La
prima guerra mondiale
Discorso
commemorativo dei soldati orunesi morti in guerra pronunciato ad Orune il 10
marzo 1919, a guerra finita, dal capitano medico dottor Francesco Mereu.
"Assistere,
come cittadino e come soldato, alla celebrazione degli eroi e dei martiri, in
questa nobilissima terra che ha dato alla patria il fiore della sua gioventù,
è altissimo onore del quale, Orunesi, serberò eterno ricordo.
Ov'è la
bella gioventù discesa da questi monti superbi e da queste valli serene, ove
sono. Orune i tuoi morti che per i prodigi di valore passeranno ai posteri in
una luce di leggenda? Essi sono sulle trincee dei Razzi e delleFrasche, di Bosco
Capuccio e di Bosco Lancia, sono sull'erta faticosa del S. Michele, di Monte
Fior e di Castelgomberto, sono sull'aride petraie del Carso, sulla Bainsizza,
sul Grappa, sul Montello, sul sacro e dolente Piave, ovunque sui campi di
battaglia, in quattro anni di lotta accanita, hanno formato contro l'irruenza
nemica un baluardo infrangibile.
O Remigio
Gattu, il tuo nome suonerà glorioso nei tempi, il tuo ricordo sarà circondato
da un velo di poesia e di leggenda, la tua figura sarà radiata da una pura e
fulgidissima luce è vivrà eterna nei nostri cuori!
Educato al
sentimento del dovere ed al culto della virtù, volò fiero e forte come un eroe
leggendario, incontro alla gloria, orgoglioso di comandare i bersaglieri di
Caprera, portando nel cuore l'ardente
affetto del
natio loco, e nelle pupille la dolce visione della sua mamma adorata. Egli aveva
dinanzi a se un avvenire radioso, ma per la patria minacciata alle frontiere,
per i fratelli che dalle contrastate terre lanciavano il «grido di dolore»,
era pur bello per Remigio Gattu offrire il sangue e la vita, lanciandosi nella
lotta con l'ardore di un apostolo e con l'impeto gagliardo di un cavaliere
medioevale, sacrificando i suoi sogni, le sue speranze, i suoi santi ideali. Con
l'anima sua candida, col suo occhio limpido, col sorriso di un fanciullo,
combatteva impavido sul Carso e sugli Altipiani, sempre esposto alla zona del
fuoco, sempre primo tra i primi negli assalti e nelle imprese più arrischiate,
sempre intrepido ed adorato dai suoi soldati, sempre sprezzante del pericolo e
della sorte, fulgido esempio delle più belle virtù militari, di coraggio
leonino e di valore sovrumano.
«Ogni volta rinnovava l'assalto con la stessa volontà di vincere, con la
stessa volontà di morire, con la stessa volontà di superarsi». Le motivazioni
delle sue onorificenze al valore suonano come
uno squillo
di tromba e brillano con bagliore di fiamma che fanno scorrere un brivido di
commozione, un fremito di poesia, un sacro tremore di pianto e di orgoglio.
«Gattu Remigio da Orune Tenente 4 reparto d'assalto Comandante d'una compagnia
con indomito coraggio e sprezzo del pericolo trascinava i suoi soldati
all'assalto di forti ed estese posizioni nemiche, conquistandole e catturando
numerosi prigionieri ed abbondante bottino. Ferito continuava a combattere
incitando i suoi bersaglieri alla lotta.
Monte Val
Bella 28 gennaio 1918».
Ma dove s'apprezza maggiormente il suo spirito di sacrificio, ed il suo
carattere puro e saldo come diamante, dove la sua anima di guerriero sembra
scolpita sul granito e sull'acciaio, è nella lettera scritta dopo essere stato
ferito in sette aspri combattimenti al fratello Camillo, Tenente di fanteria al
fronte:
«Sono
finalmente tornato alle mie schiere combattenti e l'animo rinnoveilato di vigor
novello, intende e spera.
Sempre forte
e coraggioso, fra i pericoli alto, fra le asprezze terribile».
Ave o eroe,
Ave! finché il sole risplenderà sui fasti umani, non verrà mai meno la
memoria della tua luminosa figura e l'omaggio di venerazione e di gratitudine
perenne al tuo sangue per la patria versato.
Con la
serenità degli eroi, con la rassegnazione dei martiri, Remigio Gattu, il più
bello assaltatore d'Italia cadeva sul Montello il 16 Giugno 1918 scrivendo col
sangue vermiglio la pagina più gloriosa della sua giovinezza gagliarda.
Sentite,
cittadini, la voce che s'alza dalla fossa ancor fresca del Tenente Luigi
Debernardi di Nuoro, morto anch'egli a soli 18 anrll sul campo della gloria:
«Remigio Gattu ha trovato morte gloriosa, ferito da pallottola esplosiva il 16,
alla testa della sua compagnia; il 18 ci lasciava per sempre in un ospedaletto
da campo. Eroico, giovane, ardito fra gli assalitori arditi è spirato, nel nome
sacro d'Italia sulle labbra e sul cuore una martire che tutto ha dato per la
patria, una santa donna che l'aveva allevato in una fede salda e che l'aveva
benedetto offrendolo alla vittoria ed alla gloria: sua madre.
In una
visione radiosa 1'eroe agonizzante vedeva il nemico in fuga disordinata
inseguito dal bel soldato di Italia. Ai piedi del Montello, sul fiume
riconsacrato in un cimitero d'eroi dorme il sonno eterno.
Ed io ed i
miei superiori e colleghi, ammirati, giuriamo la vendetta a qualunque costo,
vendetta santa, vendetta da assalitori».
O Pasqua Seddoni, madre santa di Remigio Gattu, tu che hai dato alla patria
quanto possedevi di più bello, di più caro, di più prezioso, le carni delle
tue carni, il sangue del tuo sangue, 1'anima della tua anima, sii benedetta,
mille volte benedetta!
Oh sii benedetta per la fiaccola di fede e di entusiasmo che sapesti tenere
accesa nel santuario immacolato della famiglia, sii benedetta tu, che cuore
sanguinante e spezzato dal dolore sei il simbolo delle virtù spartane delle
madri sarde, come il tuo Remigio era simbolo purissimo di tutte le virtù dei
nostri combattenti.
Con pari
onore, con pari amore e con profondo dolore, il nostro pensiero vola oggi ad una
altra e bella figura di eroe orunese, che dorme poco lungi di qui il sonno
eterno: alla tomba del capitano Latini. Pochi mesi fa in questo stesso luogo
egli era giovane e sano, forte ed ardito, bellissimo con la nera chioma e con le
pupille ardenti, inneggiante alla vittoria della santa guerra, e mi pare un
sogno ch'egli sia caduto all'improvviso, come una quercia schiantata dal fulmine
e che in poche ore quel cuore generoso abbia cessato di battere. Io che ebbi la
fortuna di conoscerlo e di amarlo con affetto sincero e fraterno, io non mi
sento la forza di rievocare le memorie della sua breve ma gloriosa esistenza e
tutta la baldanza della sua giovinezza fioren
te, al cospetto dei suoi concittadini che lo videro, da umile origine, ascendere
all'ammirazione ed alla venerazione di tutto il paese, dinanzi a voi che lo
vedeste agonizzare tristemente e lo seppelliste con grande e doloroso pianto nel
piccolo cimitero campestre.
Partito dal
pese natio, dopo aver conosciuto nella sua desolante adolescenza «quanto sa di
sale lo pane altrui», privo di tutti gli affetti più cari e più santi, senza
un bacio ed una carezza materna, solo, col suo ingegno e con le sue elette virtù
di soldato e di forte figlio dei monti, riuscì a conseguire la nomina di
tenente per merito di guerra. Promosso capitano, con due medaglie di bronzo al
valor militare e con la croce di guerra, combatteva prima in Libia e poi
sull'orrido Carso fino a quando una fucilata nemica tiratagli a brevissima
distanza, in una pericolosa ricognizione, lo teneva disteso nel suo sangue
presso un reticolato, col cranio spezzato, con tutto il corpo lacerato dalle schegge.
O anima bella e cara di Latino Lanfranco, o mio grande e diletto amico, troppo
presto ci lasciasti! Ma la tua grande figura risorgerà ancora fiammante, nella
tua divisa, aleggiando nel silenzio dei focolari ove arde perenne la lampada
paesana per alimentare e tramandare di generazione in generazione la sacra
fiamma degli eroi sorti dal grembo di questa terra generosa.
«Sull'azzurro incanto delle vette e dei piani» sfolgorano oggi radiose le
gagliarde anime degli altri vostri compaesani, degli altri vostri valorosi
combattenti del Trentino, del Carso e dell'Isonzo. Passino vivi e trionfanti i
vostri eroi, santificati dal fuoco e dal sangue, i vostri martiri infiammati di
gagliardo ardore e di fede ardente: passino, Orunesi, tutti i vostri morti per
la maggior grandezza per la maggior felicità della patria!
Ecco Montesu,
il forte mitragliere della «Sassari» gloriosa, che cade colpito da una
scheggia di granata e muore gridando Viva l'Italia!
Ecco i Goddi,
schiatta di forti, discendenti non degeneri di quel loro antenato caduto nelle
prime lotte combattute per la nostra indipendenza, che lasciano il loro nome
alla storia sacrificando nove balde giovinezze! Ecco i fratelli Pala Corda,
pastori temprati alle dure lotte e ai dolori, che offrono alla patria l'ardente
e preziosa vita! Ecco Bressan che sparge il purissimo sangue sulle terre sacre
dei suoi avi! Ecco Pasquale Zizi, orgoglio e vanto della sua famiglia, che dopo
aver affrontato tante volte la morte a viso aperto, silenziosamen
te scompare nei gorghi del fiume, mentre intorno a lui sorrideva il sole
luminoso della gioventù e il cielo azzurro della patria! Ecco il caro ed
indimenticabile Andrea Chesa, che fu tra i primi ad attraversare arditamente,
sotto il grandinare dei proiettili, le floride rive del1'Isonzo e che per i
ripetuti atti di valore fu promosso aiutante di battaglia e meritò la medaglia
d'argento! E con loro ricordo con legittimo orgoglio quel Nanni Pili di Aritzo,
che nato e cresciuto sotto il Gennargentu, tanto amò questo suo paese
d'elezione. E come questi cento altri eroi, oscuri e gloriosi, balzano fuori
dalle loro fosse ignorate e sorgono innanzi a noi, coronati di quercia e di
alloro come gli antichi guerrieri romani.
Balzano in
piedi le care ombre dei fratelli Sannio, di Chessa, Piette, Ruiu, Deiana, Ghisu,
Barracca, Mazzette, Moni, Porcu, Masala, Orunesu, Sanna, Mulas, tutto il fiore
di giovinezza di nostra gente, con la forza indomita, con i loro petti gagliardi
dove palpitò il cuore sardo della terra aspra di Marreri.
Si levano su
dalle zolle insanguinate, su dai cimiteri adorni di croci e fiori, si levano con
un'aureola di luce e di gloria le forti e maschie figure di Degogliu, Basile,
Delogu, Farina, Pigliaru, Meloni, Carta, Cossu, Contena, Lizos, Monni, che hanno
immolato la loro fiorente giovinezza alla grandezza della nuova Italia.
Essi
risorgono, intrepidi fanti, purissimi eroi dinanzi alle nostre pupille con
1'indomita fierezza dei militi di Amsicora e di Iosto, con tutte le virtù della
razza conservatasi per migliaia d'anni, intera e salda, aspra, forte, come il
granito dei nostri monti.
Oggi, o
madri, siete benedette e santificate per il vostro dolore, per il vostro
martirio!
La Sardegna
ha pagato per la vittoria il più grande tributo di sangue, ha pagato il più
grande tributo di sofferenze.
Brigata Sassari, Brigata di ferro! Il tuo nome è tutto un poema di eroismi e
di abnegazioni sublimi, è una lirica di bellezza e di gloria. E tu Sardegna,
terra del nostro sogno, gran madre d'eroi, «dove
gli asfodeli s'intrecciano coi lauri e la eterna bellezza sorride sii benedetta,
«benedetta nella via di prove di lotta e di sventura per cui ancora immacolata
procedesti, benedetta nelle battaglie e nelle vittorie, ora e sempre nei secoli!
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Orune 10/3/1919