breve cronistoria dell'epistemologia

Ciò che i filosofi dicono della realtà è così deludente come il cartello "Qui si stira" che vediamo nella vetrina di un rigattiere. Se vi portiamo il nostro vestito per farlo stirare, restiamo delusi, perché ciò che si vende dal rigattiere non è la stiratura bensì il cartello.
Soeren Kierkegaard, Aut Aut, in Opere, vol. I, a c. di C. Fabro, Casale Monferrato, Piemme, 1995


evoluzione: dalla scimmia all'homo computerizzato

Questo quadro sinottico è volutamente incompleto in quanto ha il solo scopo di fornire un breve riassunto cronologico a complemento di quanto esposto negli articoli precedenti (si veda La filosofia dei greci e elementi di epistemologia). I filosofi e le scuole di pensiero qui ricordate, sono quindi essenzialmente limitate alle riflessioni sul problema della conoscenza (la storia della scienza non è inserita in questo contesto). Alcune di queste riflessioni oggi possono sembrare banali, dato che sono entrate a far parte del patrimonio culturale di qualsiasi persona istruita del nostro tempo; tuttavia, questa è una conseguenza dell'impostazione scelta. Infatti, non si è accennato alla vita dei singoli pensatori - pur riconoscendone l'importanza - la quale avrebbe permesso di avere un'idea della libertà di pensiero del filosofo. Per esempio, è opinione diffusa che se Newton avesse incontrato le "difficoltà" di Galilei non avrebbe pubblicato le sue opere, o almeno queste non avrebbero avuto la forma ed i contenuti che conosciamo. Anche la storia del pensiero religioso è stata trascurata, sebbene rivesta notevole importanza in quanto ha indubbiamente orientato o condizionato l'evoluzione del pensiero scientifico. Si noterà infatti come le idee della conoscenza non si avvicendino perfezionandosi, bensì si sviluppino intrecciandosi con argomentazioni precedenti a volte prima respinte.


Guglielmo di Ockham (1280-1347), soprannominato Doctor Invincibilis. Nei rapporti tra fede e religione, giunse ad affermare la contraddizione tra fede e ragione: la Trinità, l'Incarnazione, l'Eucarestia, la Creazione, ecc., sono assurdi di fronte alla ragione, ma verità di fronte alla fede. In tal modo Occam rifiuta la Scolastica (sec. IX-XIV) poiché il motivo della sua esistenza era appunto la coincidenza tra la fede e la ragione.

Niccolò Copernico (1473-1543) nega il sistema tolemaico sostenendo il principio di semplicità della natura (il sistema di epicicli è complesso) e della relatività della conoscenza, in base al quale afferma che nulla vale la testimonianza dei sensi a favore del sistema geocentrico perché il moto del Sole è solo apparente, come è apparente il moto della terraferma rispetto al viaggiatore che sta sopra una nave.

Giordano Bruno (1548-1600), la sua esistenza terminò drammaticamente: fu messo al rogo all'alba del 17 febbraio del 1600 a Roma, nella piazza di Campo de' Fiori.
Nel Febbraio 2000, il cardinale Angelo Sodano, a nome del papa Giovanni Paolo II, inviò al preside della Facoltà Teologica di Napoli, don Bruno Forte (che aveva organizzato un convegno sul tema: "Giordano Bruno: oltre il mito e le opposte passioni), una lettera i cui due brani più significativi sono i seguenti: "... costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo rammarico". Tuttavia, "questo triste episodio della storia cristiana moderna" non consente la riabilitazione dell'opera del filosofo nolano arso vivo come eretico, perché "il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana".

Dunque, nessuna riabilitazione per un altro martire dell'Inquisizione. E qui siamo in presenza di un paradosso: l'atrocità del rogo ha messo in evidenza il martire, vittima dell'Inquisizione, e completamenteo oscurato il filosofo.
Giordano Bruno è stato uno dei piu' grandi pensatori della storia umana: nel maggio 1999, la rivista Sterne und Weltraum ha dedica un ampio saggio per mettere in risalto le sue straordinarie intuizioni in campo cosmologico...

Giordano Bruno superò l'intuizione di Copernico che la Terra non fosse al centro del sistema solare, arrivando a pensare che lo stesso Sole non fosse al centro dell'universo. Inoltre, sostenne per primo che le stelle fisse sono dei soli; che dopo Saturno, allora considerato l'ultimo pianeta, ce ne sono altri; che i pianeti si muovono tanto piu' lentamente quanto piu' distano dal Sole; che tutti i corpi celesti ruotano sul proprio asse; che la Terra e' appiattita ai poli. E questo prima di Galilei e senza cannocchiale... ahi, la verità storica!

torciatorciaVolete rendere un tributo a Giordano Bruno? Bene, inviate questa lettera così com'è all'Osservatore Romano (è sufficiente un "copia&incolla".

Spett. Redazione de L'Osservatore Romano

Vorrei capire perché Nicola Cusano fu fatto Cardinale e, al contrario, Giordano Bruno fu mandato al rogo. Qualcuno mi può dare una spiegazione?

Ringraziando per l'attenzione, resto in attesa di un Vs. cortese riscontro.
nome, cognome, e-mail

Francesco Bacone (1561-1620), è il padre dell'empirismo moderno. Contro il vecchio metodo deduttivo o sillogistico, che gli appare sterile «inutilis est ad inventionem scientiarum», Bacone oppone il metodo induttivo che solo può dare verità utili e nuove. In particolare, la scienza non deve essere fine a sé stessa, ma deve avere il fine pratico di dominare la natura. L'induzione, secondo Bacone, è tutt'altra cosa di quella per enumerationem simplicem aristotelica e si compone di due parti:

Scopo di queste regole e premesse è la possibilità di formulare un'ipotesi provvisoria (vindematio prima) e quindi una prova tale (istanza prerogativa) attraverso cui rifulga limpidamente la legge.

Galileo Galilei (1564-1642), seguendo la teoria baconiana del metodo induttivo, ne verificò la razionalità ottenendo nuove scoperte.
Il metodo induttivo di Galilei, consiste nel risalire da alcuni particolari, e talora da un solo esperimento ben progettato, ad una legge generale. A differenza di Bacone, non si limita a teorizzare il metodo induttivo, ma partendo dal presupposto che l'uomo è dotato di sensi ed inteletto, e che il "libro della natura" è scritto in "triangoli, quadrati, cerchi, ecc.", integra il metodo induttivo col metodo matematico, che solo può sistemare i dati dell'esperimento in leggi empiriche.

René Descartes (Cartesio) (1596-1650), è il padre del razionalismo moderno, come Bacone lo è dell'empirismo.
Mentre Bacone, per risolvere il problema del metodo si era fondato sull'esperienza e sul metodo induttivo, Cartesio si fonda sulla ragione e sul metodo deduttivo. Deduzione non sillogistica (quella aristotelica, che gli appariva, in accordo con Bacone, sterile ed infeconda), ma matematica, consistente cioé nel dedurre da un principio, non mediante il sillogismo, ma mediante il criterio delle evidenze tutte le altre verità. Nel Discorso del metodo, Cartesio espone le sue quattro regole:

Cartesio è anche noto per il dubbio « cogito ergo sum ». Infatti, elaborato il metodo, si propose di trovare quel principio, per sé stesso evidente, da cui derivare le altre verità. Per far questo, introdusse il dubbio metodico, un dubbio non fine a sé stesso, ma un mezzo per giungere alla verità e vincere lo scetticismo. Bisogna dubitare di tutto: dei sensi che ingannano, della ragione che può essere fallace, dell'esistenza della materia (come dimostra il sogno, durante il quale ci appare reale quello che crediamo di vedere e udire). Bisogna dubitare anche delle verità matematiche: un dèmone maligno e potentissimo avrebbe potuto circondarci di sottili inganni. Tuttavia, pur dubitando di tutto, non si può dubitare di esistere... un demone - argomentava Descartes - potrebbe aver creato una raltà fittizia, ma certo questo inganno non può comprendere me: che senso avrebbe burlarsi di una persona irreale mettendola di fronte ad un'altra persona irreale... io che penso, dunque devo essere reale (cogito ergo sum).

A questo punto, per raccogliere l'eredità di Cartesio, è necessario capire come si possa estendere la sua prova di "autorealtà" a tutte le altre persone.

Cartesio, per trovare il fondamento certo del sapere, adotta il dubbio come metodo: posso dubitare di tutto, ma non posso dubitare che io esisto “cogito, ergo sum”. E’ questa la certezza indubitabile. Questa “evidenza” che non può essere oggetto di dubbio, è dunque la chiave della volta sulla quale deve essere costruito il sapere. Penso, dunque esisto in quanto sostanza che pensa e percepisco una serie di immagini (idee, le chiama Cartesio). Noi non percepiamo le cose, ma solo le immagini, e non sappiamo se a queste corrispondano cose esterne al pensiero. Ciò che è certo è che io percepisco delle immagini. Se esiste qualcosa d’altro – il mondo o Dio – non lo sappiamo.
Cartesio chiama le immagini (idee) che sembrano provenire dall’esterno (gli oggetti che ci circondano, l'ambiente in cui ci troviamo) “idee avventizie”), altre che sappiamo aver costruito noi con la nostra fantasia (vedi l’immagine di chimera –), le chiama "fattizie" o "fittizie", ed infine vi sono le immagini che Cartesio ritiene siano “innate” proprio perché sono strutturali al nostro pensiero.

Secondo Cartesio, si può accettare che i contenuti del nostro pensiero siano prodotti da noi stessi: non contengono infatti niente di così perfetto che non possa essere creato da noi. Però, c'è l'idea di perfezione e questa non può certo essere un nostro prodotto mentale perché noi siamo imperfetti: è un'idea "innata". Da questa idea Cartesio deduce l'esistenza di un Essere Perfetto.
Per Cartesio, l'ieda di "perfezione" è un'idea particolare, diversa dalle altre, perché ha un contenuto rappresentativo tale che io non posso considerarmi la causa in quanto “nella causa ci deve essere almeno tanta realtà che nell'effetto”, ma io non sono perfetto. Io sono imperfetto perché dubito: se non so neanche che esista il mio corpo, un mondo esterno al pensiero e dunque, non posso considerarmi perfetto.

Con questa argomentazione, Cartesio ha trovato (o meglio, crede di aver trovato) un'idea che richiede, per essere spiegata, l'esistenza di una Causa perfetta, cioè Dio. Una volta provata l'esistenza di un Dio Perfetto, cade l'ipotesi di un dèmone burlone (di un Dio cattivo, cioè, che si diverte a farci vedere “evidente” ciò che evidente non è: l’ipotesi più radicale che arriva a mettere in dubbio la stessa “evidenza”), cade l'ipotesi, cioè che sia ingannato. E siccome l'uomo ha una naturale inclinazione a credere che vi sia un mondo esterno al pensiero, dovremmo concludere che tale mondo esiste, perché se non esistesse, tutti noi saremmo ingannati. Poiché Dio è perfetto, nessuno ci inganna e il "cogito ergo sum" di Cartesio ha valore universale.

Per Cartesio, il mondo scientifico ("oggettivo” che è oltre la sfera sensibile) esiste sulla base dell'autorità di Dio, un Essere Perfetto che non può ingannare. La metafisica di Cartesio, dunque, diventa il fondamento della scienza.
Ecco un breve cenno della scienza di Cartesio: non è affatto evidente che le qualità sensibili (colore, sapore, odore, ecc.) siano attributi della materia. La materia, privata di tutte le qualità sensibili (la materia creata da Dio) non può che essere estensione: è impensabile, infatti, la materia senza estensione. I corpi, quindi, sono estensione, ovverosia spazio.

Qui sembra che ci sia confusione: se per estensione si intende spazio, è assurdo pensare ai corpi come estensione, in quanto i corpi sono in uno spazio, non sono lo spazio. Tuttavia, per la scienza attuale, uno spazio senza corpi non ha alcun senso; viceversa, un corpo occupa necessariamente uno spazio.

Cartesio è anche padre del meccanicismo in quanto con le leggi meccaniche, pensava di spiegare non solo i fenomeni fisici, ma anche quelli vitali: piante ed animali non sono altro che macchine più o meno complicate, come l'uomo; il quale però è dotato di anima razionale.

Thomas Hobbes (1588-1679), è l'apostolo del materialismo. Secondo Hobbes le uniche entità veramente sperimentabili e quindi verificabili sono i corpi, la materia estesa. E' inutile tentare di indagare le sostanze che trascendono le possibilità dell'evidenza materiale: esistono solamente i corpi e il loro movimento, responsabili di tutti i fenomeni naturali.
Anche l'anima è materiale in quanto le idee sono solo la conseguenza di azioni meccaniche esterne al pensiero. L'idea prenderebbe forma in conseguenza di una serie di attività cinetiche riconducibili alla meccanica della materia cerebrale. Tutti i giudizi devono quindi spogliarsi di qualsiasi connotazione soggettiva e confluire in una interpretazione oggettiva, geometrica ed esclusivamente matematica della realtà.
Questa visione profondamente materialista dell'essere risente di una forte influenza degli studi di Galilei sull'inerzia e sul movimento: Hobbes e gli empiristi credettero di poter applicare il nuovo ed efficace metodo della fisica alle questioni solitamente riguardanti la metafisica e lo studio dell'essere.

Più interessante è la discussione sul convenzionalismo linguistico. Se tutto è materiale è ovvio che non esistano nemmeno idee innate ed anime preesistenti. Le idee (immagini della mente) si manifestano nel mondo reale attraverso le parole. Le idee vengono associate alle parole in modo convenzionale ed arbitrario, non esiste ovviamente una stretta causalità tra l'essenza di un una cosa con la parola corrispondente in una certa lingua. Ad esempio, l'immagine mentale del cane non necessariamente deve corrispondere al susseguirsi delle lettere c, a ,n, e; il fatto che ogni lingua faccia corrispondere una differente serie di lettere all'idea di cane dimostra che le parole sono assegnate alle cose in modo indipendente dalla loro immagine mentale.

Hobbes è considerato in un certo modo il padre della cibernetica o almeno un lontano antenato di quella moderna: la protocibernetica. Hobbes arrivò alla conclusione che il pensiero e il linguaggio fossero trattabili in termini di addizione e sottrazione. Ogni operazione mentale è riconducibile ad un'aritmetica di segni: l'affermazione è un'addizione di termini, la negazione una sottrazione. Più affermazioni addizionate tra loro portano ad una deduzione. Ragionare vuol dire quindi computare, calcolare e matematizzare i segni semantici (semantica = studio dell'assegnazione dei segni e delle parole alle cose e agli oggetti).

John Locke (1632-1704), è il più grande rappresentante dell'empirismo. Mentre Bacone si era limitato ad affermare la necessità del metodo induttivo-sperimentale nella filosofia e nelle scienze, Locke, nel suo Saggio sull'Intelletto Umano, giustifica questo empirismo discutendo il problema dell'origine e del valore della conoscenza. La questione di fondo era determinare i limiti della conoscenza umana: quali sono le realtà conoscibili e quelle destinate a rimanere fuori dalla sua portata?
Questo problema, poi ripreso da Kant, si proponeva di operare una distinzione tra filosofia dell'esperienza e metafisica: la prima, comprende la nostra conoscenza sperimentabile e verificabile; la seconda, un insieme di idee astratte e dannose alla ricerca scientifica.

La base di partenza della filosofia di Locke, riguarda l'infondatezza dell'innatismo: se le idee (intese come sensazioni, immagini, concetti, ecc.) fossero innate, queste dovrebbero essere le medesime per tutti gli uomini. Invece i bambini, i selvaggi, gli incolti difettano di parecchie idee (es. principio di contraddizione, principi morali, ecc.), e ciò appunto perché la loro esperienza è più limitata. Le idee derivano dunque dall'esperienza e lo spirito è una tabula rasa.

Le idee derivano dall'esperienza e precisamente da due fonti:

Tutte le idee che si trovano nella nostra coscienza, sia che derivino dal senso esterno che dal senso interno, si dividono in due classi: idee semplici ed idee complesse.
Le idee semplici sono quelle che percepiamo attraverso i sensi. Tali idee semplici vengono poi rielaborate in idee complesse. Per esempio: le idee semplici sono le informazioni base che riceviamo da un oggetto, la sua forma, il suo colore, il suo peso; una mela (idea complessa) è l'insieme di un certo numero di idee semplici quali la forma, la polpa succosa, il colore rosso o verde, il sapore caratteristico.

Analogamente esistono qualità primarie e secondarie. Le qualità primarie sono le percezioni oggettive che coincidono con la materia estesa cartesiana: la forma, il numero, il movimento, il peso, l'estensione nello spazio. Le qualità secondarie sono le impressioni soggettive che riceviamo da un oggetto: il sapore, il colore, la consistenza.
In particolare, le qualità primarie, oltre ad essere idee, esistono realmente indipendentemente da noi; le qualità secondarie, al contrario, esistono solo come idee elaborate dalla mente.

Da rigoroso empirista, Locke sostiene che tutti i prodotti della mente sono una elaborazione di percezioni esterne, non esistono quindi idee direttamente frutto dalla mente ma solamente la rielaborazione di esperienze percettive: nulla vi è nell'intelletto che prima non vi sia stato nella percezione. Ciò che crediamo idee innate sono solamente il frutto di esperienze lontane nel tempo e nella memoria, quando da bambini abbiamo per la prima volta interagito con l'ambiente circostante, in risposta alle percezioni esterne.

La sintesi di queste premesse conduce alla domanda: cosa ci assicura che le nostre idee rispecchino effettivamente la realtà esterna?
Per Locke, vi sono almno tre certezze riguardo alla realtà: la materia del mondo esterno, in quanto deriva dalla sensazione; l'individualità personale (l'Io), certezza che viene dalla consapevolezza e Dio, certezza che viene dalla dimostrazione... ovviamente questo è l'aspetto della filosofia che Hume criticherà più a fondo.

Un altro interessante aspetto della filosofia di Locke riguarda il linguaggio. Fino all'epoca di Locke si accettava l'idea che le parole conservassero un certo collegamento con la natura del soggetto (dall'unica lingua adamitica si erano però confuse le lingue in séguito alle vicende della torre di Babele). Locke, come Hobbes, ritiene invece che le idee non abbiano un collegamento diretto e necessario con le parole che le esprimono, le parole sono solamente i segni con i quali specifichiamo le idee.
Il pensiero esisteva anche prima che gli uomini imparassero a parlare, ciò dimostra che il linguaggio, l'assegnare a certe idee determinate parole, è nato come bisogno di socializzazione tra individui primitivi, come bisogno di comunicare idee che altrimenti sarebbero rimaste inespresse in ogni uomo, isolate dal resto degli altri uomini.
Non vi sono allora necessariamente dei significati profondi tra parola ed oggetto, nulla che costituisca una necessità logica: le parole sono segni attribuiti dagli uomini in modo arbitrario, prova di questo sono diversi abbinamenti tra idea e oggetto nelle diverse lingue.

Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), inventò il calcolo infinitesimale contemporaneamente ed indipendentemente da Isaac Newton. A parte questo fondamentale prodotto del suo ingegno, la sua filosofia era volta a conciliare il razionalismo e l'empirismo mediante la sua teoria della monade (dal greco monàs = unità).

La filosofia di Leibniz ricalca i princìpi base del calcolo infinitesimale. La realtà, non è formata da due sostanze come riteneva Cartesio, ma da infinite sostanze di natura spirituale, alle quali Leibniz dà il nome monadi.
La materia, come estensione (res extensa) non esiste: se noi consideriamo un corpo materiale, ed applichiamo ad esso divisioni e divisioni, dovremo fermarci a degli elementi primi, indivisibili e semplici, e quindi inestesi, immateriali, spirituali: le monadi.

Tali monadi, oltre ad essere inestese, non sono passive, bensì attive, come è dimostrato dalla resistenza che oppongono i corpi, che si manifesta e come inerzia al moto e come impenetrabilità.
L'attività delle monadi è analoga a quella dell'anima umana, perché è l'unica cosa che noi conosciamo inestesa ed attiva, e quindi nella sua essenza simile alle altre monadi. Tale attività consiste in percezione, o potere che la monade ha di rappresentare e pensare le cose esterne; e appetizione, o tendenza a passare da percezioni confuse ed oscure a percezioni chiare e distinte: da reazioni meccaniche a istintive a coscienti. Con questa premessa, segue che le monadi sono classificabili gerarchicamente:

Monade suprema è Dio, il quale è assoluta appercezione e assoluta volontà, cioé apienza, potenza e amore.

Come è chiaro, Leibniz era un convinto cristiano (religione protestante) e la sua visione della struttura della materia lo porta a identificare un segmento matematico (astratto) con un segmento materiale: il primo è infinitamente divisibile, e il secondo... pure, a dispetto della struttura atomica della materia. Accettato questo "dogma", i passaggi successivi alle figure geoemtriche, poi alla materia ed infine all'uomo sono del tutto logici. In sintesi, per Leibniz le uniche inferenze possibili sono quelle derivate dalla logica e dalla matematica.

Un aspetto curioso della filosofia di Leibniz è l'interpretazione dei fatti. Un fatto è contingente, cioé non necessario, perché avrebbe potuto verificarsi il fatto opposto senza alcuna contraddizione. Ad esempio, la riforma protestante potrebbe non essersi verificata senza alcuna contraddizione. E se si verifica una "verità di fatto" (cioè proposizioni che riguardano fatti e non relazioni logico-matematiche) piuttosto che un'altra, ciò è spiegato dal "principio di ragion sufficiente": se un fatto è accaduto, ci deve essere una ragione sufficiente che spieghi perché è successo e non si è verificato, al suo posto, un altro fatto. Per Leibniz la proposizione "il mondo esiste" è una verità "di fatto", una verità che richiede una "ragione sufficiente" per essere spiegata, e questa ragione non può che essere Dio. E dato che vi è una ragione sufficiente che spiega l'esistenza del mondo, questo vuol dire che la non esistenza del mondo è impossibile...

Nel 1671, Leibniz progettò una macchina calcolatrice (con lo scopo di trovare soluzioni razionali ai problemi filosofici e di buon governo) che utilizzava pignoni dentati di varia lunghezza ed una versione perfezionata del meccanismo di riporto automatico ideato da Pascal per rendere automatici i calcoli delle tavole trigonometriche e astronomiche. In questo modo vengono eseguite meccanicamente le moltiplicazioni (il principio della moltiplicazione era relativamente semplice: sommare successivamente il moltiplicando per un numero di volte pari al moltiplicatore) e le divisioni (sotto forma ripetute sottrazioni).
Tuttavia, la sua più grande invenzione fu quella della rappresentazione binaria dei numeri (0 e 1), comprese che poteva essere possibile applicarlo alle macchine da calcolo, ma senza risultati concreti. Purtroppo però questa rappresentazione binaria cadde nel vuoto e solo nel 1847 verrà riscoperta, grazie al matematico inglese George Boole, che aprirà l'orizzonte alle grandi scuole di logica matematica del '900 e soprattutto alla nascita del calcolatore elettronico.

Giambattista Vico (1668-1735), il grande fondamento delle sue argomentazioni è che «verum et factum convertuntur» o anche «verum ipsum factum»: la verità non consiste nelle idee chiare e distinte (Descatres), ma nel prender coscienza di ciò che si fa. Infatti, le idee chiare e distinte ci danno semplicemente la conoscenza di questa cosa medesima: la conoscenza è sempre conoscenza per cause, cioé conoscenza delle cause che hanno dato origine ad un dato effetto. E poiché la causa di un effetto può essere conosciuta solamente da chi ha prodotto l'effetto medesimo, ne consegue che per conoscere una cosa è necessario farla.
Da questa premessa deriva che all'uomo è negata la conoscenza del mondo fisico e metafisico. L'uomo, non avendo crato la natura, non può averne conoscenza, e deve quindi limitarsi a descriverla: è possibile solamente una piàù esatta conoscenza del fenomeno quando riusciamo a riprodurlo sperimentalmente.
Parimenti la metafisica deve limitarsi al probabile: l'esistenza di Dio è certa, ma non è scientificamente dimostrabile, perché se fosse così, l'uomo dovrebbe divenire il creatore di Dio.

George Berkeley (1685-1753), ordinato vescovo anglicano nel 1734, è il fondatore dell'immaterialismo, in quanto nega l'esistenza distinta della materia e la lega alla qualità della percezione soggettiva. Berkeley, completò, esasperandole, le tesi di Locke e dell'empirismo a proposito della precedenza delle percezioni rispetto alle idee: se nulla vi è nell'intelletto che prima non vi sia stato nella percezione allora tutto il mondo fisico esiste solo nella percezione, in quanto tutto è frutto di essa.
Il mondo della materia non esiste: è lo spirito umano che lo edifica attraverso la percezione e lo rende reale; d'altra parte, non c'è differenza tra materia e spirito perché le due entità coincidono (questa tesi si dimostrerà piuttosto interessante per alcuni aspetti della meccanica quantistica).

Con la tesi dell'immaterialità, per cui la materia non esiste ed è una percezione soggettiva, nasceva la questione di come fosse possibile che due soggetti differenti percepissero le stesse cose allo stesso momento. Berkeley argomentava che la potenza di Dio ci fa credere che esista un riferimento materiale comune, per cui tutto il mondo materiale risponde alle stesse leggi indipendentemente dal soggetto che percepisce. Infatti, Dio è una Mente infinita, grazie alla quale le cose continuano ad esistere anche quando non sono percepite.
La spiegazione del funzionamento delle leggi naturali consiste allora nel portare alla luce il grande disegno divino della Creazione, ciò che Dio ci vuole trasmettere nella sua infinita potenza e onnipresenza.

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copyright Marcello Guidotti, 2003
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