.
La largezza del naso è quanto la larghezza deli ochij.

PAOLO PINO 1548
"Però s’accosteremo a Vitruvio, il quale vuole che nel compartire l’uomo s’usi per misura la faccia, ch’è porta del tesauro nostro, cioè quella distanza ch’ è dal mento all'istremità della fronte, dove prencipia la radice de’ capegli, benché di quella medesima lunghezza siano le mani, cominciando dalla giontura della rasetta fin al dito medio. Conviene adonquce ch’una figura, a esser di giusta porzione, sia in altezza dieci faccie, non eccedendo l’undecima, a questo modo: prima, dalla sommità del capo sino all’istrema punta dil naso vi sia una faccia; dalla punta del naso sino all’osso forculare, over sommità dil petto, vi è la seconda e dalla sommità del petto al concavo, over bocca del stomaco, vi è la terzia; da indi all’umbelico si distingue la quarta; poi sino ai membri genitali è la quinta. E qui è la metà della forma; dico dall’osso forculare sino alla pianta de’ piedi, no vi ponendo il capo, per ch’il meggio dell’uomo integro è l’umbelico. La coscia, parte della gamba insino alla punta del ginocchio, è distinta in due faccie, e dal ginocchio alla pianta de’ piedi vi sono tratte l’altre tre.
A tal modo la figura si fa in dieci faccie, la qual cosa è stata da me col vivo certificata. E per darvi l’ordine integro, le braccia denno esser tre faccie lunghe, cominciando dalla legatura della spalla e continuando fin alla giontura della mano detta rasetta; e sappiate che la distanzia ch’è dal calcagno alla somità o collo del piede è anco medesimamente dal collo de’ piedi fin all’istremità delle dita; poscia la grossezza dell’uomo, cingcendolo sotto le braccia, è per la metà della lunghezza.
LA, Oh, quanto m’è grato tal ragionamento, e non di poca utilità!
FA. La facci, da noi usata come misura, si divide in tre: un terzo della qual è dalla barba insino sott’il naso, la seconda è dai fori del naso alla equalità delle ciglia, la terza et ultima dalle ciglia sino al fine della fronte. Un’altra sottilità vi dico, che nelle dita della mano vi sono tutte le misure della faccia, una delle quali è dal nodo del meggio sino alla punta del dito indice vi quanto dal mento alla fessura della bocca, e quanto è lunga la bocca et anco quanto sono lunghe l’orecchie; poi dall’altra giontura del dito indice più verso l’ugnia, insino all’istremità del dito, vi è la lunghezza dell’occhio, e tant’è distante in occhio dall’ltro, quant’è lungo un occhio; poi tanto è lontana l’orecchia dal naso, quanto è lungo il dito medio. Cosi tutte le membra e gionture sono conformi e corrispondenti insieme. E sappiate ch’in un corpo umano, che sia integro, vi sono inclusi sei cento e sessanta sei membri, tra vene, nervi, ugnie e nodi."

GIORGIO VASARI 1550
"Costumasi per molti artefici fare la figura di nove teste la quale vien partita in otto teste tutta eccetto la gola, il collo e l’altezza del piede, che con queste torna nove. Perché due sono gli stinchi, due da le ginocchia a’ membri genitali, e tre il torso fino alla fontanella della gola, et una altra da’ 1 mento all’ultimo della fronte, et una ne fanno la gola e quella parte che è da’1 dosso del pie de alla pianta, che sono nove. Le braccia vengono appiccate alle spalle, e da la fontanella a la appiccatura da ogni banda è una testa; et esse braccia fino a la appiccatura delle mani sono tre teste; et allargandosi l’uomo con le braccia apre appunto tanto quanto egli è alto."

GIROLAMO CARDANI 1553

DE SUBTILITATE LIBRI XXI
Corporis perfecti forma humani haec est: totius longitudinis à capilloru ortu ad pollicis digiti pedis extremu, facies pars decima est. Hunc per tria aequalia dividit spacium, quod est à nasi summo ad capillorum originem, e ab illius imo ad mentu,ut nasus sit totius faciei pars tertia,e corporis totius longitudinis trigesima: oris diductio,seu longitudo ipsa,aequalis est oculoru longitudini,quae ab angulo hircqui ad lachrymalem extenditur. Sed hoc spacium aequale est interstitio ocularum,ut trifariam diuisum sit, quod est ab hircquo ad hircquu,scilicet duobus oculis e medio spacio intercepto, hoc totum duplum est nasi logitudini, ut sit oculi longitudo, uel oris diductio dupla nonae parti longitudinis faciei: ob id etiam oculi longitudini, e ori diductio, nasi longitudo sesquialtera est, quae cùm sit tripla spacio, quod est ab imo nasi ad os,erit hoc spacium dimidiu diductionis oris uel longitudinis oculi. Oris ambitus duplus nasi longitudini, e triplus diductioni. Totius igitur faciei longitudo sesquialtera est oris ambitui seu spacio inter hircquos ocularum contento: nam hoc spacium aequale est cum oris ambitu. Nasi ambitus in imo quanta eius longitudo, longitudo uerò nasi aequalis auris est quarta longitudinis oculi. Sic igitur disponantur:

facies-----------------------------------par.18
ab hirco ad hircquum-----------------par.12
nasi longitudo-------------------------par.6
nasi ambitus in imo-------------------par.6
auris longitudo------------------------par.6
à capilloru radice ad nasum---------par.6
nasi imum à mento-------------------par.6
oris longitudo-------------------------par.4
oris ambitus---------------------------par.12
à uertice ad imas ceruices-----------par.24
à summo pectore ad
capilloru summas radices-----------par.30
à summo pectoris seu
furcula ad uerticem------------------par.36
auris ambitus-------------------------par.12
oculorum distantia-------------------par.4
à nasi imo ad os----------------------par.2
ab ore ad mentum--------------------par.4
nasi foramen--------------------------par.1
fronti ambitus summi----------------par.18
palma manus ab articulo ubi
iugitur ad summu medij digit-----par.18
à mento ad uerticem-----------------par.24
pes-------------------------------------par.20
cubitus--------------------------------par.30
pectus---------------------------------par.30
totum corpus-------------------------par.180


Musculi etiam temporum faciei longitudini proportione respondent: e naso aures ut obseruauimus. Ambitus quo calcis quà pes flectifur,aequalis est circuitui surae: unde ocreis mensura. Iten à manus nodo ad summum digit medis pars decima totius longitudini, à mento uerò ad uerticem, uel à uertice ad imas ceruicis partes duplum eius quod est spacij ab hircquo ad hircquum. Nam à capillorum radice ad uerticem quantum est nasi longitudo. À furcula pectoris superiore ad radices capillorum, finem frontis, quantum est cubitus seu latitudo pectoris, id est, totius corporis longitudinis pars sexta. Pedis uerò longitudo, à furcula rursus superiore pectoris ad uerticem pars quinta totius longitudinis, duplum faciei. Sic apud Uitruuium litera debet emendari, cùm constare non possit ratio, ut differentia octauae e decimae partis ad dita sextae, impleat partem quartam totius. Expansis autem manibus, altitudo totius corpori ad unguem impletur: e si pedes ac manus diducas, umbilicus circulus, amb in suo genere figurarum perfectissimae, altera rectilinearum, reliqua obliquarum consurgant. Tam exacta diligentia in mensuris natura utitur, sed nec minus in temperatura acmistione: quamobrem nunc de ea dicere iam tempus est, initio à generatio ipsa sumpto.


LODOVICO DOLCE 1557
"Fab. Mi sarebbe grato, signor Pietro, che qui mi deste qualche regola della misura del corpo umano.
Aret. Farollo volentieri, parendorni gran vergogna che l’uomo ponga tanto studio in misurar la terra, il mare et cieli, e non sappia la misura di sè stesso. Dico adunque che, avendo la prudente natura formata la testa dell’uomo, come rocca principale di tutta questa mirabil fabrica ch’è chiamata picciol mondo, nella più elevata parte del corpo, tutte le parti di esso corpo debbono convenevolmente prender da lei la loro misura. Dividesi la testa, o diciamo faccia in tre parti: l'una dalla sommità della fronte, dove nascono i capegli insino alle ciglia; l’alta dalle ciglia insino alla estremità delle narigie l’ultima dalle narigie insino al mento. La prima è tenuta seggio della sapienza, la seconda della bellezza e la terza della bontà. Dieci adunque teste, secondo alcuni, forniscono il corpo umano; e. secondo altri, nove, et otto, et anco sette. Scrivono autori celebratissimi che e’ non può crescere in lunghezza più che sette piedi; e la misura del piede sono sedici dita. La misura del mezzo della lunghezza si piglia dal membro genitale e il centro del medesimo corpo umano è naturalmente l’ombilico. Onde, ponendosi l’uomo con le braccia distese e tirando linee dall’ombìlico insino alla estremità de’ piedi e delle dita delle mani, fa un cerchio perfetto. Le ciglia giunte insieme formano ambedue i cerchi degli occhi; i semicircoli delle orecchie debbono esser quanto è la bocca aperta; la larghezza del naso sopra la bocca, quanto è lungo un occhio. Il naso si forma dalla lunghezza del labro; e tanto è un occhio lontano dall’altro, quanto è lungo esso occhio e tanto la orecchia dal naso, quanto è lungo il dito di mezzo della mano. Poi la mano vuole esser quanto è il volto; il braccio è due volte e mezzo grosso, cioè dalla parte che finisce ove ha principio la mano; e la coscia è grossa una volta e mezza come il braccio, pigliando di quello la parte più grossa. Dirò la lunghezza più distinta. Dalla sommità del capo insino alla punta del naso si fa una faccia; e da questa punta insino alla sommità del petto, che è l’osso forcolare, si fa la seconda; e dalla sommità del petto insino alla bocca dello stomaco v’ha la terza; da quella insino all’ombilico si contiene la quarta, e insino a’ membri genitali la quinta, che è apunto la metà del corpo, lasciando da parte il capo. D’indi in poi la coscia insino al ginocchio contien due faccie, e dal ginocchio alla pianta de’ piedi contengonvisi le altre tre. Le braccia in lunghezza sono tre faccie, cominciando dal legamento della spalla insino alla giuntura della mano. La distanza ch’è dal calcagno al collo del piede, è dal mdesimo collo insino alle estremità delle dita. E la grossezza dell’uomo, cingendolo sotto le braccia, è giusto la metà della lunghezza."


VENUSTI 1562
Venusti voleva descrivere un canone nuovo , con "alcuni bellissimi secreti, circa la misura, et alla proportione", che gli "furono insegnati dal Sig. Girolano Ficino, intendente anatomista ....", ma il suo testo non è che una rigorosa descrizione dell’Homo vitruvianus di Leonardo, atravverso le parole del Ficino.
Così scrisse: "Dal nascimento de’ capelli infino sotto il mento è la decima parte della lunghezza dell’huomo: Di sotto il mento alla sommità del capo è l’ottava: Dalla sommità del petto alla cima del capo è la sesta: Dalla cima del petto al nascimento de’ capelli è la settima: dallle poppe alla cima del capo è la quarta: La maggior larghezza delle spalle è la quarta: Dal gomito alla punta della mano è la quarta: Dal gomito al principio della spalla è l’ottava: Tutta la mano è la decima: il piede è la settima: Dal piè al ginocchio è la quarta : Dal ginocchio al nascimento del membro virile è la quarta: Il membro virile nasce nel mezzo del corpo humano: Tanta è la lunghezza di ciascuno da’ piedi alla cima del capo, quanta è la distantia dalla sommità de’ più lunghi diti dell’una mano alla cima di quelli dell’altra; tenendosi però le braccia distese: Dal mento al naso, dal naso alle ciglia, dalle ciglia al nascimento de’ capelli, e dall’occhio all’orecchio sono spatij eguali, e grandi quanto è lungo l’orecchio; e ciascuno de’ predette spatij è la terza parte del volto: Il diametro della cintura, la distantia dalla poppa al fianco, dalla piegatura della mano alla piegatura di dentro del braccio, dalle punte delle mammelle all’ombilico, dall’una e l’altra estremità dell’ultime ossa del petto che cingono la gola, dalla cima del petto al nascimento de’ capelli, dal fianco al nascimento del membro virile, è la settima parte della lunghezza dell’huomo; e ciascuna delle predette misure è la metà dello spatio, che è dal mezo della borella del ginocchio al fin del calcagno per tralasciare l’altre moltissime misure e proportioni interiori del corpo humano."
È molto interessante che il Figino, atravverso le parole di Venusti, riscontra il modulo leonardesco di 1/7 dell’altezza totale del corpo per certe altre parti del corpo rappresentato nel disegno della Galleria di Venezia. Anche se Leonardo non le indicò direttamente, esse sono accertabile nel disegno, come ad esempio, il modulo di 1/7 che va dalle " punte delle mammelle all’ombelico", o nel "diametro della cintura".

DANIELLE BARBARO 1564

Danielle Barbaro nel suo splendido commento al terzo libro del De Architettura di Vitruvio, scrisse: " tanta è la forza della proportione, tanta è la necessità, tanta è l'utilità di essa nelle cose, che non può alcuno nè all'orecchie, nè a gli occhi, nè a gli altri sensi recare alcuna dilettatione senza la convenevolezza, e la rispondenza della ragione, la dove tutto quello, che diletta, o piace, non per altro diletta e piace, se non perché tiene proportionate misure, e moderato temperamento." (Barb. , Vitruv., III p. 97)
Nel suo libro (Perspectiva) troviamo un disegno che illustra le divisioni del corpo umano, senza però alcuna descrizione teorica d’esso. Vi è scritto solamente questo: "E modo Vitruvio divide piu largamente il corpo humano. Ma Alberto Durero piu minutamente misura ogni particella, come si vede nei suoi scritti. Hora usando io una via di mezzo, che ci può servire al presente bisogno, piglierò la misura del corpo humano da una parte di esso, con laquale l’huomo da se stesso si può misurare, & è opera meravigliosa di natura, & giudicio dell’arte, Imperò che l’arte piglia per misurare una una quantità mediocre, & conosciuta, accioche si venga per quella in cognitione d’una quantità non conosciuta, & la natura ha posto nel corpo humano quella parte, che hà da esser misura delle altre in luogo, che ella si può applicare quasi ad ogni parte del corpo, & questa è il dito grosso della mano detto pollice, da i latini. col quale l’huomo puo commodamente misurare quase tutto se stesso. Lo essempio & la figura istessa dimostrerà chiaramente quanto ho deto." (Barb. perspect.)

,RAFFAELLO
Lettera al Castiglione p.20
"....e le dico che, per dipingere una bella, mi bisognaria veder più belle, con questa condizione: che Vostra Signoria si trovasse meco a far scelta del meglio. Ma, essendo carestia e di buoni giudici e di belle donne, io mi servo di certa idea che mi viene nella mente. Se questa ha in sé alcuna eccellenza d’arte, io non so; ben m’affattico di averla."

MICHELANGELO
" So ben che quando legge Alberto Durero, gli par cosa molto debole, vedendo coll’animo suo quanto questo suo concetto fosse per essere più bello e più utile in tal facoltà. e a dire il vero Alberto non tratta se non delle misure e varietà dei corpi, che di certa regola dar non si può, formando le figure ritte come pali; quel che più importava, degli atti e gesti umani non ne dice parola."

"E poiché oggimai è d’età grave e matura nè pensa di poter in scritto mostrare al mondo questa sua fantasia, egli con grande amore minutissimamente m’ha ogni cosa aperta; il che anco cominciò a conferire con messer Realdo Colombo, notomista e medico cerusico ecceleentissimo ed amicissimo di Michelagnolo e mio; il quale per tale effetto gli mandò un corpo morto d’un moro, giovane bellissimo e quanto dir si possa dispostissimo, e fu posto in Santa Agata, dove io abitava e ancora abito, come in luogo remoto; sopra il qual corpo Michelagnolo molte cose rare e recondite mi mostrò, forse non mai più intese, le quali io notai tutto, e un giorno spero coll’aiuto di qualche uomo dotto dar fuore a comodità e utile di tutti quelli che alla pittura o scultura voglion dare opera."

SONETO XCIV
Per fido esempio alla mia vocazione
Nel parto mi fu data la bellezza
Che d’ambo l'arti m’è lucerna e specchio;
S’altro si pensa, è falsa opinione.
Questo sol l’occhio porta a quella altezza
Ch’a pingere e scolpir qui m’apparecchio

Se i giudizi temerari e sciocchi
Al senso tiran la beltà, che muove
E porta al cielo ogni inteletto sano,
Dal mortale al divin non vanno gli occhi.
Infermi, e fermi sempre pur là dove
Ascenden senza grazia è pensier vano.

In una lettera a monsignor Aliotti del 1542 Michelangelo scrisse: "si dipinge con il cervello e non con le mani". Il Vasari poi cita le sue parole "bisogna avere le seste negli occhi e non in mano, perché le mani operano e l’occhio giudica".

DANTI 1567
" È ben vero che alcuni antichi e moderni hanno con molta diligenza scritto sopra il ritrarre il corpo umano; ma questo si è veduto manifestamente non poter servire, perchè hanno voluto con il mezzo della misura, determinata circa la quantità, comporre una loro regola: la qual misura del corpo umano non ha luogo che non ha in sé proporzione stabile. Perocché, come dissi nel capitolo della bellezza, la puerizia e l’adolescenza vanno continuamente crescendo in sino alla gioventù in proporzione, e poi, più presto che no, scemando insino alla vecchiezza tal che i membri non hanno fermezza alcuna. (...) E per questa mutazione la misura determinata, circa la quantità, non ha luogo stabile nè preciso, come ella ha di bisogno. Ma è ben vero che, se detta misura potesse essere in una di queste età di tutta perfczzione, si potrebbe dire che a tutte l’età dell’uomo si potesse dare una particolare misura. Ma si vede che nè perfettamente nè appresso in alcuna di quelle si può usare perchè, dato ch’ella desse a tutte le membra una assegnata misura, a ciascuno per sè et insieme al tutto di loro (il che ancora si può negare), dirò che tutti membri principali variano e di lunghezza e di grossezza nel moversi, come apertamente ciascuno per sè può vedere; di maniera che, avendo noi bisogno, quando in una attitudine e quando in un’altra, di adoperare il corpo umano, non può per questa varietà questa cotale misura attuale servirci, come dependente dalla quantità. E di più, come io dissi, si può negare che per alcun membro possa giustamente ricevere misura, perché una cosa che si ha da misurare bisogna che abbia in sé o punto o linea; la qual cosa in niun membro del corpo umano apparisce precisamente, si come è manifesto. Se, verbigrazia, si ha da misurare un braccio, et in esso la mano, e della mano le dita, dove sarà egli in queste parti il preciso termine che possa giustamente ricevere, come si conviene, la punta delle seste? Certamente questo si vede, che più tosto per apposizione che per misura si potrebbe essequire. Talché vedemo apertamente che per questa via non si può condurre un composto di figura ben proporzionato; ma sì bene con la misura intellettuale vedremo di mano in mano questa artifiziosa proporzione del composto dell’uomo potersi misurare perfettamente, come si disse di sopra. All’architettura è stata facil cosa poter dar regole et ordini diversi per lo mezzo della misura, perocché, quanto alle fabriche, ella consiste di punti e di linee, alle quali facilmente si può procedere con la misura; ma alla pittura e scultura, non ricevendo esse precisa misurazione, non si è insin qui data regola alcuna che possa perfettamente intorno a quella operarsi. Ma questo modo di ordine, che io disegno sopra ciò fermare, mostrerà apertamente una misura, per lo mezzo del giudizio, la quale in tutte le membra del corpo proporzionata si ritiaova e questa sarà circa la qualità."

Danti cerca di ridurre l’anticanonismo michelangiolesco (il giudizio dell’occhio che rifiuta le misure fisse) ad una vera regola che parte dalla figura dell’uomo eccelzialmente dotata. Egli condivideva l’opinione della misura intelletuale, non matematica del maestro ma allo stesso tempo ne dà una interpretazione accademica che contradisce l’etetica riviluzipnaria individualista di Michelangelo.
Panofsky p.58 " La stessa epoca che difende così animosamente la libertà artistica contro la tirannia delle regole d’arte fa dell’arte un cosmo razionalmente organizzato, le cui leggi deve imprescindibilmente conoscere anche l’artista più favorito dal genio, come quello che n’è sprovvisto."


CODEX HUYGENS 1569
Un’eccezionale testimonianza dell’interesse per la teoria e la pratica proporzionale attraverso un recupero del lavoro di Leonardo è documentata dai centoventotto fogli del Codice Huygens della Morgan Library di New York, una raccolta di disegni recentemente attribuita al pittore cremasco Carlo Urbino e databile verso il 1569.Il Codice, prima ritenuto addiritura di mano di Leonardo e poi considerato come copia di un suo lavoro perduto, è in realtà una raccolta di disegni che doveva costituire un trattato più ampio e complesso che ha come titulo "Le Regole del Disegno". Era prevvista una suddivisioni in quattordici libri, ma ne rimangono solo cinque che affrontano rispettivamente i seguenti argomenti: I) forma e estruttura del corpo umano; II) teoria dei movimenti umani; II) proiezioni parallele; IV) teoria delle proporzioni; V) prospettiva.
È quindi il IV libro che in maniera specifica si occupa del problema proporzionale, ma indicazioni sono anche date nel I libro per la stretta connessione esistente tra le misure della figura ed il problema del movimento delle membra.

Questo disegno sembra quasi una summa di esperienze di autori precedenti relative all’organizzazione della figura in forme geometriche.

Il disegno del foglio 3 propone una divisione del corpo umano con il canone pseudo-varroniano, completato con le sopraposizioni delle suddivisioni in cubiti vitruviane, molto interessante. Dunque, viene presentata la ripartizione in 7 teste e 1/2 e a quella in 6 piedi e 1/3 la suddivisione in "VIIII. F" (9 facce), come appare segnalato nell’alto del disegno. La nona faccia è la soma del modulo della sommità del capo di 1/4, della golla di 1/3 e del piede di 1/3.

Nonostante la compresenze di diverse tipologie, in realtà nei fogli del Codice prevale nettamente l’utilizzo del sistema proporzionale vitruviano, ossia, le ripartizioni in "facce", "teste", "piedi", "cubiti".

Strettamente legati ai fogli del Codice Huygens sono due disegni con misure proporzionali conservati presso la Church Library di Oxford. Uno di questi due fogli mostra la figura di un uomo disegnato dai tre punti di vista tradizionali, ma in parte sovrapposti tra loro con un procedimento riscontrabile anche nella parte centrale del foglio 33 dello stesso Codice Huygens. Il disegno propone inoltre una divisione effettuata con incisive linee orizzontali che ripartiscono la figura esattamente in otto parti: è chiaramente la suddivisioni vitruviana con il modulo "testa". Nella parte inferiore del foglio, l’autore, con uno schema illustrativo, divide il cubito in 6 parti, il piede in 4 e la testa in 3, in modo che qualsiasi modulo si prenda per la ripartizione il risultato è sempre di 24: "acordando per ciascuna il numero in 24 Parti / Proportione (considerata) da letterai (disegnatori di lettere) et la Più bella".
La stessa divisioni in parti del cubito, piede, testa si nota anche nell’altro foglio di Oxford. In questo caso viene sottolineata una ulteriore frammentazone: "che uene a(e)ssere alta la figura parti 24. et particelle 120". Evidentemente si suppose di suddividire ulteriolmente ciascuna parte in cinque particelle minori. È una minuziosa divisione che rimane però solo a livello di proponimento teorico in quanto il foglio presenta solo le scansione più evidenti.
Questo è uno dei disegni che con più completezza lascia intravedere, associate tra loro, le diverse divisioni vitruviane. Un uomo, con un braccio alzato, è inserito in un quadrato e in due cerchi di differente grandezza aventi come centro i genitali (il più piccolo) e l’ombelico (il più grande). La figura, con tracce delle traiettorie dei possibili movimenti, è suddivisa esattamente, dai piedi alla sommità del capo, in quattro cubiti, in sei piedi, in otto teste e in dieci facce. inuziamente, nella parte inferiore del foglio, ciascuna di queste proporzioni vieni descritta partendo dalla base. Così, ad esempio, il primo "piede", che costituisce 1/6 dell’altezza della figura come nel disegno del Codice Huygens e a differenza di quello di Leonardo, va "dalla pianta del piede sino al mezzo delle osso della stinca" e così via.
Il disegno di Oxford è molto interessante anche perché presenta concretamente la rara suddivisioni in "piedi",cioè in sei parti secondo le indicazioni di Vitruvio. Il modulo pide inoltre è curiosamente utilizzato anche per la misura del braccio che è disegnato a parte, il quale è appunto diviso in due piedi più una faccia per la mano che va a sovrapporsi parzialmente al secondo modulo.

codex huygens:: FORMA E STRUTTURA DELLA FIGURA UMANA
Il primo libro (fogli 1-10 esclusi i fogli 5,6,8) si occupano dei "Lineamenti della forma umana guidati della verità e semplicità del compasso", il quale significa che la forma e struttura del corpo può essere determinato attraverso metodi geometrici.

Foglio 1 (fig. I)
"Prima figura del disegno trovato dall’(uo)mo. Schema linear della figura umana in vista frontale, con gli arti e i principali assi orizontali (attraverso le spalle, la vita, il pelvi) ridotte a linee diritte. L’asse centrale della figura è indicata da una linea perpendicolare al "piano naturale". L’altezza totale della figura è delimitata da un "circolo minore" il quale ha il suo centro nel "mezzo della figura". Il "circolo maggiore" è descritto inttorno all’umbilico e tocca le punte delle dita dei piedi e delle mani quando la figura è con le gambe aperte a 60 gradi e le braccia distese alzate a 30 gradi. Giacché questa regola è data nella descrizioni di Vitruvio dell’Homo bene figuratus" il circolo maggiore sarà d’ora in poi riferito come circolo vitruviano.
Molte delle principali misure interne della figura sono pure prese da Vitruvio, ossia l’altezza totale in 4 cubiti o è piedi o 8 teste o 10 facce.
La faccia è divisa in tre parti uguali, la lunghezza delle braccia in due piedi; la lunghezza della mano uguale a quella della faccia. Le dimensioni trasverse sono: un cubito attraverso le spalle, un cubito attraverso i "galloni" (l’anca), un piede attraverso le "poppe" e un piede per la "cintura".

Addirittura un scopo molto più importante della figura è indicare i punti significanti dove ci sono movimenti nel corpo.
Questi punti sono segnati dalla parola MOTO e sono:
A- collo
B- alla cintura
C- alli varchi et galloni
D- al ginocchio
E- alle cavichie del piede
F- al primo delle dita, overo tacatura del piede
G- alla seconda piegatura
H- alla terza piegatura
I- alle node della spalle
J- al gomito
K- alla chive della mano
La vita è indicata come "parti di moto", il gomito è descritto come "parte di moto del brazzo", e le articolazioni delle dita ssono segnate "m, n, o sono alle nodi delle dita".

Foglio 2
È intitolato "Seconda figura". Lo scheletro umano, è visto in tre posizioni, dorsal, profilo e frontale. L’asse verticalesono incrocciate dalle linee orizzontali cosicchè si possono leggere facilmente le divisioni.
Comunque, questo non è in ordine solamente per farci sapere le misure e numeri originari, sebbene le forme geometriche dopo essere applicate nella attuale figura, ("il primo misuramento et numero, et le forme giumetrici applicate puoi alla vistetura della carne") che sappiamo bene essere "l’ossatura", ma anche in ordine di riconoscere"i veri luoghi e effetti dei movimenti". Dato i "veri termi delle positure" è possibile esprimere i movimenti in termini come angoli retto, acuto, ottuso.

Foglio 3
È intitulato "Terza figura
I tre scheletri rappresentati nel foglio 2, adesso sono rappresentati con la "vestitura della carne", e le principali divisioni della figura sono segnate con delle lettere:
F 123, la testa e faccia
C collo
F fontanella del collo
P petto
C cintura et sopra a’ galoni
V umbelico
O el mezzo et pelignone
K coscia
G ginocchio
S stinco
P piede

Foglio 67 (fig. 34)
Le distanze delle articolazioni dell’omero fino all’orecchio e dai genitali fino alla estremità superiore pelvica e le due metà delle coscie (una della quale è comparata con la mano ) sono segnate "una testa". Dallo stinco al ginocchio?????????

Nel disegno è scritto:
"K.r.p.q.f.d.so ciascun 2. teste
"K.4.f.k.f.c.f.g.4.f.r.g.r.s.p.7.9.c.d.8.b.e. son simili vna Testa
"B. che nella Testa.c.e.t.u.ciascuna entra.4. volte dalla somita del capo a’terra.
"f.c.d.e. Teste. 3. d.n. vn pie.
"a.b.vn pie. r.s.t.u. son simili, e’, ciascuno entra. 3.uolte dalla spalla a terra,
"La poppa la cintura sul fianco languinaglia . . . .il mezzo dil ginochio el talon son simili e, ciascuno entra .4. uolte dalla poppa al talon, tanto e’, da luna magior largheza allaltra de fianchi quato e’ dalla fontanella alla piccatura de capegli che e’ vna Testa e’mezzo.
"Dalle reni o’schena al petto vn pie.
"dalle nate al pettignone vn Pie: dubio."

FOGLI OXFORD
Nella sommità della spalla vi è un punto che con un compasso tracciando mezzi cerchi si trovano l’altezza del braccio e del gomito nel loro moto.
Il cerchio maggiore fu tracciato avendo il raggio dall’ombelico alla pianta dei piedi, invece il cerchio minore ha come centro la metà del peni a differenza degli altri canoni nella radice del peni. Un’altro piccolo cerchio molto minore di quest’ultimo, parzialmente tratteggiato, ha sempre il suo centro nella metà del peni e il raggio nella metà delle ginocchie.
Nel lato sinistro della figura vi è uno tentativo di mettere la figura in un quadrato. Nello spigolo in alto fu tracciato una linea diritta fino alla sommità della spalla che vuole rappresentare un braccio alzato.
Il quadrato non nasce a caso, perchè vuole teneree la misura fissata delle aperture delle gambe in un triangolo equilatero. Dalla intersezione delle linee del triangolo equilatero, il quale ha il centro nella metà del peni, nasce un punto del quale poi è tracciato il quadrato che però non combacciano con le lunghezze della linea diritta che rappresentare un braccio alzato perchè essa è più lunga
I valiri di ogni moduli sono date nello schema sotto della figura, rappresentano che la figura umana è suddivisa in 24 unità o 120 gradi ("punti").
Sotto tale disegno vi è ancora segnato:
"Cubito · parti · VI
piedi · parti · iiii ·
Testa parti · iii ·
Faccia parti · ii · et doi quinti che viene a(e)ssere alta la | figura parti .24. et | particelle 120."

A destra del foglio vi è un braccio destro piegato a 90 gradi, e in questo dalla sommità della spalla (acromion) al gomito, e da questa al POLSO??(nome esatto dell’osso) vi è scritto "piedi". Dall’acromion al muscolo????? vi è scritto "faccia", e sotto il disegno vi sono delle segnalazioni:
Del brazzo si cava tutto | El misuramento
Del corpo | Humano et nel manegio | Vmano

ALTEZZA DELLA FIGURA
i Cubiti .4. il primo dalla pianta del piede sino al ginochio rip(ar)tito in .6. parti sono .24. parti

2 il secondo · dal · ginochio · alla mita dela figura
3 il terzo ariua alli capitinice delle poppe
4 il quarto ariuara et Fenisie el somo del capo
Piedi sei alta la figura et Ripartito in 4 parti sono parti 24.

i il primo dalla pianta del piede sino al mezzo delle osso della | stinca
2 il secondo ariua at termine del moscolo di mezzo dalla cossia | di sopra al ginochio

il Terzo al mezzo dell a figura
4 il quarto alla cintura et fino delle coste vltime
5 il quinto al drito delle spalle
è il sesto et ultimo confina al somo del capo

Teste .8. alta · ripartita in .3. parti sono .24. parti
i la prima dal somo del capo sino al mento
2 la seconda dal mento a capitelli delle poppe
3 la terza di sopra al (cancelato) · alunbelico
4 la quarta alla mita della figura

5 la quinta al fine del moscolo della coscia

6 la sesta al di soto del ginochio
7 la setima al mezzo della ganba al fine del | moscolo della polpa di dentro
8 la otava et ultima alla bassa del piede

Dela fascia sono dieze parti .2. 2/5

1 la prima dal sumo del capo sopra al labro
2 la seconda del labro sino ala ligatura dele spalle
3 la Terza sul dietro della posiatura del core
4 la quarta al mezzo del gallone
5 la quinta ala mita della figura
6 la s(est)a amezo ala conscia
7 la setima di sopra del ginochio
8 la otava al cresimento della polpa di fora uia
9 la nona al diminuir di essa polpa & comin |cia la seconda
10 la Dezima et ultima alla basa del piede

RAFAELLE BORGHINI 1584
"Ma le misure che osservar si deono, fuor che ne’ sopradetti casi, son queste. Primieramente la testa dell’uomo si divide in tre: la prima è dal cominciamento de’ capelli al principio del naso, e questa è chiamata la fronte; la seconda è dall’attacatura del naso alla sua fine, e la terza è dalla punta dal naso alla punta dal mento. Una fronte è dal mezo del naso fra’ due occhi alla tine della lunghezza del ciglio; una fronte dalla fine dal ciglio al principio dell’orrecchio, da un orecchio all’altro piliando tutte l’orecchie una testa. Nella mano ancora sono tutte le misure della faccia, percioché dalla nocca di mezo del dito indice fino alla punta vi è quanto dalla punta del mento al congiungimento insieme delle labra, et altretanto è lunga la bocca e tanto ancora son lunghe l’orecchie et il naso; dall’ultima nocca verso l’ugnia del detto dito fino alla punta vi è la lunghezza dell’occhio, e tanta è la distanza dall’un occhio all’altro. Il dito del mezo della mano è tanto lungo quanto lo spazio che è dall’orecchio al naso; e tanto è dalla punta del naso al principio dell’orecchio, quanto è dalla punta del mento alle ciglia. Le figure la maggior parte degli scultori costuma farle di altezza nove teste, misurando in questa maniera. Due teste fanno gli stinchi, due dalle ginocchia a’ testicoli, tre il torso fino alla fontanella della gola, una dal mento fino all’ultimo della fronte, et una ne fanno la gola insieme con quella parte che è dal dosso del piede alla pianta: che in tutto vengono a fare il numero di nove. Le braccia poi si fanno appicate alle spalle, e dalla fontanella della gola all’appiccatura da ogni banda dee essere una testa, e le braccia hanno ad aver di lunghezza quatro teste, misurando dalla punta della spalla fino al gomito due teste, e la mano sia lunga un testa, e dalla punta dell’orecchia alla fontanella della gola si dee fare una testa, e la gamba nella polpa sia tanto misurandola in faccia, come in profilo."

BERNARDINO CAMPI 1584
Il libro intitulato Parer sopra la pittura, del pittore cremonese Bernardino Campi, pubblicato nel 1584 è un testo in cui prevalgono le osservazioni ed i consigli di tipo tecnico-artigianali.
Alla fine l’autore acenna un canone della proporzione del corpo umano, però senza trattenersi nella teoria d’esso, preferendo usare di un disegno per spiegare ed illustrare le sue idee.
Infatti scrisse: "Io ho parlato sopra il dissegno, hor mi resta ricordarvi che diligentemente osserviate la misura nel far le figure: & il mio parere della misura è questa signata qua dietro..."
Purtroppo egli non si sofferma sull’analise del sistema del suo canone, anche se la stampa inserita nel testo è abbastanza eloquente. Trattasi di ua figura maschile, vista di fronte e di profilo, inserita in un reticolato proporzionale, con una suddivisione che potrebbe essere considerata di 9 facce ed 1/3.
Il modulo faccia è suddiviso in tre parti, secondo il sistema tradizionale, poi viene ripetuto per otto volte acui si aggiunge la nona faccia ottenuta con l’unione del collo (una parte), dal ginocchio (due parti) e il terzo finale è costituito del piede.

ARMENINI 1586
"Ma è da sapere che in tutti ci vuole le sue debite misure, delle quali noi esporremo solamente le maggiori, con lasciar le minute particelle e sottigliezze di linee e quadrati a quelli che fanno le figure di tarsia e le prospettive, come ne tratta Albherto Durero et altri pochi; poiché ci sono pittori alli quali queste paiono superflue a sapersi, forse fondandosi su quello che, sopra di ciò, soleva rispondere l’eccellente Michel Angelo Buonaroti, il quale diceva che bisognava aver li sesti ne gli occhi e non in mano, perché la mano opera e l’occhio giudica, il che è verissimo Ma se (((((((Pern))))) si considera in tante sue opere, si vedrà ch’egli non passò mai i termini delle debite misure, sì come di molti si vede che hanno fatto, con molto biasimo e vergogna loro e delle sue cose, per non ne far conto alcuno. Ma lasciando i licenziosi da parte, le misure saranno queste: che di ogni proporzionata testa, cominciando dal principio della fronte sino alla fine del mento, la sua giusta misura sia lunga per tre nasi giusti, altri la fanno per tre diti grossi della mano, detto police da’ Latini ma mi par bene ancora, per utile e beneficio di quelli che alle volte gli occorrono a fare delle statue di stucco grandi, di dirli più a minuto delle misure della testa. Io ho detto che la lunghezza di essa si fa di tre pollici giusti, così la sfenditura della bocca overo longhezza si fa di uno, similmenle le incassature de gli occhi si fa dun police l’una, misurandole per fin dove confina il naso con la fronte, le quali due parti si divide in tre, delle quali se ne dà una per occhio e, quella di mezzo, si dà allo spazio che è tra l’un occhio e l’altro. Di un pollice ancora si fa lo spazio che è tra l’occhio al principio del giro dell’orrecchio, sì come dal medesimo si fa la lunghezza dell’orecchia, e questo basti intorno a ciò. Ma ora, ritornando alla prima misura del viso, la qual noi dicemo essere una testa, con questa adunque si viene misurando tutta la figura dell’uomo per ogni verso, così di maschio come di femina, dove che alcuni di nove et alcuni di diece teste le formano. Quelli che le misurano col minor numero, tengono questo modo: che, misurata la prima testa nel modo predetto, fanno il torso del corpo per tre di quelle, dico dalla fontanella della gola sino all’ultima parte del corpo, e da questa alle ginocchia ne fanno due et altre due ne danno alli stinchi fino al collo del piede, e dell’ultima pigliano il collo, il dosso del piede e quello ch’avanza dalla fronte alla somità del capo; e di queste tre particelle messe insieme, che sono il numero di nove, e’ per traverso ne fanno una dalla fontanella della gola all’appiccatura delle brazza e di tre ne fanno le brazza fino all’apiccatura della mano, facendo dalla spalla al gomito una testa e due terzi, e dal gomito alla snodatura, che divide il braccio dalla mano, una et un terzo, e le mani insieme ne fanno una, senza il superfluo delle dita, che fanno il medesimo numero di nove. Ma quelli, i quali usano il maggior numero, pigliano la prima misura dalla sommità del capo sino alla punta del naso, e questa è una testa, e di qui alla fontanella della gola ve ne fanno un’altra e con la terza arrivano a quella del petto e la quarta fino all’umbilico e la quinta a i membri genitali, e così di due fanno la coscia fino all’osso superiore del ginocchio e da questo fino alla pianta del piede ve ne fanno tre, che sono dieci; e per il traverso, poi, si tengono alla misura detta di sopra, giungendovi le dita distese, che pure arrivano al numero predetto."

GIAN PAOLO LOMAZZO 1590
La teoria delle proporzioni del corpo umano non è originale nel Lomazzo
Nel Trattato della Pittura, Lomazzo desuma la teoria delle proporzioni totalmente dal Dürer, come aveva anche affermato Panofsky. Si deve all’Ackerman, l’aver precisato i rapporti che intercorrono tra questa teoria del Lomazzo e quella del Dürer, ad esempio la proporzione di 9 teste corrisponde a quella Tipo D nel Dürer, quella di 8 teste al Tipo B, quella di7 teste al Tipo A, ed la proporzione di 10 teste al Tipo E.
Invece nell’Idea del Tempio, come afferma Ciardi, riprende completamente l’Agrippa.

LOMAZZO I SOGNI
Sappi che sì come noi altri la figura di nove facie la construivamo in questo modo, ma di più lungo piede che voi a1tri non faciesti, e fanno, con Michel Agnolo, quei che ci sono, cioè in questo modo: la faccia, dalla cima dil fronte per insino al estremo dil mento è una parte, e dalla fine dilla gola, che è la fontanella, sino alla forcella dil stomaco, è la seconda parte; e da essa forcella, sino al umbelico, è la terza parte; e da ivi, sino al estremo de membri genitali, è la quarta parte; e da li, per sino al genocchio, è la quinta e sesta parte; e dal genocchio sina al collo del piede, la settima et ottava parte; e la nona da tre parti si toglieva, cioè dalla cima dilla testa, detta vertice, alla radice de capelli sopra il fronte; e da quello che resta tra la punta dil mento, insino alla cima dil petto, che come già dissi fontanella si chiama; e dal collo od osso dil piede, ove le due finiscono, fino alla estrema dilla pianta, le quali tre parti la nona et ultima forniscono. Et al traverso, allargando l’uomo le braccia da l’una punta del dito saturnino a l’altro di l’altra mano, e tanto quanto è dal somo dilla testa sino al imo del piede, che la ragione è questa, che dalla fontanella dilla gola sino alla chiava dilla spalla ci è una parte; e dalla chiava, sino alla cava del bombito, un’altra, e da essa cava, sino alla ristretta dilla mano, un’altra parte e mezzo; e dalla ristretta, sino alla estremità dil medio, un’altra parte, che ricolte insieme sono quatro parti e mezzo che, composte con l’altra parte, le nove vengono ad organizzare insieme. La misura, poi, che per un Marte ci pareva bona e che dil ro- busto aveva, ma maravigliosainente proporzionata, era così: ela si cominciava dai dici, dei quali quattro di grossezza fanno un palmo, che vol dir largezza dilla palma dilla mano; e quattro palmi fanno un piede, che così vene a essere sedeci diti, come discrive Vitruvio in uno de dieci suoi libri di architettura; e sei palmi fanno un cubico, e così la longhezza di esso corpo venne ad essere di venti quattro palmi, e così di sei piedi, e de quatro cubiti, e di novanta sei diti, circulo sotto alle asselle è la mità dilla sua longhezza et il basso dil membro è il mezzo suo; da dove, sina al mezzo il petto intra le mamelle, è la quarta parte, e da là sina alla cima della testa, è l’altra quarta parte; e così dal basso dil membro, che altri chiamano pettine, per sin sotto al genocchio, è l’altra quarta parte; e cossì da lì, sino agli estremi osso de piedi; la medema longezza fa la larghezza delle spalle dal suo estremo a l’altro; e la medesima longezza è dal cubito per sin alla punta del dito più lungo; la longezza di un cubito è alle spale: la largezza della centura è uno piede; dalla cima del petto alla cima dil fronte, sotto li capelli, è la settima parte giusta dilla lungezza dilla vera misura; et il diametro dilla centura è quanto la longezza che è dalla restretta dilla mano persino alla piega, o cava, dentro del cubito, e dal petto insino alle labra di sopra, e da esso petto insino al umbelico, e dalla pianta di1 piede insino alla fine dil lacerto. E gli estremi degli ossi che cingono la gola, tutti sono d’una misura, e sono la settima parte dilla misura in longhezza. Il capo di essa, dalla cima insino alla estremità dilla barba, è la ottava parte; e tanto è dal cubito fina alla fine dille spalle; et il cerchio dil capo, dalle radici dei capelli su il fronte persino alle radici degli capegli di dretto, è la quinta parte dilla longezza; et altro tanto è la largezza dil petto. E di simele organizzamento si accompagna la largezza sua e la misura della figura partita in diece parti o vogliamo dir facie è così, restando maravigliosamente proporzionata, come fra voi altri si vede in Raffaello di Urbino nelle tre Dee dal pastore ignude giudicate. La prima parte è dalla cima dilla testa persino al basso dille narici, e la seconda, dalle narici sina alla cima dil petto, e la terza, da ivi sino alla forca dil petto, tra le mamelle; e da essa forca, sina al umbilico, è la quarta parte; e la quinta è da l’umbilico a lo stremo dil pettine; da lì è la metà dilla lungezza, dalla quale, per sino alle estreme piante de piedi, è l’altra mità, in questo modo ripartita: dal pettine alla fine di l’osso dil genocchio, di ove si aliga insieme con quel da basso, sono due parti; e l’altre due da il ginocchio sino al collo dei piedi; e la quinta è da lì sin a quel spaccio che è dal collo del piede in sin al estremo dilla pianta, e quel altro che è dal nascere dil membro alla sua parte di sotto; la mano, pur ancora dalla restretta sino a l’estremo del dito di mezzo, è una parte delle diece; e da l’una punta de la mamella a l’altra, è una parte delle dieci. E facendo un punto dalla punta de l’una e l’altra mamella, et un altro in lo estremo dil petto, sotto alla gola, farà un triangolo da tutti i lati equalì, chiamato equilatero. Nel fronte, a basso, da l’una orecchia a l’altra, è quella largezza una parte dille diece; lo petto, nella cima de l’una giontura dille spalle a l’altra, sono due parti decime; un cerchio pigliato dal mezzo dille ciglie su per la fronte per sina al fine del accipite, che è la parte di detto dove terminano gli capegli, è ancora due patti decime; lo circolo di tutta la testa, pigliando per mezzo il fronte, è de le tre parti decime; lo circulo della cintura di una persona, di questa misura di forma robusta, ha quattro parti delle decime; et una delicata ha tre parti e mezzo: et invero quanto è dalla cima del petto persino allo stremo dil pettine; lo circulo dil petto, pigliato per le asselle e le spalle, ha cinque parti dille diece, che è la mità dilla misura. Levando le braccia in alto, lo cubito arriva alla cima dilla testa; quanto è dal mento alla cima del petto, tanto è la largezza dil collo; quanto è dalla cima dil petto a l’umbelico, tanto è lo circolo dil collo; quanto è dal mento alla cima dilla testa, tanto è la largezza dilla centura; quanto è dalle interciglie allo estremo delle narici, tanto si estende lo mento dilla gola; quanto è dal naso al meno, tanto è dal nodo dilla gola persino a l’estremo di essa; la prominenzia delle narici è la spacio che è dalle narici allo estremo dil labro di sopra; e la longezza della concavità degli occhi, dagli intercigli persino alle cornici di dentro, tutte e tre queste cose sono uguali; la punta dil ogna dil deto indice dilla mano; in la parte dentro dilla cima del dito medio per sino alla più bassa cintura è tanto, quanto da essa giuntura alla restretta dilla mano; lo più longo articulo, overo osso, del dito indice è tanto, quanto l’altezza dil fronte; gli duoi altri articoli insieme per sino alla punta del ogna sono quanto la longezza di naso, cioè da l’intercigli sino alla punta; lo primo e lo più lungo articolo, od osso, del dito medio è tanto, quanto è da le narici allo estremo del mento.
Il secondo articulo di esso dito di mezzo è tanto, quanto è dal estremo del mento alla cima dil labro di sotto; il terzo articolo dil dito di mezzo è quanto è da la bocca alle narici; tutta la mano è quanto la faccia, come è ancora ne la misura nona; il maggior articolo dil pollice è tanto, quanto si puol aprir la bocca, e quanto è dalla cima dil labro di sotto per sino a l’estremo dil mento; lo minor articolo dil pollice è quanto è dalla cima dil labro di sotto al basso dille narici. De tutti gli articoli le ogne occupano la mità; da gli intercigli a l’estreme cornici degli occhi è tanto, quanto da esse cornici al nascer dille orecchie; la altezza dil fronte, la longezza dil naso, la largezza dilla bocca, per lo labro di sopra, tutte queste tre cose sono uguali. La largezza dilla palma dilla mano < e > della pianta del piede è la medesima.
L’alteza che è dal più basso dil osso pazzolo per sin al somo di piede è tanto, quanto è dal somo di piede persin al estremo del ogna; dalla cima dil fronte per sino al intersiti degli occhi, e da esso al basso dille narici, e da esse narici a l’estremo dil mento, sono tutte tre parti uguali. Le ciglie, gionte insieme, sono tanto, quanto è il cerchio degli occhi; gli semicircoli delle orecchie sono tanto, quanto è la bocca aperta; li circoli degli occhi, e de le orecchie, e della bocca aperta sono uguali. La largezza dil naso è quanto la longezza dil occhio; del spaccio che è da l’estremo di un occhio a l’altro, ogni occhio ne fa una parte, e la terza, uguale, è dil naso. Dalla cima dil capo persino agli genocchi, il mezzo di essa longezza è tra la forca dil stomaco e l’umbeligo, restando, dille tre parti, una di sotto; dalla cima dil petto al basso delle narici, il mezzo è il nodo dilla gola; dalla cima dil capo allo estremo dil mento, il mezzo sono gli occhi. Dagli intersiti de li occhi per sino allo estremo dil mento, il mezzo è il basso dille narici; dal basso di le narici a l’estremo dil mento, il mezzo è lo estremo dil labro di sotto; dilla quale misura o distanzia è la terza parte quella che è dal basso dille narici per sino al labro di sopra.


Capitolo VI (Trattato della Pittura pgg.????)
Della proporzione del corpo umano di diece faccie in longhezza e larghezza
Egli è ragione che, seguendo l’ordine de gl’antichi Greci, questo corpo, del quale m’intendo particolarmente trattare le proporzioni et armonie, si faccia simile et a Proporzione d’ogn’altro corpo artificiale, che sia il più bello che si trovi nella natura, nel quale siano comprese tutte le proporzioni et armonie artificiali, tanto maggiori, quanto minori. Il che si vederà in questo capitolo e nei seguenti. E per questa ragione ho voluto porre dinanzi all’altre questa, sì come fondamento loro che in sè con debita ragione le contiene tutte.
Questa figura, adunque, primamente è divisa in diece faccie o parti, l’una delle quali è contenuta ( parlo della sua longhezza ) dalla sommità della testa alla punta del naso; la seconda da qui alla fontanella sopra il petto; la terza da qui alla forcella del petto; la quarta all’umbelico; la quinta si contiene tra l’umbelico et il pettignone, e quivi è il mezzo della longhezza del corpo; e d’indi alla pianta del piede ne vengono ad essere altretante che compiscono poi le diece. Due di queste faccie sono contenute tra il pettignone et il mezzo del ginocchio; e le tre restanti da qui fino alla pianta del piede. E tutte queste .parti sono unisone, distribuite nel modo che di sopra si è detto. Percioché prima quella dalla sommità della testa al naso risuona con lo spazio che è da quivi al mento in proporzione tripla, onde riesce la diapason diapente; et a detto spazio che è fra’l naso e’l mento, quello ch’è dal mento alla fontanella viene a risuonare in proporzione doppia, che fa la diapason; e con questo risuona tutta la testa nella medesima proporzione. Le tre faccie che sono dalla fontanella al pettignone risuonano alle due che sono da qui al ginocchio in proporzione sesquialtera, onde ne risulta la diapente consonanza; ma con la gamba sono unisone, per esser ella nella medesima proporzione con la coscia. Ora la larghezza di questo corpo consiste in altri diece spazij unisoni, cioè allargando le braccia dall’un mezzo dito dell’una mano a quello dell’altra, i quali così si compartono : uno per mano, uno e mezzo per ogni chiave dalla mano alla piegatura del braccio et altretanto dà qui alle clavicole delle spale; uno da qui alla fontanella, talché le mani sono unisone solamente con le clavicole, e quello che è dalle spalle alla piega, e’ contende con quello che è da qui alla chiave. Così ciascuno di questi risuona a ciascuno degl’altri in sesquialtera proporzione, che si chiama diapente. Oltre di ciò uno di questi spazij è tanto quanto è quello che è dall’uno capitello delle mamelle all’altro, et altretanto è da ciascuno di questi alla fontanella, onde vengono a fare un triangolo equilatero. Il circolo del capo, dalle ciglia alla cervice di dietro, è in dupla proporzione con tutta la testa. Il circolo della cintura sino alla profondità di essa, cioè dal dinanzi al di dietro, è in proporzione tripla sesquialtera, e si può anco fare unisono con la longhezza del tronco, overo busto, di tre faccie. Il circolo del corpo sotto l’ascelle con quello spazio che è contenuto fra esse ascelle e la rascetta della mano, è in proporzione bipartiente, et è unisona con ciascuna metà del corpo.
Le misure che sono fra loro uguali et unisone sono queste : prima, quanto e dal mento alla fontanella, tanto è il diametro del collo; quanto è dalla fontanella al umbelico, tanto è il circuito del collo; quanto è dal gozzo, over groppo della gola alla sommità della testa, tanto è il diametro de la cintura, et altro tanto è la longhezza del piede; quanto è dalle ciglia alle narici, tanto è dal mento al groppo della gola; e quanto è dal naso al mento, tanto è dal nodo alla fontanella della concavità de gl’occhi; dalle ciglia al centro di dentro, tanto fa quanto la preeminenza delle narici, cioè il suo sporto, et anco tanto quanto è da queste al labro superiore; percioché tutte queste tre parti sono uguali. Oltre di ciò le parti dell’ugna del indice all’ultima sua giontura e di qui sino al bracciale, sono unisone. E così, ancora, quanto è dal ugna del mezzo sino alla giuntura sua, tanto è sino alla rascetta per di fuori. Il maggior nodo dell’indice fa l’altezza della fronte; e lo spazio tra esso nodo e l’ugna è uguale al naso, cominciando dal disotto del più eminente arco ch’è sopra gli occhi, perché il suo nascimento è in mezzo al fronte et al naso. Il primo e secondo articolo del dito medio è uguale a lo spazio ch’è dal mento al naso: imperoché il primo articolo, cioè quello dove è l'ugna, è tanto com è dal naso alla bocca; e però il secondo nodo col spazio di sopra fa la proporzione sesquialtera, sì come fa lo spazio della bocca al mento, onde ne risulta la diapente consonanza. Il maggior nodo del pollice fa l’apertura della bocca; è quanto è dal mento al disotto del labro inferiore et il nodo minore, è tanto come dal labro di sotto al naso. Imperoché dal nodo maggiore a questo è la proporzione sesquiterzia e la diatesseron consonanzia. Gli ultimi nodi delle dita fanno alla longhezza delle ugne la proporzione dupla e la diapason. Tanto è dal mezzo delle ciglia all’angolo esteriore dell’occhio, quanto è di qui all’orechie; l’altezza della fronte, la longhezza del naso e la larghezza della bocca, cioè il suo giro, sono unisoni; e similmente la larghezza della mano e quella del piede sono un medesimo tra loro, e però la longhezza del piede viene alla sua larghezza a fare la proporzione doppia soprabiparziente e la consonanza diapason e diatesseron. La larghezza del piede alla sua altezza, cioè al collo, fa la proporzione sesquiterzia e la diatesseron, e quella della mano alla sua altezza fa quella del diapason per la dupla proporzione. I semicircoli de gli occhi sono uguali col contorno della bocca, la larghezza del naso è quanto quella de gli occhi, cioè la sua latitudine, e questa è doppia alla sua altezza. Dal naso alle ginochia, il mezzo è l’umbelico; dalla somità delle spalle sino al gomito, e di qui alla chiave della mano è la proporzione d’onde ne risulta la consonanza diatesseron. La larghezza del petto per le spalle è quanto è dal fondo delle orechie alle clavicole e fanno la proporzione doppia sesquialtera. La larghezza di tutto il corpo, con lo spazio che è dalla cima del capo al nodo della gola, fa la proporzione quadrupla, d’onde ne nasce la bisdiapason consonanza; e questo medemo fa la larghezza del corpo per le braccia aperte, con quello ch’è dalla piega dell’un braccio al estremo del mezzo. La larghezza de i fianchi a quella delle coscie è dupla, e fa la diapason. La longhezza ancora della figura fa la medesima proporzione con la larghezza della schena per le ascelle; e parimente de i galoni per le natiche e con i ginochi de le gambe alle piante la tripla sequisterzia; e così è dallo spazio della testa alla forcella. Il diametro della testa per la fronte con la profondità della testa, cioè per gli occhi alla gnucca, è la sesquiottava, onde risulta il tono. La circonferenza della fronte per le tempie, con la sua altezza, è in quadrupla proporzione, onde risulta la diapason. L’altezza della faccia a lo spazio dal mento et al nodo della gola, fa la tripla proporzione, d’onde ne nasce la diapason e diapente.
E così seguendo si ritrovano in esso corpo proporzionatissime tutte le altre proporzioni de membri minuti, con le loro consonanze che lascio, sì per non essere tropo lungo e confundere quello che si è detto, come per venire alla considerazione ancora de le misure d’ogni membro, le quali sono proporzionate ad ugual modo e convengono con i membri del mondo.


Capitolo VII

Della proporzione svelta dei corpo virile di dieci faccie
Questo corpo si divide in longhezza, cioè dal sommo del capo alla pianta de piedi, in trenta spazi uguali, li quali per ora chiamo gradi, e ciascuno di questi si parte in diece spazi uguali, i quali dimando minuti, che vengono ad essere trecento in tutto.
Ora, dalla sommità della testa alla radice de’ capelli vi sono sette minuti, e da qui sino alle palpebre inferiori de gli occhi è un grado et un minuto, sì che la fronte viene ad essere alta otto minuti, perché dalle palpebre inferiori alle ciglia vi sono cinque minuti, cioè mezz’un grado. Da esse palpebre alla sommità del labro superiore è un grado, sì che il naso viene ad essere longo un grado e doi minuti, parlo sino all’alto, al dritto delle ciglia. Dal labro superiore all’estremità del mento vi sono sette minuti; e d’indi alla sommità delle scapule un grado, et un altro sino alla fontanella; altretanto sino alla sommità del petto, e tanto da qui al principio delle mamelle, da le quali medesimamente è un altro grado sino al suo estremo, tal che ne resta che sino a i capitelli vi è se non la metà, cioè cinque minuti. Da l’estremo de le mamelle a i fianchi sono tre gradi, uno sino a l’umbelico, tre minuti sin al sino delle coscie; un grado e sette minuti alla sommità delle coscie; e quivi è il fundo del ventre, dal quale sino al pettine è un grado. Onde vengono ad essere quindeci gradi e cento cinquanta minuti di qui sino alla sommità della testa.
Ora, da questo loco all’estremo de i testicoli, v’è un grado, e da qui all’estremo della gianda tre minuti, e due gradi e mezzo sino al fine del vargo. Dal fine del vargo al principio del ginocchio vi sono due gradi e mezzo; al mezzo dil ginocchio un grado, cioè una trentesima parte, et altre tanto sino al suo fondo. Da qui sino all’estremità della polpa interiore sono tre gradi; e’di qui al collo del piede due gradi e sette minuti; sino alla pianta un grado, tal che dal talone al collo del piede vengono ad essere tre minuti. Dalla fontanella alla chiave della spalla di dentro, allargando le braccia, vi sono due gradi; e due e sette al fine della spalla, restandone uno sino al principio del braccio, cioè alla lesena; dalla parte davanti altretanto e mezzo. Dal fine della spalla alla piega del braccio sono due gradi et otto minuti; alla rascetta quattro e cinque; al principio delle dita, cioè la longhezza della palma della mano. un e sei; di qui all’estremo del mezzo uno e quattro; e così vengono ancora ad essere quindeci gradi e cento cinquanta minuti, i quali computati insieme con quelli dell’altra parte, dalla fontanella all’estremità del mezzo, vengono ad essere altretanti, come quelll della longhezza della figura.
Resta adesso che trattiamo della longhezza, overo diametro di ciascun membro in faccia, perché in profilo sarebbe supeuo, potendosi dall’essempio delle altre proporzioni, per la rata parte pigliare l’ordine. In faccia adunque il diametro della testa al fronte, cioè alla sua sommità, è di tre gradi et altre tanto delle ciglia; tra l’un angolo esteriore dell’occhio e l’altro vi è un grado e sette minuti, della qual misura il terzo tiene il naso. La punta del naso in faccia è due gradi e quattro minuti, la gola sotto il mento è uno et otto, la sommità delle scapule è due gradi; dall’una all'altra lesena davanti sono sei gradi e di dietro sette; sopra le mamelle in faccia sono cinque gradi et in schiena sei. Dall’uno all'altro capitello sono tre gradi e quattro minuti, et altretanto da ciascun di questi alla fontanella, imperò queste tre parti fanno un triangolo equilatero. Sotto le mamelle sono cinque e sette, la cintura quattro, l’umbelico altrotanto et otto minuti, il sino delle coscie cinque, la sommità cinque e quattro, il principio del membro è sei gradi, l’estremità de testicoli sopra una coscia è tre gradi, il fine del vargo due e sei; sopra il ginochio esteriore due gradi, sopra l’interiore uno e nove, al mezzo uno et otto, sotto il primo altrotanto; sotto il secondo uno e ette; la maggior larghezza della polpa è due gradi. Il fondo della polpa interiore è uno e sei, lo stretto della gamba nove minuti, il collo uno e due, la larghezza del piede è uno e mezzo et in longhezza cinque gradi e per sveltezza quattro e quattro e mezzo. La piega del braccio è un grado e due minuti, la rascetta otto minuti, la palma un grado e tre minuti, de quali la quarta parte porta ciascuno di quattro dita, e quindi dal cubito, cioè dalla parte davanti del gombito, sino all’estremità del mezzo viene ad essere la quarta parte di tutto il corpo, che è sette gradi e cinque minuti; e questa proporzione è di maniera bella che, lasciandosi le rigidezze marziali, può servire a molti altri corpi svelti e leggiadri, secondo che occorre.

Capitolo VIII
Della proporzione stravagante di diece teste
Non sarà fuori di proposito, già c’ho deliberato di trattare essattamente questa materia, toccar qui brevemente la bella proporzione d’Alberto Durero del corpo umano di dieci teste; imperoché quantunque (per dir il vero) ella sia, a giudicio d’ogni intendente, troppo svelta e gracile, nientedimeno non deve esser in alcun modo tralasciata per esser cosa di tanto uomo, a cui l’Alemagna nella pittura non ha avuto un altro pari giamai
Questa proporzione, prima in longhezza è, dalla sommità della testa al mento, una di dieci, e dal mento alla sommità della fronte una di undeci. La faccia si può dividere in tre parti uguali come le altre. Dalla cima del capo alla sommità della scapula è una di diecesette; di qui alla fontanella una di tredeci e quattordeci; e da la fontanella all’omero, di sei. Dal sommo del petto è una di vinticinque, e sotto le lasene una di diecesette, a bollini di tredeci, e sotto le mamelle di vintiuno. Alla cintura due di tredeci, all’umbellico una di trenta, al sino delle coscie una di vintiuno, alla sommità delle coscie di otto, al pettine di quatordeci e quindeci, all’estremo della gianda una di tredeci; all’estremo delle nati, ch’è anco l’estremo de’ testicoli, due di undeci et al fondo del vargo una di undeci. Il mezzo tra l’estremità delle nati e la pianta è il mezzo del ginochio. Dalla pianta al fondo del talone è una di trentacinque et al collo del piede di ventisei. Dal mezzo il ginochio, sopra ad esso è una di trenta e sotto di quaranta; al fondo della polpa esteriore di diece, all’interiore di nove. Il braccio, dalla sommità dell’omero alla piega, è due di undeci; all’estremità del medio, tre di undeci; la mano è due di vintiuno. La larghezza del fronte in faccia è una di di quattordeci; la sommità delle tempie di dodeci, le ciglia di tredeci, l’orechie di dodeci; il naso di quindeci, sotto il mento di ventidue. La sommità delle scapule una di venti, gli omeri di dodeci e tredeci. Il sommo del petto è tre di deciotto et una di diecenove; le lesene una di sette, i capitelli di diece; sotto le poppe due de tredici, la cintura due di quindeci, l’umbelico una di tredeci e due di vintisette. lì sino delle coscie una di tredeci e quindeci; la sommità delle coscie una di sei, e dall’una all’altra chiave due di quindeci. La coscia sotto le nati, o testicoli, è una di tredeci; il fine del vargo una di sedeci; sopra il ginochio di venti; il mezzo di ventidue e sotto di ventitre; rn mezzo le polpe di dicinove; il fundo dell’interiore di ventitre, il fundo della gamba, cioè lo stretto, di quarantacinque; il collo del piede, per il talone, di trentacinque, e sotto i taloni di quarantasei. Il piede di ventiuno; il braccio sotto la ditella di ventiotto; sotto la piega di trentaquattro; il largo del braccio, sotto il cubito, di ventiquattro, la rascetta di quarantadue e la palma di ventidue. In profilo alla fronte è una di tredeci, le ciglia una di undeci; il naso e la mascella superiore parimenti di undeci; e per la bocca alla cornice una di tredeci. Il mento e la gola di quatordeci; il collo sotto il mento di ventidue; la sommità de lo scapulario di venti; la fontanella di tredeci; la sommità dell’omero di undeci; il sommo del petto duo di diecesette; la ditella una di otto; il mezzo delle mamelle, cioè i holini, altretanto; sotto ad esse due di diecesette; la cintura una di undeci; l’umbelico altretanto. Il sino delle coscie una di diece; la sommità delle coscie una di diecesette e di dieceotto; il pettine di diecenove; sotto le nati la coscia è una di undeci. Il fine del vargo di dodeci; sopra il ginocchio, di diecesette; il mezzo del ginocchio di diecenove, et il fondo di venti: il mezzo della polpa di trentadue e trentaquattro; il fundo dell’esteriore di diecesette e dell’interiore di diecenove. Il fundo della gamba, cioè lo stretto, di trentadue. Il collo del piede di ventinove; sotto il talone di ventitre; la pianta del piede, cioè la sua longhezza, di sette. Al braccio, l’omero è una di diecesette; sotto la lesena di ventiuno; sopra la piega, di trenta; il largo del braccio, sotto il gomito, di ventiotto; la ristretta di cinquanta e la palma di quarantadue; in schiena, dall’una all’altra ditella, è una di dodeci e tredeci; il fesso delle nati una di undeci et il calcagno di trentasette.

Capitolo IX
Della proporzione del corpo giovine di nove teste
(...) per trattarne esattamente per via di precetti, si ha da sapere: prima, che il corpo gracile giovenile di nove teste è dalla sommità della testa alla estremità del mento la nona parte della sua longhezza; e da qui su per il dritto della faccia una di diece, (parlo sino alla radice de capelli) et ancora una de undeci, sì come ho osservato nel S. Michele di Raffaello et ancora nell’Apolline antico. Ma, facciasi come si voglia, questo spazio si divide in tre spazij uguali, uno al fronte, l’altro al naso e l’altro sino al mento. E ben vero ch’a lo spazio di undici, per cagion di certo ciuffetto di capelli che si rappresenta, il fronte va manco della terza parte; e questa regola fu tenuta, come si vede per le statue, da tutta la greca antichità; e veramente rappresentava un certo che di meglio e di più leggiadro la fronte bassa che alta.
Ma tornando a proposito, dalla sommità del capo a quella de lo scapulario è una di quindeci e sedici, et alla fontanella di sei. Dalla fontanella al sommo del petto è una di vintiotto, alle lesene di quatordeci, a capitelli di dodeci; sotto le mammelle due di diecenove, alla cintura una di sei. Di qui all’umbellco è una di vintisei; al sino delle coscie una di vintidue; alla chiave d’esse una di nove; all’estremo del ventre di otto; al pettine di sette; all’estremità delle nati di sei. Da qui al (((((ftie)))) del vargo una di undeci; dalla pianta del piede al collo suo, una de vintitre, et al talone di trentacinque. Dal fondo del talone a mezzo il ginocchio è una di quattro; e da qui al disopra di esso, cioè alla parte esteriore, una di vinti, et all’interiore di trenta. Di sotto, al fine del esteriore, una di ottanta; all’interiore di quaranta; e sino al fondo della polpa esteriore, una di dieci; et all’interiore di nove. Il braccio, dall’omero al cubito, è due d’undeci; e da qui all’estremo del mezzo, una di quattro; alla rascetta una di diece e si può ancora fare un poco più, perché sempre ne i corpi, e massime ne i graclli, le mani stanno meglio lunghe che corte.
La larghezza, o latitudine che vogliamo dire, di questa figura in faccia è tale: prima per la radice de’ capelli del fronte, che di dietro risponde alla vertice, è una di undeci; per le ciglia altrotanto; per le orecchie diecenove; per il naso di dodeci. Il collo è largo una di dieceotto; la sommità de lo scapulario una di sedeci; la fontanella di sei; dall’una all’altra chiave delle spalle, due di tredeci. Il petto due di nove, le lesene una di sette. Li capelli di nove, la cintura di sette, l’umbelico di dodeci e due de vinticinque, il sino delle coscie una di dodeci e tredici, la sommità di diece e dodeci, dall'una all’altra 1 cioè la chiave, una di quindeci e sedeci; la coscia, sotto le nati, di dodeci, il fine del vargo di quatordeci. Sopra il ginocchio esteriore una di dieceotto; sopra l’interiore di diecenove; il mezzo di vent’uno; sotto l’interiore di venti.
Il mezzo della polpa di diecesette; il fundo della polpa esteriore di diecenove, e dell’interiore di ventuno. Lo stretto della gamba di quarantadue; il collo, per il talone, di trentatre; il piede di diecenove. Il braccio, al fine della spalla per la lesena, è una di ventisei; sopra la piega di trent’uno; sotto il cubito di ventidue; la ristretta di trent’otto; e la palma della rnano di diecenove.
In profilo così si misura; prima, la fronte è una de dodeci; la ciglia di nove; il naso di diece; il mento di ventitre, il collo, sotto il mento, di dieceotto; la sommità della scapula di diecesette; la fontanella di dodeci; la sommità del petto di otto; le lesene di quindeci e sedeci; i capitelli di otto; sotto le mamelle di sedeci e di diecesette; la cintura di dieceotto e diecenove; l’umbelico di dieceotto e venti; il sino delle coscie di dieceotto e diecenove; le chiavi delle coscie di quindeci e sedeci; l’estremo del ventre di otto; il pettine di sedeci e diecesette; la coscia sotto le nati di diece. Il fondo del vargo di undeci sopra il ginocchio esteriore di quindeci; sopra l’interiore due di trent’uno; I1 mezzo, una di dieceotto; sotto l’esteriore di diecenove; e sotto l’interiore di dieciotto. Il mezzo delle polpe di quindeci; il fundo della polpa esteriore di sedeci, e dell’interiore di dieceotto; lo stretto della gamba di ventiotto.
Il monte del piede di ventiquattro; e la longhezza del piede è due de tredeci. Al braccio, l’omero, overo spalla, è una di quindeci; il fine della spalla una di venti; la piega di ventisei; sotto la maggior larghezza del braccio è di venticinque; il braccio di quarant’otto; e la mano, sopra il pollice, una di trent’otto. In schiena, dall’una all’altra lesena, è una di sei; il fesso delle nati una di undeci; et il calcagno, alla pianta, una di trentacinque; e tra le cavicchie, over taloni, una di ottanta.

Capitolo X
Della proporzione del corpo virile di otto teste
La proporzione è tale. Prima la longhezza si divide in due et il suo mezzo è il pettine; e dalla cima del corpo alla fontanella è una di sei; al mento di otto; alla cima del fronte una di dieci; e questa in tre parti uguali si parte che occupano quello che s’è detto nelle altre. Dalla cima della testa alla cintura è una di tre; dalla fontana alle lesene di quattordeci; di là a capitelli una di diece. Dal fianco all’umbelico una di ventinove; al sino delle coscie una di dieceotto; alla sommità delle coscie di venti e dieceotto; al pettine due di tredici; all’estremo delle nati una di dieci e di undeci. Di qui al fine del vargo è una di quindeci; sopra il ginocchio due di tredici; al suo mezzo una di trenta; al disotto altrotanto. Di là al fondo della polpa esteriore una di nove; all’interiore una di quindeci e sedici, al monte del piede di quattro; alla pianta una di vent’uno; e dalla pianta al talone una di ventisette. Il braccio, dalla sommità della spalla alla piega, è una di cinque; e di qui all’estremità del mezzo una di quattro; e la mano è una di diece. La larghezza di questa figura in faccia è tale: la fronte è una di nove, le ciglia una di diece, l’orecchie due di diecesette, il naso una di dodeci, il collo di sedici, la fontanella di sei, dall’una all’altra chiave delle spalle, una di undeci e dodeci; la sommità del petto una di quattro, le lesene di sei, i capitelli di nove, la cintura due di tredici, il sino delle coscie una di sei, la sommità una di dieci et undeci; dall’una all’altra chiave una di quatordeci e quindeci, l’estremità delle nati sopra la coscia una di undeci. Il fine del vargo è una di tredici; sopra il ginochio una di sedeci, il mezzo di dieceotto, il fondo di venti. Il mezzo della polpa è una di quindeci, il suo fine di venti, il fine della gamba di trentaquattro, il collo del piede di ventisette; e la pianta una di sedeci. Il braccio superiore, sotto il fine della spalla, è una di ventiquattro; la piega di ventisei, la maggior larghezza del braccio inferiore di diecenove, la restretta di trenta, e la mano di sedeci. In schiena, per le lesene, è una di cinque; il fesso delle nati una di diece, et il calcagno una di ventiotto. In profilo la fronte è una di diece; le ciglia di otto, il naso di nove, il mento di diece, la gola di sedeci, sotto il groppo di quattordeci, la fontana di dodeci, il petto di sette, le mamelle altrotanto, di sotto una di quatordeci e quindeci, la cintura di sedeci e diecesette, l’umbelico di diecesette e dieceotto, il sino delle coscie di otto, il sommo di sette, il pettine due di quindeci, l’estremità delle nati una di nove, il mezzo della coscia una di diecenove e vinti; sopra il ginochio una di quatordeci, il mezzo di quindeci, di sotto una di sedeci, il mezzo della polpa di tredeci, il fondo di diecesette, sopra il monte del piede una di ventiquattro; e la longhezza del piede una di sei. Il braccio all’omero, nel più largo, è una di tredeci; il fine della spalla una di diecesette, la piega di ventiquattro, la maggior larghezza dell'inferior braccio di ventidue, la giuntura, over bracciale, di quaranta; e la mano di trentaquattro sopra il primo osso del pollice.

Capitolo XI
Della proporzione del corpo virile di sette teste
E però seguiterò a trattare de la proporzione del corpo di sette teste ben quadrato e di membra forti, robuste e rilevate; la quale è prima, in longhezza, dalla sommità della testa alla pianta, sette teste, cioè dal sommo del capo all’estremo del mento; e dal mento alla fontanella è una di diece et undeci, alla sommità del omero due di undeci, all’estremo del mento una di sette, alla cima del fronte una di diece, la quale è divisa in tre spazi uguali: de quall’uno fa il fronte, l’altro il naso et il terzo di sotto fino al mento. Dalla fontanella al sommo del petto è una di trenta; sotto le ascelle una di tredici, a capitelli una di diece e di sotto una di otto; ((((a i lumhl))))), cioè alla cintura, due di undeci. Dalla cintura all’umbelico è una di quaranta; al sino delle coscie di trenta, alla chiave di diece, alla verga di otto, alla gianda di sei, all’estremità delle coscie di diece et undeci. Di qui al vargo è una di dieceotto; dal mezzo del ginochio al di sopra una di vent’uno, et al disotto di quaranta; al fondo della polpa esteriore due di diecenove, et a quella dell’interiore di otto dalla pianta del piede al fondo del talone una di ventiotto et al monte de1 piede di venti. Il braccio, dalla chiave di sopra al disotto dell’ascella, è una di diece; alla piega due di undeci, alla punta del mezzo una di quattro, e la mano è lunga una decima. Il corpo in faccia è largo, over grosso per diametro, per il vertice, una di diece; in profilo una di nove. La radice de capelli, in faccia è una di otto, in profilo di quatordeci e quindeci; il ciglio, in faccia, una di nove; in profilo di sette; il naso, in faccia, è una di diece; in profilo di otto il mento, aver collo, in faccia è una di dodeci; in profilo altrotanto, ma, per il mento, di otto. La fontanella, in faccia, è una di cinque; in profilo, di nove; il sommo del petto, in faccia, tre di diece; in profilo, due di tredeci; le ascelle, in faccia, una di cinque, in profilo, di sei; dall’uno all’altro capitello, in faccia, due di quindeci; in profilo, la grossezza una di sei e, sotto la mamella, una di dodeci e tredeci. La cintura, in faccia, è una di cinque; in profilo, di dodeci e tredeci; il sino delle coscie, (((iii)))) faccia, una di nove e due di diecenove; et in profilo, di sei; la chiave delle coscie, in faccia, una di quattro, ma dall’una all’altra di sei, et in profilo di undeci e dodeci. La verga, in faccia, una di quattro et in profilo, di undeci e dodeci; la coscia, sotto le nati, in faccia, due di diecesette, in profilo, una di sette. Il vargo, in faccia, una di diece; in profilo, di quatordeci e quindeci; sopra il ginocchio, in faccia, una di dodeci; in profilo, di diece. Il mezzo del ginocchio, in faccia, è una di quatordeci; in profilo, di dodeci; e di sotto, in facia, è una di ventisei, et in profilo, una di dodeci. Il largo delle polpe, in faccia, è una di ventidue e ventiquattro et in profilo, di venti e ventuno. Il suo fondo, in faccia, è una di quatordeci, in profilo, di tredeci. Il collo del piede, in faccia, è una de ventidue; in profilo, di dieceotto; la larghezza del piede, in faccia, è una di quindeci et in profilo, di sei, cioè la sua longhezza. Il braccio, al mezzo della spalla, è due di ventiuno; il fondo di dieceotto in faccia et in profilo di tredeci; la piega, in faccia, una di ventiuno, in profilo, di dieceotto; la larghezza del braccio, in faccia, una di sedeci, in profilo di dieceotto; la chiave della mano, in faccia, una de venticinque er in profilo, di trentadue; la larghezza della mano, in faccia, è una di quindeci et in profilo di trenta; la larghezza delle ascelle di dietro è una di quattro, l’altezza del fesso delle nati una di otto; e la larghezza del calcagno una di ventiquattro.


Capitolo XXXV (Idea del Tempio della Pittura pgg.350-53)

Delle misure uguali delle membra del corpo umano e come da quelle nascono le proporzioni e le armonie
Sì come dall’uno tutti i numeri pigliano il principio loro, e dal punto la linea similmente derivar si vede così dalla faccia umana, per conoscersi in lei le affezioni dell’animo, e per essere ella la più principal di tutto il corpo umano (onde anco si lascia discoperta), si pigliano le giuste e proporzionate misure di tutte le rimanenti ,parti del corpo umano.
E prima nella faccia sono tre spazij giusti et equali: il primo comincia nel principio della fronte, dove nascono i capelli e discende sin giù tra le ciglia, al cominciar del naso; il secondo è da qui alla cima del naso; il terzo insino all'estremo del mento. La prima parte del capo, con la prima della faccia, è il seggio della sapienza; la seconda si dona alla bellezza; nella terza parte alberga la eloquenza, secondo l’opinione de gli antichi filosofi. Or passando alle particolar misure del corpo umano, un piede fa la larghezza della sua cintura, sei palmi fanno un cubito e quattro fanno un piede; quatro dita fanno un palmo e tutta la longhezza dell’uomo è di vintiquattro palmi, di piedi sei e di novanta sei dita. Il piede d’un corpo robusto e ben quadrato è la sesta parte del corpo, e de gli altri più alti è la settima, si come dicono Varrone e Gellio. Il corpo umano non può passare l’altezza di sette piedi. La testa dell’uomo, dal mento alla sommità, è l’ottava parte del corpo et altrettanto è dal gombito alle spalle. Dall’umbilico al fin de’ testicoli è ancor l’ottava parte. Nove faccie fanno un uomo quadrato e proporzionato. Perciò che la faccia sino al mento fa una, dal fine della gola, over dal principio del petto, al principio dello stomaco fa un’altra, da indi all’umbelico fa la terza, da qui al fin del pettine fa un’altra, dal pettine al ginocchio fa due e da qui al nodo del piede, due altre. Le quali tutte fanno otto, ma dalla fronte alla sommità della testa e dal mento al petto per la gola e dalla cavicchia del piede alla pianta, tutti questi tre spazij fanno la nona. E perché questa figura tanto è nell’aprire delle braccia, quanto è la longhezza sua, è necessario dichiarare come siano tante parti.
Cominciando adunque da gli omeri, e discendendo per lo gombito infino alla prima giuntura delle dita, e di dietro dalle ascelle fino all’ultima parte della palma dove confinano le dita, sono tre faccie per uno, che fanno sei faccie. Le dita poi de l’una e l’altra mano fanno una faccia, tanto che sono sette. La ottava e nona si comprende due fiate dall’uno omero all’altro, quanto è due faccie. Or perché la maggior grandezza del corpo umano, che supera questa già detta, è quella di diece et è la grandezza più lodata, quindi è che si mette la sua misura in diece faccie. La prima comincia dalla somma altezza del capo e finisce nelle ultime nari; la seconda, da indi fino al principio del petto, la terza fino alla sommità dello stomaco; la quarta cade nel bellico, e la quinta finisce nell’inguinaglia. Le altre cinque parti, poi, dall’anguinaglia terminano sino all'estremo piede.
Si misura ancora questo bellissimo corpo col cubito, il quale è quella grandezza che nasce dal gombito fino al dito di mezzo, et è la quarta parte del corpo umano. Perciò che la prima misura è dalla sommità della testa fino nel mezzo del petto tra le mammelle, la seconda di là termina all’anguinaglia, la terza finisce sotto il ginnocchio, e la quarta all’estremo de i piedi. E così all’apertura delle braccia si comprende la larghezza de gli omeri, i quali non deono ecceder tal misura. La grossezza del perfetto corpo umano sotto le ascelle è due cubiti di circuito; sotto le pupille de le mammelle de gli uomini dee esser tanto distante l’una dall’altra, quanto la composta longhezza del volto, ma nelle donne non si accommoda tal misura. La longhezza d’ambidue quelli spazi, che dalle mammelle si partono, e finiscono alle ascelle, separatamente è quanto la metà della giusta faccia. La larghezza del petto proporzionato è due faccie, ovvero un gombito, secondo alcuni, e tanto sono distanti le mammelle dalla forcella della gola, quanto è da l’una all’altra. E chi tirasse una linea, le altre due linee ascendenti alla forcella della gola causarebbero un triangolo equilatero. I piedi di questa maggior statura non possono passare la settima parte in longhezza. Onde si cava che il diametro della grossezza proporzionata non eccede un piede giusto. Dal braccio destro del gombito alla giuntura della mano e dalla metà del petto infino a gl’argini delle labra superiori e dal medesimo petto discendendo alla concavità del bellico, è la medesima quantità di spazio. E tanto è dalla pianta del piede infino al muscolo della gamba e da questa parte infino alla metà della rota del ginocchio. E tutte queste parti sono una settima del corpo umano. La grossezza della testa, misurata con un filo per la cima della fronte fin dietro alla nuca, dove terminano i capelli, overo cominciando tra le ciglia a confino del naso, per la sommità del capo, trascorrendo fino al principio del collo di dietro, è uguale in tutte due queste misure all’ampiezza del petto tra l’uno omero e l’altro, e verrà sempre ad esser la quinta parte della detta statura umana, per longhezza e larghezza (...).
Or venendo alla longhezza di questo corpo, primieramente levando le braccia in alte, il gombito arriva alla sommità della testa, e per rispetto delle altre misure che sono uguali, quanto è dal mento al principio del petto, tanto e la larghezza del collo; quanto è dal principio del petto all’umbelico, tanto è la circonferenza del collo; quanto è dal mento alla sommità della testa, tanto è la larghezza della cintura. Ma circa la grossezza, cominciando dall’umbelico alla schena, quanto è una faccia, tanto dal mento al nodo della gola, quanto è dal naso al mento, tanto è dal groppo al fine della gola et al nodo, over principio, della gola. La concavità de gli occhi, al cerchio di dentro dall’occhio, tanto fa, quanto la proeminenza del naso e quanto è lo spazio dal primo labro alla punta del naso; e queste tre parti sono uguali. Gli occhi tanto sono distanti l’uno dall’altro, quanto è la larghezza d’un di loro e tanta è anco la larghezza del fondo del naso. Pigliando un compasso e ponendo una punta al naso e con l’altra circuendo le ciglia più lontane, sino all’uno e l’altro fondo dell’orecchia, si trova la larghezza giusta della faccia. Dall’ugna dell’indice all’ultima sua giuntura, e di qui fin dove si lega la mano col braccio, nella parte di fuora et in quella di dentro dall’unga di quel dito di mezzo, fino alla giuntura sua, e d’indi alla mano ristretta, sono proporzioni uguali fra loro. Il maggior nodo dell’indice fa l’altezza della fronte e fino allunga è uguale al naso, lasciando però quel poco spazio dalle ciglia al naso. Il primo e maggior nodo del dito di mezzo è uguale allo spazio che è tra il mento et il naso. Il secondo nodo è tanto quanto è tra la bocca et il mento, et il terzo è tanto quanto è tra il labro di sopra er il naso. Tutta la mano è quanto è tutta la faccia. Il maggior nodo del pollice fa l’apertura della bocca e quanto è dal mento all’ultimo labro, tanto è dal labro di sotto al naso. Le ugne sono la metà di tutti gli ultimi nodi, i quali sono detti onichios. Tanto è dal mezzo delle ciglia a i canti esteriori de gli occhi, quanto è da quelli alle orecchie. L’altezza della fronte, la longhezza del naso e larghezza della bocca sono uguali. Similmente la larghezza della mano e quella del piede sono il medesimo, l’altezza che è da i calcagni al collo è uguale alla longhezza del piede. Dal collo alla pianta del piede è tanto quanto è la larghezza della gamba, dalla sommità della fronte al mezzo degli occhi e da quelli al fin del naso e dal naso al mento, le parti sono uguali. Le ciglia de gli occhi giunti fanno tutto l’occhio, et i semicircoli delle orecchie fanno la bocca aperta; onde i circoli de gli occhi e delle orecchie e della bocca aperta sono uguali. La distanza dall’un occhio all’altro è divisa in tre parti, le due dalle parti sono de gli occhi e del naso, e quella di mezo occupa la parte di mezzo del naso. Tra’l mezzo del capo alle ginochia di sotto, il mezzo è l’umbelico. Dal principio del petto al naso, il mezzo è il groppo della gola. Dalla sommità della testa al mento, il mezzo sono gli occhi. Dal naso al mento, il mezzo è il labro di sotto, e la terza parte di questa distanza è dal naso al labro di sopra, la grossezza delle gambe, coscie, braccia, dita e gombito, così ne1la parte di sotto, come nella parte di sopra, e così nella coscia, come nella gamba, tanto dee essere, quanto è la larghezza e profondità delle istesse membra.
Sono, oltre di questo, tutte le misure consonanti tra loro, per molte proporzioni e concenti armonici, percioché il dito grosso, il qual è detto pollice, al braccio nel fin del pesce, appresso il polso, e la giuntura della mano in misura circolare, è in proporzione doppia sesquialtera, contenendo quella due volte e mezza, come cinque a due. Da quello alla congiunzione co’l braccio nel pesce, vicino alle spalle, triplicata la grandezza della gamba col braccio, ha proporzione sesquialtera, come del tre al due. E la medesima proporzione è di tutto il collo alla gamba. La proporzione della coscia al braccio è tre volte. La proporzione di tutto il corpo al tronco, ove] petto, è sesquiotava. Dal petto alle gambe fino alle piante, è sesquiterzia.
Dal petto, cominciando dal collo fino all'umbelico overo lumbi, over al ventre, fino alla fine del tronco, o petto, è doppia. La larghezza de i fianchi alla larghezza delle coscie è sesquialtera. Dal capo al collo è tre volte, e dal capo al ginocchio, triplicato; la longhezza della fronte, tra le tempie, è quattro volte alla sua altezza. Queste sono le misure che si ritrovano da luogo a luogo, con le quali le membra del corpo umano, secondo la lor altezza, longhezza, larghezza e circonferenza, convengono tra loro. Le quali sono tutte partite per molte proporzioni parzienti, o miste, da cui viene una grande armonia.

COMANINI 1591
"La prima faccia sarà dalla radice e dal nascimento de’ capelli fino all’estremità del mento; la seconda dalla fontanella della gola al fine delle mammelle e del petto; la terza dal petto al bellico; la quarta dal bel1ico al nascere deIla vega; la quinta dalla medesima verga a mezzo la coscia; la sesta dal mezzo di detta coscia al ginocchio, lasciando di detto ginocchio una mezza faccia; la settima dall'estremità del ginocchio a mezzo lo stinco; l’ottava dal mezzo dello stinco insino alla fiocca del piede; la nona risulta di tutta l’altezza del piede, aggiuntovi la mezza faccia del ginocchio; la decima et ultima dal nascimento de’ capelli infino al cocuzzolo, congiungendovi tutto quello spazio che dal mento si stende alla fontanella del petto. Questa è la più bella e più elegante proporzione di tutte."

SETTALA 1609
MISURE DEL CORPO DI NOVE FACCIE
Et quanto alla prima deesi sapere ritrovarsi nella faccia di giusta,e naturale proportione nel modo di sopra dichiarato,tre spatj fra loro eguali.
Il primo é dal confine de capelli al principio del naso, tolto da sovraciglie; l’altro del nasocompreso lo spatio de sovraciglie;il terzo dal naso fino all’estremità del mento.
(...) questi tre spatj dunque, over misure della faccia, come più sovente si prendono, dimostrono con una sicura e ben considerata regola contenere la perfetta, e assoluta grandezza di tutto il corpo nove volte la faccia.
La prima è la stessa faccia. La seconda lo spatio della golla all’estremità del petto,donde nasce la cartilagine detta da Latini ensiformis. La terza da quì all’umbilico. La quarta dall’umbilico passando l’inguinaglia fino al principio delle coscie . La quinta e la sesta sino al ginocchio. La settima e l’ottava sino alla caviglia de piedi. La nona si forma di tre diversi parti,le quali come quelle,che nella faccia havemo dette, fra loro convengono di misura.
La prima è l’arco estendendosi dal confine tra la fronte,e i capelli sino alla cima del capo. La seconda è la gola,la quale sotto la faccia si estende dall’estremità del mento alla forcella del petto. La terza dalla caviglia fino alla pianta de piedi.

HUOMO QUADRATO Sì LUNGO COME LARGO.E MISURE DELLA LARGHEZZA.

Mirate dunque come spesse volte e communemente nella maggior parte de mortali ocorre,principalmente in coloro,che hanno le membra raccolte, e ben fatte ad essere, per così dire,di figura quadrata. La quale nel vero come perfetta, e eguale in tutte le parti si vede haverla la gran madre Natura nella prima creatione dell’huomo egualmente sì lungo, come largo,posto nell’inguinaglia il centro. Percciòche quelle nove parti, nelle quali la universale lunghezza del corpo si divide, si ritrovono parimente nelle distese braccia, compreso il petto. Il che come si scorga scoprirò quanto più brevemente potrò.
Se misuraremo adunque le braccia dalle spalle, alla prima giuntura de i deti, di fuori per il gomito, overo di dentro dall’ascelle, al confino trà la palma e i deti, trovaremo con giusta ragione tre volte la misura della faccia; lo spatio de i deti dell’una e l’altra mano, una volta; onde trà tutte due braccia. E le mani haveremo la lunghezza di sette faccie, e di due la larghezza del corpo dall’una all’altra spalla;onde colle braccia distese ritrovaremo giustamente spatio, che dalla cima del capo, alla pianta de piedi formò la Natura.

MISURA DELL'HUOMO DI DIECE VOLTE LA MISURA DELLA FACCIA

Descriviamo adunque l’huomo di quest’altra misura. Torremo la prima delle diece dalla sommità del capo sino all’estremità delle narici; la seconda dalle narici al principio del petto; la terza per retta linea da quì all’ultimo del petto, dove si dice la forcella più bassa; la quarta sino all’umbilico; la quinta discende all’inguinaglia, dove trà le coscie e le gambe in giusti spatij compartite.

VICENZO SCAMOZZI 1615
" L' altezza della nuca del capo fino alle radici de’ capelli è vn ditopolice, ouero la terza parte della faccia; ma come parte escrementosa non si comprende in cotal altezza.

Dal principio de' capelli fino al mento Parte I.
Dal mento alla fontanella della gola Parte I/2.
Dalla fontanella alle zinne, o mammelle Parte I.
Dalle mammelle all'umbilico Parte I
Dall'umbilico al pettignone Parte I.

E questo viene ad esser la metà dell’altezza del corpo stando ritte in piedi .

Dal pettignone fìno à mezo delle coscie Parte I.
Dalle coscie à mezo alle ginocchia Parte I .
Dalle ginocchia à mezo i ventricoli delle gambe Parte I.
Da’ ventricoli al collo del piede Parte I
E da qui fino alla pianta del piede Parte I/2

Che in tutto vengono ad esser IX parti, overo XXVII dita polici.

Poi la larghezza del medesimo corpo stando con le braccia aperte, si comparte così:
Da mezo alla fontanella della gola
fino alla punta della spalla Parte I
Dalla spalla fino al gomito del braccio Parte I.1/4
Dal ombicofino al nodo della mano altra Parte I 1/4
E dal nodo fino all’estremo della mano sinistra Parte I
Che fono Parti IX. ouero XXVII. dita po1lici, come si è detto"

FRAMMENTI DI PLATONE

(plat I) "...la misura infatti e la simmetria risultano dovunque bellezza e virtù.", (Plat. Phil., 64 E).
(PLAT II) "mancanza di armonia di misure è deformità ovunque sia",(Plat. Sof., 228 A).

(plat III) "tutto ciò che è buono è bello, e il bello non è privo di simmetria", (Plat. Tim., 87 C).

(plat IV) "Cominciò poi a dividere così: prima tolse dal tutto una parte, dopo di questa ne tolse una doppia di essa, e poi una terza ch'era una volta e mezzo la seconda e tre volte la prima, una quarta, doppia della seconda, una quinta, tripla della terza, una sesta, ottupla della prima, una settima, ventisette volte maggiore della prima."(Plat. Tim. 35b)

(plat V) " Risulta che fin da tempi antichissimi fu conosciuto da loro il discorso che noi ora stiamo dicendo, che cioè i giovini nello stato debbono familiarizzarsi con le belle figure e le belle melodie. Essi le definorono, mostrarono nei templi quali sono e come sono. Oltre a questo non era lecito nè a pittori nè ad altri che rappresentassero figure e facessero altre simili opere d'arte, compierne di diverse e nemmeno pensare altre da quelle della patria tradizione e per tutto il complesso dell'arte musicale. Là tu potrai scoprire, osservando, pitture e sculture antiche di diecimilla anni, non per modo di dire, ma realmente diecimilla anni, e sono nè peggiori di quelle che ora state elaborate, prodotte con la stessa arte". (Plat. Legge II 656d, 656e, 657a)

(plat VI) "...quelli intorno a cose stabile e certa e che risplende all'intelletto, devono essre stabili e fermi e, per quanto si può, inconfutabili e immobili, e niente di tutto questo deve mancare. Quelli poi intorno a cosa, che raffigura quel modello ed è a sua immagine, devono essere verossimili e in proporzione di quegli altri: perché ciò che è l'essenza alla generazione, è la verità alla fede."(Plat. Tim. 29b)
(icastica riproduce esatt. il vero non ciò che appare reale)

(plat VII) " Questa si trova specialmente quando uno realizza una imitazione rapresentando il suo modello in modo da mantenerne le esatte proporzini in lunghezza, larghezza e profondità, e, oltre a ciò, fornisce anche i colori che convengono a ciascun particolare. Ma come? Forse che non cercano di fare ciò tutti coloro che imitano qualcosa?
Direi che non lo facciano almeno tutti quelli che pretendono modellare o dipingere qualche cosa di grande. Se riproducessero la reale proporzione di queste cose belle, sai che le parti superiori ci apparirebbero troppo picolle e le parti inferiori troppo grandi, poiché vediamo le une da vicino e le altre da lontano." (Plat. Protag. 356c)

FRAMMENTI SUL CANONI DI POLICLETO
(canon I) (Plut. de profectib. in virt. 17) "Ma coloro che aprono la strada....nessuna delle cose accadute accolgono a caso, ma spingono innanzi ed applicano ognuna di esse. E proprio di questo crediamo che parli Policleto, quando dice che " è difficilissima la esecuzione di quelle opere nelle quali l'argilla sia tirata alla perfezione assoluta"

(canon II) (Philo mechan. synt. IV, 1, p.49, 20) , leggiamo: "...Così che la sentenza detta dallo scultore Policleto dovrebbe essere famigliare a chi esita: disse infatti che l'ottimo è costituito nella scala più piccola, di molti numeri. "

(canon III)(Plut. Moralia I, 91) " Perché, in ogni opera la bellezza si realizza per mezzo della simmetria ed armonia, ad esempio attraverso molti numeri che convengono nel punto giusto, mentre il brutto ha una immediata e improvvisa origine da un difetto casuale o da un eccesso casuale;...."

(canon IV) (Vitruv. De Archit. III, 1, 65) "Infatti la natura ha composto il corpo umano in tal modo che il viso, dal mento all'alto della fronte ed alle più basse radici dei capelli, fosse la decima parte (del corpo); parimente la mano stesa dalla giuntura alla punta del ditto medio, altrettanto; il capo dal mento al vertice più alto, l'ottava parte; insieme col collo, dalla sommità del petto all'attacatura inferiore dei capelli, la sesta parte, (dalla metà del petto) al vertice sommo la quarta parte. La terza parte del viso, considerata in altezza, è dal mento alla base delle narici; un'altra terza parte è costituita dal naso stesso, considerato dalla base delle narici al punto di incrocio delle sopracciglia. E l'altra terza parte va di lì alla radice dei capelli. Il sesto dell'altezza del corpo è costituito dal piede, il quarto dal cubito, e un altro quarto dal petto. Le quote di misura proporzionale le hanno anche altre parti del corpo, e per mezzo di esse gli antichi pittori e scultori ottennero immense lodi. Le membra dei templi, devono avere, con metodo simile, una perfetta corrispondenza e concordanza di misure nelle singole parti con tutta la somma dell grandezza intera. Ugualmente è naturale che il centro del corpo sia l'ombelico; poiché se un individuo si collocasse supino con mani e piede aperti, e si facesse centro l'ombelico con un compasso delineando una circunferenza, le dita delle mani e dei piedi sarebbero tangenti a quella. E come si trova nel corpo lo schema della circunferenza, così si troverà in esso quello del quadrato. Infatti, misurando dal piano dove poggiano i piedi alla cima del capo, e riportando la stessa misura alle mani aperte, si troverà la stessa lunghezza, come avviene nel quadrato squadrato. Dunque, se la natura ha composto in tal modo il corpo dell'uomo, che le membra singolae corrispondono in proporzione alla intera somma figurata, sembra allora che gli antichi abbiano con buone ragioni fissato che nell'opera compiuta e perfeta deve esistere una esatta corripondenza delle singole membra con la visione intera dell'opera...E fecero di più (gli antichi); i calcoli delle misure che in ogni opera pare siano necessari, li hano raccolti dalle membra del corpo, per esempio, il dito, il palmo, il piede, il cubito, e li hanno distribuiti in un numero perfetto che i Greci chiamano-------. Gli antichi hanno stabilito che il numero perfetto sia il dieci, perché è stato trovato dal numero delle dita della mano.

(canon V) Galen. de plac. Hipp. et Plat. 5, 3 (162) " (Crisippo) invece ritiene che la belezza non consista nella simmetria degli elementi ma in quella delle parti, del dito in relazione col dito, e di tutti insieme in relazione al metacarpo e al carpo, e di questi rispetto all'avambraccio, e dell'avambraccio rispetto al braccio; e di tutti essi rispetto al tutto, secondo quanto appunto è scritto nel Canone di Policleto. Infatti egli, avendo istruito tutti noi in quello scritto sulla simmetria del corpo rinsaldò il ragionamento con l'opera, avendo creata una statua secondo i dettami del ragionamento, ed avendo poi chiamata la stessa natura, come appunto lo scritto, Canone."

(canon VI)(Plut. Quaest. Conv. II, 3, 2) " Ed infatti le arti plasmano prima di tutto cose senza modello e senza forma, poi infine articolano ogni cosa secondo l'aspetto esteriore. Così Policleto ha detto che era difficillissima la lavorazione, qualora l'argilla giunga all''unghia"

(canon VII)Galen. de temperam. I, 9, p.566 (Kuhn) " E vien lodata una statua, chiamata Canone di Policleto, la quale ha questo nome dal fatto di avere una perfetta simmetria di tutte le membra fra di loro"

(canon VIII)(Lucian. de morte Peregr. 9) " Questa infatti è l'immagine e il lavoro della natura, il Canone di Policleto."

(canon IX)(I) (Plin. nat. hist. 34, 35) Policleto "stesso < fece > anche il Doriforo, virivelmente fanciullo (viriliter puerum ). Fece anche quello che gli artisti chiamano Canone, poiché da esso traggono, como da una legge, le linee dell'arte. Si ritiene che solo lui, fra gli uomini, abbia creato l'arte stessa con un'opera d'arte."

FRAMMENTI DI ARISTOTELE
(Arist I) "Le più alte forme del bello sono l'ordine e la simmetria e il definito, e queste cose sono messe sommamente in rilievo dalle scienze matematiche.", (Arist. Met., XII, 3, 1078a36)

(Arist II) "Il vigore invero resiede nei tendini e nelle ossa; la bellezza invece sembra essere una certa simmetria delle membra;", (Arist. Top, III, 1, 116b21)

AULIO GELLIO ERCOLE
" Plutarco, nella sua opera su Ercole, in cui descrive quanto grande egli fosse tra gli uomini per doti d'animo e di corpo e per valore, riporta con quale abile e sottile ragionamento il filosofo Pitagora fosse riuscito a determinare e individuare la superiorità di Ercole nella statura. Poiché era generalmente ammesso che Ercole si fosse servito dei propri piedi per misurare lo stadio che si trova a Pisa, presso il tempio di Giove Olimpio, e ne avesse determinata la lunghezza in seicento piedi, e che gli altri stadi della Grecia costruiti da altrisuccessivamente misurassero pure seicento piedi, ma fossero tuttavia un poco più corti, Pitagora agevolmente determinò che la lunghezza del piede di Ercole era maggiorre a rispetto a quella degli altri uomini di quanto lo stadio olimpico era più lungo degli altri stadi. Determinata la dimensione del piede di Ercole, calcolò quale altezza del corpo dovesse corrispondere a tale dimensione, in base alla naturale proporzione fra tutte le membra del corpo, giungendo alla logica conclusiva che Ercole dovesse essere, quanto al corpo, più alto degli altri di quanto lo stadio olimpico superava gli altri costruiti con lo stesso numero di piedi."

AULIO GELLIO

" Inoltre egli dice (Varro) che la massima crescita del corpo umano è di sette piedi. E penso che si debba ritenere tale notizia più vera di quella che Erodoto, raccontatore di favole, narra nel I libro delle Storie; esser stato rinvenuto sotto terra il corpo di Oreste, alto sette cubiti, cioè a dire dodice piedi e un quarto; a meno che, come ritiene Omero, i corpi degli antichi viventi fossero più larghi e alti di oggi.

PLINIO---------- ZEUSI
" (Zeusi) .....dovendo fare un quadro per gli Agrigentini da dedicare pubblicamente a spese pubbliche nel tempio di Giunone Lacinia, volle prima esaminare le loro fanciulle nude, quindi ne scelse cinque come modelle affinché la pittura rendesse ciò che c'era di più bello in ciascuna di loro." (Plin. Hist. nat. XXXV, 64)



LEON BATTISTA ALBERTI De Statua I
"E che lo Statuario potesse fare tante ecellenti e maravigliose opere, a caso piuttosto, che mediante una ferma regola, e guida certa, cavata e tratta dalla ragione? Io mi risolvo a questo, che di qualsivoglia arte, o disciplina, si cavino dalla natura certi principij, e perfezioni, e regole; "
LEON BATTISTA ALBERTI De Statua II
"Delle quali cose è nostra intenzione di trattare,cioè in che modo, con qual regola ferma, certa, e vera, si possino imitare e ritrarre delle atittudini. Le quali regole, come io dissi, son due, la misura ( dimensio) cioè, ed il porre de'termini ( finitio). Trattaremo adunque primieramente della misura, la quale certamente non è altro che una stabile e fermo e certo avvertimento e notamento, per il quale si conosce e mette in numeri e misure, l'abitudine, proporzione e corrispondenza, che hanno infra loro tutte le parti del corpo l'una con l'altra, così per altezza come per grossezza, e quella che esse hanno ancora con tutta la lunghezza di esso corpo."
LEON BATTISTA ALBERTI De Statua III
"Ma sia nondimeo qualsivoglia la lunghezza di tal regolo, noi la divideremo in sei parti uguali, e dette parti chiameremo piedi, e dal nome de'piedi chiameremo questo regolo il modine del piede. Rivideremo poi di nuovo ciascuno di questi piedi in dieci parti uguali, le quali parti piccole noi le chiameremo once.Sarà adunque tutta la lunghezza di questo modine sessanta di queste once. Di nuovo rivideremo ciascuna di queste once in altre dieci parti uguali, le quali parti minori, io chiamo minuti. Da queste divisioni ci averrà che tutto il modine sarà di sei piedi, e questi piedi saranno seicento minuti, e ciascuno piede solo sarà cento minuti."
LEON BATTISTA ALBERTI De Statua IV
"Il porre de'termini è quel determinamento o stabelimento che si fa del tirare tutte le linee, e dello svolgere, del fermare gli angoli, gli sfondi, i rilievi, collocandogli tutti con vera e certa regola a' luoghi loro. (...) Infra la misura ....e il porre de' termini, ci è questa differenza, che la misura va dietro, e ci dà e piglia certe cose più comuni ed universali, le quali sono più fermamente e con più stabilità insite nella natura ne' corpi, come sono le lunghezze, e grossezze, e le larghezze delle membra: e il porre de' termini ci dà le momentanee varietà delle membra causate dalle nuove attitudini, e movimenti delle parti, e ce ti insegna porre e collocare."

LEON BATISTA ALBERTI De Statua V
"E perchè la cosa sia mediante gli esempi più manifesta, ...ho preso questa fatica, di descrivere cioè le misure principeli che sono nell'uomo.E non le particolari solo di questo o di quell'altro uomo; ma per quanto mi è stato possibile, voglio porre quella esatta bellezza, concessa in dono dalla natura, e quasi, con certe determinate porzione donata a molti corpi, e voglio metterla ancora in scritto, imitando colui che avendo a fare apresso a' Crotoniati la statua della Dea, andò scegliendo da diverse Vergini, e più di tutte l'altre belle, le più eccelenti, e più rare, e più onorate parti di bellezze che egli in quelle giovine vedesse, e le messe poi nella sua statua. In questo medesimo modo io scelti molti corpi, tenuti da coloro che più sanno, belissimi, e da tutti ho cavate le loro misure e proporzioni;delle quali avendo poi insieme fatto comparazione, e lasciati da parte gli eccessi degli estremi, se alcuni ve ne fossero che superassino, o fossero superati dagli altri, ho prese da diversi corpi e modelli, quelle mediocrità, che mi son parse le più lodate. Misurate adunque le lunghezze, e le larghezze, e le grossezze principali e più notabili, le ho trovate che sono così fatte. Conciossiachè le lunghezze delle membra sono queste:"

LEON BATTISTA ALBERTI VI De re aedif. 93v p.446

"Definiremo la bellezza come l'armonia tra tutte le membra, nell'unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare se non in peggio".

L.B.ALBERTI De Statua VII
ALTEZZE DEL PAVIMENTO PIEDI GRADI MINUTi

La maggiore altezza sino al colo del piedi è........ _____ 3 ____

La altezza di fuori del tallone...................... _____ 2 2

La altezza di dentro del tallone....................... _____ 3 1

La altezza sino al ritiramento sotto la polpa..... _____ 8 5

La altezza sino al ritiramento
sotto il rilievo dell'osso, che è sotto
il ginocchio dal lato di dentro..... 1 4 3

La altezza sino al musculo ch'è
nel ginocchio dal lato di fuora................. 1 7 0

La altezza sino a' granelli ed alle natiche...... . 2 6 9

La altezza sino all'osso sotto il quale
sta appiccata la natura............................. 3 0 0

La altezza sino alla appicatura della coscia...... 3 1 1

La altezza sino al bellico........................ 3 6 0

La altezza sino alla cintura...................... .. 3 7 9

La altezza sino alle poppe, e
forcella dello stomaco...... 4 3 5

La alteza sino alla fontanella della gola............. 5 0 0

La altezza sino al nodo del collo...................... 5 1 0

La altezza sino al mento................... ..... 5 2 0

La altezza sino all'orecchio................................ 5 5 0


La altezza sino al principio
de' capelli in fronte.......................... .......... 5 9 0

La altezza sino al dito di
mezzo della mano spenzoloni................... ..... 2 3 0

La altezza sino alla congiuntura di
detta mano pendente....................... 3 0 0

La altezza sino alla congiuntura
del gomito pendente.......................... . 3 8 5

La altezza sino all'angolo
più alto della spalla......................... ............... 5 1 8


LE LARGHEZZE CHE SI MISURANO DALLA DESTRA ALLA SINISTRA

La maggior larghezza del piede........................ 0 4 2

La maggior larghezza del calcagno................... 0 2 3

La maggior larghezza infra sporti de' talloni...... 0 2 4

Il ritiramento, o ristrignimento sopra i talloni....... 0 1 5

Il ritiramento del mezzo della
gamba sotto il musculo...... 0 2 5

La maggior grossezza al musculo della gamba..... 0 3 5

Il ritiramento sotto la grossezza
dell'osso al ginocchio........ ..... 0 3 5

La maggior larghezza
dell'osso del ginocchio........................ ... 0 4 0

Il ritiramento della coscia
sopra il ginocchio.............................. 0 3 5

La maggior larghezza al
mezzo della coscia...................... ......... 0 5 5

La maggior larghezza fra i mucoli
dell'appiccatura della coscia............. ....... 1 1 1

La maggior larghezza fra amendui i fianchi
sopra l'appiccatura della coscia............... .... ____ _____ _____

La maggior larghezza nel petto
fra l'appiccatura delle braccia.......................... 1 1 5

La maggior larghezza fra le spalle................ .. 1 5 0

La largheza del collo........................................ _____ _____ _____

La larghezza fra le guance.................................. 0 4 8

La larghezza della palma della mano................ _____ _____ _____

Le largheze del braccio, e le grossezze sono mediante i loro moti diversi, pur comunemente son queste:

La larghezza del braccio
nell'appiccatura della mano.............................. 0 2 3

La largheza del bracio
dal musculo, e gomito........................................ 0 3 2

La larghezza del braccio
di sopra sotto la spalla......................................... 0 4 0


LE GROSSEZE CHE SONO DALLE PARTI DINANZI A QUELLE DI DIETRO

La lunghezza che è dal
dito grosso al calcagno......................................... 1 0 0

La grosseza che è, dal collo del piede
all'angolo del cal cagno........................................... 0 4 3

Il ritiramento sotto il collo del piede.......................... 0 3 0

Il ritiramento sotto il musculo
a mezzo della gamba............................................... 0 3 6

Dove il musculo della gamba
esce più in fuori......................................................... 0 4 0

Dove esce più in fuori
la padella del ginocchio............................................. 0 4 0

La maggior grosseza nella coscia................................ 0 6 0

Dalla natura allo sporto delle mele.............................. 0 7 5

Dal bellico alle reni....................................................... 0 7 0

Dove noi cinghiamo...................................................... 0 6 6

Dalle poppe agli sporti delle reni..................................... 0 7 5

Dal gorgozzule al nodo del collo............................... 0 4 0

Dalla fronte al di dietro del capo................................... 0 6 4

Dalla fronte al buco dell'orecchio....................... _____ _____ _____

La grossezza del braccio
all'appiccatura della mano..........................................._____ ______ _____

La grosezza del braccio
al musculo sotto il gomito........................... _____ _____ _____

La grossezza dal musculo
sotto l'appiccatura del braccio ................................. _____ _____ _____

La maggior grossezza della mano.......................... ______ _____ _____

La grossezza delle spalle ........................................... 0 3 4









BIBLIOGRAFIA

CENNINO CENNINI, Il libro dell'Arte o Trattato della Pittura, a cura di Fernando Tempesti, Milano,1987,pp.45,73 sgg.

FRANCESCO DI GIORGIO MARTINI, Arquitettura,Ingegneria e Arti Militare,prima del 1486, e Arquitettura Civile e Militare,dopo il 1493 in Trattati di Arquitettura Ingegneria e Arti Militare, a cura di C. Maltese, Milano,1967,voll.I,II.
Per il canone dopo il 1486,I,pp.68,90,91; e per il canone dopo il 1493,II,p.403.

GIORGIO VASARI, Le vite de' più eccelenti Architetti Pittori et Scultori italiani,da Cimabue insino a' tempi nostri,Firenze,1550, a cura di Luciano Bellosi,Aldo Rossi, Einaudi,Torino,1986; pp.44,45

ANTONIO AVERLINO detto FILARETE, Trattato di Architettura,1451-64 ca a cura di Anna Maria Finoli e Liliana Grassi,Milano,1972,pp.19-21.

GIOVAN BATTISTA ARMENINI, De' veri precetti della Pittura,Ravenna,1586, a cura di Marina Gorreri, Einaudi,Torino,1988; pp.114-116.

DANIELE BARBARO,La pratica della perspettiva...Opera molto utile a Pittori,a Scultori e ad Architetti,Venezia1568,p.180.

POMPONIO GAURICO,De Sculptura,Firenze,1504,in Scritti d'arte del cinquecento, a cura di Paola Barocchi,voll.III, pp.1732-35, Torino,1971-77.

RAFFAELE BORGHINI, Il riposo,Firenze,1584, in Paola Barocchi,1971- 77,pp.1839-41.

Cfr.LEONARDO DA VINCI,The literary works of Leonardo da Vinci,Compiled and edited from the original manuscripts by Jean Paul Richter in two volumes,terza edizione,New York,Phaidon(bath,pitman Press),1970,vollI,pp.243-70 e voll.II,pp.85-93;Giuseppe Favaro,Il canone diLeonardo sulle proporzioni del corpo umano,in <<Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze,Lettere e Arti>>,1917-18,pp.167-227,tomo LXXVII.

PAOLO PINO,Dialogo di Pittura,Venezia,1548,in Paola Barocchi,1971-77,pp.1757-58.

GREGORIO COMANINI,Il Figino,overo del fine Pittura, in Paola Barocchi,1971-77,pp.

LODOVICO DOLCE,Dialogo della Pittura intitulato l'Aretino,Venezia,1557, in Paola Barocchi,1971-77.

VINCENZO SCAMOZZI,L'idea della Architettura universale,Venezia,1615, I parte,p.38.

Cfr.CODEX HUYGENS, Erwin Panofsky,The Codex Huygens and Leonardo da Vinci's art theory ,The Pierpont Morgan Library.Codex M.A.1139,London,1940.

MICHELE SAVONAROLA,Speculum Phisiognomie,Venezia,1442,Libreria Marciana,Cod.Lat.,VI,156(2672),ff.41r-112v.

LORENZO GHIBERTI,I commentari,1447ca, a cura di Ottavio Morisani, Napoli,1947

LODOVICO SETTALA,De nei,Venezia,1609,pp.48-50.

Cfr,LEON BATTISTA ALBERTI,De Statua,1442-52, tr.it.Della Pittura e della Statua,Milano,1804,pp.101-136.

BIBLIOGRAFIA GENERALE

Erwin Panofsky,Die Entwicklung der Proportionslebre als Abbild der Stilentwicklung, in <<Monatshefte fur kunstwissenschaft>>,1921,pp.188-219,tr.it. la storia della teoria delle proporzioni del corpo umano come riflesso della storia degli stili,in Il significato nelle arti visive,Torino,1982,pp.59-106.

GIACOMO BERRA,La storia dei canoni proporzionali del corpo umano e gli sviluppi in area lombarda alla fine del cinquecento, in<<Raccolta Vinciana>>,1994.
INTRODUZIONE


Il concetto di proporzione è un concetto matematico, che ha assunto grande importanza nelle arti visive, fornendo loro un complesso di norme corrispondenti a quelle metriche della poesia e della musica. La ricerca di equilibrio, di unità, d'ordine , l'esigenza stessa di fissare l'arte in una normativa tecnica, in un linguaggio intelligibile, hanno portato gli artisti a basarsi largamente sulle forme geometriche, sui loro rapporti proporzionali, sia in modo intuitivo, sia in modo consapevole anche sul piano teorico.
Con il Rinascimento italiano rinasce la cultura classica, facendo sì che tutta quella tradizione sull'interpretazione cosmologica della teoria delle proporzioni (già corrente nell'epoca ellenistica e nel medioevo), venisse fusa con la nozione classica di << simmetria >> come principio fondamentale della perfezione estetica.
Lo spirito metafisico e razionale, neoplatonico e aristotelico auitò l'interpretazione delle teorie proporzionali sia dal punto di vista della cosmologia armonistica che da quello dell'estetica normativa, e con ciò, sembrò possibile ricollegare la tradizione medievale tardoellenistico, con quella policletea dell'ordine classico.
Lo studio dei testi classici come ad esempio, il Timeo di Platone, De Architectura libri decem di Vitruvio, Gli Elementi di Euclide, furono e sono fondamentali per questo tipo di ricerca.
Il corpo umano e le sue proporzioni furono così lodate come un concretarsi visivo dell'armonia musicale contenuta nell'universo ( la parola greca Kosmos = Ordine ), specchiando così il macrocosmo.

CONTENUTO


Attraverso le differenti proposte e variazioni dei diversi canoni elaborati durante un'arco di tempo che va dal Cennini , 1437ca, allo Scamozzi, 1615, sarà possibile evidenziare come la teoria delle proporzioni del corpo umano ( canone ), ha assunto sia la funzione di strumento tecnico valido da utillizzare nelle botteghe degli artisti, sia quella di indagine puramente conoscitiva al fine di potere giungere ad un risultato convincente dal punto di vista teorico e pratico. Userò nella tabella comparativa il canone che più soffre modificazioni nei suoi moduli di sottodivisione, identificato come canone proporzionale Pseudo-varroniano, o più raramente , Italo-bizantino. Il canone pseudo-varroniano sostituisce la ripartizione regolare della figura del sistema vitruviano per il fatto che la figura, pur essendo suddivisa in base ad un modulo prestabilito, presenta dei sottomoduli che individuano alcune specifiche parti del corpo e che vengono sommati tra loro per raggiungere l'unità del modulo nel conteggio globale. Il modulo-base ancora utilizzato è la faccia ( dal mento alla radice dei capelli ), chiamata molte volte impropriamente << testa >>, la quale solitamente suddivide il corpo in nove parti, tenendo però conto che otto di questi sono moduli interi, mentre il nono deriva dalla somma dei sottomoduli che si riferiscono a settori specifici del corpo alla parte al di sopra della radice dei capelli, al collo, al ginocchio e al piede. Queste quattro parti definite dai sottomoduli sono quelle che appunto subiscono maggiormente le variazioni e le deformazioni che impone il corpo umano nei vari atteggiamenti e movimenti.
Rispetto al sistema vitruviano permane identica anche nel canone pseudo-varroniano la larghezza delle spalle individuata in due moduli, e anche la suddivisione regolare della faccia in tre parti uguale, dalla radice dei capelli al principio del naso, da esso alla punta del naso e da essa al mento.
Nella tabella comparativa ci sarà il canone di Leonardo da Vinci ( disegno Gallerie dell'Accademia a Venezia ), l'unico che non fa parte della tradizione pseudo-varroniana. Questo canone molto più vicino alla tradizione vitruviana, per la sua importanza storica, bellezza, precizione, e quantità di dati proporzionali, ci permetterà una diretta comparazione con gli altri esaltandone le differenze. L'analisi comparativa delle variazioni sottomodulari nei canoni, ci fa capire lo svilluppo dei canoni in questo particolare periodo della storia e le differenti soluzioni di proporzione proposte dai teorici rinascimentali.



CONCLUSIONE


A questo alto concetto della teoria delle proporzioni, tuttavia non sempre ci fu una verifica empirica di esse. Nonostante ciò, possiamo apprendere dei dati stabili e sicuri attraverso la tradizione, i quali sono: la tripartizione della faccia, la misura della mano equivalente ad una faccia, il posizionamento della radice del pene nel mezzo del corpo umano, che la misura dell'altezza dell'uomo è uguale alla sua larghezza da un indice della mano all'altro, considerandolo con le braccia aperte e la bipartizione della larghezza tra le spalle.
Tanto nella tradizione pseuda-varroniana quanto in quella vitruviana di otto teste, la figura viene ripartita in tre parti uguali (a seconda del modulo-base) dalla radice dell'organo genitale fino alla fosseta iugulare (pseudo-varroniano) anzicché al mento ( vitruviano ). Per gli arti inferiori è più difficile trovare un'analogia fra i due canoni ma, possiamo paragonare i due moduli, che stanno dalla radice del pene alle ginocchia, solamente se consideriamo la metà delle ginocchia come punto fisso.
Il problema delle lunghezze delle braccia non è mai stato risolto sufficientemente bene, anche perché un metodo scientifico di misurazione non fu aplicato. Molte volte le braccia furono misurate aperte,e non in posizione di adduzione distese lungo il corpo, (partendo dall'acromion al gomito,e da quest'ultimo all'articolazione del polso, e da qui fino al dito indice della mano), a volte partendo dalle ascelle o altre dando le misure senza però precisarle nei relativi membri.
Grande è l'importanza della definizione dei moduli-base in testa o faccia, giustamente perché l'altezza della figura modificherà considerevolmente.

INDICE
I CANONI PROPORZIONALI DEL CORPO UMANO NEL RINASCIMENTO ITALIANO
Introduzione
I. L'ANTICHITË
I.1. Canone di Policleto
I.2. Canone di Vitruvio
I.3. La polemica di Platone
II. IL MEDIOEVO
II.1.Il mondo bizantino
II.2. Agostino
II.3 Villard De Honnecourt
II.4. Ristoro d'Arezzo
III. RINASCIMENTO
III.1.Le caratteristiche ed i problemi del canone di Vitruvio
III.2.Canone Pseudo-Varroniano
III.3.Disegno di Mario Taccola
III.4.Canone di Cennino Cennini
III.5.Canone di Leon Battista Alberti
III.6. Canone di Michele Savonarola
III.7. Canone di Lorenzo Ghiberti
III.8. Canone di Antonio Averlino detto il Filarete
III.9. Canone di Bonaccorso Ghiberti
III.10. Canone di Francesco di Giorgio Martini prima del 1486
III.11. Canone di Leonardo da Vinci
III.12. Canone di Francesco di Giorgio Martini dopo il 1493
III.13. Canone di Pomponio Gaurico
III.14. Canone di Cesare Cesariano
III.15. Canone di Guglielmo Della Porta
III.16. Canone di Paolo Pino
III.17. Canone di Giorgio Vasari
III.18. Canone di Girolano Cardano
III.19. Canone di Lodovico Dolce
III.20. Canone di Antonio Maria Vesnuti
III.21. Canone di Daniele Barbaro
III.22. Michelangelo
III.23. Disegni della Piermont Morgan Library di New York
III.24. Disegni della Christ Church di Oxford
III.25. Canone di Rafaelle Borghini
III.26. Canone di Bernardino Campi
III.27. Canone di Gian Battista Armenini
III.28. Canone di Gian Paolo Lomazzo
III.28.1. Gli sogni e ragionamenti...
III.28.2. Trattato della Pittura
III.28.3. Idea del Tempio della Pittura
III.29. Canone di Gregorio Comanini
III.30. Canone di Gio Paolo Galucci
III.31. Canone di Enea Salmeggia detto il Talpino
III.32. Canone di Lodovico Settala
III.33. Canone di Vincenzo Scamozzi
IV. Conclusione
V. Appendice
V.1. Canone di Enrico Cornelio Agrippa 1533
V.2. Tabella schemmatica dei canoni
V3. Tabella anatomica e comparativa dei canoni




 

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